Il ruolo del volontariato nel welfare locale Le organizzazioni tra

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Il ruolo del volontariato nel welfare locale Le organizzazioni tra
dinamiche in atto ed enti locali
Il welfare locale non si regge sul volontariato
È opinione diffusa nella società che il volontariato – che qua intendiamo come insieme di organizzazioni che prestano servizi gratuitamente, sotto varie forme più o meno strutturate, nell’ambito del welfare a livello locale – occupi uno
spazio rilevante, quasi maggioritario, nel welfare locale e che quindi esso sia sorretto fortemente
dal volontariato.
Questa tesi, forse alimentata da un ruolo crescente del volontariato in taluni sistemi locali di welfare, non corrisponde esattamente alla realtà. Lo scenario è in costante evoluzione. Esistono contesti territoriali in cui il volontariato copre una fetta molto importante del welfare sociale, ma affermare che ci sia stato un “effetto sostituzione” del volontariato rispetto al ruolo pubblico è eccessivo.
Il volontariato non si sostenta offrendo servizi di welfare
Allo stesso modo la tesi secondo cui le stesse Organizzazioni di Volontariato (OdV) dipendano dal
sostegno e dai finanziamenti pubblici per svolgere la propria attività è sostanzialmente scorretta.
Il sostengo pubblico è minoritario nel complesso delle forme di finanziamento delle OdV.
Le dimensioni relative a tali forme di finanziamento variano in ciascun contesto locale o regionale: ci
sono regioni o aree geografiche nelle quali il volontariato interviene pesantemente nei servizi sociali, sociosanitari o sanitari, rappresentando un punto di riferimento prioritario per gli affidamenti
con il conseguente flusso di significative risorse pubbliche; mentre ci sono altre aree in cui attori
diversi del terzo settore, in prevalenza cooperative sociali, occupano quasi tutti gli spazi.
Dalle indagini storicamente esistenti in materia, emerge, come noto, un ruolo preponderante della
cooperazione sociale nel gestire i servizi in affidamento nel centro-nord, con una presenza più marcata di organizzazioni di volontariato nel Mezzogiorno, ma sempre largamente minoritaria rispetto
alla stessa cooperazione sociale.
Per niente indagato è invece l’impatto sociale del volontariato nel welfare locale che risulta invece
evidentemente molto rilevante, considerando anche il minor costo in termini di risorse umane sostenuto e quindi a carico della finanza pubblica locale. Ma si tratta, appunto, spesso di servizi diversi.
Il volontariato è la “ruota di scorta” del welfare?
Da anni nei convegni e gli eventi pubblici in cui si riflette sul ruolo del volontariato nel welfare – e la
riflessione si concentra prioritariamente sul welfare sociale – vengono poste ripetutamente domande che trovano solo risposte abbozzate e parziali. Una delle più frequenti riguarda il presunto ruolo
di “ruota di scorta (abusata)” del volontariato nel welfare. Una questione dibattuta da molti anni: in
un contesto di riduzione rapida e progressiva di risorse per il sociale, in particolare i Comuni starebbero approfittando dell’apporto del volontariato per sfruttarlo il più possibile al fine di contenere i costi.
E il volontariato stesso, assalito da un senso del dovere e talora di convenienza sospetta, si presterebbe a questa strumentalizzazione, finendo per tenere in piedi interi settori del welfare. Ma ricerche strutturate che corroborino questa ipotesi non ne esistono, mentre evidenze empiriche dimostrano invece che, come spesso accade nei fatti sociali, il problema sia molto più complicato e articolato di come sembra.
In primo luogo, come abbiamo visto, il volontariato svolge un ruolo importante, ma non maggioritario
nella gestione dei servizi in affidamento; in secondo luogo una parte importante di Comuni ha scelto
di non sacrificare la spesa sociale, andando invece a toccare, per ragioni di bilancio, altre voci; in
terzo luogo il volontariato stesso riesce spesso a fare affidamento su altre risorse di natura privata, provenienti da fondazioni bancarie, aziende, attività varie di raccolta fondi, e quindi ad uscire da
una logica di dipendenza esecutiva dalla pubblica amministrazione per sperimentare politiche più innovative.
Ciò che possiamo aggiungere, dal punto di vista del volontariato, e che sta cambiando anche la geografia delle questioni sociali più urgenti e si stanno modificando le priorità di impegno del volontariato stesso. Parlando di risorse, sono in corso di sperimentazione anche forme di “dimagrimento” di
alcuni servizi gestiti dal volontariato che riescono comunque ad essere assicurati pur senza l’abbondanza di mezzi che li caratterizzava.
In questo quadro dinamico, appare evidente dunque come il volontariato organizzato non possa essere ridotto ad una visione da “ruota di scorta” del pubblico, ma sia un soggetto autonomo che concorre alla realizzazione di obiettivi di benessere nella società.
La risposta è quindi più complessa dell’interrogativo e implicherebbe una medesima complessità nel
porre il problema. Lo sviluppo dei paragrafi successivi parte proprio da un’analisi dello stato di salute delle OdV, del loro rapporto con la pubblica amministrazione, per poi discutere alcuni altri dati
rilevanti e avanzare un’ipotesi sul limiti e potenzialità del ruolo del volontariato nel welfare sociale.
Non ci soffermeremo invece sul tema della qualità della collaborazione fra pubblica amministrazione
e volontariato, tema ben noto a chi si occupa di questioni connesse al welfare, se non per alcuni brevi cenni focalizzati soprattutto sulla progettazione ed esecuzione degli interventi.
Quello che sappiamo sullo stato di salute economica delle OdV
Nel 2014 il Centro Nazionale per il Volontariato e la Fondazione Volontariato e Partecipazionehanno
condotto una rilevazione sulle Organizzazioni di Volontariato (OdV). La ricerca è stata svolta nei
primi mesi del 2014 su un campione di 1.900 presidenti di OdV intervistati tramite un articolato
questionario. Dalla ricerca emergeva uno scenario complesso sullo stato di salute economica delle
organizzazioni di volontariato: da una parte un segno della crisi molto forte, dall’altra una capacità
rilevante di reggerla e di cambiare le proprie dinamiche per andare avanti.
Lo stato di salute economica delle OdV,nonostante la congiuntura negativa da tutti i presidenti avvertita nelle loro attività, risultava buono. Più della metà dei presidenti delle OdV intervistati
(56,6%) riteneva stabile o equilibrata la situazione economica-patrimoniale della propria OdV. Il
29,2% la reputava positiva e solo il 14,1% difficile.
Nel 2011 il 68,8% delle organizzazioni mostravano variazioni nulle o positive delle entrate rispetto
all’anno precedente. Questa situazione si confermava nel 2013: il 69,3% delle OdV italiane stabilizzava o migliorava il livello di entrate del 2012. Per due OdV su tre (63,6%) non sussistevano particolari difficoltà ad affrontare le spese correnti per la gestione dell’attività. Solo il 2,1% delle OdV
mostrava gravi problemi di sostenibilità e circa 1/3 (34,3%) dichiarava di avere qualche difficoltà al
proposito. Guardando ai settori di intervento, si notava che a soffrire di più era, ed è, la Protezione
Civile e non il welfare.
Il rapporto con la pubblica amministrazione
Dall’indagine risulta confermata la propensione delle OdV italiane ad operare su scala locale e nelle
aree del welfare. Comuni, Comunità Montane ed Aziende Sanitarie Locali risultano gli enti pubblici
con cui le OdV si relazionano consistentemente sia nel quadro di accordi convenzionali che per la
realizzazione di altri progetti. Circa la metà delle OdV non operanti nel campo della donazione
(51,3%) risultava nel 2013 titolare di una o più convenzioni con enti pubblici.
È proprio il sociale l’ambito in cui i presidenti registravano una maggiore dinamica di crescita dell’utilizzo delle convenzioni con il pubblico (quasi uno su cinque, il 18,3% prevedeva l’aumento di tali convenzioni e il 67% una invariabilità del numero), anche se il guadagno previsto dall’aumento di tali
convenzioni in previsione era più basso (solo nel 15% dei casi si prevedeva un aumento).
Le OdV del settore sanitario e sociale sono quelle in cui si manifesta, dati alla mano, un aumento più
corposo di convenzionamenti con la pubblica amministrazione. Rispetto alla rilevazione condotta nel
2011, il numero di OdV titolari di Convenzioni con enti pubblici era in leggera crescita (+6 punti percentuali). Nel quadro di rapporti convenzionali con enti pubblici, nel 2013 circa il 50% delle OdV
aveva progettato l’attività in modo condiviso con l’ente pubblico e contribuito a realizzarla (co-progettazione), mentre l’altra metà aveva svolto l’attività che l’ente pubblico ha richiesto (esecuzione).
L’analisi della sostenibilità delle fonti finanziarie del volontariato ci serve ad indagare un punto critico. Attestato che le OdV non ripongono la loro sussitenza materiale nel rapporto con il pubblico,
emerge però un’area di criticità riguardante, dal punto di vista economico, il forte ritardo con cui il
pubblico riesce a saldare i propri debiti con le OdV. Solo una quota minima di organizzazioni (tra lo
0,6% e il 2,2%) dichiarava di avere difficoltà a saldare i debiti contratti verso terzi. D’altra parte,
la difficoltà nella riscossione di crediti verso privati interessava il 2,6% delle OdV intervistate.
Il 13,8% del campione aveva invece difficoltà a riscuotere i crediti verso la pubblica amministrazione. I crediti non riscossi al momento dell’intervista creavano problemi di liquidità al 39,2% delle
OdV in posizione di creditori. Questa situazione riguarda tutte le OdV, in particolare quelle operanti nel welfare. L’unica area di sofferenza economica delle OdV riguarda il rapporto con la PA. Il
dato non appare eccessivamente drammatico, ma è comunque fortemente negativo considerando la
natura del rapporto.
Tre modelli di rapporto tra volontariato e enti locali
Con le dovute eccezioni, il pubblico, inteso come ente locale, riesce a mantenere una interlocuzione
“volenterosa” e propositiva con il volontariato, non solo perché ne rispetta il ruolo pubblico e ne
comprende l’utilità in termini di servizio ai cittadini, ma anche perché negli anni si sono sviluppate
relazioni, collaborazioni, sinergie ormai patrimonio condiviso della politica locale. Circa la metà dei
rapporti in convenzione maturano con una dinamica di co-progettazione, mentre un’altra metà avviene in nell’ambito di relazioni in cui l’ente locale affida al volontariato un mero ruolo esecutivo.
Un dato che potrebbe essere letto in maniera negativa, ma la cui interpretazione richiederebbe
però di entrare nel merito di tali rapporti: trattandosi spesso di servizi ripetuti nel tempo e con limitati margini di manovra. Lo sforzo di co-progettazione, grazie anche alla maturità politica conquistata dal volontariato, è abbastanza alto, con i margini di miglioramento nel reciproco approccio che
chi ha un minimo di sguardo sul welfare locale può notare in maniera evidente. Tutto bene quindi
tranne le fisiologiche criticità? No. E nei prossimi paragrafi vedremo perché.
Accanto ai rapporti consolidati relativi alla realizzazione di un servizio, si stanno facendo strada
modelli di relazione secondo cui il volontariato può esprimere al meglio la propria forza propositiva;
si tratta dei casi in cui un ente locale – e stiamo parlando prioritariamente di Comuni – possa mettere sul campo asset e valori non solo e non tanto di natura monetaria, ma legati alle ricchezze congelate (immobili, aree pubbliche, spazi condivisi) e alla visibilità dell’ente, nonchè ad un ruolo di regia e
coordinamento di progetti su scala locale.
Il locus della collaborazione fra pubblico e volontariato non è più tanto la dimensione duale dell’affidamento di un servizio, ma una dimensione policentrica di alleanza e condivisione di visioni, progettualità e risorse di varia natura.
Riassumendo: si consolidano forme di rapporto “esecutivo” fra pubblico e volontariato, crescono le
forme di rapporto “alla pari” (sintetizzate nel tema della co-progettazione) e si affermano forme
originali di interlocuzione fuori dai confini tradizionali dell’affidamento dei servizi. Queste tre forme coesistono e non si escludono, anzi potremmo dire che rappresentano un’occasione di crescita e
rinnovamento della mission del volontariato.
Un bisogno primordiale
Prima di analizzare la rilevanza di alcune forme di volontariato e le implicazioni che hanno sul welfare facciamo un passo indietro: CSVnet, il coordinamento nazionale dei Centri di Servizio al Volontariato, lo ha definito un “bisogno primordiale”. In effetti, ma questa è un’opinione di chi scrive, la
propensione a fare volontariato in Italia non conosce stanchezza, nonostante vi sia invece una stanchezza generalizzata delle forme della partecipazione sociale e politica. Una tendenza evidente anche fra i giovani.
I giovani, che come noto in Italia vivono le situazioni di maggiore precarietà, continuano a fare volontariato. Osservando i dati Istat – elaborati sulla base di interviste ad un campione rappresentativo di 40.000 persone, nell’ambito dell’Indagine Multiscopo “Aspetti della Vita Quotidiana” – i giovani in effetti si impegnano meno degli adulti, ma si tratta di differenze molto contenute: la fascia
di età dove ci si spende di più per gli altri è fra i 40 e i 64 anni (circa il 15%), mentre sotto i 35 anni
si danno da fare in media fra il 10 e il 12%.
Non esistono serie storiche di dati da confrontare per capire se i giovani si impegnino di più o di
meno rispetto al passato, ma le dimensioni del loro impegno sono nella media della popolazione nel
suo complesso. Dall’analisi dei dati realizzata sempre dalla Fondazione Volontariato e Partecipazio-
ne, viene smentito anche il luogo comune secondo cui i giovani non si farebbero “ingabbiare” dalle
realtà organizzate e si impegnerebbero di più in forme inedite e leggere.
Il tasso di partecipazione al volontariato dei giovani è del 10,7%, quelli che si impegnano in forme
solo organizzate sono il 6,7%, mentre coloro i quali lo fanno in maniera individuale il 3,2%, mentre lo
0,8% fa entrambe le cose. Fra gli adulti dai 30 e i 49 anni il 5,7% lo fa in forma individuale e non organizzata, quindi assai superiore.
I dati qua sommariamente presentati possono condurci ad alcune ipotesi e deduzioni molto utili al
fine di comprendere quali siano le tendenze nel volontariato italiano e quindi a disegnare possibili
approcci per valorizzare le forme di partecipazione nei sistemi di welfare locale.
1. Seppure le forme inedite di partecipazione (meno impegnative in termini di appartenenza alle organizzazioni oppure ad esempio legate ai grandi eventi) siano in forte crescita ed esercitino un
grande appeal, il “fascino della divisa” è ancora molto di moda e le forme più strutturate e organizzate riescono a coinvolgere ancora la maggioranza delle persone – adulti, giovani, donne etc. – che si
vogliono impegnare;
2. Le forme organizzate con le loro rappresentanze sono ancora i punti di riferimento per gli attori
di politiche pubbliche locali, i quali però devono, come vedremo nei paragrafi successivi, tenere sempre di più in considerazione altre forme di impegno che si propongono;
3. Nonostante la crisi in atto che investe le sfere della società, dell’economia, delle istituzioni, della
finanza pubblica etc., esiste una dorsale sociale, il volontariato appunto, che registra tassi di partecipazione costanti;
4. C’é un volontariato che si rapporta con le istituzioni non per chiedere soldi, ma ad accreditarsi
come possibile interlocutore volto a valorizzare asset e risorse bloccate che il pubblico non riesce a
riattivare. Queste energie possono essere fondamentali rendere i nostri territori più presentabili;
in questo senso il volontariato può assumere un ruolo di volano di crescita economica di qualità;
5. Il campo di innovazione del rapporto fra volontariato e pubblica amministrazione non si decide più
tanto sui servizi classici in campo sociale, sanitario o socio-sanitario, ma si gioca su nuovi fronti di
collaborazione nei quali, come vedremo in chiusura nessun attore esercita il proprio ruolo da solo,
ma integrandosi agli altri in un’efficace azione di rete.
Individuare e coordinare le risorse
L’amministrazione locale (intesa in senso complessivo con le varie funzioni e responsabilità) che si
occupa di welfare è oggi solitamente pressata dalle necessità, anche gravi, lavora sotto stress e
vive la frustrazione di non aver a disposizione adeguate risorse economiche e materiali per fronteggiare le situazioni. Ha in mano strumenti vecchi per lavorare su questioni nuove. Ma ha molte potenzialità. Certo, scrivere di fronte ad un monitor di un computer è facile, la realtà è molto più complessa. Ma la sensazione è che se il welfare municipale non cambia, rimarrà solo un piccolo lusso di
pochi.
Per uscire dalla frustrazione non servono solo più soldi, servono nuove idee. Serve più coraggio e più
fantasia. Unire le forze sul territorio, esercitare la regia di nuovi progetti, chiedere al privato e al
privato sociale di misurarsi e di accettare la sfida. E a chi ha di più, si pensi ad esempio allo sterminato patrimonio di immobili sfitti ed inutilizzabili, di fare la propria parte in un’ottica di equità. Il
campo di lavoro è molto ampio. Solo per fare un esempio si pensi al progetto “Abitare Solidale” di
Auser, già noto ai lettori di Welfare Oggi.
Abitare Solidale si propone di dare risposte concrete, anche se temporanee, a una pluralità di bisogni legati all’emergenza casa; al contempo mira a sviluppare, mediante la promozione di coabitazioni
strutturate sul principio del mutuo aiuto, sistemi del tutto nuovi di welfare di comunità fondati sui
valori della reciprocità e della cittadinanza attiva. Al progetto partecipano anche gli enti pubblici,
ma le risorse le governa l’associazione. Il pubblico deve aiutare a fare rete, aspetto che sembra essere tutt’altro che scontato.
Se andiamo ancora ad attingere dalla rilevazione della Fondazione Volontariato e Partecipazione sui
presidenti delle OdV, notiamo come la pratica della collaborazione significativa con altri soggetti
non-profit riguardi ancora una minoranza delle OdV: solo il 23,3% delle OdV ha collaborato nel 2013
con altre OdV o con associazioni di mutuo-aiuto, il 14,4% con associazioni di promozione sociale,
centri sociali e centri socio-ricreativi, il 9,4% con strutture ecclesiali. Percentuali ancora più esigue
di OdV hanno all’attivo nel 2013 collaborazioni significative con altri soggetti non-profit.
Un esempio di nuova frontiera
Fra i tanti casi e gli esempi possibili (ricordiamo in questa sede la varie proposte di “Regolamento
dei Beni Comuni” e di amministrazione condivisa che saranno oggetto di alcuni approfondimenti nei
prossimi numeri di Welfare Oggi), ne riportiamo uno. Simone Vellucci è il presidente di Retake
Roma, uno dei gruppi di piccoli comitati di quartiere (70 solo nella capitale) diffusi ormai in varie
città italiane che hanno lo scopo di ripulire strade e piazze dalla sporcizia e dal vandalismo.
Vellucci, intervenuto ad un convegno organizzato da CSVnet intitolato “La scommessa del volontariato post-moderno”, ha insistito sulla strategia di coinvolgimento diretto dei cittadini.
“Facciamo fatica – ha detto – a far capire che noi siamo solo cittadini, che tutto avviene spontaneamente e che non c’è un “grande fratello” dietro di noi. Per questo quando riceviamo sul nostro profilo Facebook commenti come “bravi”, “complimenti”, reagiamo rispondendo: “guarda che tu sei come
noi, potresti impegnarti come noi”.
“Noi intercettiamo soprattutto persone che non hanno mai fatto volontariato in vita loro – ha proseguito –, ma siamo sempre attenti a sottolineare che noi siamo un’organizzazioneone issue, cioè finalizzata ad una sola istanza, e che non ci si deve aspettare da noi ciò che la politica non è riuscita a
fare.
Nei confronti della pubblica amministrazione – ha concluso – abbiamo sempre detto che noi possiamo essere il suo peggior incubo o la sua migliore opportunità”. Ma spetta ad essa dimostrare di essere “concretamente sensibile all’istanza su cui noi interveniamo con la nostra azione civica”. Fra incubo e possibilità esiste esattamente lo spazio di manovra per il welfare locale: trovare un senso a
nuovi paradigmi che riescano a rigenerare risorse in maniera sostenibile, riuscendo anche nell’ardua
impresa di far ritrovare fiducia reciproca fra amministratori e amministrati.
Conclusioni: come può un Comune aiutare il volontariato?
La ricetta magica non esiste. Innanzi tutto gli attori di welfare locale dovrebbero allargare lo
sguardo corto in cui sono costretti dalle comprensibili contingenze e pensare a paradigmi diversi di
collaborazione che già esistono e vedono il volontariato protagonista. Uscire dalla logica della buona
prassi relegata in un angolo per mettere coraggiosamente a sistema questi nuovi approcci. Mettere
in discussione alcune prassi consolidate non più sostenibili e sacche di piccoli privilegi che impediscono la partecipazione anziché generarla.
È necessario uscire dalla logica emergenziale nella quale amministrazioni e volontariato si tengono
reciprocamente sotto pressione per risolversi, sempre reciprocamente, piccoli e grandi problemi;
condividere competenze, connettere il volontariato con il profit per contaminazioni fruttuose, utilizzare una narrazione positiva di politici locali stimati per rendere più prestigioso, trasparente e
attraente il volontariato, soprattutto quando sperimenta progetti con rischio di riuscita considerevole. Pretendere il lavoro in rete e il gioco di squadra all’interno delle organizzazioni come requisito
fondamentale nei progetti di collaborazione.
E soprattutto orientare risorse economiche volte a valorizzare beni e patrimoni inutilizzati – soprattutto quelli familiari e relazionali – in un’ottica di partecipazione e non solo di immagine. Abbiamo, dunque, molto da fare per tutto il prossimo secolo intero.
Giulio Sensi
(articolo tratto da www.volontariatoepartecipazione.eu)