Stampa uscita - La scuola possibile

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Transcript Stampa uscita - La scuola possibile

Pubblicata da Sysform Editore 00131 Roma Via Monte Manno 23 -
Direttore Responsabile Manuela Rosci
Edizione sfogliabile della rivista telematica www.lascuolapossibile.it
Iscrizione al Tribunale di Roma 63/2010 del 24/02/2010
Iscrizione al R.O.C. n.19433
N.70 febbraio 2017
Codice ISSN 2281-3233
Web Content Manager Maurizio Scarabotti
Editoriale
Un carico di energia
Esporsi alla formazione fa bene
di Rosci Manuela – Editoriali
cade nel gruppo. Gli schemi rappresentativi delle diverse relazioni all'interno della
classe (il primo "a raggiera, con il docente al
centro di un sole che emana raggi verso i discenti; il secondo "a rete", con scambi che
avvengono tra tutti senza necessariamente
passare per il docente) connotano dunque
l'insegnante artefice del ben-essere a scuola
(e purtroppo anche del mal-essere!). Potenziare il senso di responsabilità e di autonomia degli alunni, far sì che diventino veri attori del loro percorso formativo, valorizzare
la diversità nella classe non come elemento
di differenziazione negativa ma come varietà
di risorse presenti nel gruppo, sollecitare la
collaborazione e lo scambio tra pari, sono
solo alcuni dei punti che rappresentano il focus della SOCIALIZZAZIONE considerata
una delle competenze base, fondamentale e
trasversale, in linea con quanto sollecitato
dalle Indicazioni nazionali (2012), come ha
ben argomentato la prof.ssa Luisa Molinari
dell'Università di Parma. Solo una lettura sistemica restituisce alla scuola e alle sue
componenti gli elementi per individuare alcuni aspetti che vanno esplicitati per essere
meglio compresi: il principio di INTERDIPENDENZA, per cui gli elementi del sistema sono
in stretta relazione (come in tutti i sistemi,
Reduce dal convegno "In classe ho un bambino che ..." organizzato da Giunti Scuola, a
cui ho partecipato con un nutrito gruppo degli autori di questa rivista, sento di confermare che l'esposizione alla formazione fa
bene, anche quella somministrata in dose
unica (20h in due giorni) perché fornisce al
binomio mente-corpo una sferzata di energia, dà vigore, e permette così di continuare
ad affrontare una stagione (quella scolastica) sempre ricca di imprevisti e capovolgimenti climatici.
Le due giornate sono state ricche di input che
hanno permesso di confermare e ampliare la
visione della scuola, soprattutto l'importanza
dell'insegnamento e le conseguenze positive
o negative, a seconda di come si gestisce "il
potere" in classe.
Apparentemente inappropriata -la parola
"potere" sembra contrastare con la visione
svalutata della professione docente nel nostro Paese- è stata utilizzata per illustrare
come sia sottile la linea di confine che divide
i concetti di PARTECIPAZIONE e CONTROLLO
esercitati in classe: non può esserci partecipazione attiva degli alunni se l'insegnante mantiene altro il controllo e la
gestione unidirezionale di quanto ac-
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la famiglia in primis) e si influenzano reciprocamente; i PROCESSI EVOLUTIVI che caratterizzano un sistema devono tenere in equilibrio la necessità di cambiamento/evoluzione con la "continuità" del sistema a cui si
appartiene e che fornisce l'ancoraggio alla
stabilità. Cambiamento e continuità, dunque, aspetti di uno stesso vissuto che caratterizza la scuola oggi come non mai e la consapevolezza che una diversa gestione delle
relazioni in classe è fondamentale per produrre ben-essere e apprendimento significativo. Inoltre, la qualità delle relazioni sociali è indice predittivo della qualità
dell'apprendimento. La capacità di "leggere" gli altri per capire cosa gli altri pensano
(Teora della Mente) è una abilità socio-cognitiva fondamentale, che va promossa e
sviluppata negli allievi perché ha ripercussioni sociali -sono più popolari e cercati dagli
altri- e ripercussioni cognitive -aiutare gli
studenti a riflettere sul funzionamento della
mente-. perché capire e tener conto ad
esempio della critica dell'insegnante, della
sua vera INTENZIONE COMUNICATIVA, si
raccorda con la capacità metacognitiva ed è
predittore del successo scolastico (prof.ssa
Serena Lecce, Università di Pavia).
gli apprendimenti che riattivano anche emozioni sgradevoli. In questo modo si può incorrere nel rischio di un allontanamento
dall'apprendimento".
Difficile riportare quanto altro di fondamentale è stato detto ma, soprattutto, quanto
ogni intervento abbia offerto l'occasione per
ulteriori riflessioni che andranno certamente
a influenzare il modo di lavorare nel presente
e nel futuro. Come sempre la consapevolezza non evita di compiere errori ma ti fa
capire quando li compi, così la possibilità di
scegliere se cambiare oppure no è semplicemente mia (e di ognuno di noi): quella responsabilità che io definisco "rischio pedagogico" che deve essere assunto da chi si interfaccia con persone da educare (docenti e
genitori).
Quello che mi sono portata via da questa
"due giorni" è stata anche l'idea rinforzata,
rinvigorita dalle sollecitazioni culturali offerte
da tutti i relatori, che nella SCUOLA POSSIBILE -quella che sperimentiamo nelle nostre
classi di scuola pubblica e che, in punta di
piedi, cerchiamo di raccontare sulle pagine
della rivista, con la collaborazione di tutti coloro che credono in una scuola attiva, in una
scuola che promuove competenze per la
vita- il "vero potere" dell'insegnante sta nel
saper ORCHESTRARE contenuti e abilità con
la capacità relazionale, con la capacità metacognitiva che permette di attivare una continua riflessione su come funziona la mente
(sia nostra che degli alunni) alle prese con
l'impegno più grande e forse ancora troppo
sottovalutato: accompagnare e affiancare
con discrezione e competenza la persona che
cresce nell'ottica che se io cresco anche
lui/lei cresce e viceversa perché NEL SISTEMA SCUOLA SI CRESCE INSIEME.
L'intervento dirompente dal punto di vista
emotivo, oltreché cognitivo, è stato quello
della prof.ssa Daniela Lucangeli dell'Università di Padova. Nota per la sua capacità di
"illuminare", questa volta ha picchiato
sodo, ha tirato le orecchie agli insegnanti che non si rendono conto di essere a volte loro stessi artefici del malessere degli alunni. La stretta relazione
tra emozione e cervello -lei stessa ha ammesso di averla sottovalutata nella prima
parte della sua carriera di ricercatore- evidenzia come l'attivazione emotiva favorisca
la memorizzazione di informazioni. Tuttavia,
se l'informazione appresa si lega ad una
emozione negativa (senso di colpa, vergogna, paura ...), quando si recupera l'informazione riaffiora anche il sentimento vissuto. "Ogni volta che dovrò recuperare le informazioni che ho appreso sentendomi in
colpa, oppure vergognandomi della mia prestazione o ancora avendo paura di ciò che
può succedere, si riattiveranno non soltanto
le conoscenze apprese, ma anche queste
emozioni negative. Se questo meccanismo
persiste lo studente metterà in atto dei meccanismi di difesa e cercherà di evitare tutti
Manuela Rosci
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Pag.2
In questo numero febbraio 2017
Area Tematica
Titolo
Autore
Un carico di energia
Rosci Manuela
"Capovolgiamo" la didattica
A ciascuno la sua maschera
Dai banchi di scuola ai banchi del Senato
Paraponziponzipo'
Proietti Michela
Santigliano Leonilde
Lode al cruciverba
Pettinari Francesco
"Facciamo che...?"
Miduri Maria Chiara
E tu, di che "like" sei?
Un compito per la vita
La comunicazione senza
ascolto
Quando l'inclusione è... bidirezionale
Interroghiamo...ci
La battaglia delle tabelline
Le leggi sull'inclusione scolastica
Lo Student Voice
Profitto e competenza
Tutti "sei", tutto sei
Dispositivi a Disposizione
I CoderDojo: "palestre di
creatività"
Presutti Serenella
Ventre Angela
Malagesi Stefania
Parisi Roberta
Bono Liliana
Callori Riccardo di Vignale
De Angelis Giovanna
Orsolillo Giuseppina
Fazio Fernanda
Rago Giuseppe
Calcagni Maria
Pellegrino Marco
Palumbo Stefania
Riccardi Barbara
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Dalla prima pagina
Le leggi sull'inclusione scolastica
Dalla legge 104 alla futura legge delega
di Fazio Fernanda - Orizzonte scuola
realizzato: una delle esperienze più importanti di crescita sociale,
culturale ed etica della
scuola italiana, forse la
più importante dopo
l'obbligatorietà
della
scuola per tutti.
Certo tutto può essere
oggetto di miglioramento, tutto può e
deve andare incontro al
cambiamento ma, vista
la complessità e l'importanza
di
questo
tema, è indispensabile
che si agisca con grande cautela, competenza e saggezza. Se qualcosa non ha funzionato o non funziona andiamo a cercare di
capire il perché e come, invece, potrebbe
funzionare meglio. Non ricerchiamo il colpevole, cerchiamo le strategie per costruire nuove opportunità. Ed è con questo spirito dell'αγορά che l'Assemblea dei
100 si è formata, chiamando a raccolta rappresentanti dell'università, della pedagogia,
della psicologia, della formazione, della specializzazione, dirigenti, docenti di ogni ordine
e grado, associazioni professionali, CTS, assistenti, famiglie, ragazzi, esperti, referenti
degli Enti locali.
Il compito che si è dato è stato quello di informarsi e reperire le bozze della legge che
stava per essere varata, studiare, incontrarsi
e produrre un documento condiviso, propositivo e realizzabile su dieci punti che sono
stati ritenuti cardine per realizzare una
nuova normativa organica. Il documento è
stato realizzato e consegnato al MIUR ma
non ha ricevuto risposta. Ora in occasione
della convocazione dell'Osservatorio permanente per l'integrazione scolastica
delle persone in situazione di handicap,
per presentare la nuova Legge Delega, "I
100" propongono un nuovo, sintetico, irrinunciabile documento in cui fanno presenti
le più urgenti correzioni da apportare alla
Lo scorso 15 novembre, la "Scuola Possibile"
(con Marco Pellegrino, Manuela Rosci e Patrizia Ruggiero) ha partecipato ai tavoli di lavoro costituiti durante la Giornata Formativa
Nazionale "Legge delega sull'inclusione:
stato dell'arte e proposte", organizzata
dall'associazione FIABA; il confronto tra diversi professionisti del mondo della Scuola si
è tenuto all'interno della storica sede romana
della Fondazione "Ernesta Besso", con lo
scopo di elaborare proposte concrete in vista
della Legge Delega in tema di inclusione scolastica.
Ma quante sono le leggi per l'inclusione?
Dall'esclusione all'inserimento, dagli istituti
di beneficenza alle classi speciali, dalla Montessori a Don Milani, da Gentile alla Falcucci,
dalla 104 alla futura Legge Delega (o
Schema di decreto legislativo n° 377 /78): è
veramente impossibile contarle tutte. La farraginosità della normativa italiana ha prodotto centinaia di Leggi, Decreti, Decreti applicativi, Ordinanze ministeriali, Accordi interministeriali, regionali, provinciali, comunali, Piani programmatici. Nonostante tutto,
proprio in occasione del venticinquesimo
compleanno della Legge 104 del 1992, è doveroso riflettere su quanto questa legge, con
la sua complessa e articolata normativa, ha
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normativa che condizionerà i futuri dieci anni
della scuola.
Le proposte complete elaborate dall'Assemblea sono leggibili sul documento allegato a
questo articolo.
di Fernanda Fazio, Flavio Fogarolo, Maria Rosaria Mallo, Giancarlo Onger, Nicola Striano
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Dalla prima pagina
Quando l'inclusione
bidirezionale
La bellezza della diversità in "Ho Amici in Paradiso"
di Callori Riccardo di Vignale - Oltre a noi...
avvicinarmi per la prima volta alla realtà
della Casa San Giuseppe dell'Opera Don
Guanella in via Aurelia Antica a Roma, dove
il film è ambientato. Negli anni successivi ho
potuto condividere quella atmosfera particolare dal suo interno in qualità di medico specialistica; ancora oggi, ormai in pensione, rimango particolarmente legato a quella
grande famiglia che non finirà mai di stupirmi soprattutto per la sua capacità di ricordare le persone che, come me, è riuscita ad
includere al suo interno.
Per la recensione tecnica della pellicola lascio
lo spazio alla penna di mio figlio Lorenzo, redattore presso 'Al di là del Cinema... Magazine di Spettacolo e cultura a cura di Licia
Gargiulo'.
di Riccardo Callori di Vignale,
Neuropsichiatra Infantile
La bellezza della diversità in Ho Amici in
Paradiso
Fai il bene e lascia dire
(Don Luigi Guanella, cit.)
"Il concetto di comunità inclusiva significa
che le comunità adattano le loro strutture e
le loro procedure per facilitare l'inclusione
delle persone con disabilità, piuttosto che
aspettare che quelle cambino per adattarsi
alle condizioni esistenti" (ILO, UNESCO,
WHO: <<Community Based Rehabilitation>>, 2004).
Dopo la presentazione alla Festa del Cinema
di Roma 2016 all'interno della sezione Alice
nella Città, arriva finalmente al cinema Ho
Amici in Paradiso, opera dall'immenso valore
sociale che racconta la disabilità attraverso
la commedia.
Da alcuni giorni è uscito al cinema Ho amici
in Paradiso (Cortese, 2016) che, senza far ricorso a tentazioni moralistiche e didattiche,
grazie al suo alto valore pedagogico-educativo meriterebbe di essere proiettato nelle
scuole e diventare spunto di riflessione per
un ricco dibattito.
Nei primi anni Settanta, quale giovane componente del gruppo romano di Viva la Gente,
in occasione di uno spettacolo ebbi modo di
Non lontano dal centro di Roma sorge la
Casa San Giuseppe, Centro di Riabilitazione
dell'Opera Don Guanella che da quasi
cent'anni accoglie persone con disabilità intellettiva. Una grande famiglia capitanata da
Don Pino Venerito, che da subito ha intravisto nel progetto del film un'opportunità riabilitativa per i ragazzi: recitazione come terapia.
L'idea nasce dall'esperienza personale del
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Pag.9
regista Fabrizio Maria Cortese, già autore televisivo, che da due anni frequenta il Centro.
"Conoscendo col tempo gran parte degli
ospiti, ne ho individuati una decina per avviare un laboratorio teatrale, riscontrando
una capacità d'ascolto davvero notevole".
Il 23 gennaio scorso, presso la Casa del Cinema di Villa Borghese, si è svolta la conferenza stampa del film.
Oltre al regista Cortese e al protagonista Ferracane, ha presenziato l'intero cast artistico:
Valentina Cervi (Giulia); Antonio Catania
(Don Pino); Antonio Folletto (Antonio); Enzo
Salvi (Enzo); Emanuela Garuccio (Katia);
Christian Iansante (U' Pacciu). Non sono
mancati anche i principali interpreti del Don
Guanella: Daniela Cotogni (Carmelina); Michele Iannaccone (Natale); Paolo e Giorgio
Mazzarese (Salvatore e Marcello); Stefano
Scarfini (Fabrizio); Mariano Belvedere (Giacomo);
Paolo
Silo
(Roberto).
Tra i vari interventi, l'affermazione di un
ospite del Centro: "Da questo film ho imparato che ognuno di noi ha la possibilità di essere attore" - e forse non intendeva solo davanti alla cinepresa, ma nella vita, interpretando ruoli che mai si riteneva possibili né
tantomeno che esistessero - "Nel corso delle
riprese, sono entrato a stretto contatto con
persone più disabili di me. Essere costantemente al loro fianco, condividere i loro bisogni, trascorrere insieme le giornate... È stata
un'esperienza irripetibile che mi ha aperto gli
occhi; ho capito quanto sia importante e
soddisfacente operare per il bene del prossimo". Un messaggio d'amore che dovrebbe
colpire chiunque si siede in sala. E l'emozione più grande è osservare proprio gli
ospiti del Don Guanella calarsi nei ruoli con
totale autoironia, raccontando la loro stessa
quotidianità in chiave tragicomica. Il grande
pregio di Ho Amici in Paradiso infatti resta il
raccontare la disabilità in un film per famiglie, che è tanto per gli adulti quanto per i
ragazzi.
La peculiarità della pellicola risiede infatti
proprio nel cast artistico, composto sia da attori professionisti sia dagli stessi ospiti del
Centro. Si tratta di un'occasione, per
quest'ultimi, di trasformarsi da oggetto
di percorsi di riabilitazione a soggetti di
riabilitazione. Questa è la vera inclusione
sociale; questo il messaggio del film. Si
tratta di un punto delicato su cui riflettere
profondamente. L'opera di Cortese approfondisce il tema della disabilità al fine di sensibilizzare e avvicinare il pubblico ignorante
verso un argomento che nel nostro Paese è
costantemente oggetto di discussione. In tal
senso, la pellicola si fa bandiera di conoscenza e approfondimento di questo mondo
che resta sconosciuto alla stragrande maggioranza dei cittadini.
I disabili di Ho Amici in Paradiso, grazie alla
loro spontaneità, freschezza e leggerezza,
smuovono l'animo del protagonista Felice
Castriota (Fabrizio Ferracane), un commercialista salentino coinvolto in loschi affari e
pertanto condannato allo svolgimento di servizi sociali presso il Centro di Riabilitazione
dell'Opera Don Guanella di Roma. Dopo un
iniziale atteggiamento di rifiuto dell'ambiente, Felice trova la sua giusta dimensione
e si sente rivalutato nella sua dignità di uomo
proprio grazie al contatto con persone affette
da disabilità e con la collaborazione degli
operatori del posto. Ciascun individuo lo accompagna in un percorso di recupero dei valori autentici della vita. I disabili, suoi nuovi
amici, diventano in tal modo il suo Paradiso
in Terra.
Il film è prodotto da Golden Hours Film e Rai
Cinema, in associazione con Opera Don Guanella Centro di Riabilitazione Casa San Giuseppe e DESI, in collaborazione con la Fondazione Ente dello Spettacolo e l'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali (UCS)
della Conferenza Episcopale Italiana.
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(Di seguito, il backstage del film)
di Lorenzo Callori di Vignale,
Giornalista, insegnante e critico cinematografico, Social Media Manager
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Lo Student Voice
Un approccio per innovare l'agire didattico
di Rago Giuseppe - Orizzonte scuola
supervisione dell'insegnante, l'opportunità di
esprimersi utilizzando la voce in maniera ordinata e non casuale, in modo da generare
un intreccio creativo e aperto, propedeutico
nel favorire la discussione e il reciproco
scambio di interpretazioni in una dimensione
sociale dell'apprendimento dove oggetto
dell'educazione diventa la costruzione di uno
stato interiore che sia capace, a sua volta, di
orientare per tutta la vita l'individuo verso
l'apprendimento (Morin, 2001).
Emerge oggigiorno la necessità di fortificare
la legittimazione della voce degli studenti,
ancora troppe volte considerati "fruitori" e
non "protagonisti" di una scuola che attende
di essere rinnovata. L'ancora di salvezza non
possono che essere le tecnologie (si pensi ad
esempio ai forum, ai blog e alle piattaforme
per l'e-learning) che aiutano ad esprimersi al
meglio, a raccontare e a raccontarsi, contribuendo non soltanto attraverso il personale
punto di vista, bensì portando avanti, sul
piano educativo, l'opportunità di dare valore
al potenziale comunicativo ed espressivo,
amplificato e abilitato nelle nuove generazioni dalla rete e dai nuovi linguaggi comunicativi.
Gli studi, infatti, hanno dimostrato la naturale tendenza degli studenti a distrarsi
meno, a cooperare, a diventare più creativi
e a sviluppare capacità di produzione di idee
innovative proprio grazie agli strumenti digitali e alla partecipazione "attiva" in classe. Si
è dimostrato, infatti, che il rinnovamento degli apparati scolastici attraverso l'utilizzo
delle nuove tecnologie può favorire alcune
modifiche generali del contesto della relazione educativa ed essere quindi positivo per
l'apprendimento: non si può affatto ignorare
quanto le tecnologie siano in grado di stimolare la curiosità, l'esplorazione, lo scambio
tra pari, la comunicazione, la creatività, tutti
ingredienti fondamentali per ogni tipo di apprendimento.
C'è dell'altro: la proposta Student Voice
trova riscontro anche nelle indicazioni
europee che prospettano un'istruzione
In un'ottica di responsabilità sociale, la
scuola, da sempre considerata l'istituzione
preposta all'educazione e all'istruzione, è
chiamata oggi a rinnovare, nelle scelte politico-organizzative e pratico-metodologiche,
il suo paradigma di riferimento, accettando e
inglobando opportunamente nel suo agire
formale tutte quelle caleidoscopiche sfaccettature degli apprendimenti informali che
dall'insegnamento e dalla trasmissione di valori, norme, conoscenze, capacità e linguaggi
conducono a quella socializzazione sistematica che guarda al sistema educativo prima
di tutto come mezzo di integrazione e coesione sociale (Durkheim, 1971).
Siamo di fatto abituati ad una scuola statica
e oppositiva nei canoni e nelle strutture portanti, affaticata nei tentativi di abbracciare
quegli input di flessibilità richiesti dai nuovi
paradigmi che non possono trascurare l'utilizzo delle nuove tecnologie, in particolare
per la valorizzazione dell'individuo e delle
sue esperienze, collettive e sociali.
È necessario, in quest'ottica, concentrarsi
sugli studenti, da coinvolgere in un ruolo
tutt'altro che passivo, ai quali deve necessariamente essere affidata la "riforma" del setting didattico: solo così le idee e le opinioni
della classe potranno essere accolte, negoziate, valorizzate e plasmate sul progetto
educativo proposto dall'insegnante e supportato dalle nuove tecnologie.
È questo il modello Student Voice: un processo dinamico, democratico e allo
stesso tempo capace di allestire ambienti inclusivi, puntando allo sviluppo di
abilità sempre più partecipative, creative e
socializzanti atte a sviluppare una capacità
critica e dialogica, dando ad ognuno, con la
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basata sull'adesione al principio di
uguaglianza, al rispetto dei diritti umani
e dei valori democratici (Watkins, 2012),
con la consapevolezza di poter vantare
nell'azione educativa quella ricchezza generata dalla valorizzazione delle diversità
dell'alunno (considerato come vera risorsa)
e dal sostegno nella promozione di un apprendimento disciplinare, pratico, e allo
stesso tempo emotivo e sociale.
Nell'era della simultaneità intercognitiva, tra
interrogativi e sperimentazioni pedagogiche,
la proposta di sperimentazione è quella di incentivare lo spirito dell'approccio Student
Voice, questo nuovo processo antropocentrico che, se accolto e ben tessuto nella fitta
rete di orientamenti didattici, potrebbe davvero contribuire a delineare ancor meglio in
Italia, nelle nostre classi, i tratti di una
scuola che, sposando l'incipit dell'UE, si sviluppa e mantiene viva la democrazia generata dalla condivisione formativa, dalla corresponsabilità e dalla compartecipazione
educativa per la promozione dei valori democratici, della coesione sociale, della cittadinanza attiva e del dialogo interculturale.
Giuseppe Rago,
docente incaricato presso l'Università di Foggia ed esperto di didattica digitale
Bibliografia
-Durkheim, E. (1971). La sociologia e l'educazione. Roma: Newton Compton.
-Morin, E. (2001). I sette saperi necessari all'educazione del futuro. Milano: Raffaello Cortina
Editore.
-Watkins, A. (2012). La formazione docente per l'inclusione: Profilo dei docenti inclusivi. European Agency for Development in Special Needs Education.
-Conclusioni del Consiglio su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore
dell'istruzione e della formazione ("ET 2020"). Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea.
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Dalla prima pagina
Dispositivi a Disposizione
Il BYOD: "Porto il mio dispositivo" in classe
di Palumbo Stefania - Scuola & Tecnologia
gli alunni a portare in classe il proprio pc, tablet o cellulare, ma mi accorgevo di essere
una dei pochi e di proporre tale esperienza
in modo sporadico e occasionale.
Quest'anno, in accordo con il team di classe,
si è deciso di provare a far portare ai ragazzi
il proprio dispositivo, nel giorno della settimana in cui si avvicendano tutte le insegnanti durante le otto ore di scuola. All'inizio
sono state concordate con i genitori - il cui
aiuto e sostegno sono risultati essenziali - alcune regole, trascritte in una lettera di intenti,
con
spiegazioni
ed
impegni.
Prima regola: il dispositivo durante la ricreazione deve essere riposto in un armadio o altro luogo sicuro e pertanto
non va usato.
Seconda regola: l'uso del dispositivo è
esclusivamente legato alla didattica e
sono vietati giochi, foto o altre attività
non autorizzate dai docenti.
Il mio Istituto è dotato sia di rete cablata che
di WIFI che copre tutte le classi della scuola
primaria e pertanto si è provveduto a porre i
necessari limiti per l'accesso a siti non protetti, in modo da evitare ogni problematica
in merito. In particolare, impostando il DNS
(Domain Name System, sistema utilizzato
per la risoluzione di nomi dei nodi della rete,
in inglese host, in indirizzi IP e viceversa) di
un servizio esterno, gratuito oppure a pagamento, si ottiene un filtraggio degli indirizzi
che può evitare una buona parte dei siti indesiderati, secondo categorie definibili o predefinite. Il più famoso servizio che fornisce
DNS, gratuito e per navigare in Internet con
una certa sicurezza, è l'OpenDNS. I server
sono relativi agli indirizzi numerici che bisogna impostare per la connessione di rete
usata al fine di navigare.
Eccomi a descrivere e ad analizzare un'altra
esperienza vissuta in quest'anno scolastico,
considerando i pro e i contro.
Nel PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale),
nell'#azione6 si legge testualmente: "La
scuola digitale, in collaborazione con le famiglie e gli enti locali, deve aprirsi al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia a politiche per cui l'utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato".
Nel rispetto dei principi di una didattica che
possa definirsi effettivamente inclusiva, è
fondamentale che gli alunni con difficoltà di
apprendimento possano usare le nuove tecnologie senza viverle come "strumenti di separazione dagli altri" e nel contempo che gli
altri non abbiano motivo di porre l'accento
sulla necessità e/o privilegio dei primi, pertanto ho sempre fatto in modo che ciò che
vale per uno vale per tutti, pur tenendo presente la necessità di compensare chi ha un
bisogno educativo speciale.
Oltre ad una buona connettività, ad una
navigazione protetta e ad una adeguata
predisposizione per assicurare una gestione
responsabile da parte degli alunni, con il
coinvolgimento delle famiglie, occorre che i
A tal proposito, già in altri cicli, ho invitato
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dispositivi siano funzionanti con le applicazioni consigliate dai docenti, dando
per certa la conoscenza pratica dei sistemi
operativi da parte degli stessi insegnanti.
Spesso, infatti, mi ritrovo a gestire differenti
tablet che operano con sistema android o
iOS, a volte già scarichi o con batterie che
durano molto poco; altre volte le memorie
sono piene e non lasciano scaricare alcune
applicazioni o le operazioni di download variano molto in termini cronologici a seconda
del tipo e della potenzialità del device. La
conseguenza è che i bambini possono incappare in attese più lunghe prima che l'applicazione ricercata venga scaricata.
risolvere problemi e a diventare
tivi" (Benassi, Bondi, 2013).
crea-
Resta un'ultima domanda da porsi in questo
articolo, quanto meno nel rispetto del titolo: se non tutti hanno il proprio dispositivo?
Ritengo che i bambini abituati a lavorare in
gruppo ed a cooperare non si pongono alcun
problema nel condividere un solo dispositivo,
lavorando in due o anche in tre, anzi spesso
lo preferiscono.
Stefania Palumbo,
insegnante e Animatore Digitale, IC Via del
Calice Roma
Sitografia:
http://www.forumpa.it/scuola-istruzione-ericerca/come-attuare-il-modello-bring-yourown-device-a-scuola
https://sites.google.com/a/g.istruzioneer.it/byod/home/introduzione---robertobondi
http://www.istruzioneer.it/wp-content/uploads/2013/05/Benassi-Bondi-62013.pdf
Nella giornata concordata con Duolingo impariamo l'inglese tramite un gioco a punti,
accediamo alla piattaforma di classe Edmodo, scriviamo su Padlet, rivediamo i video, giochiamo con esercizi interattivi didattici ritrovati su internet e navighiamo su
Code.org, per completare i livelli degli esercizi di Coding (in informatica la stesura di un
programma, cioè di una di quelle sequenze
di istruzioni che, eseguite da un calcolatore,
danno vita alla maggior parte delle meraviglie digitali che usiamo quotidianamente).
Prossimamente attiveremo anche la ricerca
su internet perché gli alunni ne hanno fatto
unanime e ripetuta richiesta.
Riporto un testo degno di essere apprezzato
e che fa da sintesi: "L'utilizzo delle nuove
tecnologie non è quindi da pensare in modo
'cinematografico', come potenziamento delle
possibilità visive e interattive. Va proposto
come una gamma di strumenti fondamentali
per favorire determinate operazioni cognitive che inducano a mettere in campo abilità
precise e a sviluppare competenze fondamentali come lo sviluppo di un pensiero critico e selettivo all'interno di una sempre crescente abbondanza di informazioni [...]. Le
tecnologie, pur velocizzando e rendendo immediate molte operazioni, diventano strumenti che costringono l'alunno a 'fare fatica'
nell'applicarsi in modo significativo con un
approccio esperienziale e non solo teorico, a
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Pag.15
Dalla prima pagina
Dai banchi di scuola ai banchi del Senato
Come sviluppare competenze sociali e civiche
di Malagesi Stefania - Didattica Laboratoriale
Quest'anno, partendo dalla curiosità dei
bambini in merito al Referendum Costituzionale, abbiamo lavorato in maniera approfondita proprio per sviluppare al meglio le nostre competenze sociali e civiche. In aula si
è formata una vera e propria "Assemblea Costituente" che ha elaborato una Legge condivisa e rispettata da tutti, al fine di vivere
concretamente un percorso che si studia solo
in teoria e che è stato completato con l'uscita
didattica al Senato.
Gli studenti sono stati guidati alla scoperta
della storia di Palazzo Madama e hanno ammirato il luogo dove le leggi del nostro Paese
sono discusse e deliberate; si sono seduti tra
i banchi del Senato prendendo il posto di
personaggi illustri che hanno spesso visto e
sentito nominare in televisione: c'è chi si è
seduto nei posti assegnati a Giorgio Napolitano, a Mario Monti e al famoso architetto
Renzo Piano; hanno ascoltato la spiegazione
da persone addette ai lavori circa l'iter di un
disegno di legge e sulle norme che gli stessi
senatori devono rispettare quando si trovano
in aula per una discussione, proprio come
loro devono attenersi alle regole stabilite in
classe.
Il meglio della giornata è arrivato quando
sono stati protagonisti di una sorpresa inaspettata: il Presidente del Senato Pietro
Grasso ha voluto incontrarli, rivelandosi una
persona disponibile e cordiale; sono state
poste diverse domande, sono state soddisfatte tante curiosità e i bambini si sono resi
conto della reale importanza che hanno le
Istituzioni che lavorano per il bene comune.
Un'uscita didattica che ha reso concreto e
reale quello che per loro risulta essere una
parte della geografia astratta e difficile, anche se affascinante.
Lo studio della geografia, sia fisica che politica, è strettamente legato allo studio della
storia e con gli alunni di quinta, studiando i
Greci, precursori della democrazia e della
Costituzione, si può affrontare anche la storia che ha portato l'Italia a diventare una Repubblica democratica.
Grazie alla geografia politica, iniziando a parlare dello Stato, dei suoi poteri e delle varie
Istituzioni, si
forniscono i
primi
elementi per diventare,
in
futuro, degli
adulti e dei
cittadini capaci e responsabili.
Ecco quindi
che ciò che si
studia sui libri
diventa
reale e rende competenti per vivere come
protagonisti nella società e nella vita di tutti
i i giorni.
Sviluppare competenze sociali e civiche
è importante quanto sviluppare competenze legate strettamente alle discipline.
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Si può e si deve lavorare in maniera interdisciplinare attraverso la Storia, conoscendo i
sistemi culturali delle civiltà antiche fino ad
arrivare a quello attuale, e alla Geografia politica, studiando i diversi organi di governo,
grazie ad un lavoro collettivo che porti i discenti a interiorizzare regole di vita civile da
applicare in ogni ambito in cui si trovano a
vivere.
Formare futuri cittadini responsabili, con un
pensiero critico e aperto al confronto, pronti
e competenti a lavorare per il bene comune,
è importante tanto quanto formare studenti
competenti nella madrelingua, nella matematica ecc., se non di più.
Stefania Malagesi,
docente dell'I.C. "Belforte del Chienti", Roma
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Dalla prima pagina
Lode al cruciverba
Incroci di parole e di possibilità
di Pettinari Francesco - Inclusione Scolastica
Il seguito viene da sé, chiamata dopo chiamata, messaggio dopo messaggio, incontro
dopo incontro. Davanti al display dello
smartphone, davanti alla macchinetta del
caffè, tra un intervallo e una ricreazione.
Come in un puzzle, quando su un tavolo
grande spargi tutti le piccole tessere
alla rinfusa e poi pian piano cominci a
comporre prima l'angolo destro, poi
quello sinistro, poi il bordo sopra, quello
sotto e infine completi al centro, allo
stesso modo l'idea si trasforma lentamente, giorno dopo giorno, fino ad assumere le sembianze di una lezione
pronta per la "prova del fuoco" dei ragazzi e di Edoardo.
Romina prepara tutto il cruciverba, gli incastri precisi delle definizioni orizzontali e di
quelle verticali, tutto completamente in inglese. Quando mi fa vedere la bozza penso
che stavolta, al contrario della tombola di tre
giovedì prima, non è mica così scontato e
semplice questo esercizio-gioco. Meglio!
Ma il nostro rovello, la domanda alla quale
tentiamo ogni volta di dare una risposta efficace, rimane sempre la stessa: Edoardo
cosa potrà fare? La volta scorsa si era
stancato e anche un po' innervosito, non
aveva voluto neppure pescare le tessere
della tombola, stavolta dobbiamo pensare a
qualcosa di diverso, che funzioni finalmente.
I suoi punti di forza sono la musica, le storie
da leggere, la LIM, ribattezzata con creatività "A Tele". Negli ultimi mesi abbiamo notato, poi, quanto sia aumentato il numero di
parole che conosce e pronuncia, grazie soprattutto alle "Torie" in comunicazione aumentativa alternativa. Quando i compagni gli
chiedono di fare o dire qualcosa, riflettiamo,
raramente Edoardo si rifiuta di farlo.
Ecco, allora! Possiamo inserire nelle definizioni, ogni tanto, questa frase: "Risposta
corretta se Edoardo dice...". Soltanto se
Edoardo ripeterà la parola in questione la risposta sarà corretta e il gruppo potrà andare
avanti.
Tutto inizia da una semplice chiamata post
natalizia.
-Tutto bene? Le feste? La neve?
-Sì, tutto bene, quanta neve quest'anno!
Senti, a proposito, mi ha detto Clara che per
giovedì prossimo l'argomento di inglese sarà
il cinema, quindi film e generi cinematografici. Hai pensato a qualcosa? Io ho un po' di
idee.
-Ci ho pensato durante queste settimane e
qualche idea, tra un panettone e un torrone,
l'ho elaborata anche io - dico incerto e vago,
temendo di fare una proposta un po' scontata e poco originale tutto sommato.
-Ah sì? E dimmi qual è?- incuriosita ed entusiasta, come sempre, mi domanda Romina.
-Ehm...pensavo a qualcosa di semplice, anche un po' banale direi, ma se la organizziamo bene potrebbe funzionare- aggiungo
prendendo tempo e divagando nuovamente.
-Ad esempio?- incalza Romina.
- Un cruciverba! - finalmente dico buttando
là
l'idea,
tra
telefono
e
telefono.
-Beh interessante! È una buona idea! - rilancia una Romina come sempre accogliente e
gentile.
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Non c'è nulla da fare, nel nostro lavoro, per
raggiungere un obiettivo, bisogna pensare e
ripensare, progettare insieme e poi occorre
provare, rischiare, anche a costo di fallire per
poi ricominciare da capo. Questi sono i cinque imperativi degli insegnanti di sostegno e non solo.
cartoon nel "linguaggio edoardesco".
Parte uno scroscio di applausi, le speranze
degli altri gruppi si riaccendono, così come si
riaccende il sorriso di Edoardo troppo contento di essere così utile e determinante per
la vittoria.
Dopo poco tempo si fa avanti Aurora:
- Edo mi dici la parola Horror?Mentre è ancora eccitato per l'ovazione del
gruppo precedente Edoardo dice:
- A Tele!- L'ha detto prof, l'ha detto! - mi dice Aurora.
- No, ha detto a tele, cioè la LIM, non vale –
sentenzio io. Lei ci riprova, si mette lì, lo accarezza, lo implora di dirle la parola "Horror",
fino a quando Edoardo prorompe in un chiaro
e distinto "Rorror" seguito dall'esultanza di
tutto il gruppo.
- Batti il cinque Edo, bravissimo, grazie! –
Li divideremo in quattro gruppi da cinque
alunni ciascuno, come sempre, perché nel
piccolo gruppo si lavora meglio, ci si diverte
di più ed Edoardo potrà muoversi con più
agilità. I banchi li sposteremo in fondo alla
classe per fare più spazio, i ragazzi dovranno
avere soltanto una penna e il foglio del cruciverba, ogni componente del gruppo, una
alla volta, dovrà provare a dare la risposta e
avrà la possibilità di fare "passaparola" con il
compagno alla sua destra qualora non la sapesse.
Ci siamo, la seconda ora del giovedì è arrivata.
Edoardo è in classe, noi due insegnanti di sostegno pure (abbiamo la fortuna di trovarci
in compresenza nella stessa ora); l'insegnante di inglese è arrivata. Si scaldano i
motori, inizia la lezione con la prima fase introduttiva, in cui i ragazzi conoscono e si
esercitano con la prof. sulla nuova area lessicale da imparare. Dopo venti minuti possiamo iniziare il cruciverba, Romina si avvicina e mi sussurra all'orecchio mentre gli
alunni cominciano a spostare rumorosamente le sedie: -Non mi ricordo più le regole!- , poi invece prende coraggio e spiega
con precisione e senza remore le regole del
gioco-esercizio.
Edoardo lo aiutiamo a sistemarsi, col suo più
o meno esplicito assenso, dalla sedia a rotelle alla sedia del banco, ma si stranisce per
la confusione e lo spostamento forse troppo
repentino. Tutto sembra naufragare, gli urli
di Edoardo e i suoi lamenti lasciano presagire
il peggio, il fallimento totale della lezione.
E invece no! Lo facciamo mettere nuovamente sulla sua sedia, si tranquillizza un po'
fino a quando cominciano ad arrivare i compagni, a intervalli regolari, uno dopo l'altro.
Noi insegnanti assistiamo alla scena stupiti e
commossi, perché tutto sembrava compromesso, anche questa volta l'attività pareva
non interessare minimamente Edoardo e invece no!
Anche un semplice e banale cruciverba, inserito in un contesto pensato e ripensato,
progettato insieme e poi sperimentato, può
funzionare, anzi ha proprio funzionato.
Francesco Pettinari,
insegnante di sostegno, I.C. "Morosini Manara" di Milano
-Edo ti chiedo un piacere, soltanto uno, me
lo fai? Mi puoi dire la parola "cartoon"? - supplica Omar. Niente, bofonchia qualcosa ma
niente
più.
-Dai, ti prego ripeti con me "Cartoon"! - insiste Omar; all'improvviso, quando meno ce
lo aspettavamo, arriva ad alta voce il suo
"Tutoo" che altro non può essere se non il
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Dalla prima pagina
La battaglia delle tabelline
La matematica come "strumento" per pensare ed agire
di Orsolillo Giuseppina - Orizzonte scuola
con la matematica rispetto a coloro che
fanno un uso precoce della calcolatrice; altri
invece, tra cui lo stesso Einstein, affermano
che "memorizzare le tabelline è una capacità
legata alla memoria, ma non per forza collegata con la logica e la matematica". A rafforzare tale concetto c'è anche il pensiero di Jo
Boaler, docente di didattica della matematica presso l'Università di Stanford-California: "Far credere a un bambino che se non
riesce a fornire in tempi record il risultato di
una tabellina significa che non è portato per
la matematica è un errore".
Quindi da un lato c'è chi sostiene che l'apprendimento passi inevitabilmente dal ripetere e dall'altro chi afferma che impiegare
troppe energie per la memorizzazione va a
discapito della creatività, della curiosità e del
problem solving, anche in virtù del fatto
che "l'evoluzione tecnologica va sempre più
nella direzione di una parziale surrogazione
della memoria" (Michel Serres, 2012).
Oggi si dibatte molto sull'utilità dell'imparare
a memoria.
Nella scuola "tradizionalista" della mia generazione tutta l'istruzione era basata sull'apprendimento mnemonico; tutto si acquisiva
principalmente a memoria, comprese le
tanto odiate tabelline, che da sempre rappresentano, per bambini e genitori, uno dei
peggiori incubi.
Il dilemma delle tabelline è fortemente sentito nel mondo scolastico mondiale: impararle a memoria serve o non serve?
In Gran Bretagna sono state introdotte regole restrittive in merito: le tabelline devono
essere studiate entro il quarto anno, cioè al
massimo entro i 9 anni, e, a tale scopo, i
bambini vengono quotidianamente sottoposti a test a tempo con l'uso del cronometro.
In Italia le Indicazioni Nazionali del
2012 raccomandano lo studio delle tabelline nei primi tre anni della Scuola
Primaria.
Quale docente di matematica, affrontando le
difficoltà dei propri alunni, non si è chiesto
se abbia senso esigere la memorizzazione
delle tabelline?
La ricerca offre contrastanti spunti di riflessione. Alcuni studiosi sostengono che gli
alunni che imparano le tabelline a memoria
hanno maggiori possibilità di divenire bravi
Nella mia esperienza quotidiana di insegnante di matematica di Scuola Primaria, ho
potuto constatare concretamente come ogni
bambino apprende in modo personale: chi
memorizza le tabelline velocemente e senza
sforzo, chi necessita di tempi più distesi presentando difficoltà con i prodotti maggiori e
chi stenta a memorizzare anche le più semplici. Il rischio che si corre, pretendendo che
ogni bambino le impari "semplicemente a
memoria con la ripetizione", è che l'insuccesso nello studio mnemonico possa sviluppare avversione nei confronti della matematica. Le tabelline offrono un feedback immediato di competenza o non competenza e ciò,
in caso di ripetute performance negative,
scoraggia i bambini e li induce a rinunciare
ad "agire" per modificare la situazione.
Nello stesso tempo, però, è altrettanto verificabile che le tabelline, come tutti i concetti
numerici, giocano un ruolo importante
nell'acquisizione delle abilità di calcolo e il
loro mancato apprendimento potrebbe avere
un "effetto a cascata" su quello di altri concetti matematici. Risulta, quindi, fondamentale una didattica metacognitiva che guidi i
bambini alla riflessione su quello che si va ad
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Pag.20
imparare e sul perché e sviluppi in loro la
consapevolezza del funzionamento della memoria, ovvero ciò che viene chiamato metamemoria. È necessario favorire negli alunni
l'imparare ad imparare, per riconoscere le
abilità cognitive necessarie ai successivi apprendimenti e l'approccio autoregolativo, incoraggiandoli all'uso di strategie operative a
loro adeguate.
"cantilene" di numeri da memorizzare, attraverso il solo canale verbale, è solo uno sterile
dispendio di energie.
Nella mia classe terza, sin dallo scorso anno
scolastico, nell'approccio con le tabelline, ho
cercato di tener presente le diverse sfere di
apprendimento utilizzando diversi canali: il
testo narrativo per proporre il concetto di tabellina come addizione ripetuta (percorso
Gulliver "Gedeone, il maialino ghiottone"); la
musica con le "Tabelline canterine" (Melamusic); la manualità, con la costruzione
della tavola pitagorica-gioco a cui gli stessi
alunni hanno voluto dare il nome di "Tappa
la tabellina", poiché realizzata con tappi di
plastica riciclati, che richiede l'associazione
del prodotto trascritto sul tappo alla moltiplicazione giusta (idea presa da coetanei spagnoli); un gioco a squadre con l'uso di mazzi
di carte da gioco.
Ho trovato interessante anche il metodo
della scuola cinese che riduce il carico mnemonico dei prodotti da 81 a 36, facilitando
anche la comprensione della proprietà commutativa della moltiplicazione.
Quindi care colleghe, quando arriva il momento delle tabelline, diamo spazio alla fantasia e al gioco: l'informazione abbinata al
piacere ben dispone la memorizzazione e ne
facilita l'apprendimento, anche inconsapevole.
Allora sì alle tabelline ma sorridendo e
senza stress!
Il campo da privilegiare per la realizzazione
di strategie di didattica metacognitiva è
quello della motivazione all'apprendimento:
coinvolgere i bambini in attività stimolanti
che mantengano alto il loro interesse. Viene
da sé che proporre le tabelline come noiose
Giuseppina Orsolillo,
docente dell'I.C. "Fara Sabina", Rieti
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Pag.21
Dalla prima pagina
Tutti "sei", tutto sei
La valutazione dal punto di vista dello studente
di Pellegrino Marco - Orizzonte scuola
Chiarendo il fatto che nella scuola primaria
le bocciature negli ultimi anni sono risultate
numericamente basse, relative a quei casi
straordinari di cui si parla e a cui si giunge
dopo percorsi progettati e condivisi tra
scuola e famiglia, mi sembra però importante ribadire che, in una fase della vita scolastica in cui l'esperienza formativa è globale
ed è vissuta nel pieno dell'accoglienza e del
rispetto del singolo, viene da sé che la scelta
di far ripetere un anno si svuota di significato, tranne nei casi in cui sussistono motivazioni che hanno come obiettivo il benessere dell'alunno.
Permangono ancora forti perplessità sull'utilizzo del voto in decimi (a cui si sta mettendo
comunque mano) e sulla somministrazione
della prova Invalsi, i cui risultati, nonostante
il rispetto delle casistiche, non rappresentano la realtà delle classi eterogenee, di cui
l'Italia si fa vanto in Europa. Si diversifica per
uno o più anni e poi alla fine si standardizza
il tutto, tranne per alcuni accorgimenti o comunque esclusioni.
Nella scuola secondaria di primo grado si sta
provvedendo a rendere tale prova non d'esame, ma comunque rientrante tra quelle
che determinano il profitto in vista della licenza.
Le prove Invalsi sono per natura e per scopo
livellanti e dunque non fedeli ai percorsi che
il singolo alunno compie per e su stesso.
La certificazione delle competenze, che
contempla i livelli più che i gradi scalari del
metro decimale, integra i documenti di valutazione già esistenti.
La decisione che in questi giorni sta sollevando le maggiori polemiche riguarda l'ammissione all'esame di maturità con la media
del "sei"; oltre che ad intendere la parola
come cifra, in fase di valutazione, inviterei a
considerarla come seconda persona singolare del presente indicativo del verbo
essere, in quanto, a volte, ci si preoccupa
più del numero che della persona.
In queste fase dell'anno già molto concitata,
si stanno profilando nuovi cambiamenti a livello nazionale che investiranno i processi
futuri di valutazione degli alunni.
Alcune delle deleghe alla legge 107 toccano
direttamente il tema della valutazione, in alcuni casi riguardano principi e terminologie,
solo in apparenza nuovi, in altri delineano
ambiti di azione, per cui è necessaria un'analisi più attenta.
Entrando nelle specifico di ogni grado, si
possono evidenziare le seguenti proposte di
aggiornamento del sistema valutativo attuale:
-nella scuola primaria si parla di eliminare la
"bocciatura", tranne che in casi straordinari;
-nella scuola secondaria di primo grado, la
prova INVALSI non sarà più prova di esame;
-nella scuola secondaria di secondo grado, è
possibile accedere all'esame di maturità pur
non avendo la sufficienza in ogni disciplina.
Sono solo alcune delle proposte, ma è su
queste che vorrei soffermarmi e vorrei riflettere.
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A questo punto mi pongo una serie di domande:
E' giusto che un alunno con voti buoni in
molte discipline debba essere escluso dagli
esami finali, se in una o due non ha raggiunto quella soglia di sopravvivenza?
Come si sposa tale visione della valutazione
con la certificazione delle competenze?
Se le discipline godono di una dignità
propria e sono legate tra loro, perché bisogna ragionare a compartimenti stagni?
Cosa accade quando lo stesso alunno raggiunge voti buoni in alcune discipline e in altre, a volte anche affini o insegnate dallo
stesso docente, stenta a raggiungere la sufficienza?
Perché alcune discipline ancora continuano ad essere subalterne rispetto ad
altre, se la didattica per competenze ci
invita a valorizzare aspetti dell'apprendimento trasversali e riguardanti la vita
dell'alunno nella sua interezza?
Se si continua a giudicare la scuola e chi la
frequenta in base all'importanza assegnata
ad alcune discipline dalla storia e dalla tradizione culturale, molti discenti saranno sempre e a priori tagliati fuori. Negli ultimi anni,
l'istruzione secondaria superiore è cambiata
e si è evoluta, dando vita a percorsi misti;
ciò ha fatto tremare i polsi al laudator temporis acti di turno ma ha reso, a mio parere,
l'esperienza formativa più complessa, in cui
anche le discipline "minori" possono consentire allo studente di esprimersi, apprendere,
acquisire abilità spendibili per la vita, manifestare quelle potenzialità che potrebbero
portarlo al successo personale.
Un otto in musica o in educazione fisica vale
meno di un otto in italiano? E' per caso il numero delle ore a determinare tali differenze?
Nelle attività musicali o in educazione fisica
sono rintracciabili contenuti e aspetti delle
altre discipline e viceversa.
l'Italia aderisce a protocolli europei, e l'Europa è sempre più vicina alle nuove generazioni, purtroppo e per fortuna, considerando
i tassi di occupazione interni e i livelli di riconoscimento economico del nostro lavoro. Opporsi ai cambiamenti non conviene, mai, in termini di possibilità e prospettive future, dunque allo stato attuale è
preferibile cogliere quanto c'è o ci sarà di
buono e trarre il meglio da situazioni sicuramente perfettibili ma su cui si sta già investendo molto.
Marco Pellegrino,
insegnante di sostegno I.C. "Maria Montessori" di Roma e formatore
Ogni decisione porta con sé critiche e punti
di ombra ma è anche foriera di occasioni per
riflettere e per condividere, anche laddove i
tempi e le modalità non ce lo permettono, o
ce lo consentono in minima parte. Sempre
nella secondaria di secondo grado, verrà riconosciuta all'alternanza scuola-lavoro una
fetta importante all'interno del quadro valutativo e anche questo orienta il discorso
verso un modello di istruzione che cerca di
creare sempre più agganci con i progetti di
vita, qualunque essi siano. Che piaccia o no,
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Dalla prima pagina
Profitto e competenza
Valutare in modo significativo
di Calcagni Maria - Orizzonte scuola
zione chiari e trasparenti. Le normative vigenti nella scuola rimandano ad una certificazione delle competenze al termine del ciclo
della scuola primaria, con conseguente valutazione delle stesse, generando così una momentanea dicotomia tra valutazione del profitto e della competenza.
La valutazione del solo profitto, tipica
della didattica tradizionale, non può coincidere totalmente con la valutazione della
competenza poiché rispondono anche a necessità diverse. Il profitto, nella carriera di
uno studente, può avere una connotazione
positiva ma anche negativa e riguarda ciò
che l'alunno sa su un singolo argomento, la
competenza invece si riferisce alla maturazione dell'individuo riferendosi a ciò che sa
fare con ciò che sa ed è sempre espressa in
modo positivo. Il profitto ha come scala di
valutazione i decimi, la competenza viene
valutata in livelli; la competenza, osservata
e giudicata in quanto sapere agito, non è
misurabile come il profitto, necessita di
un'osservazione sistematica per ogni fase
del lavoro proposto.
Per osservare e quindi valutare una
competenza occorre uscire dall'ottica
della didattica tradizionale basata sulla
lezione frontale e sul profitto e orientarsi verso una didattica operativa che
preveda lo svolgimento di compiti significativi, vicini alla realtà dell'alunno, che
presuppongano il fare consapevole indirizzato verso il raggiungimento di un fine
chiaro, dichiarato dall'insegnante nella definizione stessa del titolo dell'attività e del
prodotto atteso. Partendo da ciò che sanno e
nella prospettiva di realizzare un prodotto
più complesso e articolato, i bambini affrontano diverse situazioni mettendo all'opera
diverse risorse (abilità, conoscenze, capacità
personali). Attraverso l'osservazione continua di come discutono, argomentano, affrontano e risolvono problemi, di come agiscono nell'ambito di compiti significativi da
soli o in gruppo si concretizza la valutazione
La valutazione è "connaturata" al processo di
insegnamento/apprendimento e ne rappresenta i vari momenti. Prima di entrare in
classe ogni docente si chiede cosa sanno i
suoi alunni sull'argomento che decide di sviluppare, cosa hanno bisogno di imparare,
quanto tempo occorrerà loro per farlo ecc..
Questo momento fondamentale di valutazione iniziale contestualizza il curricolo d'Istituto rispetto ai bisogni di una specifica
classe.
Di giorno in giorno, osservazioni, verifiche
strutturate e non, esperienze pratiche, interrogazioni, ed altre modalità sono utili sia
alla valutazione in itinere dell'efficacia del
lavoro dell'insegnante, sia a quella del profitto dell'alunno, ma soprattutto forniscono
un feedback agli alunni stessi rispetto al loro
andamento didattico al fine di focalizzare i
propri punti di forza e di debolezza.
La valutazione ha quindi una connotazione
prettamente "formativa" in quanto ha lo
scopo di primario di rendere consapevole l'alunno del suo processo di apprendimento e
di fornire elementi-guida per orientare il lavoro successivo.
La valutazione è il frutto, dunque, dell'interpretazione di dati emersi da più strumenti:
le verifiche strutturate forniscono dati quantitativi e le osservazioni sistematiche evidenziano gli elementi qualitativi. Entrambi le
modalità richiedono necessariamente la predisposizione collegiale di criteri di valuta-
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per competenze. Anche i criteri di valutazione sono esplicitati sin da subito.
processo di "funzionamento" nell'acquisizione e nello sviluppo di conoscenze e non
solo. L'azione valutativa è quindi insita nel
lungo e articolato processo apprendimento/insegnamento; conoscenze e abilità
possono essere valutate da singoli insegnanti ma la competenza è frutto di una visione collegiale del team docenti, comprensiva di quella dei genitori chiamati a contribuire, uscendo anch'essi dall'ottica della
semplice richiesta del voto di profitto.
"Sarete osservati durante lo svolgimento del
compito in modo sistematico, gli aspetti specifici che caratterizzano la prestazione saranno annotati in griglie predisposte che
contengono degli indicatori di competenza
rappresentativi dei traguardi da raggiungere: autonomia, relazione, partecipazione,
responsabilità, flessibilità, consapevolezza
delle conoscenze indicate nelle indicazioni
nazionali".
Maria Calcagni,
docente I.C. "Alfieri-Lante della Rovere",
Roma
Con le narrazioni cognitive o autobiografiche l'alunno espliciterà poi il senso da
lui attribuito al proprio lavoro, le intuizioni
che lo hanno guidato nello svolgere le attività, le emozioni provate mettendo così in
essere una autovalutazione del proprio
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Pag.25
Dalla prima pagina
"Facciamo che...?"
Relazioni (c)ostruttive in contesti multietnici
di Miduri Maria Chiara - Intercultura
flessione filosofica, nel suo Petit traité de l'abandon. Dopo aver disquisito autobiograficamente su cosa significhi scegliere di vivere
senza imporre il controllo su tutto, Jollien
giunge a una delle più belle e preziose definizioni di libertà (interiore) mai intuite: "La
libertà interiore è quando lo sguardo dell'Altro non ti determina più". Questa frase, per
deformazione professionale e per lavoro
quotidiano, è un mantra che pervade la mia
mente ogni giorno. Alexandre, che invidia il
corpo non spastico di un normodotato osservato sul metrò parigino, non ha nulla di diverso dalla piccola Joelle che, sputandosi
sulla manina ebano e strofinando il ditino,
chiede alla mamma: "Ma io quand'è che divento bianca?". La diversità è uno specchio che riflette un'idea. Non è un volto,
ma la definizione di volto. Non è un corpo,
ma la definizione di un corpo. È quell'Alter
che rappresenta Ego.
"Basta con i dovere, potere, volere. Facciamo che..?" così ho esordito durante una
riunione di coordinamento volontari nel
nuovo progetto di doposcuola che sto attuando nel contesto in cui opero a Torino.
Sono infatti convinta che "a forza di sacrificare l'essenziale per l'urgenza, si finisce per
dimenticare l'urgenza dell'essenziale", come
suggerisce Edgar Morin in una delle sue riflessioni sull'uomo sociale. Se questo vale in
generale, esso è ancora più vero quando si
lavora e opera in contesti multietnici ed interlinguistici, in cui il dominio dell'emergenza
impera su ogni azione del quotidiano. Mi
chiedo spesso "dov'è l'essenziale?" e mi so
solo rispondere che l'essenziale è lasciare
che sia. Ogni volta che si pianifica, la vita
destabilizza. Ecco allora l'importanza di lasciarsi vivere, lasciarsi essere vicendevolmente, lasciare che lo spazio di prossimità
su cui si poggiano gli stessi piedi, sia esso un
cortile, un corridoio, una piazza o una classe,
crei piano piano quel campo magnetico che
induce alla pro-socialità, all'incontro e alla
comunicazione attiva per reciproca attrazione. Ma non quando lo vogliamo noi o lo
decide un calendario: quando si è pronti.
Se non (ci) permettiamo definizioni, allora
nasce la possibilità del vedere oltre l'Altro.
Se non si definisce, non c'è bisogno di scegliere e quindi escludere.
L'emergenza pone dei filtri occlusivi alla bellezza dell'incontro naturale tra uomini, tra
esseri umani. Di recente mi è capitato di osservare come il colloquio con l'educatore di
una bambina appena arrivata a Torino, in
stato di emergenza sociale, avesse le fattezze del libretto di istruzioni di un oggetto
anziché la narrazione di un soggetto, un monologo da procedura: "Bisogna fare questo...", "Bisogna stare attenti a quest'altro...", "Bisogna andarci piano", "Bisogna,
bisogna, bisogna", "Si deve, si deve, si
deve".
Chi? Dov'è il bisogno? Qual è il bisogno? Di
chi è il bisogno? Il non poterlo esprimere in
una lingua condivisa implica che qualcuno lo
esprima per te, e ciò accade attraverso il più
classico dei paradossi sociolinguistici dovuti
alla propria visione del mondo e alle proprie
priorità (etiche, morali), figlie della costruzione della propria persona.
Lasciare/lasciarsi implica il concetto di abbandono che però non ha sempre un'accezione negativa, anzi; prendo in prestito l'interpretazione che ne dà il filosofo francese
Alexandre Jollien (affetto da paralisi celebrale ed emblema della diversità più "Altra",
come la definisce lui), il quale ha saputo rendere la disabilità il nodo cruciale della sua ri-
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A questo proposito è utile ricordare che non
tutte le lingue e le culture del mondo possiedono la distinzione semantica e lessicale tra
"lavoro" e "gioco" e questo ci serve a ricordare come, nuovamente, sia un costrutto etnocentrico ritenere che le due cose siano in
contrapposizione e antitetiche. Così come da
bambini bastava dire "Facciamo che io sono
il cowboy e tu l'indiano" (un esempio che riporta anche John Searle nella sua teoria degli atti linguistico-pragmatici), e questo
apriva il diorama dei Canyon e tutto il suo
sistema di simboli e rappresentazioni ovunque ci si trovasse, rendendo possibile la costruzione di una realtà ludica che cambiava
lo scenario attuale, dovremmo utilizzare lo
stesso approccio fattuale nel realizzare l'incontro con l'Altro, senza interporre più filtri
di quanti non ne esistano già in maniera naturale.
Perché?
Perché il gioco, in ogni sua forma (dall'umorismo al gioco controllato), ha una valenza di
sopravvivenza biologica, inoltre allenta la
tensione relazionale. Per rendere reale
qualcosa bisogna "farla" e allora "Facciamo che...". Non scivoliamo nell'impersonale "bisogna", ma attribuiamo una persona
all'azione: noi facciamo insieme, inter-umanamente, inter-personalmente, inter-soggettivamente e inter-culturalmente. Già,
perché nella scala semantica l'intercultura
arriva all'apice della linea di continuum. Per
questo non dovremmo preoccuparcene a
priori precludendoci di vivere serenamente e
naturalmente l'intero percorso.
In realtà "non bisogna" nulla perché occorre tutto. Ad esempio, prima di 'sapere'
qualcosa sull'Altro occorre "vedere" l'Altro.
Quante volte capita in occasione di colloqui
di parlare del soggetto coinvolto, e che è
presente, come se non ci fosse? Con i bambini e i ragazzi stranieri capita quasi sempre.
Si crede che l'assenza di mezzo linguistico
condiviso tuteli dalla comprensione della situazione. Se questo è vero da un punto di
vista semantico e morfosintattico, la consapevolezza che il linguaggio sia fatto anche di
altre dimensioni dovrebbe far desistere dal
consumare questa pratica. La persona è presente e va coinvolta nel discorso perché è lei,
prima di tutto, che può aiutare a comprenderlo.
Il normale incontro tra esseri umani che non
si conoscono acquisisce spesso il carattere
del percorso di accoglienza normato a tutto
tondo, in un'alternativa forma di rito di passaggio all'inverso: all'aggregazione coatta
(nel momento dell'arrivo e dell' inserimento)
fa seguito la separazione (spesso per motivi
di apprendimento linguistico o per il trattamento segregativo legato al timore di non
saper essere, non saper fare) che pone il
soggetto in stato di bisogno in un persistente limbo. Dovrebbe essere il contrario,
da norma antropologica ma anche da sentire
comune e, credo cosa ancora più importante, da esperienza quotidiana. Di una
cosa c'è più bisogno: lasciare che sia. E
per lasciare che sia occorre agire nel qui e
ora per rendere possibile la naturalezza
dell'incontro e dell'esperienza condivisa.
Come?
Quando si lavora in contesti emergenziali
non è raro che l'ordine mentale delle priorità
sociali "istituzionali" scavalchi ciò che si può
fare nel qui e ora, proiettando invece sull'Altro più le paure di operatori ed educatori rispetto al non essere adatti all'incontro. In
fondo cosa serve?
Una prima risposta ce l'ha suggerita nuovamente Liliana Bono nel suo contributo:
"[...] ascolta in qualsiasi lingua ti vada di
farlo. Ascolta quello che senti, ascolta il tuo
ritmo e la tua domanda insieme ai tuoi bisogni". Sebbene gli interlocutori ideali dell'articolo di Bono siano i suoi alunni, nell'esperienza di vita interculturale ogni membro
della comunità è sia docente che discente,
sia apprendista che stregone. L'intercultura
è un'iniziazione incrociata che si compie attraverso atti quotidiani di vicendevole apprendimento e ritualizzazione comunitaria. Il
Liliana Bono, nel suo ultimo contributo alla
rivista, ci fa l'esempio del gioco: "Sono una
persona: la sintesi delle competenze. Sono
un bambino e lo so fare. Lo so essere. So
giocare a questo gioco". Questo mi consente
di legare la mia riflessione a un aspetto cruciale sull'Homo Ludens. Ognuna delle frasi
che costituiscono l'esempio citato è un atto
linguistico, un enunciato performativo che i
bambini (ma anche gli adulti!) utilizzano nel
quotidiano, settando un ordine sociale entro
il quale agire e comportarsi di conseguenza.
Ma nel sentire controllato e dominato dai requisiti anziché dalle risorse, il gioco come
strumento viene talvolta guardato con sospetto anche nel contesto dell'educazione informale (ad esempio nei doposcuola).
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vivere interculturale ha bisogno di lunghi
momenti di ascolto per consentire una comunicazione; spesso i silenzi sono i momenti
antropopoietici più importanti rispetto al rumore del mondo che ci circonda. Il silenzio è
lo spazio in cui si crea. Così come un tema è
già contenuto nel foglio bianco che gli darà
forma, la parola è contenuta nel silenzio. È
una questione di intenzionalità.
sono approdati dopo aver attraversato una
foresta di orizzonti di vita che non hanno
scelto. Non commettiamo l'imprudenza di rimandarli nella foresta pretendendo cambiamenti iniziatici: accompagniamoli lungo il
sentiero condiviso della quotidianità interumana.
Un essere umano che cos'è? Quali obiettivi
deve raggiungere? Quali requisiti deve soddisfare per definirsi tale? Quali competenze
deve avere? A misura d'uomo. Ma un Uomo
che cos'è? Ogni cultura ha la sua definizione,
ogni cultura ha i suoi rituali per deciderlo.
Forse ci verrà in mente la poesia "Se" di
Ruyard Kipling a tale proposito o ancora la
celebre massima di Protagora. Nelle culture
"altre" la risposta non è mai del singolo, ma
è sempre un atto di comunità, uno sforzo
collettivo.
E come si comunica la risposta che si è ottenuta, posto che il vero percorso è mosso solo
dalla domanda principale? Se una lingua comune non c'è, la lingua in cui si può ascoltare
e comunicare è quella primordiale e più ritmica che esista: quella del cuore. L'udito è
infatti il primo senso che si sviluppa nel feto.
Non è fuorviante ricordarcene ogni volta che
anteponiamo la perfezione di un requisito
definito (linguistico e comunicativo o di competenza sociale) all'evoluzione di una risorsa
in via di definizione. Non parliamo la stessa
lingua ma possiamo sintonizzarci e sincronizzarci come esseri umani che condividono
un linguaggio ritmico primordiale. E se questo non basta a convincerci, i tamburi parlanti dell'Africa Occidentale costituiscono un
bell'esempio di come la modulazione timbrica e ritmica di un suono emesso dalla
membrana percossa del tamburo arrivi a simulare la voce umana. Quando le esperienze sono all'unisono e c'è un'intenzione
comunicativa pratica non c'è distanza che
non si possa colmare per far arrivare il messaggio, come con un talking drum.
Le paure e le insicurezze dei rapporti interculturali sono vittime dei nostri bisogni, più
che di quelli altrui: bisogno di controllo, bisogno di conoscenza, bisogno di perfezione,
bisogno di soluzione, bisogno di immediatezza, bisogno di categorizzare, bisogno di
definire. Perché è così che la nostra cultura
ci ha insegnato a leggere e interpretare il
mondo: con il libretto di istruzioni, con il manuale. Siamo la cultura del libro, dice Ong in
"Oralità e scrittura", siamo coloro che apprendono se c'è un corso che insegna. Siamo
quelli che la scuola della vita un po' se la
sono dimenticata, perché non ha un modulo
di iscrizione da compilare, ma vi siamo continuamente immersi. E allora impariamo di
nuovo ad ascoltare, come suggerisce Bono,
in qualsiasi lingua ci vada di farlo.
La lingua in cui mi si è presentata la domanda centrale, che ha dato ispirazione per
il mio contributo e a cui consegue il bisogno
di indagine e riflessione, è il kiNande
(Congo), con l'espressione: "Omundu, niki?"
ossia "un essere umano che cos'è?". Questa
domanda viene posta ai giovani baNande allorché si apprestano a sottoporsi al rito di
passaggio che li porterà ad essere Uomini riconosciuti nella loro comunità. La domanda
viene posta forte, con vigore, all'intero
gruppo da parte dell'incaricato che officia il
rituale e che prevede un viaggio solitario
nella foresta. Il viaggio iniziatico è aperto da
questa domanda a cui non si richiede una risposta formale, come la intenderemmo noi.
È un viaggio di riflessione, di messa alla
prova, di scoperta, di avversità, di cambiamento in cui si sviluppano nuovi bisogni da
soddisfare, da saper individuare e di cui
avere cura. Si parte fanciulli (biologicamente
e sociologicamente) e si torna uomini.
Maria Chiara Miduri –
Antropologa linguista e cognitiva, Centro di
Ricerca Applicata MOSAICO, ANGI
Molti dei nostri bambini, dei nostri ragazzi il
viaggio iniziatico l'hanno già affrontato e non
metaforicamente. Non sono baNande, ma
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Dalla prima pagina
Interroghiamo...ci
Il vero insegnamento in una risposta
di De Angelis Giovanna - Orizzonte scuola
ogni docente di ciascun ordine e grado approverebbe e sentirebbe come suo. Ma poi
mi interrogo e dico: "Quanti di noi realmente
all'interno della propria aula fanno fede a
quanto dichiarato e tanto declamato e mettono gli alunni davvero al centro di un percorso formativo ed educativo autentico e capace di istillare curiosità per il mondo?
L'aspetto emotivo di ogni singolo alunno che
apprende lo teniamo bene a mente?
Ogni parola che gli rivolgiamo, ogni rinforzo
positivo o negativo, ogni sguardo di assenso
o di disapprovazione che gli lanciamo hanno
una ripercussione emotiva e psicologia sulla
sua crescita futura e sull'uomo o la donna
che diventerà, sul come si relazionerà con gli
altri, sulla sua capacità di adattamento
all'ambiente circostante.
Sguardo serio e cipiglio fermo, penna nera in
mano e registro aperto sulla cattedra, dove
scorre rapidamente con gli occhi l'elenco degli studenti e con un fare quasi fulmineo li
osserva di soppiatto per coglierne incertezze, timori, sbandamenti, piccoli gesti di
insofferenza che possano far trapelare una
mancata preparazione.
Chi di noi non ha impressi nella mente il ricordo e il volto di qualche insegnante che si
poneva di fronte agli studenti in questa maniera durante le interrogazioni? A volte il solo
pensiero ci procura uno stato di agitazione e
di ansia che sembra quasi di rivivere nuovamente quei momenti.
Alla luce della nostra esperienza scolastica di
stampo prettamente tradizionalista e contenutistica, se dobbiamo focalizzare la nostra
attenzione su uno o più docenti che ci hanno
segnato in maniera significativa durante il
percorso di studi, quello che probabilmente
ci tornerà alla mente è proprio quell'insegnante un po' "strambo", diverso dalla
massa, che ci faceva comprendere concetti
di fisica che sembravano usciti da un film di
fantascienza, problematizzandoli in situazioni di vita reale e che ci restavano finalmente impressi, o quel docente immensamente sapiente, ma umile come nessun altro, in grado di collegare in maniera interdisciplinare la matematica con la medicina, la
letteratura con la fisica e pronto a donare il
suo sapere ad ogni minimo segnale di interesse della classe, ad una piccola domanda,
ad un libro che leggevi.
E' certo che gli insegnanti di oggi non sono
così, innanzitutto perché hanno il tablet e il
registro elettronico dove inserire le presenze, le attività svolte, i compiti da assegnare per casa, la progettazione annuale,
quella quadrimestrale, bimestrale, mensile,
settimanale, le verifiche tradizionali, la valutazione per competenze, i compiti significativi, le unità di apprendimento, le uscite didattiche, gli incontri con i genitori, l'ingresso
degli esperti esterni, le attività laboratoriali
e mi potrei dilungare ancora in un elenco
quasi infinito.
Tra i tanti pessimi insegnanti che ho incontrato sulla mia strada, ho avuto anche la fortuna di avere professionisti competenti che
credevano veramente nella scuola e consideravano una missione svolgere il mestiere
dell'insegnante, come può esserlo per il medico o per il sacerdote.
Ciascun insegnante all'inizio dell'anno scolastico afferma che "centrale nell'insegnamento sarà l'alunno e che il clima della
classe sarà sereno": una specie di proclama che si potrebbe scrivere a lettere cubitali fuori dalla porta di ogni classe e che
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concrete da risolvere da soli e in gruppo,
problematizziamo, promuoviamo processi di
sviluppo ciclici e ricorrenti, insegniamo loro
attraverso una didattica innovativa, creativa,
pro-attiva e valutiamoli in maniera autentica
e significativa.
In poche parole, lasciamo un seme dentro di
loro con la certezza che quando finalmente
raccoglieranno i frutti si ricorderanno anche
un po' di noi che abbiamo mantenuto fede
alle nostre promesse: "Centrale nel mio
insegnamento sarà l'alunno e sereno
sarà il clima della mia classe".
Interroghiamoci allora, ogni giorno, su ciò
che vogliamo essere per i nostri studenti, ossia un modello da seguire, una guida a cui
ispirarsi.
Pensiamo a ciascuno di loro, a ciò che è
necessario per la loro maturazione affettiva
e cognitiva, mettiamoli dinanzi a situazioni
Giovanna De Angelis,
docente dell'Istituto Comprensivo "Fara Sabina", Rieti
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Dalla prima pagina
Un compito per la vita
Insegnare nella scuola delle competenze
di Ventre Angela - Long Life Learning
Quando entro nella mia classe e osservo gli
alunni, il loro modo di essere, di agire, di approcciarsi alle conoscenze, mi chiedo quali
percorsi didattici posso attivare affinché utilizzino totalmente le loro conoscenze e abilità mostrandosi "competenti", e soprattutto
come valutare queste loro competenze, quali
strumenti e metodologie utilizzare? Nella
scuola delle competenze, i voti servono ancora? Hanno una valenza formativa?
La maggioranza degli insegnanti vede ancora nella valutazione un momento di verifica e di controllo dei risultati raggiunti, delle
conoscenze acquisite dagli alunni, di ciò che
si è fatto e di come si è proceduto. Oggi, invece, per valutazione si deve intendere l'accertamento non di ciò che lo studente sa, ma
di ciò che sa fare con ciò che sa (G. Wiggins,
1993); bisogna valutare la capacità di far
fronte a un compito, o un insieme di compiti,
riuscendo a mettere in moto e a orchestrare
le proprie risorse interne, cognitive, affettive
e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo" (Pellery,
2004).
Nella scuola si chiede agli insegnanti di valutare lo studente osservandolo e individuando, nel suo agire, opportuni indicatori di
competenza. Non bastano un'interrogazione,
semplici esercizi di applicazioni, una prova
scritta, bisogna mettere gli alunni di fronte
ad un compito e a delle situazioni complesse,
che non vuol dire difficili, e osservare come
le interpretano, quali strategie applicano per
portarle a termine, quali competenze utilizzano. Di conseguenza, alla base di una
buona valutazione vi è l'osservazione intesa
non come un semplice guardare, ma come
un continuo e informale monitoraggio, attraverso il quale l'insegnante raccoglie tutte le
informazioni necessarie per stabilire se l'alunno sta procedendo nella giusta direzione,
se non riesce a superare un certo ostacolo,
se gli manca una certa conoscenza o l'ha già
acquisita, se è capace o no di utilizzare le risorse intrinseche alla sua persona.
Durante un consiglio di classe serve a poco
affermare che la "competenza è in corso
di acquisizione" o "non riesce a portare
Le Indicazioni italiane ed europee ci invitano
a centrare l'azione didattica sull'acquisizione
delle competenze, ma, per alcuni insegnanti,
non è facile ancora entrare in questa logica,
o comunque ancora non se ne è totalmente
consapevoli; alcuni credono che a pagarne le
spese siano i saperi, tradizionalmente intesi.
Certo è che un alunno può conoscere la letteratura italiana, la procedura per l'estrazione di una radice quadrata, tutte le regole
della grammatica, ma può non essere in
grado di organizzare, utilizzare appieno le
proprie conoscenze e abilità in situazioni
sempre più ampie e varie.
La richiesta, chiaramente esplicitata dal Consiglio Europeo, è quella di sviluppare un'offerta formativa in grado di garantire non solo
un apprendimento permanente, ma di sviluppare
quelle
competenze,
denominate competenze chiave, utili per la realizzazione e per lo sviluppo personale della cittadinanza attiva. Quello che si chiede alla
scuola di oggi è di formare dei cittadini in
grado di pensare e di agire davanti alla complessità delle situazioni che si trova ad affrontare, impegnando non solo la sua sfera
cognitiva e intellettuale, ma anche la parte
emotiva, sociale, etica, valoriale, affinché
possa essere cittadino del mondo.
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a termine il compito", perché tali espressioni dicono poco dell'alunno, delle sue difficoltà, o meglio delle sue potenzialità. Il nostro compito è quello di individuare e indicare le strategie, le abilità, le conoscenze e
quindi le competenze che l'alunno dovrà
mettere in gioco dinanzi ad un compito scolastico, ma soprattutto nella vita, affinché diventino gli strumenti dell'agire quotidiano.
Parlare di valutazione delle competenze significa confrontarsi, discutere, tendere a una
visone condivisa, progettare e fare insieme,
costruire in maniera trasversale le proprie
valutazioni, le considerazioni in un'ottica di
crescita globale dei nostri alunni.
Angela Ventre,
insegnante di sostegno I.C. "Alfieri - Lante
della Rovere", Roma
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Dalla prima pagina
I CoderDojo: "palestre di creatività"
Formazione informatica per alunni e docenti
di Riccardi Barbara - Scuola & Tecnologia
come Scratch, per la didattica.
Tra le associazioni che operano nel diffondere tale pratica didattica, nel 2013 è
nato "CoderDojo Roma" (http://www.coderdojoroma.it/ ) che ha come obiettivo la
diffusione del digitale, grazie all'opera volontaria di professionisti che sono parte di una
comunità composta da mentor, educatori,
famiglie e tanti appassionati interessati alle
tematiche dell'educazione e della società interconnessa.
"CoderDojo Roma" propone degli incontri laboratoriali che mirano a far acquisire ai ragazzi, e anche agli adulti, capacità nel programmare, attraverso il gioco, per sviluppare allo stesso tempo fantasia e logica. I
CoderDojo sono delle "palestre di creatività", in cui bambini e ragazzi possono inventare videogames, programmi software
free e open source, animazioni o storie interattive attraverso l'esperienza ludica e dove
anche i loro genitori possono meglio comprendere e brevettare le caratteristiche
tanto osannate di questo tipo di lavoro educativo, tutto a livello gratuito. Ogni incontro
laboratoriale proposto è aperto ai ragazzi dai
sette ai dodici anni; per i genitori, invece,
vengono organizzati laboratori sulle tematiche della sicurezza informatica, della privacy
online e dell'uso consapevole dei social network.
In un qualsiasi tipo di esperienza educativa
si viene a creare uno scambio a livello comunicativo che influisce su ogni tipo di attività;
nel caso specifico dell'essere docenti, preferibilmente efficaci, diventa importante il tipo
di comunicazione che attiviamo, in quanto
ciò va ad incidere sul rendimento delle attività di formazione e di informazione nei confronti degli alunni.
Per poter parlare di una comunicazione efficace e per essere capaci di instaurare una
relazione che produca risultati, occorre essere al passo con i tempi.
Il mondo della scuola, per non rimanere
estraneo alle nuove forme di comunicazione,
vista la rapidità con cui la nostra società è
cambiata in tal senso, occorre che diventi
padrone nell'uso degli strumenti tecnologici,
per sviluppare competenze nei ragazzi e per
prepararli a vivere nella nuova epoca.
L'aspetto positivo e il divertimento assicurato sono gli elementi che attraggono i ragazzi ad approcciare le tecnologie, i media e
i social media: obiettivo è fornire gli strumenti operativi per conoscere, gestire e utilizzare gli apparecchi multimediali ed applicarli alle esigenze specifiche come mezzi per
la didattica. Nei CoderDojo sono state create
applicazioni per dispositivi mobili: Pizzabot
e Libramatic sono tra i più scaricati.
Da anni si sente parlare in modo diffuso
di Coding e di CoderDojo. I Coderdojo
sono club di programmazione per ragazzi,
totalmente gratuiti e costituiscono un movimento internazionale che ha raggiunto più di
mille unità in tutto il mondo, con l'intento di
far conoscere l'utilizzo dei software,
A seguire le tracce dell'ideatrice Agnese Addone è l'attuale Responsabile Loredana Oliva
che afferma: "CoderDojoRoma è diventato
un punto di riferimento per l'avvio dell'innovazione sociale; l'attività di noi mentor ha
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generato momenti di confronto e di ricerca
sulla didattica innovativa e sperimentale, per
incentivare nei bambini l'approccio consapevole alla tecnologia e nei genitori una maggiore sensibilità verso il mondo dei social e
del loro corretto utilizzo".
Per questo non è sufficiente la presenza dei
mezzi tecnologici nelle nostre aule, occorre
strutturare ed ampliare competenze informatiche mirate, per meglio sfruttarli in una
didattica innovativa e trasversale, così come
affermano le Nuove Indicazioni Nazionali.
Partecipare agli eventi del CoderDojo Roma,
mi porta a comprendere sempre di più
quanto sia importante l'alleanza tra media
ed educazione perché non basta saper utilizzare gli strumenti informatici, serve soprattutto essere consapevoli di cosa c'è dietro.
Vedere dei bambini riuscire ad animare le
loro storie inventate attraverso l'utilizzo
del coding e sentire il fermento creativo
delle loro menti giovani mi spinge a dire che
è diventato indispensabile formare adulti
consapevoli della valenza di questi mezzi.
Barbara Riccardi,
docente I.C. Padre Semeria di Roma,
Counselor della Gestalt Psicosociale e Giornalista pubblicista
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E tu, di che "like" sei?
Aspetti della comunicazione a scuola ai tempi di internet
di Presutti Serenella - Long Life Learning emoticon
e la semplificazione di alcuni adempimenti,
oltre alle modifiche apportate ad alcune modalità di rapporto tra le componenti scolastiche, tra gli operatori scolastici e l'Amministrazione; ciò che ancora non sappiamo valutare sono invece gli effetti a tutto tondo di
questa rivoluzione, ma possiamo raccogliere
sicuramente alcune criticità.
L'utilizzo continuo della connessione ha già
allertato il mondo scientifico e medico soprattutto, che ha suonato già da un po' il
campanello di allarme per gli effetti di tutto
questo sul fisico, in particolare per i bambini
e gli adolescenti come soggetti in crescita.
Gli effetti sullo sviluppo della personalità,
come anche della relazionalità e della comunicazione, stanno emergendo, in particolare
per l'aspetto dell'indebolimento di alcune
abilità, come la concentrazione e l'attenzione, a favore del rafforzamento di altre,
come la selettività. Il problema più grosso è
rappresentato però dallo sviluppo di "dipendenza", assimilabile all'alcol e alle sostanze
psicotrope; esistono percorsi di ricerca a
supporto dell'individuazione dell'evidenza
scientifica di questi fenomeni, ma non esistono ancora studi e pratiche relative alle soluzioni dei problemi.
Particolare importanza per il contesto scolastico acquisisce l'enorme sviluppo dei social,
come Facebook e Whatsapp, che procede
in parallelo con la diffusione incredibilmente
capillare degli smartphone, a portata di
tutti, adulti e giovani, genitori e figli. La forza
inarrestabile della comunicazione social è l'
"esserci" nello stesso momento che
qualcosa accade; clicco e commento mentre quella persona si sta muovendo, proprio
ora, in quel luogo e ciò è comunicabile a tutti
quelli che si decida debbano essere debitamente informati dei fatti.
Una dimensione ludica che riduce la distanza
fisica tra le persone fino a farla svanire, sbriciolando addirittura la fisicità; questi aspetti
sono così forti che incidono sulla trasformazione delle relazioni umane, come dicevo in
precedenza, a tal punto da essere paragonati
ad una mutazione genetica, con prospettive sconosciute, non gestite né
Le scuole sono ormai contagiate dal fenomeno sociale più pervasivo dell'ultimo decennio: la connessione alla "rete delle reti" e
l'utilizzo di Internet attraverso i diversi dispositivi.
L'influenza positiva di tutto questo si presenta con grande evidenza nell'enorme sviluppo che rileviamo nella didattica, diventata
anche "digitale", assumendo contorni che
solo fino a dieci anni fa sarebbero stati impensabili. Ancora però non ne sappiamo abbastanza sui risvolti critici di questa realtà,
soprattutto non possiamo valutare appieno
gli effetti sortiti sulla comunicazione e sulle
relazioni tra le persone, tra i gruppi e tra le
comunità sociali e professionali.
Nel panorama delle soft skills, abbiamo visto come il sapersi relazionare con gli altri
sia al centro dei percorsi di sviluppo delle
competenze della comunicazione umana; se
cambiano i paradigmi della comunicazione cambiano quindi anche le relazioni tra le persone. Ma come?
Non senza enfasi, nell'ultimo decennio, studiosi, ricercatori, opinionisti e stakeholder
hanno progressivamente descritto una "mutazione genetica" in atto, soprattutto riferendosi all'enorme ed eccezionale sviluppo
dei "social media".
Un esempio illuminante su tutti, per avere
misura della dirompenza del fenomeno, è relativo al trasferimento della pubblicità e
dell'informazione dalla carta stampata ai social, come Facebook e non solo.
Anche nel mondo della scuola, seppur con
maggiore lentezza, la mutazione è in atto,
favorita dall'aggiornamento della normativa
in merito e dai processi di dematerializzazione avviati conseguentemente.
Quello che possiamo osservare è indubbiamente un cambio di passo: la velocizzazione
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tantomeno valutate e regolamentate da
qualsivoglia normativa.
La dematerializzazione ha effetto sulle relazioni scolastiche, non semplificandole;
questa è la linea che emerge dalle esperienze comuni, che esulano dalle differenze
dei contesti socio-economici in cui si collocano gli istituti scolastici.
Molto diffuso è l'utilizzo di gruppi whatsapp di classe, da parte di alunni così
come di genitori, che favoriscono e velocizzano il passaggio di informazioni, ma che
non garantiscono un'attenta policy di utilizzo; ecco proliferare in men che non si dica
chat di commenti indiscriminati, nei contenuti e nelle modalità.
Molto illuminante è una testimonianza diretta, resa in un recente articolo a riguardo,
apparsa sul Corriere della Sera del 28 gennaio scorso, di un papà che annuncia la sua
libertà nel giorno di uscita dal gruppo whatsapp dei genitori della classe del figlio (Salvia L., http://www.corriere.it/scuola/primaria/17_gennaio_25/ho-lasciato-chat-genitori-sono-tornato-uomo-felice-d10ccc00e31b-11e6-91bb-de3c4de78c88.shtml# ).
Le pagine facebook rappresentano un contraltare alle chat, in quanto, apparentemente, propongono schemi comunicativi più
complessi ed articolati.
L'innocente dito alzato, spesso cliccato senza
pensarci troppo, ha suscitato l'interesse
(giustificato) di sociologi, psicologi, pubblicitari ed anche degli educatori, per i suoi effetti ridondanti, a volte addirittura drammatici, come nelle inquietanti storie di cyberbullismo che hanno avuto enorme risalto sulla
cronaca nera nazionale; per questo hanno
interessato particolarmente la scuola, dando
impulso ed avvio a progetti di intervento
sull'uso consapevole della rete e dei programmi di prevenzione.
Fin qui tutto abbastanza noto. Ne abbiamo a
sufficienza per motivare a coltivare un interesse pedagogico costante e non episodico;
la consapevolezza degli addetti ai lavori della
scuola sta crescendo insieme alla preoccupazione di dover trovare soluzioni sostenibili,
efficaci e durature a questi nuovi fenomeni.
Non siamo difronte ad una "moda" passeggera, ma dobbiamo affrontare qualcosa di
molto più serio, con pericolosità sociali anche
inquietanti
Questo ho pensato nell'apprendere l'evoluzione dell'utilizzo dei "big data", cioè sostanzialmente tutto quello che facciamo, sia
on line che off-line, che lascia tracce digitali,
come raccontato in un'approfondita inchiesta
apparsa recentemente in un articolo
H.Grassegger-M.Krogerus, 2017, pp.40-47)
che pone al centro proprio il problema
dell'assenza di regole condivise, nella
normativa e nella vita sociale, per l'utilizzo dei "big-data" e delle derive di manipolazione già in atto da parte dei grandi poteri di aziende private e centri di ricerca e
consulenza spregiudicate e senza scrupoli, al
servizio del miglior offerente economico.
Di fatto il miglior offerente (l'articolo riporta
l'esempio della Agenzia di consulenza al servizio per l'elezione alla Presidenza degli Stati
Uniti di Donald Trump) si è appropriato di un
metodo scientifico validato chiamato con l'acronimo O.C.E.A.N., che riassume i cinque
parametri o aspetti della personalità in base
ai quali è possibile misurare ogni caratteristica di una persona (openness-apertura
mentale,
coscientiousnessperfezionismo,extraversion-estroversione, agreeablness-essere cooperativi, neuroticism-stabilità emotiva).
Nel 2008 Michael Kosinski , dottorando in
psicometria a Cambridge, provò la possibile
connessione tra la teoria OCEAN e l'utilizzo
dei social network, attraverso il più vasto big
data disponibile al mondo: facebook e il suo
like
Facebook è il social network globale, piazza
virtuale di incontro/scontro di opinioni, di diffusione di notizie, idee, differenze, uguaglianze, appartenenze ed esclusioni, spesso
tutto racchiuso e sintetizzato in una emoticon O in una espressione di assenso/dissenso: il "like".
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sistema di like, che abbinati ai punteggi psicometrici potevano restituire profili di personalità altamente attendibili.
Le ricerche e gli studi in questa direzione
sono progrediti velocemente, tanto da provocare la dissociazione del loro utilizzo da
parte dello stesso Kosinski. I risultati tangibili sono ormai noti: è possibile manipolare in modo raffinato e invisibile le opinioni delle persone, fino a condizionare
l'esito di un evento importante della portata
dell'elezione del Presidente degli Stati Uniti.
Non credo si possa ancora parlare di estraneità da tutto questo per nessuno che viva
su questo pianeta, e il problema è già qui: il
Grande Fratello non è più fantascienza
ma si è materializzato senza rumore,
sotto la forma di un emoticon.
"Nel tempo dell'inganno universale dire la
verità è un atto rivoluzionario"
George Orwell
Serenella Presutti,
psicopedagogista e counsellor, Dirigente
scolastico dell'I.C. via Padre Semeria di
Roma
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Dalla prima pagina
La comunicazione senza ascolto
L'importanza di fissare un tempo dedicato
di Bono Liliana - Oltre a noi...
Comunicare è accorgersi. E' consapevolezza.
Nientemeno.
Accorgersi di quello che c'è davanti ai tuoi
occhi e di quello che c'è dentro alla tua
mente, dei bisogni e dei pensieri.
Non saprei nemmeno operare nette distinzioni fra l'io e il tu. Una volta che ti accorgi
di te stesso, cominci ad accorgerti anche degli altri.
Una volta che ascolti te stesso, quasi inevitabilmente cominci ad ascoltare anche gli altri.
Per arrivare a farlo, direi che è buona cosa
concentrare l'attenzione, anche in termini di
spazio e di tempo.
E' quasi impossibile ascoltare continuamente, specie se non si è molto allenati a
farlo, e sforzarsi troppo può creare confusione, soprattutto in un ambiente affollato di
richieste e di bisogni.
Stabiliamo un orario, allora, e magari
anche una zona, uno spazio, una formazione entro cui ascoltarsi e concentrarsi, perché no?
Anche per parlarsi, per comunicare, aldilà
dello scambio continuo che inevitabilmente
avviene ogni giorno.
Con i miei alunni trovo molto utile questa
modalità: fissiamo un tempo per ascoltare e
comunicare.
Ho riscontrato che ai bambini piace e che li
rassicura.
In genere, quando il bambino è ai primi anni
della scuola, la comunicazione è soprattutto
costituita dal riferire all'insegnante (che ha
quasi esclusivamente, quindi, una funzione
di accoglienza e di ascolto), senza nemmeno
richiedere una risposta. Il bambino piccolo
ha bisogno di raccontare, di "fare rapportini"
al suo punto di riferimento, per sentirsi sollevato. Questo in genere è di notevole aiuto
anche in materia disciplinare (brutta parola,
ma è quella): i bambini sono più sereni e il
clima scolastico si fa disteso.
Con i grandicelli c'è in genere un'interazione
maggiore, ma l'ascolto rimane preponderante.
La pratichiamo un po' tutti, non è così?
Dialoghiamo tra sordi, come nel vecchio
scherzo.
- Vai a pescare?
- No, vado a pescare.
- Ah, credevo che andassi a pescare!
Riprendo in parte il tema del mio ultimo articolo ed insisto tanto sulla comunicazione
perché la ritengo essenziale. Penso che a
questo scopo (di comunicare) si spenda la
vita, e si debba spendere la scuola.
D'altronde, anche noi, qui, tra le pagine di
questa rivista, che altro stiamo poi facendo?
Il passaggio delle comunicazioni è il passaggio delle competenze di una vita, e comunicare è per me la competenza.
Impossibile non farlo, del resto.
Da dove comincia l'esistenza della comunicazione, se non dall'ascolto?
Una persona comunica ad un'altra ciò che ha
ascoltato dentro di sé.
Ma si può fare meglio, passando dal comunicare al comunicare con.
Per questo, insieme all'ascolto, è necessaria l'attenzione.
Accorgersi.
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Qualcuno ha detto che l'attenzione è una
forma di amore e io sono d'accordo.
Ho sempre visto il rapporto affettivo come
fondamentale nella scuola, a cominciare da
me.
Io ho bisogno di sentire i miei alunni, altrimenti non riesco a trasmettere quelli che per
me sono i contenuti fondamentali, ossia l'accoglienza, il valore di sé, la fiducia, l'amore
per l'apprendimento.
Francamente ho anche piacere della loro risposta affettiva, altrimenti mi sembrerebbe
di insegnare in un deserto.
Liliana Bono,
docente di scuola primaria,
Istituto "G. Parini", Torino
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"Capovolgiamo" la didattica
Cosa accade nelle classi quando si "Flippa"
di Proietti Michela - Didattica Laboratoriale
arrendersi di fronte a richieste "alte", sviluppando le proprie capacità di problem solving.
Capovolgere la didattica è coinvolgente, sfidante, significativo e inclusivo per gli alunni,
come ci ricordano i due professori statunitensi, ideatori di questo approccio e
scrittori del pionieristico e fondamentale saggio sulla didattica capovolta,
J. Bergmann e A. Sams, disponibile in Italia per Giunti Scuola.
Quali sono i punti di forza della "Flipped
Classroom"? L'idea è quella, per l'appunto,
del capovolgimento degli ambienti di apprendimento: quello che prima tradizionalmente veniva fatto a scuola, ora viene fatto
a casa e viceversa.
"Se ci aveste spiegato di meno,
avremmo capito di più".
Per quanto possa sembrare paradossale,
questa frase scritta da alcuni alunni sui muri
di una scuola, rimanda alla realtà di molte
lezioni, incentrate sulla sola trasmissione di
conoscenze e non sull'acquisizione di competenze. In media gli insegnanti impiegano il
settanta percento del tempo in classe per le
spiegazioni, mentre nel Fliplearning avviene un "salto". In questo contesto l'insegnante fornisce ai ragazzi tutti i materiali
utili all'esplorazione autonoma dell'argomento di studio; questi possono includere libri, presentazioni, siti web, video-lezioni e
simili. I video tutorial, in particolare, rappresentano un mezzo privilegiato per l'apprendimento, proprio per la loro dinamicità e immediatezza.
È fuori dalle mura scolastiche, quindi, che gli
studenti, da soli o in gruppo, e ognuno nel
rispetto dei propri tempi e delle proprie abilità, hanno modo di realizzare delle prime
esperienze di apprendimento attivo, che verranno poi continuate con compagni e docente in classe.
La didattica capovolta, ormai conosciuta
come flipped classroom, è un nuovo approccio all'attività di insegnamento/apprendimento che consente di modificare, invertendoli, gli ambienti di apprendimento; capovolge letteralmente le normali dinamiche
offrendo ai ragazzi nuove situazioni apprendimentali significative, motivanti e cooperative, grazie all'uso delle tecnologie multimediali, perché non possiamo dimenticare che i
nostri alunni sono "nativi digitali". La Flipped Classroom ben si coordina con questo
nuovo modo di conoscere e imparare e permette agli alunni di sfruttare al meglio le innate capacità e allo stesso tempo di indurre
una riflessione ed un approfondimento.
La classe diventa così una vera comunità che riflette sui problemi e cerca una soluzione, riuscendo con facilità ad affrontare
tematiche complesse e, soprattutto, a non
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Tutto il tempo che rimane è libero per sviluppare attività coinvolgenti, motivanti e sfidanti. La classe diventa un'arena di confronto e dibattito, e l'insegnante veste i
panni di moderatore e motivatore.
È proprio la motivazione ad essere la
chiave di volta e la garanzia di successo di
questo innovativo approccio didattico:
quando lo studente sa perché sta studiando
ed è libero di affrontare lo studio coi propri
tempi e modi, si sentirà spinto ad esprimere
le proprie idee, nella consapevolezza di stare
facendo un lavoro utile per sé e per gli altri.
Al contempo il docente ha la preziosissima
opportunità di applicare una didattica per
competenze, di valutare il lavoro degli studenti con osservazioni mirate e di registrare
il raggiungimento delle varie competenze
in rubriche valutative, nonché di promuovere la metacognizione e l'autovalutazione degli alunni.
La sperimentazione di questa metodologia,
in Italia e all'Estero, ha portato ad una gestione più efficace e virtuosa anche del rapporto scuola-famiglia, poiché i genitori possono "stare al fianco" dei propri figli, capire i loro punti di forza e di debolezza, "entrare" in una scuola che diventa più trasparente e coinvolgente e può confrontarsi con i
docenti sul livello di maturazione delle diverse dimensioni delle competenze, chiamate in gioco dai vari percorsi affrontati.
E' un modello didattico sviluppato in America
per la scuola secondaria di secondo
grado, ma è possibile utilizzare la didattica capovolta alla primaria?
Ebbene sì, è possibile! A condizione, però,
che si tengano in conto alcuni aspetti, in particolare l'età degli alunni e la tipologia dei
contenuti da affrontare e che si rispettino dei
passi graduali che accompagnino i bambini
nello sviluppo delle competenze, soprattutto
quelle digitali e sociali.
La scelta di adottare la didattica capovolta
trova il suo fondamento proprio nella necessità di conciliare la didattica per competenze con il tempo scuola sempre più ristretto. La Flipped Classroom consente di
utilizzare il tempo scuola proprio per questo
tipo di didattica.
I bambini fruiscono a casa del materiale multimediale predisposto dai docenti, magari su
una piattaforma di classe, acquisendo quel
corredo di conoscenze che poi nel lavoro in
aula si evolverà in competenze attraverso
i compiti di realtà proposti.
Allora, siete pronti a "FLIPPARE"?!
Michela Proietti,
insegnante dell' I.C. Fara Sabina (Rieti)
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Pag.41
Didattica Laboratoriale
A ciascuno la sua maschera
Una festa come occasione per apprendere
di Santigliano Leonilde - Didattica Laboratoriale
lasciare una traccia rispetto a un nuovo significato che possiamo attribuire al loro Carnevale.
Di solito, mi piace partire dal vissuto degli alunni per poter appurare le loro conoscenze rispetto ad un argomento.
Ho chiesto ad ognuno di loro: "Quale maschera preferisci e perché?"
Le maschere preferite sono quelle appartenenti a supereroi, fate e personaggi vari che
fanno da protagonisti sul grandi e piccolo
schermo. Da qui è nato il desiderio di organizzare con gli alunni un breve lavoro suddiviso in fasi con l'intento di raggiungere diversi obiettivi.
Ripercorrendo la nostra bellissima Italia, ci si
accorge che ogni regione possiede una maschera che la caratterizza e che affonda le
radici in antiche tradizioni. Insieme ai bambini abbiamo rispolverato delle piccole storie
legate alle maschere tradizionali italiane; attraverso storie e favole narrate in classe,
rappresentazioni teatrali, immagini e filastrocche sonore, abbiamo riscoperto la nascita del vestito di Arlecchino, quell'attaccabrighe di Brighella, il brontolone dottor Balanzone, la furba Colombina, il malinconico
Pierrot, le avventure del simpaticissimo Pulcinella, ecc.
Considerando la giovanissima età degli
alunni (seconda elementare), il lavoro si è
svolto in maniera molto semplice e divertente. Non tutti i bambini conoscevano le
maschere presentate, dunque si è cominciato con una discussione generale in merito
alle piccole storie abbinate ai relativi personaggi, in modo particolare abbiamo colto le
particolarità caratteriali di ognuno di essi.
Come insegnante, ho colto l'occasione per
fare di un momento di divertimento, come il
Carnevale, un motivo di conoscenza.
Come affermato nelle Indicazioni Nazionali (Arte e Immagine), è bene cominciare
sin da piccoli a "potenziare nell'alunno le capacità di esprimersi e comunicare in modo
creativo e personale, di osservare per leggere e comprendere le immagini e le diverse
Una delle feste più sentite dai bambini è sicuramente il Carnevale, le classi sono addobbate di mascherine di carta e stelle filanti, una ricca alternanza di colori rendono
l'ambiente festoso ed accogliente. Di solito i
bambini attendono questa festa che tradizionalmente è legata ad una particolare aria di
divertimento. Esprimono grande entusiasmo
nel mascherarsi e si preparano a fare scherzi
divertenti.
Man mano che gli anni passano i tempi cambiano e di conseguenza le nuove generazioni
sono inesorabilmente coinvolte in modi di
fare e di pensare differenti rispetto a chi li ha
preceduti, forse le tradizioni restano perché
c'è chi continua a narrare episodi e a mantenere usanze semplici e genuine in ricordo del
tempo che fu.
Sicuramente i nostri bambini vivono in un
mondo in cui le ricorrenze festive sono sempre di più associate a prodotti commerciali,
facili da reperire, alla portata di tutti, pronti
all'uso.
Cogliendo l'occasione festosa del periodo, ho
pensato di pianificare un percorso didattico
che potesse rispondere in maniera ludica ai
desideri dei bambini e nello stesso potesse
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creazioni artistiche, di acquisire una personale sensibilità estetica e un atteggiamento
di consapevole attenzione verso il patrimonio artistico. La familiarità con immagini di
qualità ed opere d'arte sensibilizza e potenzia nell'alunno le capacità creative, estetiche
ed espressive, rafforza la preparazione culturale e contribuisce ad educarlo a una cittadinanza attiva e responsabile. In questo
modo l'alunno si educa alla salvaguardia, e
alla conservazione del patrimonio artistico e
ambientale a partire dal territorio di appartenenza. La familiarità con i linguaggi artistici, di tutte le arti, che sono universali, permette di sviluppare relazioni interculturali
basate sulla comunicazione, la conoscenza e
il confronto tra culture diverse".
In un secondo momento abbiamo organizzato un vero e proprio laboratorio artistico
per la creazione di mascherine di Carnevale
da preparare in piccoli gruppi e da sfoggiare
in una sfilata nella stessa scuola per la giornata del "Martedì Grasso".
Le conoscenze apprese dagli alunni, sulle
tradizionali maschere di Carnevale, hanno
contribuito a stimolare la fantasia e a fornire
degli strumenti per poter creare liberamente
una nuova mascherina oppure riprodurne
una che, a seconda dei gusti personali, è risultata più simpatica e piacevole.
Per loro è stato un gioco molto bello. Come
insegnante ho potuto osservare, da parte dei
bambini, un impegno collettivo e posso affermare sicuramente che il piccolo laboratorio ha favorito momenti di socializzazione
e di comunicazione, in cui tutti si sono sentiti coinvolti e ben integrati. Ogni bambino ha
avuto la possibilità di scegliere un travestimento che potesse esprimere il proprio immaginario, per sentirsi forte, magico, extraterrestre e ancora, come re o regine o fantastiche principesse.
Evviva la creatività e il divertimento! Evviva il Carnevale!
Leonilde Santigliano,
docente dell' I.C. "Belforte del Chienti",
Roma
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Didattica Laboratoriale
Paraponziponzipo'
Un esempio "evoluto" di didattica interdisciplinare
di Parisi Roberta - Didattica Laboratoriale
classe terza, si è concretizzata quando abbiamo deciso di approfondire i concetti di
evoluzione e di adattamento.
I testi ministeriali, così come le notizie ricavate da internet, non fanno difetto relativamente ad immagini e spiegazioni ma l'obiettivo di noi docenti è stato quello di introdurre
gli allievi nel mondo della sperimentazione: i
bambini hanno capito cosa si intende per
eredità genetica, adattamento e selezione
naturale anche attraverso giochi ed un approccio empirico.
Siamo partiti acquisendo una generosa
quantità di informazioni a carattere generale
sull'evoluzione della Terra nel corso delle ere
geologiche e delle prime forme di vita.
Gli alunni hanno visionato video, immagini;
hanno letto dati e testi.
La selezione delle fonti proposte è avvenuta
secondo precisi criteri: tutte dovevano possedere notizie da poter confrontare per scoprire somiglianze e differenze tra teorie.
La storia e le scienze sono il binomio perfetto
per sperimentare, con modalità spontanee,
la fusione delle discipline: infatti proponendo
argomenti che sollecitino la curiosità intellettuale ed il desiderio di indagare, l'allievo si
renderà conto che per costruire conoscenza,
le informazioni, attinenti ai due campi disciplinari, devono continuamente intrecciarsi
come fili di una trama.
Le diverse dimensioni dell'esperienza offrono
l'occasione per rafforzare il messaggio che
l'insegnante vuole veicolare.
Ciò comporta, come raccomandano le Indicazioni Nazionali per il curricolo, il dosare
con accortezza la quantità e la qualità delle
tematiche fondamentali da affrontare, operando delle scelte sui livelli di approfondimento.
In questa fase abbiamo ritenuto importante rendere consapevoli gli alunni del
carattere ipotetico di alcune spiegazioni
e della ricerca che le sottopone a revisione continua.
La Storia rappresenta la sezione meno
stabile tra le discipline.
Gli alunni, dopo aver inserito fatti e dati in
tabelle, schemi logici, mappe concettuali,
sono giunti ad alcune generalizzazioni che a
questo punto dovevano essere in parte confermate (attraverso giochi che facessero
comprendere il ruolo del mimetismo nella
selezione naturale e semplici esperimenti
sulla capacità di adattamento delle piante
alla luce solare), in parte ulteriormente indagate e descritte per sviluppare ipotesi esplicative.
In classe terza si passa dalle storie intese
prevalentemente come narrazioni letterarie
alla Storia che va ricostruita attraverso dati
e documenti (a volte certi a volte incerti)
soggetti ad interpretazione.
Particolarmente efficace è stata l'esperienza
dell'albero filogenetico.
Dapprima i bambini hanno realizzato un albero dell'ereditarietà, riferendosi al contesto
L'alleanza tra storia e scienze, nella mia
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famigliare; hanno confrontato le loro scoperte e tratto conclusioni. In particolare si
sono accorti che alcune caratteristiche si
sono trasmesse da genitori a figli e che la
ricostruzione genealogica oltre un certo limite non potesse andare, allora hanno dovuto affidarsi ai ricordi e alle testimonianze
dei parenti non sempre così sicure.
In un secondo momento, prendendo l'idea
da Rai Scuola, dopo aver trattato il concetto
di evoluzione attraverso l'uso di varie fonti, i
bambini si sono trasformati in tassonomi
realizzando un albero evolutivo, utilizzando
alcune varietà di pasta che per noi rappresentavano le diverse specie viventi alle origini.
La pasta è stata catalogata secondo lo spessore, la forma, il colore, il grado di ruvidità,
la lunghezza.
Su un cartellone gli alunni hanno posizionato
il formato di pasta che secondo delle motivazioni ben precise poteva essere considerato l'antenato di tutti gli altri formati.
Via via si è stabilita la collocazione temporale
delle specie (pasta) secondo delle linee evolutive che ogni volta dovevano essere motivate con eventuali trasformazioni territoriali,
climatiche o con la comparsa di nuove forme
viventi antagoniste.
Nel nostro albero evolutivo alcune specie
procedevano nell'evoluzione, altre sparivano
per selezione naturale.
I bambini ogni volta hanno dovuto ipotizzare
tutti gli scenari ambientali possibili per giustificare le scelte sul perché una specie
avesse la meglio rispetto ad un'altra. Sono
giunti all'idea che le trasformazioni irreversibili siano alla base dell'evoluzione.
Esaminando le trasformazioni del nostro territorio nel corso di milioni di anni, gli alunni
hanno applicato alla nostra realtà ambientale i contenuti già catalogati e sperimentati.
Ogni tassello andava a posizionarsi ed acquisiva un significato più contingente.
In questo caso siamo partiti dal generale per
arrivare al particolare che a sua volta rafforza le generalizzazioni. Così i bambini
hanno acquisito una certa consuetudine
a trasferire continuamente le conoscenze sui vari piani di rappresentazione della realtà.
In ambito linguistico ci siamo concentrati
sulla realizzazione di un semplice spettacolo
di fine anno che considerasse in modo "semiserio" gli argomenti storici trattati.
I bambini hanno dimostrato una buona competenza nell'uso degli argomenti storicoscientifici a livello creativo, inventando dialoghi e situazioni pertinenti oltreché divertenti ed utilizzando personificazioni per dare
la parola alla Storia ed alla Fantasia che nella
rappresentazione teatrale sono diventate
personaggi in carne ed ossa.
Particolarmente motivante per gli alunni è
stato accostare il linguaggio musicale a
quello della narrazione: dopo aver scelto
brani musicali piuttosto noti, con i bambini
abbiamo trasformato i testi e realizzato coreografie.
Non posso non ringraziare la nostra maestra
musicista Gabriella Coppola che con i suoi
accordi ha fatto miracoli.
Mi piace terminare questa sintesi del lavoro
svolto in classe proprio con la canzone dei
Watussi modificata dai miei alunni improvvisati parolieri.
Questa attività laboratoriale ha semplificato
la comprensione della teoria sull'evoluzione
umana.
Analizzando le diverse specie umane, gli
alunni hanno focalizzato l'attenzione sulla
comparsa del linguaggio come caratteristica
peculiare dell'uomo, rendendolo probabilmente più adatto a dominare altri esseri viventi.
HOMO SAPIENS
"Alle origini dell'uomo
Paraponziponzi ponzi po
Sulle sponde più profonde
Paraponziponzi ponzi po
c'era un popolo di Sapiens
che ha scoperto gli strumenti
per andare meno lenti
lenti là lenti qua.
Siamo i Sapiens
Siamo i Sapiens
I più progrediti
Noi camminiamo
A questo punto tutte le osservazioni effettuate dovevano essere integrate in un quadro di riferimento più circoscritto ed in nostro
soccorso non poteva non introdursi la geografia, la disciplina più intrinsecamente trasversale.
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Noi camminiamo
Ancor più spediti
Noi siamo quelli che seminando
Meno problemi avranno vivendo
Noi siamo i sapiens".
Gli alunni della 3E
Roberta Parisi
docente, IC Riano, Roma
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