L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 42 (47.476)
Città del Vaticano
lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
.
All’Angelus il Pontefice lancia un nuovo appello per la fine delle violenze
Ennesimo fatto di sangue nel Nord Kivu
Vicino
alle popolazioni congolesi
Civili massacrati
a colpi di machete
«Sento forte il dolore per le vittime,
specialmente per tanti bambini
strappati alle famiglie e alla scuola»
nella Repubblica democratica del
Congo. La “tragedia” dei bambini
soldato è stata ricordata da Papa
Francesco all’Angelus di domenica
19 febbraio. Addolorato per le «notizie di scontri violenti e brutali nella
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Il Papa
e i bambini
Forse è inevitabile che la notizia
della visita del Papa in una parrocchia romana sia limitata quasi
solo a veloci filmati televisivi, a
qualche breve frase, con cronache
e accenni di commento, che pure
aiutano. Ma chi voglia davvero
capire il Pontefice al di là di stereotipi che non corrispondono alla realtà deve guardare proprio alle ore che il vescovo di Roma, visitando le parrocchie della sua
diocesi, trascorre senza fretta con
i fedeli. Qui infatti si coglie la
sua vicinanza alla gente, ai bambini, alle mamme che portano in
braccio i loro bimbetti, agli anziani: una capacità di incontro basata spesso solo sull’ascolto, su una
preghiera in silenzio e a occhi
chiusi, su una benedizione, invocata dal Pontefice a Ponte di Nona anche su alcuni musulmani.
Una vicinanza che Bergoglio
nella sua vita precedente di religioso e poi di vescovo ha sempre
mostrato verso tutti, cercando
d’incontrare i lontani, i trascurati,
i poveri, e come ha ricordato durante la sede vacante. «La Chiesa
è chiamata a uscire da se stessa e
ad andare verso le periferie, non
solo quelle geografiche, ma anche
quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore,
dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria» aveva detto, delineando poi il profilo del Papa da
eleggere, «un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù
Cristo e l’adorazione di Gesù
Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da
se stessa verso le periferie esistenziali».
Colpiscono dunque le immagini di Francesco nella parrocchia
romana circondato da ragazzini,
ma più ancora fa riflettere il dialogo con loro, straordinario nella
sua semplicità, sulla figura papale. Dialogo subito indirizzato
all’essenziale — perché sei diventato Papa? — e subito trasformato
in un’efficacissima lezione di catechismo e di storia, che non sarà
dimenticata perché raccontata in
prima persona dall’eletto che, paziente, incalzava i bambini.
L’importante? Soprattutto «si
prega», poi «il Signore invia lo
Spirito santo e lo Spirito santo
aiuta nell’elezione». E chi viene
scelto «forse non è il più intelligente, forse non è il più furbo,
forse non è il più sbrigativo per
fare le cose, ma è quello che Dio
vuole per quel momento della
Chiesa». Poi, «arriverà un altro,
che sarà differente, sarà diverso,
forse sarà più intelligente o meno
intelligente, non si sa, ma arriverà
quest’altro nello stesso modo:
eletto dal gruppo dei cardinali
sotto la luce dello Spirito santo».
Ecco dunque il Papa, spiegato
non solo ai bambini, in un tempo
in cui, anche nella Chiesa, qualcuno rischia di dimenticare il sentire cattolico. E le difficoltà? «Ci
sono e ci saranno, ma non bisogna spaventarsi, le difficoltà si
superano, si va avanti, con la fede, con la forza, con il coraggio»
ha risposto Francesco. Che va
avanti, appunto, con fede, forza e
coraggio.
g.m.v.
KINSHASA, 20. Almeno 25 civili di
etnia hutu sono stati massacrati a
colpi di machete nel nord Kivu,
nella Repubblica democratica del
Congo, precisamente nel villaggio
di Kyaghala, ad opera dei miliziani
Mai Mai del gruppo Nande.
Ma il copione non è nuovo. In
questa provincia orientale del paese
africano il dramma si ripete da decenni, con tanto di conflitto dichiarato nel 2004, pace annunciata nel
2008 e guerra civile mai interrotta.
Si contano oltre 60 gruppi armati e
si parla, anche oggi, di scontri interetnici. Ma, in realtà, per capire le
ragioni di tanta conflittualità bisogna guardare alle preziose materie
prime di cui questa provincia è
particolarmente ricca.
Il nord Kivu è una delle 26 province della Repubblica democratica
del Congo, si estende per circa
500.000 km² e conta una popolazione di circa 5,6 milioni di persone, di cui un milione e 600.000 risultano sfollate. Attacchi armati
contro i villaggi, massacri, furti, sequestri di persona, stupri, estorsioni rendono il contesto umanitario
drammatico.
Mai Mai è il nome che identifica
un gruppo secessionista che si batte ufficialmente per la separazione
e l’indipendenza di questa zona, vicina a Uganda, Rwanda, Burundi.
Tra giugno 1960 e gennaio 1963, la
regione del Kasai Centrale» che continuano a giungere dal Paese africano, il Pontefice ha rilanciato «un accorato appello alla coscienza e alla
responsabilità delle autorità nazionali e della comunità internazionale,
affinché si prendano decisioni adeguate e tempestive». Quindi ha
chiesto ai fedeli presenti in piazza
San Pietro di recitare un’avemaria
anche «per tutte le popolazioni che
in altre parti del continente africano
e del mondo soffrono a causa della
violenza e della guerra», come per
esempio «le care popolazioni del Pakistan e dell’Iraq, colpito da crudeli
atti terroristici nei giorni scorsi. Preghiamo ardentemente — ha detto —
che ogni cuore indurito dall’odio si
converta alla pace, secondo la volontà di Dio». E il tema del perdono
come atteggiamento cristiano da opporre alla violenza della vendetta era
stato anche al centro della meditazione prima della preghiera mariana.
Incentrata sull’invito di Cristo a porgere l’altra guancia, contenuto nel
vangelo domenicale, la riflessione
del Pontefice è stata riproposta anche durante la visita pomeridiana alla parrocchia romana di Santa Maria
Josefa del Cuore di Gesù, a Ponte di
Nona.
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L’Onu chiede protezione per gli oltre 750.000 civili intrappolati nei quartieri in mano all’Is
Scatta l’offensiva per conquistare Mosul est
BAGHDAD, 20. È iniziata in Iraq la dura offensiva
dell’esercito per riconquistare la parte occidentale
di Mosul, ancora nelle mani degli uomini del cosiddetto stato islamico (Is), dove oltre 750.000
persone sono intrappolate.
A dare l’annuncio è stato ieri il premier Al
Abadi che ha assicurato: «Libereremo i nostri cittadini dal terrore dell’Is. Spazzeremo via dalla
nostra grande nazione ogni terrorista». Le forze
di Baghdad puntano dritto verso l’aeroporto. A
quattro mesi dall’inizio della grande offensiva, e
a un mese dalla liberazione dei quartieri orientali,
centinaia di blindati e tank, appoggiati da caccia-
bombardieri ed elicotteri, sono avanzati dal deserto da sud-ovest.
Due quartieri sarebbero già stati liberati, oltre
alla centrale elettrica di Al Lazaka, stando al portavoce dell’esercito, che parla anche di dure perdite inflitte ai jihadisti.
La maggiore preoccupazione è quella riguardante i civili, troppo spesso fatti oggetti di violenze e usati come “scudi umani” da parte dei
miliziani.
Gli esperti delle Nazioni Unite hanno lanciato
un appello per la loro protezione. Il coordinatore
umanitario dell’Onu in Iraq, Lise Grande, ha
chiesto «a tutte le parti» che assicurino «la sopravvivenza dei civili».
In base ai dati dell’Onu, nelle zone ad ovest
della città sono intrappolati circa 350.000 bambini bisognosi di cure urgenti, come denuncia l’organizzazione internazionale Save The Children
che chiede ai soldati iracheni — e ai loro alleati,
inclusi Gran Bretagna e Stati Uniti — di fare il
possibile per proteggere i piccoli e le famiglie evitando di colpire scuole e ospedali. Intanto, ieri
due miliziani dell’Is si sono fatti saltare in aria,
uccidendo tre persone e ferendone almeno dodici
nei pressi di un ristorante ad Al Zuhur.
regione è diventata di fatto indipendente con il nome di stato del Katanga. Da anni è terreno di confronto tra gruppi che provengono
dai paesi limitrofi e da bande locali. Tutti si contendono il traffico illegale di oro e diamanti.
I Mai Mai non sono neanche i
più noti. Da anni il gruppo di
guerriglia di origine ugandese Forze democratiche alleate (Adf) si distingue per l’efferatezza delle violenze, anche contro bambini. E
non ha mai realmente perso potere
il gruppo di origine rwandese Forze democratiche per la Liberazione
del Rwanda (Fdlr), da più di 20
anni insediatosi nell’area. Così come le Forze Nazionali di Liberazione del Burundi (Fnl).
In questi anni, le forze governative hanno sferrato offensive contro
questi gruppi armati e hanno ciclicamente annunciato di averli sconfitti, ma di fatto i gruppi aumentano il loro potere. Sono sempre più
indipendenti dai paesi di origine e
frammentati. Nel 2008 erano solo
una ventina. Poi ci sono state molte suddivisioni. I gruppi principali
contano circa 2000 affiliati ma poi
ci sono tante piccole formazioni di
non più di 200 uomini. Il punto è
che nei rapporti delle Nazioni Unite si legge sempre più insistentemente di infiltrazioni di componenti jihadiste.
Intanto, tutto il Congo è alle
prese con l’instabilità politica. Dal
19 dicembre è scaduto il mandato
del presidente Joseph Kabila, da 16
anni al potere, ma non è stato ancora possibile indire elezioni. Nella
capitale Kinshasa, ieri, è stata saccheggiata la parrocchia di Saint
Dominique. Era l’alba di un giorno
di celebrazioni. Dodici ragazzi
hanno rubato tutto. Nessuna rivendicazione e nessun intervento a fermarli.
In due saggi su «Le Débat»
I migranti
dividono l’Europa
CHARLES
DE
PECHPEYROU
A PAGINA
5
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa
mattina in udienza:
l’Eminentissimo
Cardinale
Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi
di Roma;
le loro Eccellenze i Monsignori:
— Guillermo Patricio Vera Soto, Vescovo di Iquique (Cile), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Oscár Hernán Blanco Martínez, Vescovo di San Juan Bautista de Calama (Cile), in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Moisés Carlos Atisha Contreras, Vescovo di San Marcos de
Arica (Cile), in visita «ad limina
Apostolorum»;
— Fernando Natalio Chomalí
Garib, Arcivescovo di Concepción (Cile), in visita «ad limina
Apostolorum»;
— Carlos Eduardo Pellegrín
Barrera, Vescovo di Chillán (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Pedro Felipe Bacarreza Rodríguez, Vescovo di Santa María
de los Ángeles (Cile), in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Héctor Eduardo Vargas Bastidas, Vescovo di Temuco (Cile),
in visita «ad limina Apostolorum»;
— Ignacio Francisco Ducasse
Medina, Vescovo di Valdivia (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Francisco Javier Stegmeier
Schmidlin, Vescovo di Villarrica
(Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
— René Osvaldo Rebolledo
Salinas, Arcivescovo di La Serena (Cile), in visita «ad limina
Apostolorum»;
— Celestino Aós Braco, Vescovo di Copiapó (Cile), in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Jorge Patricio Vega Velasco,
Prelato di Illapel (Cile), in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Cristián Caro Cordero, Arcivescovo di Puerto Montt (Cile),
in visita «ad limina Apostolorum»;
— Juan de la Cruz Barros Madrid, Vescovo di Osorno (Cile),
in visita «ad limina Apostolorum»;
— Bernardo Miguel Bastres
Florence, Vescovo di Punta Arenas (Cile), in visita «ad limina
Apostolorum»;
— Juan María Agurto Muñoz,
Vescovo di San Carlo de Ancud
(Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
l’Eminentissimo Cardinale Ricardo Ezzati Andrello, Arcivescovo di Santiago de Chile (Cile),
con i Vescovi Ausiliari, le Loro
Eccellenze i Monsignori Luis
Fernando Ramos Pérez, Vescovo
titolare di Tetci, Pedro Mario
Ossandón Buljevic, Vescovo tito-
lare di La Imperial, Galo Fernández Villaseca, Vescovo titolare di Simingi, Jorge Enrique
Concha Cayuqueo, Vescovo titolare di Carpi, in visita «ad limina
Apostolorum»;
le Loro Eccellenze i Monsignori:
La visita «ad limina»
dei vescovi del Cile
Nella mattina di lunedì 20 febbraio
Papa Francesco ha ricevuto i vescovi della Conferenza episcopale del Cile
in visita «ad limina Apostolorum»
— Tomislav Koljatic Maroevic,
Vescovo di Linares (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Cristián Contreras Villarroel,
Vescovo di Melipilla (Cile), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Alejandro Goić Karmelić,
Vescovo di Rancagua (Cile), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Juan Ignacio González Errázuriz, Vescovo di San Bernardo
(Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Cristián Enrique Contreras
Molina, Vescovo di San Felipe
(Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Horacio del Carmen Valenzuela Abarca, Vescovo di Talca
(Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Gonzalo Duarte García de
Cortázar, Vescovo di Valparaíso
(Cile), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Santiago Jaime Silva Retamales, Vescovo Ordinario Militare per il Cile, in visita «ad limina
Apostolorum»;
— Luigi Infanti Della Mora,
Vescovo titolare di Cartenna, Vicario Apostolico di Aysén (Cile),
in visita «ad limina Apostolorum».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
Il ministro degli esteri russo
alla conferenza di Monaco (Afp)
Imminente il varo di un nuovo provvedimento
Trump insiste
sull’immigrazione
Tra governativi e separatisti
Tregua
nell’est
ucraino
KIEV, 20. Un cessate il fuoco tra
forze governative e ribelli separatisti è entrato in vigore da oggi nelle regioni russofone dell’Ucraina
orientale. La notizia era stata anticipata da Serghiei Lavrov, ministro degli esteri di Mosca, in chiusura dei lavori della Conferenza
sulla sicurezza di Monaco di Baviera, dove si è tenuta anche una
riunione del cosiddetto “Quartetto
di Normandia” (Francia, Germania, Russia e Ucraina).
Lavrov ha spiegato che la nuova tregua è frutto di un accordo
«positivo» raggiunto con gli omologhi ucraino, tedesco e francese.
In base all’intesa, saranno ritirati
gli armamenti pesanti. Tuttavia,
ha aggiunto il ministro russo in
una nota, l’incontro di Monaco
non ha prodotto «progressi importanti» in vista di una soluzione
del conflitto, che da quattro anni
incendia l’est ucraino.
Il capo della diplomazia del
Cremlino ha aggiunto che non si
è discusso del decreto con cui il
presidente, Vladimir Putin, ha dato ordine alle competenti autorità
russe di riconoscere automaticamente la validità dei documenti rilasciati nelle aree filo-russe a chi
risieda in modo permanente nelle
regioni separatiste del Donbass.
Si tratta — si legge nel decreto
— degli abitanti delle «regioni
ucraine di Donetsk e Lugansk»,
vale a dire sotto il controllo dei
secessionisti filo-russi, tanto se già
siano «cittadini» della Repubblica
ex sovietica quanto se siano «privi
di nazionalità». Il provvedimento
ha forza di legge ed è immediatamente esecutivo, ma nella nota ripresa dalle agenzie di stampa internazionali, si precisa che la sua
validità è «provvisoria», pertanto
rimarrà in vigore solo fino al raggiungimento di una «soluzione
politica della situazione» nelle
aree russofone, «sulla base degli
accordi di Minsk».
Intanto, la situazione umanitaria è sempre più preoccupante.
Nei giorni scorsi l’Unicef ha fatto
sapere che sono oltre 19.000 i
bambini che ogni giorno affrontano gravi pericoli nelle regioni
ucraine orientali coinvolte dal sanguinoso conflitto.
Gli esiti del vertice di Monaco
Equilibri mondiali
BERLINO, 20. I leader devono creare
«un ordine mondiale più equo».
Sono parole del ministro degli esteri
russo, Serghei Lavrov, a Monaco,
dove ieri si è conclusa la Conferenza sulla sicurezza. Questa cinquantatreesima edizione del grande vertice, che si tiene ogni anno nel capoluogo bavarese, è stata segnata dal
termine incertezza ripetuto da quasi
tutti gli oratori.
Lavrov ha affermato: «Siamo categoricamente in disaccordo con chi
accusa la Russia, e i nuovi centri
d’influenza mondiali, del tentativo
di silurare il cosiddetto ordine mondiale liberale», sottolineando come
«la crisi di questo modello era prevedibile» in quanto «l’architettura
economico-politica della globalizzazione è stata realizzata per garantire
la crescita di un club elitario di stati
e del suo dominio su tutti gli altri».
A proposito di equilibri, da parte
sua, Angela Merkel, cancelliere della
Germania, in apertura aveva lanciato un forte appello a «rafforzare le
strutture multilaterali come Ue, Nato e Onu». E nel suo intervento il
vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha affermato: «Vi assicuro,
nel nome del presidente Trump, che
gli Stati Uniti d’America sostengono la Nato e adempiranno in modo
incrollabile ai propri doveri, per l’alleanza transatlantica». Esplicita anche la garanzia che Washington non
tradirà l’Unione europea, e ne resterà il migliore alleato. Il numero due
della Casa Bianca ha ribadito però
che nell’Alleanza vanno mantenuti
gli impegni. Pence ha ricordato che
il due per cento di investimenti, che
si era deciso di destinare alla difesa
nel 2014, è rispettato soltanto da
quattro paesi su 28, avvertendo: «È
tempo di fare di più». Berlino aveva
previsto la richiesta statunitense sul
budget e Angela Merkel, aprendo i
lavori, prima di lui, aveva promesso
massimo impegno dalla Germania
per adempiere agli obblighi.
Nell’ultima giornata, nel panel
con i ministri degli esteri saudita,
turco e iraniano, il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman
ha parlato di tentativi dell’Iran di
destabilizzare l’Arabia Saudita, e ha
invitato i paesi arabi sunniti al dia-
A Barcellona manifestazione in controtendenza
Corteo per l’accoglienza
MADRID, 20. Un lungo corteo a favore dell’accoglienza verso i migranti. Decine di migliaia di persone hanno manifestato a Barcellona per chiedere
al governo spagnolo di accogliere più rifugiati. La
manifestazione, che si è tenuta sabato pomeriggio,
è stata organizzata dall’associazione “Casa Nostra
Casa Vostra” e ha visto la partecipazione di Ada
Colau, dal 2015 sindaca della città ed esponente
del partito Barcelona en Comú, centrosinistra.
Secondo la polizia, vi hanno partecipato circa
160.000 persone, mentre gli organizzatori hanno
parlato di 300.000 persone. La manifestazione è
stata organizzata perché la Spagna — così come
molti altri paesi — ha accolto molti meno richiedenti asilo rispetto agli impegni presi nel 2015,
quando acconsentì al cosiddetto sistema delle quote. Tale sistema, deciso in sede di Consiglio europeo, è stato più volte messo in discussione da diversi paesi membri.
Stando ai dati diffusi dagli organizzatori, la
Spagna ha accolto finora circa 1100 richiedenti asilo, molti meno degli oltre 16.000 che si era impegnata ad accogliere nei due anni successivi. In Catalogna sono stati occupati un terzo dei 1250 posti
che erano stati messi a disposizione dei rifugiati.
Renzi si è dimesso
da segretario del Pd
ROMA, 20. L’ex presidente del Consiglio dei ministri italiano Matteo
Renzi si è dimesso ufficialmente da
segretario del Partito democratico
(Pd). La decisione è stata resa nota
ieri, domenica, durante i lavori
dell’assemblea nazionale del partito
che dureranno fino a martedì.
A seguire si terrà la riunione della direzione, che nominerà una
commissione di garanzia, mentre le
primarie dovrebbero tenersi prima
delle elezioni amministrative di
maggio. Renzi ha affermato di volersi ricandidare alla guida del partito, nonostante la minoranza gli
avesse chiesto un passo indietro
minacciando in caso contrario la
fuoriuscita. «Scissione — ha detto il
segretario dimissionario dal palco
dell’assemblea in corso a Roma — è
una delle parole peggiori del vocabolario politico. Peggio di “scissione” c’è solo “ricatto”. Un grande
partito non può accettare di essere
fermato dal ricatto di una minoranza».
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GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
BRUXELLES, 20. Il presidente della
Commissione europea, Jean-Claude
Juncker, «non si dimetterà». Lo ha
detto oggi il portavoce, Mina Andreeva, in merito a indiscrezioni di
stampa, secondo le quali Juncker
sarebbe pronto alle dimissioni a
marzo. Il presidente Juncker, secondo Andreeva, «è qui per restare, e
combattere tutte le crisi che l’Europa sta affrontando, dalla Brexit a
quella sull’immigrazione. È motivato come il primo giorno».
Intanto, ha preso il via oggi a
Londra alla camera dei lord l’esame
sul progetto di legge sulla Brexit.
Una legge già approvata a schiacciante maggioranza dalla camera
dei comuni (494 voti a favore e 122
contro), che dà il via libera all’avvio
dell’iter formale di separazione
dall’Unione europea: iter che il governo conservatore del premier,
Theresa May, si è impegnato a fare
scattare entro la fine di marzo.
Il testo arriva, dunque, alla camera dei lord, dove il partito conserva-
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
La manifestazione a Barcellona (Ap)
Juncker
resta al suo posto
A essere critici sulla gestione del
partito, di cui si chiede un deciso
cambio di direzione, è l’ala sinistra
del Pd, di cui fanno parte le correnti legate a leader storici come
Pier Luigi Bersani e Massimo
D’Alema, e i cui esponenti di prima
linea sono Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza. Questi, nella serata di domenica, hanno
diffuso una dichiarazione comune
nella quale si lamenta come, nonostante «un ennesimo generoso tentativo unitario», questo «è purtroppo caduto nel nulla. Abbiamo atteso invano — scrivono — un’assunzione delle questioni politiche che
erano state poste», ma «è ormai
chiaro che è Renzi ad aver scelto la
strada della scissione assumendosi
così una responsabilità gravissima».
Secondo le ultime indiscrezioni
potrebbe nascere in parlamento un
gruppo comune con fuoriusciti del
Pd e Sinistra italiana, che comunque appoggerebbe il governo Gentiloni.
L’OSSERVATORE ROMANO
logo per battere i fondamentalisti. Il
ministro degli esteri iraniano, Javad
Zarif, ha detto: «L’Iran è impermeabile alle minacce, risponde con il rispetto». Della crisi in Siria e della
lotta all’Is ha parlato l’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura:
«Se si vuole battere l’Is serve, per
quanto sia complicato e perfino lontano, una politica di inclusione, una
soluzione credibile per la Siria».
WASHINGTON, 20. La «sicurezza è
un diritto civile, e ci batteremo per
rendere l’America di nuovo sicura».
Con queste parole il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha
difeso il bando agli immigrati provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana disposto dalla sua
amministrazione. Il capo della Casa
Bianca ha criticato la decisione della Corte d’appello di sospendere il
provvedimento e ha annunciato che
«a giorni» arriverà una nuova misura che riproporrà il bando anche se
con alcuni aggiustamenti rispetto al
testo iniziale.
Il secondo bando, attualmente
allo studio, sarà più preciso e conciso per evitare nuovi problemi giudiziari. La misura, secondo fonti di
stampa, riguarderà i sette paesi del
precedente decreto, ma assicurerà
che non ci siano blocchi per chi sarà in viaggio verso gli Stati Uniti
quando il provvedimento entrerà in
vigore e dovrebbe escludere dalla
stretta i possessori della carta verde.
Non è ancora chiaro se includerà
anche il bando indefinito ai rifugiati siriani.
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Incertezza in Ecuador
sull’esito delle presidenziali
tore è in minoranza, che lo dibatterà oggi e domani, poi altri due
giorni la prossima settimana e infine in terza lettura il 7 marzo.
Il governo, indicano gli analisti,
auspica che i lord approvino il disegno di legge senza emendamenti,
evitando un secondo passaggio alla
camera dei comuni. Questo permetterebbe a May di fare ricorso formale all’articolo 50 del Trattato di
Lisbona, avviando la procedura di
uscita dalla Ue forse già al vertice
europeo, in programma a Bruxelles
il 9 e 10 marzo prossimi.
Ieri, il ministro della giustizia,
Liz Truss, ha invitato i lord «a riconoscere la volontà del popolo britannico» che nel referendum del 23
giugno scorso ha votato con il 52
per cento l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.
Sempre oggi, è previsto il dibattito in parlamento sulla petizione che
chiede l’annullamento dell’annunciata visita a Londra del presidente
degli Stati Uniti, Donald Trump.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
«Il presidente sta contemplando
un decreto, al quale questa volta
avrò la possibilità di lavorare», soprattutto nella sua attuazione, assicurando che «nessuno resti bloccato nel sistema mentre è in transito,
come accaduto con il primo decreto», ha detto il segretario al dipartimento per la Sicurezza nazionale,
John Kelly, sottolineando che il
bando è solo un intervento provvisorio per concedere alle autorità il
tempo necessario per valutare i sistemi di controllo dei sette paesi
nella lista.
«Vogliamo che entri chi ama il
nostro paese e rispetta i nostri valori», ha detto Trump in un comizio
a Melbourne, in Florida. Un’occasione per tornare a rivolgersi direttamente agli americani e attaccare i
media definiti «disonesti».
Il presidente ha fatto inoltre riferimento a un presunto attentato terroristico in Svezia venerdì scorso.
Un attacco che però non si è mai
verificato e che potrebbe essere
frutto, secondo alcune interpretazioni, di confusione fra il paese
scandinavo e la città di Sehwan, in
Pakistan, dove 85 persone sono
morte in un attacco suicida proprio
venerdì. L’ambasciata svedese a
Washington ha fatto sapere di aver
chiesto spiegazioni in proposito al
dipartimento di Stato. «Abbiamo
posto la domanda, stiamo cercando
di avere chiarezza», ha affermato la
portavoce del ministero degli Esteri
di Stoccolma, Catarina Axelsson.
Intanto manifestazioni di protesta contro l’amministrazione americana si sono registrate in diverse
città degli Stati Uniti. Sabato, riferisce Nbc News online, migliaia di
persone sono scese in strada a Los
Angeles e a Dallas, dove sono stati
innalzati cartelli con scritto «gli immigrati sono benvenuti qui». A
New York, in Washington Square, i
manifestanti, vestiti a lutto, hanno
inscenato un funerale farsa. Stessa
atmosfera a New Orleans, dove i
manifestanti hanno ammonito contro «la morte della verità» e della
«vera democrazia».
Per oggi, terzo lunedì di febbraio
in cui negli Stati Uniti si celebra il
compleanno di George Washington
e contemporaneamente il president
day, manifestazioni sono previste a
Los Angeles, New York, Washington, Chicago, Kansas City, Denver,
Milwaukee, Salt Lake City e
Atlanta.
QUITO, 20. Lenín Moreno, il candidato progressista legato al presidente uscente Rafael Correa, è in testa
nelle elezioni presidenziali in Ecuador. Secondo alcuni osservatori potrebbe vincere già al primo turno,
ma non è escluso il ballottaggio
con il leader della destra, l’ex banchiere Guillermo Lasso. Gli altri
candidati sono la conservatrice
Cynthia Viteri del partito Socialcristiano, e il socialdemocratico Paco
Moncayo, 76 anni, ex comandante
delle Forze armate ed ex sindaco di
Quito.
Moreno, 64 anni, sembra destinato a portare avanti l’esperienza del
cosiddetto «socialismo del XXI secolo» varato da Correa, ma con modi
più moderati. Da sempre impegnato sul fronte della difesa dei più deboli, il candidato si muove con la
sedia a rotelle come conseguenza di
un attentato subito nel 1998. Lasso,
61 anni, incarna la destra conservatrice e si propone come un uomo
che ha creato da solo il suo patri-
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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monio. Proprietario di una delle
maggiori banche del paese, il Banco de Guayaquil, è il fondatore del
Movimento creando oportunidades
(Creo) e ha promesso la creazione
di un milione di posti di lavoro.
Già candidato nel 2013, era stato allora sconfitto al ballottaggio dal
presidente uscente Rafael Correa.
Per affermarsi al primo turno
Moreno deve raggiungere il 40 per
cento dei voti. Per il momento,
quando lo spoglio non è ancora terminato, ha raccolto quasi il 39 per
cento delle preferenze, mentre Lasso è fermo al 28,50.
Secondo la legge elettorale del
paese, vincerà al primo turno il
candidato che otterrà la maggioranza assoluta, oppure quello che otterrà il 40 per cento dei consensi a
patto che il secondo arrivato abbia
un ritardo di oltre 10 punti percentuali.
Se sarà necessario il ballottaggio,
si tornerà a votare il due aprile.
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L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
pagina 3
Il presidente della Repubblica tunisina
Beji Caid Essebsi
Colpita la periferia nord-orientale
Ancora bombe a Damasco
DAMASCO, 20. Ancora violenze a
Damasco. Ieri un intenso bombardamento ha colpito la periferia
nord-orientale della capitale. Si è
trattato di una grave violazione della tregua, la peggiore da quando è
entrato in vigore il cessate il fuoco
dallo scorso dicembre. Nel bombardamento — riferiscono fonti dell’opposizione — sono stati lanciati in
tutto 17 razzi. Numerosi civili sono
morti. Nel quartiere sono presenti
forze ribelli: i moderati dell’Esercito
siriano libero e il gruppo islamista
Haiat Tahrir Al Sham.
E intanto ieri la Turchia ha presentato agli Stati Uniti due piani
diversi per condurre un’operazione
militare congiunta per liberare la
città di Raqqa, roccaforte jihadista
nel nord della Siria. Il governo turco ha ripetutamente sostenuto che
l’operazione su Raqqa deve essere
condotta da forze arabe locali, possibilmente con il sostegno di truppe
turche, senza includere unità curde.
Per Ankara i miliziani curdi siriani
sono infatti alleati del Pkk (Partito
dei lavoratori del Kurdistan) e
quindi terroristi.
In un incontro ieri alla base aerea
di Incirlik in Turchia, il capo di
Stato maggiore turco Hulusi Akar e
Vertice a Tunisi sulla crisi in Libia
Pronto alla mediazione
il presidente Essebsi
TUNISI, 20. Il presidente della Repubblica tunisina, Beji Caid Essebsi,
ha detto di essere pronto a intavolare discussioni con tutte le parti libiche in conflitto al fine di favorire
una soluzione politica. Tra gli interlocutori, ha precisato, ci sarà anche
il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica sostenuto dal parlamento di Tobruk.
Secondo Essebsi, non esiste soluzione alla crisi al di fuori dell’intermediazione di Tunisia, Algeria, Egitto. Per questo il capo di stato ha in
programma un incontro con i ministri degli esteri dei tre paesi dopo il
vertice a Tunisi organizzato per fare
il punto sui risultati raggiunti e sui
contatti bilaterali stabiliti con le parti libiche da ognuna delle amministrazioni in vista di una soluzione
politica globale della crisi.
Il summit, riferisce il dipartimento
degli esteri tunisino, concretizza
l’iniziativa diplomatica intrapresa dal
presidente Essebsi per trovare un’intesa regionale sulla crisi libica e prelude a un successivo vertice tra i tre
presidenti, lo stesso Essebsi, Abdelaziz Bouteflika e Abd Al Fattah al Sisi che si terrà prima di convocare le
diverse parti libiche ai negoziati. In
un’intervista all’agenzia tunisina
Tap, il ministro degli esteri tunisino,
Khemaies Jhinaoui, ha detto che
l’iniziativa diplomatica del presidente Essebsi sulla Libia si basa su
quattro principi fondamentali: condurre i libici di tutte le parti politiche al dialogo, rigettare ogni soluzione militare che possa aggravare
ulteriormente la crisi, invitare i protagonisti a un riavvicinamento delle
proprie posizioni e attuare l’accordo
di Skhirat siglato nel dicembre 2015
sotto l’egida delle Nazioni Unite.
La situazione, intanto, rimane particolarmente tesa. Secondo alcune
fonti, Belghasem Haftar, nipote del
generale Khalifa Haftar, sarebbe stato rapito a Bengasi, apparentemente
da membri della tribù Barasa. La
notizia è stata lanciata dal «Libya
Herald» online, che ha fatto riferimento a fonti che non trovano ancora una conferma ufficiale.
Da due giorni, comunque, si sono
perse le tracce di Belghasem Haftar
e sembra che sia in corso una massiccia operazione nel tentativo di ritrovare l’uomo e capire cosa sia effetivamente accaduto nelle ultime qua-
rantotto ore. Sempre secondo il Libya Herald online, il sequestro potrebbe essere stato attuato come rappresaglia dopo il rapimento di alcuni membri della famiglia del colonnello Faraj al Barasi, reale obiettivo
del sequestro ma che è riuscito a
scampare agli uomini armati che per
due volte, la scorsa settimana, hanno
assaltato il convoglio nel quale viaggiava.
il suo omologo americano Joseph
Dunford hanno discusso dei due
piani per riconquistare Raqqa.
L’opzione preferita da Ankara prevede che le forze speciali turche e
americane, sostenute da ribelli siriani moderati, entrino in Siria attra-
Una seconda opzione, meno probabile, sarebbe invece quella di andare verso Raqqa tramite la città siriana di Al Bab. A rendere questa
scelta meno probabile sono però
180 chilometri di terreno montagnoso da superare.
Bombe su Deraa nella regione a sud di Damasco (Afp)
Trentacinque morti per un attentato
Tra Stati Uniti e Israele
Strage in un mercato
a Mogadiscio
Comitato congiunto
sugli insediamenti
MO GADISCIO, 20. La Somalia ripiomba nel terrore. Almeno trentacinque persone sono morte ieri in
un sanguinoso attentato con un’autobomba in un affollato mercato
della capitale Mogadiscio. Tra le
vittime anche bambini e donne.
Nell’attacco dinamitardo, hanno riferito le autorità, sono rimaste ferite anche una quarantina di persone, molte in modo grave.
«Si è trattato di un atto barbaro
con lo scopo di uccidere civili inermi», hanno confermato fonti delle
forze di sicurezza. Anche se nessun
gruppo ha ancora rivendicato l’attentato, avvenuto nell’ora di punta
nel popoloso mercato Kawo-Godey, nel quartiere di Wadajir, il
nuovo
presidente,
Mohamed
Abdullah Farmajo, ha chiesto «unità contro le barbarie» perpetrate
dagli estremisti islamici di Al
Shabaab. La milizia jihadista aveva,
infatti, avvertito che avrebbe continuato i suoi attentati anche dopo
l’elezione, l’8 febbraio scorso,
dell’ex primo ministro a capo dello
stato.
Giovedì, due bambini erano
morti per il lancio di vari proiettili
di mortaio nelle immediate vicinanze del palazzo presidenziale, dove
il nuovo capo dello stato era riunito con il suo predecessore, Hassan
Shiekh Mohamud.Negli ultimi mesi, i terroristi hanno lanciato vari
attacchi contro le basi militari della
missione dell’Unione africana in
Somalia (Amisom), che hanno
causato la morte di centinaia di soldati.
Decine di civili sono morti anche
nei ripetuti attacchi contro ristoranti e alberghi della capitale, un
obiettivo costante del gruppo
jihadista.Secondo un recente rap-
porto delle Nazioni Unite ripreso
dalle agenzie di stampa, gli Al Shabaab — affiliati ad Al Qaeda in
Somalia, che lotta per instaurare
uno stato islamico nel paese africano, dove già controlla grandi
estensioni di territorio nel sud e nel
centro — hanno ancora la capacità
di effettuare azioni in grande scala
sia in Somalia che nei paesi vicini.
Secondo gli osservatori, la ripresa
della sorveglianza statunitense nelle
acque contese rimarca la volontà
americana di presidiare la regione.
Da parte cinese, il pattugliamento avviato dalla Vinson è visto invece come «una provocazione e una minaccia militare».
Pur con la dura opposizione di Pechino, Washington ha avviato nel
2016 il piano sulla libertà di navigazione, inviando nella zona la Uss
Decatur. «La Cina rispetta e conferma la libertà di navigazione e di volo
nel Mar Cinese meridionale di cui i
paesi possono usufruire con le leggi
internazionali, ma si oppone con decisione ai tentativi di ogni nazione di
minaccia alla sovranità e alla sicurezza in nome della libertà di navigazione e di volo», ha commentato la
scorsa settimana il portavoce del ministero degli esteri cinese, Geng
Shuang.
GERUSALEMME, 20. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha annunciato ieri la formazione di un
comitato israelo-americano per discutere degli insediamenti israeliani
in Cisgiordania. L’annuncio arriva
pochi giorni dopo la visita di Netanyahu a Washington e il suo incontro con il presidente Donald
Trump.
Migliaia di persone in piazza contro Duterte
Proteste nelle Filippine
MANILA, 20. Migliaia di persone
sono scese in piazza ieri a Manila,
capitale delle Filippine, per protestare contro il presidente Rodrigo
Duterte, rispondendo all’appello
dei leader religiosi, sempre più in
rotta di collisione con il capo di
Stato sulla questione della pena di
morte, che Duterte intende ripristinare già dal prossimo mese.
Al tempo stesso, le migliaia di
persone che hanno protestato hanno voluto lanciare un messaggio
di condanna verso la cultura della
Portaerei statunitense
nel Mar Cinese meridionale
PECHINO, 20. La portaerei statunitense a propulsione nucleare Uss Carl
Vinson ha cominciato oggi una missione di pattugliamento del Mar Cinese meridionale, insieme a una flotta
di cacciatorpediniere, incrociatori e
fregate. L’operazione, annunciata sabato scorso, rientra nell’ambito delle
attività di routine e di addestramento
nella zona, ha affermato da Washington una nota del Pentagono.
Si tratta della prima missione dal
2015 della Vinson, di base a San Diego, nel Pacifico occidentale, e la prima sotto la presidenza di Donald
Trump. Il segretario alla difesa americano, Jim Mattis, che di recente ha
compiuto la prima visita agli alleati
dell’Asia orientale, Corea del Sud e
Giappone, ha sottolineato che secondo Washington la costruzione di isole
artificiali nel Mar Cinese meridionale
«sono atti che minacciano l’ordine
internazionale».
verso Tel Abyad, attualmente in
mano alle milizie curde. Tale piano
richiederebbe che gli Stati Uniti
riuscissero a convincere la milizia
curda a concedere alle forze sostenute dalla Turchia il territorio di
confine sotto il loro controllo.
Corteo nelle strade di Manila per protestare contro la pena di morte (Ap)
violenza e contro le migliaia di
omicidi extragiudiziali che da tempo si susseguono nel paese asiatico, all’interno della imponente
campagna antidroga montata negli
ultimi mesi dal presidente.
In corteo nelle strade di Manila
si sono visti circa 20.000 filippini,
che hanno aderito alla marcia intitolata Walk for life con cartelli
con le scritte “Scegliete la vita”,
“No alla pena di morte”, e scandendo slogan ostili alla politica
del pugno duro.
Oltre 7600 persone legate al
traffico di sostanze stupefacenti
sono state uccise da quando il presidente ha lanciato la sua campagna contro la droga sette mesi fa.
Più di 2500 sono, invece, i morti
in sparatorie durante le operazioni
delle forze dell’ordine.
Gli osservatori hanno sottolineato che quella di ieri è la più imponente manifestazione di protesta
nelle Filippine da quando Duterte
si è insediato. Moltissimi gli esponenti della Chiesa presenti. Tra loro l’arcivescovo Socrates Villegas,
presidente della conferenza dei vescovi filippini, e il cardinale Luis
Antonio Tagle.
Recentemente i vescovi avevano
espresso profonda preoccupazione
per tutte le persone uccise da esercito e polizia in quanto collegate
in qualche modo al mondo della
droga, e un documento era stato
letto nelle chiese. E anche ieri l’arcivescovo Villegas ha ribadito a
chiare lettere «il diritto per chiunque di essere giudicato da un tribunale in base alla legge senza diventare vittima di omicidi extragiudiziali». Trent’anni fa la Chiesa
aveva avuto un ruolo determinante
nel mobilitare i filippini contro
l’allora dittatore Ferdinand Marcos, poi costretto all’esilio.
Durante i colloqui alla Casa
Bianca, ha spiegato Netanyahu parlando ai ministri e alla stampa
all’inizio della consueta riunione
settimanale di governo, si è convenuto di «creare un comitato congiunto per migliorare le relazioni
tra Israele e Stati Uniti in tutte le
principali aree» che sono sicurezza,
intelligence, tecnologia, economia.
«Ma abbiamo anche concordato di
creare una commissione in un’area
in cui prima non c’era accordo: intendo naturalmente gli insediamenti» ha aggiunto, usando i termini
con cui Israele si riferisce alla Cisgiordania.
Nell’incontro alla Casa Bianca, il
loro primo da quando Trump si è
insediato, il presidente aveva chiesto a Netanyahu di «soprassedere
un poco sulle colonie: troveremo
un qualche tipo di soluzione». Secondo il leader del Likud, la questione degli insediamenti non è al
centro del conflitto e deve essere risolta «nel contesto dei negoziati di
pace». Israele ha annunciato di recente la costruzione di nuove abitazioni per i coloni in Cisgiordania e
a Gerusalemme est. Anche la Knesset recentemente ha adottato una
legge senza precedenti che regolarizza gli insediamenti ebraici sulle
terre private palestinesi nella Cisgiordania.
Leader di Al Qaeda
ucciso
in Afghanistan
KABUL, 20. Saifullah Akhtar, uno
dei principali comandanti di Al
Qaeda in Afghanistan, è stato ucciso in un’operazione delle forze di
sicurezza afghane nella provincia
centrale di Ghazni. Lo ha annunciato il governo di Kabul. E, intanto, una nuova strage si è verificata
sabato contro la popolazione afghana: è di almeno dodici civili uccisi e
altri quattro feriti il bilancio di un
ennesimo attentato nel paese, dove
una bomba a pressione è scoppiata
lungo una strada della provincia
orientale di Paktika quando un veicolo vi è passato sopra. Tra i morti
anche otto bambini che stavano
tornando a casa da scuola: lo ha
denunciato Pernille Karde, vice del
rappresentante speciale delle Nazioni Unite per il paese centro-asiatico, Tadamichi Yamamoto.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
Il dualismo in una illustrazione
di Descartes(1648)
Le verità di una metafisica
Intervista a Cartesio
di TULLIO GREGORY
Descartes sembra amare scenari solenni per dare un senso alla sua opera e al suo stesso impegno speculativo, chiamando anche in causa grandi interlocutori. Appena ventitreenne, «pieno di entusiasmo» per avere
trovato «i fondamenti di una scienza
re l’esistenza di Dio e «la reale distinzione dell’anima dal corpo»; dopo le
sue prove nessuno, scrive, «vorrà revocare in dubbio» tali verità. E aggiunge
che con le sue «Meditationes» intende
attuare il mandato del V concilio Lateranense (1513) di confutare coloro che
negano l’immortalità dell’anima individuale. Un suo obiettante si stupirà di
Vie della modernità
Pubblichiamo l’inizio e la conclusione di un colloquio immaginario tratti da Vie della modernità (Firenze, Le Monnier,
2016, pagine VIII + 174, euro 16).
meravigliosa», ha avuto tre sogni
(era la notte fra il 10 e l’11 novembre
1619), decisivi per il suo destino: sogni, secondo la sua stessa interpretazione, «venuti dall’alto» nei quali si
sentiva conteso fra il «cattivo genio», il diavolo, e lo «Spirito di verità» o «Spirito di Dio» che infine
scese su di lui come fulmine «per
possederlo». Poco più di un decennio dopo, propone il grande scenario
degli «spazi immaginari» per avere
la possibilità di costruire la sua «favola del mondo»: «Lasciate — ha
scritto — che per un poco il vostro
pensiero esca da questo mondo per
venire a vederne un altro nuovissimo
che farò nascere negli spazi immaginari. I filosofi ci insegnano che questi spazi sono infiniti [...] supponiamo che Dio crei di nuovo intorno a
noi tanta materia che ovunque la nostra immaginazione si estenda non
scorga più alcun luogo vuoto [...]».
tanta sicurezza nella propria missione e
nella verità del proprio pensiero:
«Quasi tu fossi sicuramente — scriveva
— il solo metafisico e teologo naturale» e insinuerà che lei cercasse
l’appoggio dei teologi della Sorbona per instaurare una nuova «tirannide degli ingegni».
della separazione dell’anima dal corpo (da cui deriva l’immortalità
dell’anima) di assoluta evidenza,
quindi incontrovertibili e tali che
«tutti gli errori che mai furono comunque commessi su tali questioni
saranno in breve tempo cancellati
dalle menti degli uomini». Dirò di
più, ritengo che nessuno prima di
me abbia dimostrato, così chiaramente, che il vero Dio non può essere ingannatore.
Dunque la sua metafisica, con l’esistenza di Dio non ingannatore, è fondamentale anche per la sua fisica, e anzitutto per la reale esistenza di un mondo esterno al cogito conforme alle idee
chiare e distinte del cogito stesso.
Non avrei potuto trovare i fondamenti della mia fisica se non nella
mia metafisica: non solo le leggi di
natura sono stabilite da Dio come
tutte le altre cosiddette verità eterne,
ma sono da me dedotte dall’idea
stessa dell’immutabilità divina. Per
questo sono entrato in crisi quando,
sul finire del 1633, mentre stavo rive-
Non tutti i suoi seguaci saranno disposti a perseguire il suo ideale di scienza
universale “a priori”, ma le sue tre leggi della natura — a cominciare dal
principio di inerzia — costituiscono un
pilastro della scienza moderna. Purtroppo la dissociazione che è avvenuta
tra la sua fisica e la sua metafisica ha
fatto perdere la grandiosità del suo
progetto di scienza universale.
Si dica quel che si vuole. Io sono comunque
convinto di avere portato prove dell’esistenza di Dio e
Al principio degli anni Quaranta, presentando le «Meditationes de Prima
Philosophia» al decano e ai maestri
della facoltà teologica di Parigi, lei
evoca lo scenario — assai vivace in
quel tempo — della polemica contro
empi, atei ed «esprits forts» (secondo
la traduzione del Duc de Luynes): in
questo scenario lei si propone come paladino della gloria di Dio e della causa della religione, armato di argomenti
certissimi ed evidentissimi per dimostra-
dendo il mio trattato sul mondo per
la pubblicazione, ebbi notizia della
condanna romana del copernicanesimo. Tutta la mia fisica — ove il moto
della Terra è parte essenziale — è
tanto legata alla mia metafisica che
ebbi come l’impressione che mi si
potesse accusare di avere costruito
un sistema fallace, pur essendo convinto di avere rigorosamente seguito
l’evidenza delle dimostrazioni, in un
discorso tutto deduttivo, a priori.
Debbo anche confessare che non voglio fare l’eroe, andare contro l’autorità della Chiesa: preferisco lavorare
in pace, facendo mio il motto bene
vixit, bene qui latuit.
Frans Hals, «Ritratto di René Descartes» (1649)
Credo comunque — sapendo bene
che la conoscenza della natura è legata all’accumulo di esperienze —
che alcuni aspetti della mia «favola
del mondo» potranno diventare obsoleti. Ma ritengo che le leggi cui lei
ha fatto cenno, con la fisica meccanicistica che ne deriva, conserveranno la loro validità; e sono anche
convinto che tutta la mia costruzione della «macchina del corpo», la riduzione cioè di tutti i corpi che appaiono dotati di qualche forma di
vita a macchine o automi (corpo
dell’uomo compreso), sia destinata a
costituire uno schema interpretativo
di grande fecondità. Non possono
rinunciare all’idea, coerente con tut-
ta la mia fisica, che il corpo dell’uomo non sia altro che una statua o
macchina di terra che Dio forma
espressamente per renderla il più
possibile simile a noi; sicché non solo le dà esternamente il colorito e la
forma delle nostre membra, ma colloca nel suo interno tutte le parti richieste perché possa camminare,
mangiare, respirare, imitare infine
tutte quelle nostre funzioni che si
può immaginare procedano dalla
materia e dipendano solamente dalla
disposizione degli organi. Così come
vediamo orologi, fontane artificiali,
mulini e altre macchine che hanno la
forza di muoversi da sé in più modi,
anche il corpo umano può essere
concepito come una macchina, i cui
ingranaggi possono spiegare tutte le
funzioni che solitamente riferiamo a
principi vitali: inutile quindi ricorrere a un’anima vegetativa o sensitiva,
bastano le leggi della meccanica.
Questa è senza dubbio una sua grande
proposta, frutto dei suoi attenti studi di
anatomia. Ed è anche, mi sembra, il
presupposto della sua dimostrazione
dell’immortalità dell’anima.
Lei indica uno dei punti essenziali
del mio pensiero: la dimostrazione
della radicale distinzione fra sostanza pensante e sostanza estesa, delle
quali abbiamo idee chiare e distinte.
La veracità divina ci assicura che
tutte le cose che noi concepiamo
chiaramente e distintamente sono
vere come noi le concepiamo.
Possiamo dunque concludere che
tali sostanze sono realmente distinte
fra loro, e che quindi la res cogitans,
l’anima razionale, è realmente distinta dalla res extensa, è immateriale e
immortale.
Che poi abbia avuto dei problemi
per spiegare il rapporto fra l’anima
(res cogitans) e il corpo (res extensa)
lo so bene e immagino che sarò criticato per la soluzione da me proposta da quanti non presteranno sufficiente attenzione alle mie dimostrazioni.
Del resto, lasciare un’eredità significa porre problemi e forse anche
permettere interpretazioni diverse,
persino opposte (vedo addirittura fra
i miei seguaci serpeggiare tesi tendenzialmente materialistiche). Mi
auguro solo che, per capire la mia
opera, si tenga fermo il rapporto tra
la mia fisica e la mia metafisica, assolutamente essenziale. Le ricordo
che l’albero del sapere ha come sue
radici la metafisica, come tronco la
fisica, come rami e frutti la meccanica, la medicina e la morale.
La centralità di Dio — e non solo del
problema di Dio — nel suo pensiero,
l’originalità delle sue riflessioni sul Dio
creatore delle verità eterne, sul Dio
«sui causa», l’utilizzazione del concetto
di «potentia Dei absoluta» per motivare le forme più radicali di dubbio, Le
hanno assicurato un posto determinante
nella storia dell’ontoteologia alle origini
della modernità (una modernità, da
questo punto di vista, ben protetta dal
«Deus qui potest omnia»). Conferma
anche la sua fedeltà all’impegno assunto nella dedica delle «Meditationes» ai
dottori di Sorbona?
L’impegno assunto con i dottori
della Sorbona di difendere la causa
di Dio e della religione è stato sempre la mia guida, come anche la mia
fedeltà alla Chiesa cattolica: tanto
che, come è noto, rinunciai a pubblicare il mio trattato sul mondo — di
impostazione chiaramente copernicana — per rispetto della condanna di
Roma. Sicché mi sono molto stupito
e indignato delle accuse di ateismo
mosse contro di me nelle Province
Unite da parte dei riformati ma poi
anche altrove dai cattolici [le opere
di Descartes furono messe all’Indice
dei libri proibiti nel 1663, poi ancora
nel 1720].
Personalmente sono convinto della verità della mia metafisica e della
sua ortodossia. Quanto alle polemiche contro di me, quando non son
dovute a personali posizioni assunte
dai miei seguaci e che io non condivido, sono invece la riprova della
novità e della modernità del mio
pensiero.
In un libro di Pascal Ide
di SOLÈNE TADIÉ
L’impresa era rischiosa in un periodo in
cui il tema delle personalità narcisistiche è particolarmente diffuso nella letteratura umanistica tanto da poter sembrare abusato. Ma il volume (Manipulateurs. Les personnalités narcissiques: détecter, comprendre, agir, Paris, Editions Emmanuel, pagine 298, euro 19), scritto da
un prete della comunità dell’Emmanuele, padre Pascal Ide, offre una luce
nuova su un fenomeno fino a qualche
anno fa poco conosciuto o sottovalutato, e poi soggetto a numerose analisi e
interpretazioni divergenti. Forte di un
Nella Bibbia il faraone rappresenta
la figura narcisistica per eccellenza
accanto al re Saul e alla regina Gezabele
In comune hanno la mancanza
di empatia e l’ostilità
a ogni rapporto di uguaglianza
ricco bagaglio intellettuale, l’autore —
dottore in medicina, filosofia e teologia
— propone innanzitutto un giro d’orizzonte completo della questione. Riparte così dalle tre categorie di manipolatori perversi (altro appellativo delle
personalità narcisistiche), individuate
dalla studiosa Isabelle Nazare-Aga —
quella seduttiva, vittimaria o dittatoria-
Manipolatori smascherati
le — per dar loro ulteriori sviluppi in
chiave cristiana. Con una premessa necessaria: il fenomeno, che potrebbe
sembrare endemico di fronte alla letteratura pletorica a lui dedicata, rimane
molto marginale a livello mondiale. È
quindi importante, avverte l’autore,
operare una distinzione netta tra personalità manipolatrice — patologica — e
semplice tratto manipolatore, che
ognuno di noi può manifestare in determinate situazioni.
E proprio dalle Scritture Ide attinge
per trovare una personificazione precisa
di tale struttura psicologica, precisando
che se una lettura psicologizzante della
Bibbia può condurre a interpretazioni
azzardate dei racconti, essa tuttavia costituisce una riserva infinita «di comprensione dei comportamenti umani,
dai più perversi ai più santi». Così, il
faraone viene definito la figura narcisistica per eccellenza, accanto a personaggi quali il re Saul o la regina Gezabele,
che hanno in comune di essere privi di
empatia, trasgressivi e ostili a ogni rapporto di uguaglianza. Il faraone in particolare, pur ammettendo in qualche
modo i suoi torti, «non riconosce mai la
volontà dell’altro, non riconosce l’altro». La sua logica è solo e sempre
quella «della protezione e della gloria
del proprio ego. Il suo mondo è senza
esteriorità, viene misurato soltanto da se
stesso», caratteristica, questa, tipica di
tale patologia.
Ide non elude neppure la questione
della presenza di simili personalità nella
Chiesa. Assumendo il presupposto di
Jacques Maritain secondo cui «una cosa
è la Persona della Chiesa, un’altra il suo
personale», l’autore passa in rassegna
alcuni casi emblematici della storia recente per capire come personalità quali
padre Maciel, abbiano potuto ingannare
perfino le autorità ecclesiali più importanti e imperversare per anni, facendola
franca. D’altronde, essendo la sete smisurata di potere una delle principali
specificità della personalità narcisistica,
non c’è da meravigliarsi che la Chiesa
possa essere ambita da simili predatori:
si manipola l’altro con quanta più facilità che si pretende di parlare nel nome
di Dio. Allo stesso modo, il manipolatore vittimario farà della compassione
cristiana un rifugio prediletto per appagare il proprio bisogno patologico di
compiacimento, spesso a scapito degli
altri fedeli.
«Chi saggiamente sa riconoscere i
propri errori può essere un vero e grande capo!» con questo criterio di discernimento, attinto dal famoso fumetto
franco-belga Blueberry l’autore preconizza una certa vigilanza nei confronti
di queste persone, soprattutto negli
ambiti di potere e di responsabilità.
Difficilmente individuabili, la loro
struttura psicologica è condizionata fin
dalla prima infanzia e raramente possono cambiare.
Interessante a tale riguardo è la riflessione più generale sulla nozione di dono alla quale il lettore è invitato. Se da
una parte l’assenza di dono, che fa da
corollario al narcisismo, è particolarmente favorita dalla società postmoderna secolarizzata, il suo pendant, l’eccesso di dono da cui scaturisce il burn out
— fenomeno in costante crescita — dimostra l’urgenza di ripensare il nostro
relazionarci con l’altro.
Il Vangelo rimane a tale fine l’antidoto infallibile contro quello che potremmo definire una crisi del dono, e la fonte di riflessione imprescindibile per
l’emergere di un nuovo paradigma, auspicato da padre Ide, o piuttosto di un
obiettivo, di stampo educativo: attraverso una «pedagogia del dono», grazie alla quale i bambini imparerebbero a dare
gratuitamente fin dai primi anni della
vita, si potrà avviare una profonda trasformazione del nostro modo di dare e
di darci, pietra angolare di un’evangelica «conversione del dono».
John William Waterhouse «Eco e Narciso» (particolare 1903)
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
pagina 5
Kcho, installazione in occasione della mostra
«Extrano dia en la playa» (2014)
Effetti di una rivoluzione
Gli altri ci aiutano
a vedere Gesù
di ALBERTO FABIO AMBROSIO
orse è passato un poco
inosservato un libro che
merita invece attenzione.
Marinella Perroni, docente di Nuovo Testamento
nonché già presidente del Coordinamento teologhe italiane, ha raccolto
una serie di contributi riguardanti il
Gesù degli “Altri” (Brescia, Morcelliana, Morcelliana, 2016, pagine 160,
euro 15) È certamente “rivoluzionario” cercare in casa d’altri quanto si
può conoscere stando nel proprio
campo. Eppure è questa uscita, questa grande “rivoluzione” che permette di riscoprire quanto Gesù sia
F
approfondimento critico, il libro che
contiene cinque contributi, si presta
a un’ispirazione per ulteriori riflessioni teologiche e metodologiche.
Così, dopo la chiara introduzione
della curatrice, Piero Stefani mette
bene in luce il perché di un certo silenzio o addirittura di un’ostilità
aperta nei testi talmudici riguardanti
Gesù. Non bisogna mai dimenticare
che un certo atteggiamento cristiano
non è stato all’altezza dell’insegnamento dell’ebreo Gesù, anzi talvolta
la pratica è stata contraria ai suoi
principi. Gesù così come è descritto
nei testi talmudici deve far riflettere
sulla trasmissione della fede che non
è solo un fatto cerebrale e intellet-
tri” rispetto alla figura del Cristo,
perché considerano il loro Gesù come quello autentico e originale. Il
“Gesù degli altri”, semmai, è per loro paradossalmente proprio quello
dei cristiani» (pagina 119). Tanti sarebbero ancora i riferimenti a Gesù
e a Maria nell’islam non solo di lingua araba, ma forse e soprattutto in
lingua persiana e turca, come una
lettera a Gesù scritta da un autore
ottomano per lamentarsi dell’occupazione della capitale ottomana da
parte delle truppe alleate considerate cristiane; o ancora di un inno di
Maria opera di un autore turco del
XII secolo, dedicato a un dialogo tra
Maria e Gesù. Si impone quindi
un’uscita dalle proprie convinzioni,
dalle proprie pretese di possedere
tutto del tutto che è Cristo. Sembra
strano, anzi un po’ fantasioso, ma è
proprio questa la prospettiva di Per-
La ricerca storica
ci ha insegnato che si può
e a volte perfino si deve
uscire dalla prospettiva di fede
per capire di più e meglio
Gesù risorto in un murale che decora la cappella del Jnana-Deepa Vidyapeeth di Pune
importante per il cristiano. La curatrice del volume lo afferma senza indugi nell’introduzione che è un sicuro inizio di una cristologia “altra”:
«La ricerca storica ci ha insegnato
che si può, a volte perfino si deve,
uscire dalla prospettiva di fede per
capire di più e meglio. Ma si tratta
di una sospensione, non di una rinuncia» (pagina 7). Parole forti che
condivido pienamente tanto per impegno intellettuale che per esperienza di vita. Senza addentrarci in un
tuale. I contributi di Ignazio de
Franceschi dedicato al Gesù dell’islam nascente quanto a quello di
Alberto Ventura tutto rivolto al Gesù del sufismo sfiorano la scottante
problematica dell’identità di ‘IsâGesù, soprattutto quando si sa che
nel nome stesso (‘Isâ) è contenuta
un’ambiguità linguistica di non poco conto. Afferma Alberto Ventura:
«Tutto ciò che abbiamo detto ci dimostra in conclusione che i fedeli
dell’islam non si sentono affatto “al-
roni che va sposata interamente, oggi, in una congiuntura geopolitica
che rischia non solo di alzare palizzate, ma di creare ideologie politiche potenzialmente distruttive del
nucleo sano di tutte le religioni.
Questo processo è già stato celebrato in altri tempi come ci ricorda
l’articolo — per molti versi inatteso
— su un Gesù “induista” a cura di
Sergio Manna. Gli induisti hanno
conosciuto la figura di Gesù attraverso l’attività missionaria soprattutto protestante, ma talvolta gli atteggiamenti concreti dei colonialisti
erano tutt’altro che riassumibili nei
principi evangelici. Il famoso Swami
Vivekananda (m. 1902), che introdusse in Occidente l’induismo, così
parlava ai cristiani: «Lasciate che ve
lo dica, fratelli. Se volete vivere tornate a Cristo. Voi non siete cristiani.
No, come nazione non lo siete. Tornate a Cristo. Tornate a colui che
non aveva dove posare la sua testa.
Gli uccelli hanno i loro nidi... Se
questa nazione vuole vivere ritorni a
lui. Non potete servire Dio e mammona allo stesso tempo» (pagina
131). Il miracolo si compie allora
quando, rileggendo il Gesù degli
“altri”, si scopre che la loro percezione rivela quanto per noi è essenziale e, a quel punto, “gli altri” possono davvero ricordarci, richiamarci,
stimolarci a diventare sempre più
veri discepoli del Cristo Salvatore.
Churchill e i misteri dell’universo
Stava perfezionando i dettagli dell’impresa più
importante della sua vita, l’attacco della Gran
Bretagna contro la Germania di Hitler, eppure
Winston Churchill aveva anche altro per la testa, un
interrogativo che da tempo quasi lo tormentava: c’è
una vita extraterrestre? Questa domanda è al centro
di un suo scritto inedito emerso, nei giorni scorsi,
dal National Churchill Museum di Fulton, nello
Stato del Missouri, località dove tenne, nel 1946, al
termine della guerra, il celebre discorso passato alla
storia come l’«Iron Curtain speech». Datato 1939, il
testo (di undici pagine) intitolato «Are We alone in
The Universe?», mai pubblicato, era stato ceduto al
museo statunitense negli anni Ottanta da Wendy
Reves, la moglie dell’editore delle opere di
Churchill. Dimenticato lì per anni, il testo — più
volte rivisto e corretto dallo statista — è stato
recentemente rispolverato da Timothy Riley,
dall’anno scorso direttore del Churchill Museum,
che ha poi contattato l’astrofisico e divulgatore
scientifico israeliano Mario Livio, perché lo
esaminasse. In un articolo sulla rivista «Nature»,
Livio, nell’evidenziare l’importanza e l’interesse
rivestiti da questo inedito, sottolinea: «Churchill
pensa come un astrofisico di oggi». Il due volte
primo ministro britannico, nonché premio Nobel per
la letteratura (1953), nel tessere un intrico di
ragionamenti sull’universo e sui suoi misteri, annota:
«Perché non potrebbero esistere altri sistemi
planetari?». E sulla base di questo interrogativo
analizza le condizioni principali perché in un
«altrove ignoto» si sviluppi «la capacità di riprodursi
e moltiplicarsi», e arriva a individuare in Marte e in
Venere gli unici pianeti del sistema solare capaci di
ospitare la vita. In quel drammatico 1939, quando si
stavano addensando le nubi del secondo conflitto
mondiale, lo statista era come pervaso dal bisogno di
immaginare zone immuni — anche scenari
interstellari — dalla follia della guerra. E così
scriveva: «Non sono poi così convinto che noi
rappresentiamo il culmine dello sviluppo nel vasto
orizzonte del tempo e dello spazio». Da rilevare che
all’epoca era assai vivo il dibattito scientifico, e
fantascientifico, sulla possibile esistenza di altri
mondi. Basti pensare che nel 1938, ovvero un anno
prima della stesura dell’articolo di Churchill, la Cbs
negli Stati Uniti aveva trasmesso lo sceneggiato
radiofonico di Orson Welles, «La guerra dei
mondi», tratto dall’omonimo romanzo di Herbert
George Wells, in cui raccontava di un eccezionale
sbarco di extraterrestri in territorio americano. Molti
degli ascoltatori ci credettero: e fu subito panico.
(gabriele nicolò)
In due saggi pubblicati su «Le Débat»
I migranti
dividono l’Europa
di CHARLES
DE
PECHPEYROU
ingenuità e l’impreparazione dell’Europa di fronte
a un fenomeno
così vasto e complesso quanto la grande migrazione intercontinentale iniziata
nel 2015 dall’Africa e dall’Asia
rappresenta un caso da manuale
di accecamento storico, cioè di
un fenomeno “catastrofico” —
nel senso etimologico di un rovesciamento radicale — di cui rifiutiamo di calcolarne le conseguenze? È il quesito che pone
Raffaele Simone, professore ordinario di linguistica all’università Roma Tre, in un articolo
pubblicato nel numero invernale
della rivista francese «Le Débat».
Inedita per le sue dimensioni
— non si tratta di migliaia ma di
milioni di persone spinte dalla
miseria, dalle guerre e dalle de-
L’
Inedito per le sue dimensioni
il fenomeno interessa il continente
che ha fatto dell’accoglienza
la sua linea guida
vastazioni — e per il fatto che
segue strade ben definite, sia in
Africa che in Asia, nota l’autore,
la grande migrazione in atto si
sta dirigendo verso quel continente “dolce”, almeno nella sua
parte occidentale, che ha fatto
dell’accoglienza — universale,
gratuita, pacifica — la sua lineaguida. Secondo Raffaele Simone, questo spirito di ospitalità
nasce tra l’altro «da un sentimento di colpevolezza e da un
tentativo di risarcire in termini
giuridici e politici il debito storico rappresentato dalle atrocità
del secolo precedente, guerre
mondiali e colonialismo».
Pur avendo già conosciuto
durante il ventesimo secolo varie
ondate d’immigrazione, l’Europa, rimprovera il linguista, non
è stata in grado di «elaborare
piani solidi e concertati per prepararsi» che avrebbero dovuto
essere un freno, una guida o almeno un orientamento a questo
fenomeno. Due sono gli unici
dispositivi usati finora dall’Unione europea: i trattati di
Schengen e di Dublino da una
parte, e dall’altra «una distinzione ambigua tra rifugiato, che
fugge l’oppressione politica e
può entrare, e migrante economico, che fugge la miseria e non
può entrare».
In breve, l’Europa ha risposto
alla grande migrazione in ritardo e senza organizzazione, riuscendo solo alla fine del 2015 a
stabilire la ripartizione dei flussi
nei vari paesi secondo quote obbligatorie. Sappiamo che non
tutti i Paesi hanno aderito.
Questa ospitalità disordinata,
denuncia il ricercatore, ha avuto
tanti effetti dal punto di vista
politico, economico, gestionale,
da cui un effetto negativo sul-
l’opinione pubblica, tanto che
«di fronte ai flussi migratori, la
maggioranza degli elettori è
preoccupata, contraria, o addirittura ostile». Perciò l’integrazione dei migranti nella società
si rivela una vera sfida, che necessita tra l’altro di analizzare il
profilo dei migranti. «In gran
parte sono uomini giovani provenienti da paesi estremamente
poveri dell’Africa nera, con un
livello di istruzione bassissimo,
abituati a regimi violenti, estranei alle tradizioni europee», ricorda l’autore. Inoltre, il flusso
di migranti provenienti sia
dall’Africa che dal Medio oriente è di cultura musulmana, «una
fatto di cui la classe politica non
sembra affatto preoccupata». Invece, spiega Raffaele Simone,
«sembra molto difficile il processo di familiarizzazione e di
integrazione in una cultura cristiana, laica e democratica, da
parte di masse musulmane con
un basso livello di istruzione».
Inoltre, spiega il docente, la
grande migrazione ha risvegliato
gli egoismi nazionali e ha provocato un dissenso tra i paesi
dell’Unione europea, che devono far fronte ai movimenti di
estrema destra. I diversi paesi
non agiscono all’unisono, per
esempio per quanto riguarda la
politica delle quote. Oggi, dai
Balcani alla Polonia, delle barriere di filo spinato corrono lungo tutta l’Europa centrale. E per
di più la crisi dei rifugiati ha
riaperto la breccia tra Est e
Kcho, «Senza titolo» (2006)
Ovest, come sostiene, nello stesso numero di «Le Débat», Ivan
Krastev, permanent fellow all’Istituto delle scienze umane di
Vienna e presidente del Centro
per le strategie liberali a Sofia.
«Perché, oggi, gli europei
dell’Est sono così lontani dai valori fondamentali propri all’Unione europea ed evitano di
mostrarsi solidali con le sofferenze altrui?», si chiede il ricer-
catore. In effetti, nota Ivan Krastev, la popolazione dell’Europa
orientale rimane impassibile di
fronte alla tragedia dei rifugiati,
e nello stesso tempo i suoi dirigenti criticano la decisione di
Bruxelles di spartire i rifugiati
tra i vari paesi dell’Unione europea. In Europa centrale e orientale, la crisi ha unito delle società che altrimenti sarebbero frammentate, in un’ostilità quasi
unanime contro i rifugiati.
Il rancore centro-europeo verso i migranti è paradossale, sottolinea del resto l’autore, tenendo conto di due elementi. Il primo: nella maggior parte del ventesimo secolo, proprio l’Europa
centrale e orientale era una regione dove gli abitanti hanno
dovuto sperimentare la realtà
dell’emigrazione. Secondo, in
questo momento, nella maggior
parte di questi paesi, pochissimi
rifugiati sono presenti. Nel 2015,
per esempio, il numero di rifugiati entrati in Slovacchia era di
169, di cui solo 8 chiedevano di
rimanere. Del resto, la diffidenza riguarda soprattutto eventuali
migranti musulmani. All’inizio
del 2016, il premier slovacco Robert Fico aveva dichiarato di voler accettare solo cristiani, al fine di impedire la creazione di
una comunità musulmana nel
paese, sostenendo che non ci sono moschee.
Il ritorno della divisione estovest in Europa «non è né un
incidente né un effetto della
sfortuna, trae le sue radici nella
storia, la demografia e
le difficoltà legate alla
transizione
post-comunista»,
afferma
Ivan Krastev. Rappresenta anche una versione centro-europea
della ribellione popolare contro la globalizzazione. Più di
ogni altra regione
d’Europa, rileva l’autore, l’Europa centrale
conosce sia i vantaggi
sia i lati oscuri del
multiculturalismo.
Pertanto, secondo lui,
«la permalosità dell’Europa centrale rispetto alla crisi dei rifugiati si può spiegare, in parte, da questa
diffidenza storica verso tutto ciò che è cosmopolita, così come
dal legame tra comunismo e internazionalismo».
Se, da un lato, il
tema dell’immigrazione è stato sfruttato
abilmente a fini elettorali dall’estrema destra in vari paesi europei — Svizzera, Austria, Germania, Polonia e Gran Bretagna —
«paradossalmente — mette in
guardia Ivan Krastev — nella
crisi dei rifugiati nell’Unione europea, la convergenza di sentimenti anti-immigrati non porterà a un riavvicinamento tra
Europa occidentale e centrale».
Al contrario, conclude l’autore,
non fa altro che separarle sempre di più.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
La cattedrale di Lund, dove Papa Francesco
ha partecipato il 31 ottobre scorso
alla commemorazione comune
cattolico-luterana della Riforma
di KURT KO CH
Nel 2017, il mondo cristiano
commemora i cinquecento anni
della Riforma. Trattandosi del
primo centenario della Riforma
in epoca ecumenica, a connotare
la commemorazione non saranno
più toni confessionalmente faziosi e polemici, ma uno spirito ecumenico. Queste circostanze favorevoli sono dovute in particolare
al fatto che non ricorderemo soltanto i cinquecento anni della Riforma, ma anche cinquant’anni di
intenso dialogo tra cattolici e
protestanti, un lasso di tempo
durante il quale abbiamo potuto
scoprire quanto ci accomuna. Risultato positivo dei dialoghi ecumenici è stato quello di mostrare
che, nelle verità fondamentali
della fede cristiana, è stato possibile formulare un consenso ecumenico, evidenziando altresì che
le differenze teologiche tuttora
esistenti non mettono in discussione tale consenso e che, di conseguenza, le condanne dottrinali
del XVI secolo, sia da parte cattolica che da parte protestante, non
hanno oggi più valenza tra i partner ecumenici.
Questo è vero soprattutto a
proposito della «Dichiarazione
congiunta sulla dottrina della
giustificazione», firmata il 31 ottobre 1999 ad Augusta dalla Federazione luterana mondiale e
dal Pontificio consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani. Il fatto che proprio sulla questione centrale che condusse, nel
XVI secolo, alla Riforma e in seguito alla divisione della Chiesa è
stato possibile conseguire un ampio consenso può essere considerato come una vera e propria pietra miliare ecumenica. Il dialogo
ecumenico degli ultimi decenni
ha mostrato che anche il superamento di tale divisione e il ripristino dell’unità della Chiesa potranno avvenire soltanto sul cammino di una lettura e di un’interpretazione comuni della sacra
Scrittura. Di fatti, l’ascolto comu-
Nella dottrina sulla giustificazione
Quello che in realtà
unisce
ne della Parola di Dio testimoniata nella sacra Scrittura ha condotto a una fondamentale convergenza nella comprensione della dottrina della giustificazione.
Per comprendere in maniera
più approfondita la collaborazione tra grazia di Dio e libertà
dell’uomo nel quadro della salvezza, può essere utile riflettere
sul paragone utilizzato dal teologo medievale Bonaventura per illustrare la forza della speranza
escatologica. Bonaventura raffronta il movimento della speranza al volo dell’uccello, che si libra nell’aria e che dall’aria si lascia portare. Ma per volare, l’uccello deve innanzitutto stendere
le ali più che può e impiegare,
nel loro movimento, tutte le sue
energie. Lui stesso deve poi mettersi in moto per spiccare il volo
e salire ad alta quota. Vivere nella speranza significa dunque volare. Chi spera, infatti, deve sforzarsi, come fa l’uccello, di muoversi e di muovere tutte le sue
membra, per contrastare la forza
di gravità che tira verso il basso,
per raggiungere le vere altezze e
per lasciarsi portare dall’aria.
Con questo paragone, Bonaventura suggerisce che la grande
speranza della fede non rende superfluo l’agire dell’uomo, ma gli
consente al contrario di acquisire
la giusta forma e la sua libertà.
Volare richiede tutte le nostre
energie; ma è possibile soltanto
se ci affidiamo totalmente all’aria
che ci circonda e che ci porta.
Come l’uccello può volare perché
sa essere leggero, così anche il
cristiano sarà in grado di volare
meglio se non darà a se stesso
troppo peso e se, soprattutto,
non si lascerà schiacciare dalla
forza di gravità dei peccati.
Nella stessa direzione punta
un’immagine analoga utilizzata
da Martin Lutero per chiarire il
rapporto tra fede e opere: «Il
Vangelo è come una brezza fresca e delicata nella grande calura
estiva, è consolazione nell’angoscia della coscienza. Ma non appena la brezza del Vangelo ha
dato ristoro e conforto alle nostre
forze, noi non dobbiamo rimanere indolenti, coricarci e russare;
ovvero, quando lo Spirito di Dio
ha appagato, acquietato e consolato la nostra coscienza, allora
dobbiamo dimostrare anche la
nostra fede con le buone opere
che Dio ci ha comandato e indicato nei dieci comandamenti».
Di fatti, chi, nella fede, è
sollevato dalla tormentosa preoccupazione della propria salvezza
può e deve farsi carico delle
preoccupazioni degli uomini e
del mondo.
Se teniamo a mente queste similitudini, comprendiamo anche
perché il teologo cattolico Otto
Hermann Pesch, esperto di Lutero, ha definito la disputa scoppiata al tempo della Riforma sulla fede e sulle opere come «la
più superflua di tutte le questioni
controverse». Il cruciale messaggio della giustificazione dell’uomo per fede, riscoperto durante
la Riforma, non ci divide come
cristiani, ma ci unisce. E che non
debba mai dividerci, nonostante
sia avvenuto proprio questo per
secoli, lo dimostra anche una testimonianza risalente a un’epoca
che precede l’apertura ecumenica
della Chiesa cattolica durante il
Il Consiglio delle Chiese olandesi sulle elezioni
Secondo il patriarca di Mosca Cirillo
Uniti
contro il populismo
La cattedrale di Sant’Isacco
simbolo di riconciliazione
L’AJA, 20. Un dibattito civile e
un atteggiamento costruttivo
tra i politici. È quanto viene
chiesto in una dichiarazione
dal Consiglio delle Chiese
olandesi, riunito nei giorni
scorsi all’Aja per discutere sul
futuro del paese, in vista delle
elezioni del 15 marzo prossimo.
Nel testo si denuncia il clima
malsano in cui si svolge il dibattito politico nei Paesi Bassi,
un fatto dovuto soprattutto alla presenza di partiti antieuropeisti e contrari alla presenza
degli immigrati.
L’incontro, sui “valori nella
politica” in relazione ai temi
della povertà, dell’integrazione
e della pace, è stato organizzato dal Consiglio delle Chiese
olandesi, l’istituzione che raggruppa tredici Chiese in rappresentanza di 6,5 milioni di
fedeli. Alla presenza del vescovo di Rotterdam e presidente
della Conferenza episcopale
olandese, monsignor Johannes
Harmannes Jozefus van den
Hende, e del presidente del sinodo delle Chiese protestanti,
pastore Karin van den Broeke,
sono convenuti al dibattito i
candidati di quasi tutte le forze
politiche.
«Tutti i presenti — ha dichiarato al sito nev.it Fred van Iersel, professore di teologia cattolica alla Tilburg University e
responsabile del comitato affari
sociali del Consiglio delle
Chiese olandesi — hanno ribadito l’importanza dei valori de-
mocratici della nostra Costituzione. La maggior parte della
politica olandese è ancora sana» e avversa con argomenti
democratici l’onda populista di
movimenti politici antieuropeisti. «L’Olanda — ha ricordato
van Iersel — è sempre stata celebre per la sua apertura. Oggi, tutta l’Europa conosce il
nome di Geert Wilders (leader
del partito populista, Pvv), ma
intanto, nello stesso paese, il
sindaco di Rotterdam continua
a essere Ahmed Aboutaleb, e
la presidente del parlamento,
Khadija Arib: due musulmani
di origine marocchina. Io credo che negli ultimi anni il
paese si sia arreso all’individualismo. L’insicurezza e il
senso di smarrimento derivanti
da una concezione individualista della vita, combinati alla
crisi europea, hanno finito per
rilanciare il dibattito sull’identità nazionale, mettendo in secondo piano i diritti umani e il
multiculturalismo che fanno
parte della nostra storia». Secondo van Iersel, «protestanti
e cattolici sono uniti nel contrapporsi a questa deriva. Durante il dibattito è emerso come questa coalizione interconfessionale stia nuovamente
prendendo corpo. Devo dire —
ha concluso — che in tal senso
abbiamo illustri precedenti storici: ci siamo già mostrati uniti
durante la seconda guerra
mondiale e contro l’apartheid
in Sud Africa».
SAN PIETROBURGO, 20. Il controverso
trasferimento alla Chiesa ortodossa
della gestione della cattedrale di
Sant’Isacco a San Pietroburgo «è in
programma nell’anno in cui cade l’anniversario della Rivoluzione e per questo può diventare simbolo della riconciliazione nazionale». È quanto ha affermato il patriarca di Mosca Cirillo
durante una riunione del Consiglio supremo ecclesiastico nella cattedrale di
Cristo Salvatore, ricordando che «la
distruzione di chiese e le uccisioni di
massa dei credenti sono stati un capitolo orrendo della nostra storia e hanno sancito una divisione nella nazione.
Ma ora l’atmosfera di pace che circonda le chiese restituite ai credenti deve
diventare simbolo di accordo e di perdono reciproco».
L’ingresso a Sant’Isacco, dopo che
sarà passata sotto l’amministrazione
della Chiesa ortodossa, sarà gratuito.
La proprietà della chiesa rimarrà invece della città di San Pietroburgo. Da
quando è stata annunciata la decisione
si sono verificate diverse proteste e
contro il provvedimento si è espresso,
tra gli altri, il direttore del museo della
cattedrale, Nikolaï Bourov. «Continuo
a credere che si stia per commettere
un errore». Bourov — riferisce «La
Croix» — si è detto preoccupato per il
passaggio della gestione del monumento. «Sicuramente ci saranno visitatori, ma molto meno di prima. Semplicemente perché il compito di organizzare questi flussi turistici così grandi richiede il lavoro e lo sforzo di tante persone. È stato messo in atto —
conclude — un sistema complesso di
funzionamento e gestione finanziaria,
ma non tutti se ne rendono conto e
ciò mi preoccupa seriamente».
Anche domenica, durante l’omelia
pronunciata sempre nella cattedrale di
Cristo Salvatore, Cirillo è tornato a
parlare della rivoluzione del 1917, che
a suo parere «non è stata che un crimine terribile»: «Nel centenario della
rivoluzione — ha detto — vi invito a
non chiudere gli occhi su questa epoca, a essere pienamente consapevoli e
a comportarvi in modo tale che simili
episodi non si ripetano più. Abbiamo
bisogno che le nostre azioni riscattino
i nostri peccati e quelli commessi dai
nostri antenati».
concilio Vaticano II, ovvero la testimonianza di santa Teresa del
Bambin Gesù (1873-1897), che il
Catechismo della Chiesa cattolica
presenta al fine di spiegare la
propria interpretazione della dottrina della giustificazione: «Dopo l’esilio della terra, spero di
gioire di te nella Patria; ma non
voglio accumulare meriti per il
cielo: voglio spendermi per il tuo
solo amore. Alla sera di questa
vita comparirò davanti a te con le
mani vuote; infatti non ti chiedo,
o Signore, di tener conto delle
mie opere. Tutta la nostra giustizia non è senza macchie ai tuoi
occhi. Voglio perciò rivestirmi
della tua giustizia e ricevere dal
tuo amore l’eterno possesso di
te stesso». Non è un caso che
santa Teresa abbia respinto l’immagine tradizionale della santità,
che vede il santo come un eroe
delle virtù, come uno “sportivo”
capace di altissime prestazioni religiose. Per lei, la santità cristiana
non si realizza in qualcosa di
sensazionale e di eroico, ma vive
la grazia», ma lo ha testimoniato
con la sua stessa vita. Sforzandosi di vivere in tutto nella grazia
di Dio, ha anticipato l’intesa ecumenica tra la Chiesa cattolica e le
Chiese nate dalla Riforma, e questo è avvenuto sulla “piccola via”
che ella ha intrapreso, un cammino sul quale la sola fide si riconcilia persino con la sola caritate, e
in prima linea non con l’amore
umano, ma con l’amore di Dio
per noi uomini.
È un segno promettente il fatto che questa intesa ecumenica di
una santa si sia realizzata. Con
ciò, anche la tradizionale opposizione tra pietà cattolica e pietà
protestante è stata superata, come mostra quanto scrive il grande teologo protestante e martire
cristiano del regime nazista, Dietrich Bonhoeffer, parlando di una
conversazione avuta una volta
con un pastore francese: «Ci eravamo posti la semplice domanda
di cosa volessimo realizzare in
fondo con la nostra vita. Egli disse: voglio diventare un santo. Mi
Alla facoltà valdese
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento che il cardinale presidente del
Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani,
nell’ambito del cinquecentenario della Riforma, ha pronunciato il 13
febbraio scorso a Roma, nell’aula magna della Facoltà valdese di
teologia, sul tema «Il primato dell’accogliere rispetto al fare.
Sull’attualità della dottrina cristiana della giustificazione».
nel quotidiano sotto il velo della
discrezione di una fede non vistosa, così che è la fede stessa il
contenuto essenziale della santità.
Teresa è convinta che la santità
consista non tanto in esercizi e
prestazioni religiose, ma in un atteggiamento esistenziale di fondo
nutrito dalla fede, nella vita di
tutti i giorni. Per questo, ha distolto lo sguardo dalle buone
azioni e dalle opere pie, annunciando e lodando piuttosto, con
letizia, la grazia di Dio. Ella sapeva infatti che, nella vita della
fede, in fin dei conti, tutto è grazia e che niente è così lontano
dall’esistenza cristiana quanto la
pia speculazione sulla ricompensa celeste per le opere buone:
«Dobbiamo fare tutto ciò possiamo fare, per amore di Dio, ma è
indispensabile in verità riporre
tutta la nostra fiducia nell’Unico
che santifica le nostre opere e che
può santificarci senza di esse».
Questa è, nelle parole di una
santa cattolica della fine del XIX
secolo, la dottrina della giustificazione pura. Teresa, infatti, non
solo ha annunciato il messaggio
pienamente cristiano del «per so-
colpì molto in quel momento.
Tuttavia dissentii, dicendo più o
meno: io voglio imparare a credere». Se Dietrich Bonhoeffer
avesse conosciuto santa Teresa di
Lisieux,
probabilmente
non
avrebbe più visto una contrapposizione tra il diventare santi e
l’imparare a credere, comprendendo che, per questa santa cattolica, il fulcro della santità cristiana è proprio la fede.
Sicuramente, Teresa e Dietrich
Bonhoeffer si saranno già accordati al riguardo, in cielo. A noi,
nella nostra vita e nella nostra
convivenza ecumenica, rimane il
compito di trarre le giuste conseguenze da questa bella testimonianza di consenso ecumenico
sulla dottrina della giustificazione, anche nelle sue diverse prospettive spirituali sviluppatesi
all’interno delle varie tradizioni
confessionali. E questo possiamo
e dobbiamo farlo in particolare
nel 2017, anno della commemorazione comune della Riforma,
commemorazione che sarebbe
stata impensabile senza un consenso ecumenico sulla dottrina
della giustificazione.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
pagina 7
Il Papa ai piccoli di Ponte di Nona
Vi racconto
il conclave
WASHINGTON, 20. Rispettare gli
accordi presi a livello internazionale e impegnarsi per la difesa
dell’ambiente naturale sia a livello nazionale che globale. È quanto, nella sostanza, chiede l’episcopato statunitense insieme al Catholic Relief Services (Crs) in una
lettera indirizzata al segretario di
stato Rex Tillerson. A firmare la
missiva sono il vescovo di Las
Cruces, Oscar Cantù, presidente
della Commissione giustizia e pace, il vescovo di Venice, Frank J.
Dewane, presidente della commissione Giustizia e sviluppo
umano, e il responsabile dell’agenzia umanitaria, Sean Callahan.
Il documento esordisce ricordando come «la tradizione giudaico-cristiana ha sempre inteso
l’ambiente come un dono di Dio,
perciò, siamo tutti chiamati a
proteggere la nostra casa comune». Di qui l’appello perché siano rispettati gli impegni che la
passata amministrazione statunitense aveva sottoscritto nell’autunno 2015 in occasione della
conferenza internazionale sul clima di Parigi. La missiva ricorda
come già in passato l’episcopato
abbia sostenuto l’urgenza del finanziamento dei programmi di
adattamento e attenuazione degli
effetti del cambiamento climatico
inclusi nell’accordo di Parigi. I
di MAURIZIO FONTANA
I vescovi statunitensi chiedono il rispetto degli impegni sul clima
La casa comune
non può attendere
presuli e il Crs sottolineano l’importanza di agire all’interno del
paese per limitare le emissioni di
carbonio e contribuire, in questo
modo, a mitigare le conseguenze
del cambiamento climatico sulle
popolazioni
più
vulnerabili.
«L’accordo di Parigi è un passo
fondamentale per entrambi questi
obiettivi», si legge ancora nel
testo.
L’amministrazione Trump, come è noto, ha annunciato di non
volere tenere conto degli accordi
sul clima. E l’Agenzia per la protezione dell’ambiente sembra avere interrotto qualsiasi attività
pubblica di comunicazione, sia
La Franciscan Action Network sull’oleodotto del North Dakota
Avidità
che porta alla distruzione
WASHINGTON, 20. «Permettere il saccheggio e la distruzione della creazione mirabile di Dio per sostenere l’avidità di pochi è moralmente, spiritualmente ed eticamente sbagliato e va
contro gli insegnamenti di tutti i
gruppi religiosi». È quanto sostiene la
Franciscan Action Network, organizzazione statunitense di ispirazione
francescana, che aggiunge la propria
voce al coro di proteste che si leva in
difesa dei popoli indigeni, in particolare dei sioux nello stato del North
Dakota, che cercano da tempo di
bloccare la costruzione di un oleodotto che profanerebbe la “terra sacra”
nella quale hanno seppellito per secoli i loro avi e che, attraversando il fiume Missouri, metterebbe seriamente a
rischio le riserve di acqua potabile
della regione. Dopo manifestazioni e
scontri anche violenti con le forze
Inghilterra e Galles
consacrati
al cuore di Maria
LONDRA, 20. L’arcivescovo di
Westminster e presidente della
Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, cardinale Vincent Gerard Nichols, in occasione del pellegrinaggio nazionale della statua
della Madonna di Fátima, ha consacrato l’Inghilterra e il Galles al
cuore immacolato di Maria. La
consacrazione è avvenuta al termine della messa celebrata nella cattedrale di Westminster.
Nella sua omelia, il cardinale ha
fatto riferimento alle parole pronunciate da san Giovanni Paolo II
alla messa di beatificazione di
Francesco e Giacinta, quando, rivolgendosi ai bambini presenti disse: «Gesù ha bisogno delle vostre
preghiere e dei vostri sacrifici per i
peccatori». Riflettendo su queste
parole, il cardinale ha chiesto:
«Riusciamo a esprimere bene ogni
giorno la nostra sequela di Cristo?
La risposta sta in ciò che sappiamo
della Madonna di Fátima e che cosa Lei ha da dirci» e «Lei, oggi, ha
una grande importanza per noi».
dell’ordine, nei mesi scorsi il presidente Barack Obama aveva stabilito
di sospendere tutto e trovare un percorso alternativo. Poi, recentemente,
come è noto, con un ordine esecutivo
il presidente Donald Trump ha ridato
il via ai lavori, sollevando altre e forse
ancora più vivaci polemiche.
Proprio nei confronti dell’ordine
esecutivo della Casa Bianca si pronuncia il network francescano, che
con fermezza ribadisce il proprio impegno a «essere solidale con i fratelli
e sorelle indigeni e con la terra» dinanzi alla disposizione che consente
lo scavo di condotti d’olio combustibile attraverso la riserva di Standing
Rock Sioux, in North Dakota, e il gasdotto di Keystone, ad Alberta, in
Canada, verso Steele City, in Nebraska. Vanno insomma bloccate entrambe le condotte perché ciò significherebbe il «saccheggio» e la «distruzione» di quell’inestimabile tesoro rappresentato dall’ambiente naturale. «I
popoli indigeni del Dakota ci hanno
ricordato — si legge nel comunicato —
che “l’acqua è vita”. Come persone di
fede che vogliono rispondere alla
chiamata del Papa nella Laudato si’
per proteggere la terra e la sua popolazione, siamo solidali con i nostri
fratelli e sorelle indigeni nel proclamare che “l’acqua è vita”».
Tuttavia, per la Franciscan Action
Network la posta in gioco è ancora
più alta. In ballo non c’è soltanto la
difesa dell’ambiente. Infatti, viene
sottolineato, «non è solo una questione morale, ma una questione di libertà religiosa. La costruzione di un
oleodotto attraverso la terra sacra dei
popoli indigeni è una violazione della
loro libertà religiosa». In questo senso, sostiene con un’immagine a effetto
l’organizzazione francescana, sarebbe
un po’ come se si fosse dato «il permesso di abbattere la cattedrale di
San Patrizio a New York per costruire
una raffineria di petrolio sul sito».
La vicenda dei sioux nello stato del
North Dakota è stata anche una delle
principali questioni, anche se ovviamente non la sola, al centro del terzo
forum mondiale dei popoli indigeni
che si è tenuto in questi giorni a Roma nella sede del Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo agricolo
(Ifad), organizzato a dieci anni dalla
dichiarazione dell’Onu sui diritti di
queste popolazioni.
attraverso i propri siti istituzionali
sia attraverso i social network.
Nella lettera, i vescovi e la Crs
hanno espresso pertanto la preoccupazione della Chiesa per la
grande sfida che, oggi, affronta la
comunità globale per fornire non
solo energia sostenibile, efficiente
e pulita, ma anche sicura, accessibile ed equa. «Ciò richiederà ingegno, investimenti e sforzo», si
legge nel testo, che ricorda i
grandi progressi che importanti
studiosi, insieme a istituti di ricerca e aziende di energia, hanno
già compiuto verso la produzione
di energia pulita a prezzi accessibili. «Attraverso investimenti in
infrastrutture e tecnologie negli
Stati Uniti — si sottolinea nella
lettera — il governo ha l’opportunità unica di raggiungere la sicurezza energetica e affermare la
propria leadership globale nella
crescita di un settore energetico
sostenibile».
Nel documento vengono poi
ricordati i principi dell’enciclica
Laudato si’, nella quale Papa
Francesco respinge ogni concezione ristretta del cambiamento
climatico, ovvero non si escludono le cause dovute a fenomeni
naturali, ma si riconosce che il riscaldamento globale negli ultimi
decenni è dovuto anche, e soprattutto, alla grande concentrazione
di gas serra rilasciati principalmente a seguito di attività umana. In sintonia con il pensiero del
Pontefice, si riafferma dunque
l’importanza di implementare politiche che permettano l’adattamento delle popolazioni, specialmente le più povere e vulnerabili,
e che attenuino gli effetti dei
cambiamenti climatici, indipendentemente dalle cause. «I poveri
e le popolazioni più vulnerabili —
si legge nel testo — patiscono in
modo sproporzionato gli effetti
di uragani, inondazioni, siccità,
carestie e scarsità di acqua». Un
appello che giunge in «un momento di incertezze e di opportunità significative per la nostra nazione e per il mondo». In questo
senso, conclude il testo, «pieni di
speranza in Dio, preghiamo perché il lavoro del governo contribuisca a aumentare la ricchezza
materiale, sociale e spirituale degli Stati Uniti e a rafforzare ulteriormente la solidarietà in tutto il
mondo».
L’allarme dell’arcivescovo di Los Angeles
I bambini e il dramma
dei genitori deportati
MODESTO, 20. «Se si vuole comprendere l’impatto dei raid che
svolgono le guardie di frontiera
degli Stati Uniti in più di 60 comunità in tutto il paese solo in
questo inizio di febbraio, possiamo sentire i bambini: non vogliono andare a scuola, pensando che
i loro genitori stanno per essere
portati via, mentre loro non ci sono». È quanto ha affermato l’arcivescovo di Los Angeles, José
Horacio Gómez, intervenendo
all’incontro dei movimenti popolari che si è concluso ieri, domenica 19, a Modesto, in California.
Una preoccupazione, per le nuove direttive sull’immigrazione negli Stati Uniti, condivisa anche
da chi lavora ogni giorno nelle
parrocchie delle città di confine
con
il
Messico.
Racconta
all’agenzia Fides Ellie Hidalgo,
responsabile di una struttura di
accoglienza: «Abbiamo bambini
presso la Dolores Mission: se i
loro genitori arrivano in ritardo a
casa dal lavoro diventano ansiosi
immediatamente». La donna conferma che «la situazione sta diventando molto tesa e confusa».
E si domanda: «Se i genitori non
tornano a casa, dove andranno a
finire quei bambini?».
La preoccupazione maggiore è
che possano venire tolti d’autorità dalla potestà dei genitori e finire nel circuito dell’adozione. Di
fronte a una simile situazione,
spiega ancora Hidalgo, «nelle
parrocchie e nelle strutture associate in questo momento stiamo
offrendo incontri d’informazione
per aiutare le persone senza documenti, in modo che possano
conoscere i loro diritti e come
procedere se gli ufficiali dell’Immigration and Customs si presentano nelle loro case».
«Perché sei diventato Papa?»,
«Quale è stato il momento più
difficile della tua vita?», «Come
ci si sente a essere il rappresentante della Chiesa cattolica?». In
pochi minuti di serrato botta e
risposta con oltre duecento bambini e ragazzi, nel piccolo teatro
di una parrocchia romana della
periferia orientale, Papa Francesco ha rivelato i “segreti” del
conclave, raccontato alcuni particolari della sua vita personale,
spiegato il ruolo del vescovo di
Roma e toccato, con una catechesi dialogica e coinvolgente,
alcuni dei più grandi misteri della fede cristiana. L’incontro con i
bambini del catechismo è stato,
così, uno dei momenti più significativi, nel pomeriggio di domenica 19 febbraio, della visita del
Pontefice alla comunità di Santa
Maria Josefa del Cuore di Gesù
a Castelverde di Lunghezza.
Il Pontefice è arrivato nel
quartiere di Ponte di Nona, come da programma, alle 15.30, accolto da una splendida giornata
di sole e da tanti ramoscelli di
mimosa agitati dalla folla di fedeli che lo aspettava da tempo
nel grande piazzale antistante la
chiesa. Molte persone erano anche affacciate ai palazzi — colorati, ma ormai sbiaditi dall’incuria — mentre dai balconi e dalle
transenne, insieme a lenzuola
con le più varie scritte di benvenuto, di tanto in tanto occhieggiavano bandiere delle comunità
latinoamericane che vivono nel
quartiere: argentini, boliviani,
peruviani.
Sceso dalla macchina, il Papa
è stato accolto dal cardinale vicario Agostino Vallini, dal vescovo
ausiliare del settore est Giuseppe
Marciante, dal parroco don
Francesco Rondinelli, e dal prefetto della XVIII prefettura don
Joseph Alexander De León. Con
loro anche il reggente della Casa
pontificia, monsignor Leonardo
Sapienza. Lungo tutto il viottolo
che porta all’interno del complesso parrocchiale, il Pontefice
ha salutato le tante persone assiepate dietro le transenne. Ed è
così cominciato il lungo dialogo
fatto di gesti, di carezze, di sorrisi, di selfie, che si è protratto per
tutto il pomeriggio tra il vescovo
di Roma e la comunità di Ponte
di Nona. Quel linguaggio del
corpo, spontaneo e incisivo, che
accompagna sempre le parole e
gli insegnamenti pronunciati dal
Pontefice. I prediletti, com’è sua
abitudine, sono i più piccoli, ai
quali Francesco riserva sempre
una sosta in più.
Da lontano si sentivano già
forti le grida e i cori dei bambini
radunati nel teatrino parrocchiale: «Papa Francesco! Papa Francesco!». Finché, appena il Pontefice si è affacciato alla porta, i
cori si sono trasformati in un
boato, con una vera e propria
esplosione di gioia. Superato
l’entusiasmo travolgente dei piccoli parrocchiani, il Papa ha guadagnato il palcoscenico e, con
accanto il cardinale vicario, ha
cominciato a rispondere alle domande spontanee dei bambini
presentati, di volta in volta, dal
parroco. Ha cominciato il piccolo Alessandro che ha chiesto:
«Perché sei diventato Papa?».
La prima risposta ha chiarito
subito il tono della conversazione: «Ci sono i “colpevoli”», ha
detto scherzando e, indicando il
cardinale Vallini, ha continuato:
«Uno dei colpevoli è questo!»,
suscitando l’ilarità collettiva. Poi,
a modo suo, ha introdotto l’uditorio nelle dinamiche del conclave sulle quali da sempre si accapigliano vaticanisti e scrittori di
ogni genere. «Si paga per diventare Papa?», «Noooo!» hanno
risposto in coro; «Ma se uno paga tanto, tanto, tanto, alla fine lo
fanno Papa?», «Noooo!»; e allora, ha continuato, «Si fa a sorteggio?», «Noooo!». Ecco la
spiegazione: «I cardinali si riuniscono, parlano tra loro, pensano... e ragionano... Ma soprattutto — e questa è la cosa più
importante — si prega. Capito?».
Quindi, spiegati i dettagli della
clausura, della votazione e del
quorum, è giunto al nocciolo:
«Chi è la persona più importante in quel gruppo che fa il Papa?
Pensateci bene!». E, a un bimbo
che ha colto la risposta giusta
(«Dio!»), ha spiegato: «Dio, lo
Spirito santo, che tramite il voto
fa il Papa. Poi, quello che viene
eletto, forse non è il più intelligente, forse non è il più furbo,
forse non è il più sbrigativo per
fare le cose, ma è quello che Dio
vuole per quel momento della
Chiesa. Capito?».
Sollecitato sulla sua vita personale, il Papa ha ricordato come da piccolo volesse fare il macellaio e come uno dei momenti
più difficili della sua giovinezza
sia stato quando, a vent’anni, rischiò di morire per una malattia.
E ha subito aggiunto un insegnamento valido per tutti: «Le
difficoltà nella vita ci sono e ci
saranno sempre, ma non bisogna
spaventarsi. Le difficoltà si superano, si va avanti, con la fede,
con la forza, con il coraggio!».
Poi il turno delle domande è
passato al Pontefice il quale,
partendo da un quesito impegnativo («Quanti “D io” ci sono?
Uno o tre?»), ha portato i bimbi
con semplicità a riflettere sul mistero della Trinità, sul Dio uno
in tre persone e su Maria madre
di Dio.
Salutati i bambini, Papa Francesco ha poi raggiunto le vicine
salette dove lo attendevano alcuni malati e le famiglie con i
bambini nati nell’anno. I più
piccoli, in particolare, hanno catalizzato la sua attenzione. A
uno ha spiegato la differenza dei
colori degli zucchetti del Pontefice, del cardinale e del vescovo,
da un altro ha ricevuto un disegno e una caramella. La piccola
Giulia lo ha carezzato più volte
dandogli anche dei pizzicotti
sulla guancia e lui, divertito, l’ha
presa in braccio per farle un po’
di coccole.
Dopo essersi fermato qualche
minuto per un incontro strettamente privato con i genitori di
un ragazzo ucciso nella zona lo
scorso anno, il Papa ha quindi
raggiunto il “quartier generale”
del gruppo Caritas, la stanza dove viene raccolto e smistato
quanto sarà poi donato ai poveri
della parrocchia. «Grazie per
quello che fate», ha detto ai volontari, raccomandando loro non
solo di «dare», ma anche di
«ascoltare». E ha aggiunto:
«Pensate questo: quando viene
una persona a chiedere aiuto,
una signora o un signore o
chiunque, quella persona è Gesù. Perché anche Gesù ha dovuto chiedere aiuto quando era
profugo in Egitto». Francesco li
ha invitati a non fare differenze
tra buoni e cattivi, tra credenti e
non credenti: «Questo pacco lo
dò a Gesù. E questo sorriso lo
dò a Gesù. Questa è la vostra
strada di santità. Se voi fate questo, diventerete santi».
Dopo aver salutato i familiari
del parroco, i sacerdoti della prefettura — che, con il cardinale, il
vescovo, il parroco e il viceparroco, don Luca Bazzani, hanno
concelebrato — e i ministranti, il
Papa si è spostato in sagrestia
dove ha confessato quattro fedeli
e dove, poi, si è preparato per la
messa. Al termine del rito (diretto dal maestro delle celebrazioni
liturgiche pontificie, monsignor
Guido Marini, coadiuvato dal
cerimoniere Vincenzo Peroni) il
Pontefice si è fermato qualche
minuto in chiesa con alcuni malati e poi ha raggiunto il sagrato
da dove, ha salutato la folla che
lo aveva atteso per tutto il pomeriggio. «Grazie — ha detto —
per essere stati qui a pregare insieme, a pregare per tutto il
quartiere, per la parrocchia. Saluto tutti voi, fedeli cattolici, e
anche i musulmani, e per tutti
voi chiedo la benedizione del Signore». Quindi ha recitato con
tutti un’avemaria e ha benedetto
tutti prima di fare rientro in Vaticano.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
Shari Kreller
«Forgiveness»
All’Angelus il Pontefice ricorda che l’amore supera la giustizia
Rivoluzione cristiana
Appello per la pace nella Repubblica democratica del Congo
«La rappresaglia non porta mai alla
risoluzione dei conflitti». Anche perché
«quando parliamo di “nemici” non
dobbiamo pensare a chissà quali
persone lontane: parliamo anche di noi
stessi, che possiamo entrare in conflitto
con i nostri familiari». Lo ha detto il
Papa all’Angelus del 19 febbraio in
piazza San Pietro, commentando il
vangelo domenicale.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel Vangelo di questa domenica
(Mt 5, 38-48) — una di quelle pagine
che meglio esprimono la “rivoluzione” cristiana — Gesù mostra la via
della vera giustizia mediante la legge
dell’amore che supera quella del taglione, cioè «occhio per occhio e
dente per dente». Questa antica regola imponeva di infliggere ai trasgressori pene equivalenti ai danni
arrecati: la morte a chi aveva ucciso,
l’amputazione a chi aveva ferito
qualcuno, e così via. Gesù non chiede ai suoi discepoli di subire il male,
anzi, chiede di reagire, però non con
un altro male, ma con il bene. Solo
così si spezza la catena del male: un
male porta un altro male, un altro
porta un altro male... Si spezza questa catena di male, e cambiano veramente le cose. Il male infatti è un
“vuoto”, un vuoto di bene, e un
vuoto non si può riempire con un
altro vuoto, ma solo con un “pieno”,
cioè con il bene. La rappresaglia
non porta mai alla risoluzione dei
conflitti. ”Tu me l’hai fatta, io te la
farò”: questo mai risolve un conflitto, e neppure è cristiano.
Per Gesù il rifiuto della violenza
può comportare anche la rinuncia ad
un legittimo diritto; e ne dà alcuni
esempi: porgere l’altra guancia, cedere il proprio vestito o il proprio
denaro, accettare altri sacrifici (cfr.
vv. 39-42). Ma questa rinuncia non
vuol dire che le esigenze della giustizia vengano ignorate o contraddette;
no, al contrario, l’amore cristiano,
che si manifesta in modo speciale
nella misericordia, rappresenta una
realizzazione superiore della giustizia. Quello che Gesù ci vuole insegnare è la netta distinzione che dob-
biamo fare tra la giustizia e la vendetta. Distinguere tra giustizia e vendetta. La vendetta non è mai giusta.
Ci è consentito di chiedere giustizia;
è nostro dovere praticare la giustizia.
Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta,
in
quanto
espressione
dell’odio e della violenza.
Gesù non vuole proporre un nuovo ordinamento civile, ma piuttosto
il comandamento dell’amore del
prossimo, che comprende anche
l’amore per i nemici: «Amate i vostri
nemici e pregate per quelli che vi
perseguitano» (v. 44). E questo non
è facile. Questa parola non va intesa
come approvazione del male compiuto dal nemico, ma come invito a
una prospettiva superiore, a una
prospettiva magnanima, simile a
quella del Padre celeste, il quale —
dice Gesù — «fa sorgere il suo sole
sui cattivi e sui buoni, e fa piovere
sui giusti e sugli ingiusti» (v. 45).
Anche il nemico, infatti, è una persona umana, creata come tale a immagine di Dio, sebbene al presente
questa immagine sia offuscata da
una condotta indegna.
Quando parliamo di “nemici” non
dobbiamo pensare a chissà quali
persone diverse e lontane da noi;
parliamo anche di noi stessi, che
possiamo entrare in conflitto con il
nostro prossimo, a volte con i nostri
familiari. Quante inimicizie nelle famiglie, quante! Pensiamo a questo.
Nemici sono anche coloro che parlano male di noi, che ci calunniano e
ci fanno dei torti. E non è facile digerire questo. A tutti costoro siamo
chiamati a rispondere con il bene,
che ha anch’esso le sue strategie,
ispirate dall’amore.
La Vergine Maria ci aiuti a seguire
Gesù su questa strada esigente, che
davvero esalta la dignità umana e ci
fa vivere da figli del nostro Padre
che è nei cieli. Ci aiuti a praticare la
pazienza, il dialogo, il perdono, e ad
essere così artigiani di comunione,
artigiani di fraternità nella nostra vita quotidiana, soprattutto nella nostra famiglia.
Al termine della preghiera mariana il
Pontefice ha lanciato un appello per la
pace nella Repubblica democratica del
Congo e in altre parti del continente
africano, esprimendo vicinanza anche
alle popolazioni di Pakistan e Iraq.
Cari fratelli e sorelle,
continuano purtroppo a giungere
notizie di scontri violenti e brutali
nella regione del Kasai Centrale della Repubblica Democratica del Congo. Sento forte il dolore per le vitti-
me, specialmente per tanti bambini
strappati alle famiglie e alla scuola
per essere usati come soldati. Questa
è una tragedia, i bambini soldati.
Assicuro la mia vicinanza e la mia
preghiera, anche per il personale religioso e umanitario che opera in
quella difficile regione; e rinnovo un
accorato appello alla coscienza e alla
responsabilità delle Autorità nazionali e della Comunità internazionale,
affinché si prendano decisioni adeguate e tempestive per soccorrere
questi nostri fratelli e sorelle. Preghiamo per loro e per tutte le popolazioni che anche in altre parti del
Continente africano e del mondo
soffrono a causa della violenza e della guerra. Penso, in particolare, alle
care popolazioni del Pakistan e
dell’Iraq, colpito da crudeli atti terroristici nei giorni scorsi. Preghiamo
per le vittime, per i feriti e i familiari. Preghiamo ardentemente che ogni
cuore indurito dall’odio si converta
alla pace, secondo la volontà di Dio.
Preghiamo un attimo in silenzio.
[Ave Maria]
Saluto tutti voi, famiglie, associazioni, gruppi parrocchiali e singoli
pellegrini provenienti dall’Italia e da
varie parti del mondo.
In particolare, saluto gli studenti
di Armagh (Irlanda), i fedeli delle
diocesi di Asidonia-Jerez, Cádiz y
Ceuta e Madrid in Spagna; il Movimento giovanile Guanelliano, i cresimandi di Castelnuovo di Prato e i
pellegrini di Modena e Viterbo.
A tutti auguro una buona domenica — una bella giornata! [indica il
cielo azzurro]. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon
pranzo e arrivederci!
Nell’omelia a Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù il perdono e la preghiera antidoti contro l’odio
Nessuna vendetta
I temi della vendetta e del rancore come
atteggiamenti da evitare — perché il vero
cristiano deve saper perdonare — sono stati
anche al centro dell’omelia pronunciata dal
Pontefice nel pomeriggio di domenica 19,
durante la messa celebrata nella parrocchia
romana di Santa Maria Josefa del Cuore
di Gesù, a Ponte di Nona.
Oggi c’è un messaggio che direi unico
nelle Letture. Nella prima Lettura c’è la
Parola del Signore che ci dice: «Siate
santi, perché io, il Signore, vostro Dio,
sono santo» (Lv 19, 2). Dio Padre ci dice questo. E il Vangelo finisce con quella Parola di Gesù: «Voi siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»
(Mt 5, 48). La stessa cosa. Questo è il
programma di vita. Siate santi, perché
Lui è santo; siate perfetti, perché Lui è
perfetto.
E voi potete domandarmi: “Ma, Padre, come è la strada per la santità, qual
è il cammino per diventare santi?”. Gesù lo spiega bene nel Vangelo: lo spiega
con cose concrete.
Prima di tutto: «Fu detto: “O cchio
per occhio e dente per dente”. Ma io vi
dico di non opporvi al malvagio» (Mt
5, 38-39), cioè niente vendetta. Se io ho
nel cuore il rancore per qualcosa che
qualcuno mi ha fatto e voglio vendicarmi, questo mi allontana dal cammino
verso la santità. Niente vendetta. “Me
l’hai fatta: me la pagherai!”. Questo è
cristiano? No. “Me la pagherai” non entra nel linguaggio di un cristiano. Niente vendetta. Niente rancore. “Ma quello
mi rende la vita impossibile!...”. “Quella
vicina di là sparla di me tutti i giorni!
Anch’io sparlerò di lei...”. No. Cosa dice il Signore? “Prega per lei” — “Ma per
quella devo pregare io?” — “Sì, prega
per lei”. È il cammino del perdono, del
dimenticare le offese. Ti danno uno
schiaffo sulla guancia destra? Porgigli
anche l’altra. Il male lo si vince con il
bene, il peccato lo si vince con questa
generosità, con questa forza. È brutto il
rancore. Tutti sappiamo che non è una
cosa piccola. Le grandi guerre — noi vediamo nei telegiornali, sui giornali, questo massacro di gente, di bambini...
quanto odio!, ma è lo stesso odio — è lo
stesso! — che tu hai nel tuo cuore per
quello, per quella o per quel parente
tuo o per tua suocera o per quell’altro,
lo stesso. Quello è ingrandito, ma è lo
stesso. Il rancore, la voglia di vendicarmi: “Me la pagherai!”, questo non è cristiano.
“Siate santi come Dio è santo”; “siate
perfetti come perfetto è il Padre vostro”,
«il quale fa sorgere il suo sole sui cattivi
e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5, 45). È buono. Dio
dà i suoi beni a tutti. “Ma se quello
sparla di me, se quello me l’ha fatta
grossa, se quello mi ha...”. Perdonare.
Nel mio cuore. Questa è la strada della
santità; e questo allontana dalle guerre.
Se tutti gli uomini e le donne del mondo imparassero questo, non ci sarebbero
le guerre, non ci sarebbero. La guerra
incomincia qui, nell’amarezza, nel ran-
Mercoledì delle ceneri 1° marzo 2017
Stazione nella basilica di Santa Sabina all’Aventino
presieduta dal Papa
INDICAZIONI
1. Nel giorno di inizio della Quaresima avrà
luogo una celebrazione nella forma delle «Stazioni» romane, presieduta dal Santo Padre
Francesco, con il seguente svolgimento:
— Alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, inizierà la liturgia «stazionale» cui farà seguito la processione penitenziale
verso la Basilica di Santa Sabina.
Alla processione prenderanno parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di
Santa Sabina e alcuni fedeli.
— Al termine della processione, nella Basilica
di Santa Sabina, avrà luogo la celebrazione
della Santa Messa con il rito di benedizione e
di imposizione delle ceneri.
***
2. I Signori Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini e i Padri Domenicani, che intendono partecipare alla celebrazione, sono pregati di trovarsi per le ore 16.00 nella chiesa di Sant’Anselmo, indossando l’abito
corale loro proprio.
I fedeli si recheranno direttamente nella Basilica di Santa Sabina.
Città del Vaticano, 20 febbraio 2017.
Monsignor Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche
Pontificie
core, nella voglia di vendetta, di farla
pagare. Ma questo distrugge famiglie,
distrugge amicizie, distrugge quartieri,
distrugge tanto, tanto... “E cosa devo
fare, Padre, quando sento questo?”. Lo
dice Gesù, non lo dico io: «Amate i vostri nemici» (Mt 5, 44). “Io devo amare
quello?” — Sì — “Non posso” — Prega
perché tu possa —. «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (ibid.). “Pregare per quello che
mi fa del male?” — Sì, perché cambi vita, perché il Signore lo perdoni. Questa
è la magnanimità di Dio, il Dio magnanimo, il Dio dal cuore grande, che tutto
perdona, che è misericordioso. “È vero,
Padre, Dio è misericordioso”. E tu? Sei
misericordioso, sei misericordiosa, con
le persone che ti hanno fatto del male?
Possessi cardinalizi
Nel prossimo fine settimana i cardinali Carlos Osoro Sierra, arcivescovo
di Madrid, e Jean-Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan, prenderanno
possesso dei rispettivi titoli di Santa Maria in Trastevere e di Sant’Emerenziana a Tor Fiorenza. Lo rende noto l’ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice (Ucepo), specificando che il porporato spagnolo si recherà nella chiesa romana a piazza di Santa Maria in Trastevere la sera di sabato 25 febbraio, alle 20, e che il porporato ivoriano sarà in quella di via Lucrino a mezzogiorno di domenica 26.
Intanto nella mattina di domenica 19 febbraio, nella parrocchia di
San Leonardo da Porto Maurizio ad Acilia, il cerimoniere pontificio
Pier Enrico Stefanetti, coadiuvato da monsignor Ján Dubina, ha dato
lettura ufficiale della bolla con la quale Papa Francesco ha elevato la
chiesa a titolo cardinalizio presbiterale. L’annuncio è stato fatto all’inizio della messa concelebrata dai due cerimonieri pontifici insieme al
parroco, il francescano padre Paolo Maiello. Nella circostanza è stata
letta anche la bolla di assegnazione del nuovo titolo al cardinale Sebastian Koto Khoarai, vescovo emerito di Mohale’s Hoek. Per motivi di
salute l’anziano porporato del Lesotho lo scorso 19 novembre non aveva
potuto partecipare al concistoro ordinario pubblico, durante il quale il
Pontefice lo aveva creato cardinale.
O che non ti vogliono bene? Se Lui è
misericordioso, se Lui è santo, se Lui è
perfetto, noi dobbiamo essere misericordiosi, santi e perfetti come Lui.
Questa è la santità. Un uomo e una
donna che fanno questo, meritano di essere canonizzati: diventano santi. Così
semplice è la vita cristiana. Io vi suggerisco di incominciare dal poco. Tutti abbiamo dei nemici; tutti sappiamo che
quello o quella sparla di me, tutti lo
sappiamo. E tutti sappiamo che quello
o quella mi odia. Tutti sappiamo. E incominciamo dal poco. “Ma io so che
costui mi ha calunniato, ha detto di me
cose brutte”. Vi suggerisco: prenditi un
minuto, rivolgiti a Dio Padre: “Quello o
quella è Tuo figlio, è Tua figlia: cambia
il suo cuore. Benedicilo, benedicila”.
Questo si chiama pregare per quelli che
non ci vogliono bene, per i nemici. Si
può fare con semplicità. Forse il rancore
rimane; forse il rancore rimane in noi,
ma noi stiamo facendo lo sforzo per andare sulla strada di questo Dio che è
così buono, misericordioso, santo e perfetto che fa sorgere il sole sui cattivi e
sui buoni: è per tutti, è buono per tutti.
Dobbiamo essere buoni per tutti. E pregare per quelli che non sono buoni, per
tutti.
Noi preghiamo per quelli che ammazzano i bambini nella guerra? È difficile, è molto lontano, ma dobbiamo
imparare a farlo. Perché si convertano.
Noi preghiamo per quelle persone che
sono più vicine a noi e ci odiano o ci
fanno del male? “Eh, Padre, è difficile!
Io avrei voglia di stringergli il collo!” —
Prega. Prega perché il Signore cambi
loro la vita. La preghiera è un antidoto
contro l’odio, contro le guerre, queste
guerre che incominciano a casa, che incominciano nel quartiere, che incominciano nelle famiglie... Pensate soltanto
alle guerre nelle famiglie per l’eredità:
quante famiglie si distruggono, si odiano per l’eredità. Pregare perché ci sia la
pace. E se io so che qualcuno mi vuole
male, non mi vuole bene, devo pregare
specialmente per lui. La preghiera è potente, la preghiera vince il male, la preghiera porta la pace.
Il Vangelo, la Parola di Dio oggi è
semplice. Questo consiglio: «Siate santi,
perché io, il Signore, vostro Dio, sono
santo». E poi: «Voi siate perfetti come è
perfetto il Padre vostro celeste». E per
questo, chiedere la grazia di non rimanere nel rancore, la grazia di pregare
per i nemici, di pregare per la gente che
non ci vuole bene, la grazia della pace.
Vi chiedo, per favore, di fare questa
esperienza: tutti i giorni una preghiera.
“Ah, questo non mi vuole bene, ma, Signore, ti prego...”. Uno al giorno. Così
si vince, così andremo su questa strada
della santità e della perfezione. Così sia.