Per Jannis Kounellis

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Transcript Per Jannis Kounellis

17 febbraio 2017 delle ore 22:04

Per Jannis Kounellis

È come se fosse un abbraccio collettivo, per tenerti ancora con noi. Ci manchi, ma non ti lasceremo andare via

Quando ieri ho appreso la notizia ho pensato: se ne è andato un grande italiano. Jannis, Gianni per tutti noi, era veramente italiano, perché tanti anni fa ci aveva scelto. Aveva scelto l’arte italiana e la lingua italiana – come fai a lavorare in Cina, gli avevo chiesto molto tempo fa, i cinesi parlano solo cinese, e lui mi aveva risposto: «Io dappertutto parlo solo italiano e va benissimo» – e Gianni era veramente un grande. Rischia di suonare retorico dirlo, ma oggi siamo tutti più soli, un po’ orfani. E mi stupisce che a percepirlo siano tantissimi, anche chi forse sa a malapena chi fosse Kounellis e che a dirlo sia la grande stampa, la radio, che finalmente si occupano, sebbene da morto, di un grande artista. Noi lo ricordiamo con il pensiero di due suoi amici e compagni di strada: Alfredo Pirri e Ludovico Pratesi. Ciao Gianni, un forte abbraccio da tutti noi. (ap) Lui che ha avuto la forza e la capacità di dire Noi Non si dica, è scomparso. Scappare non è da lui, partire sì consegnarsi pure, dandosi all’esistenza e alle persone, alle forme e soprattutto all’ombra, che proteggendolo. Oggi, se fossimo cristiani, terremmo le mani giunte e gli occhi bassi. Se fossimo ebrei accenderemmo delle candele preoccupandoci di non farle spegnere e copriremmo gli specchi. Se fossimo islamici laveremmo il suo corpo partendo dalla testa e accenderemmo l’incenso. Se fossimo buddisti lo lasceremmo da solo preparando il riso da offrire all’altare di casa. Ma noi non siamo nulla di tutto questo, lui sì, ne è la somma, l’addizione di un intero mondo che chiede di essere compreso e non cancellato. "Noi siamo stati internazionali!” - Beato te, fra i beati, per avere la forza e la capacità di dire Noi perché ti muovi nel mondo con il passo leggero del ballerino portando con te una pietra che ti àncora, impedendoti di volare via. Noi, adesso, sappiamo di poterci chiamare società grazie al tuo vincolo senza il quale saremmo tutti più immobili e soli.

Alfredo Pirri Il pittore moderno, come in ogni epoca, è un uomo antico Jannis Kounellis lo accolga Jannis Kounellis se ne n'è andato. Un viaggiatore dallo sguardo alto, coraggioso, intenso, che aveva regalato a Pesaro una mostra straordinaria, che rimarrà nella storia della Pescheria. Ci conoscevamo da tempo, ma in quella settimana di luglio trascorsa insieme per allestire la mostra ho capito la sua forza, fatta di silenzi più che di parole, di frasi brevi ma incandescenti, e di una grandissima umanità.

Camminava a passi larghi, con lo sguardo puntato sull’orizzonte come il capitano di un veliero in mare aperto, e con quello sguardo captava la complessità del mondo, che riusciva a rendere con opere potenti ed epiche, concepite come immagini dipinte. «Sono un pittore, la mia tela è lo spazio», diceva. Un combattente come Pier Paolo Pasolini, un poeta come Omero, un visionario che aveva puntato il dito su quel sottile crinale che separa il mondo arcaico e contadino da quello industriale con un alfabeto essenziale, che a Pesaro aveva voluto arricchire di un nuovo elemento, l’altalena. E poi di nuovo un cavallo, solo, a trainare un convoglio carico di memorie, storie, tragedie, ombre e verità.

Un’immagine carica di lutto, che oggi assume quasi la sinistra dimensione di un presagio.

Aveva scelto l’Italia, dove era arrivato nel 1956, a vent’anni. Voleva scoprire il Rinascimento, respirare la forza di Masaccio e di Caravaggio, che definiva pittori ideologici: «Hanno segnato la mia vita. I loro quadri non hanno il dogmatismo medievale delle icone. È gente che firma le proprie opinioni poetiche e le difende.

La modernità della pittura è anche in quella firma». A differenza di molti artisti italiani, non aveva paura di esprimere opinioni politiche: introdusse addirittura un congresso del PDS con un discorso memorabile. Queste frasi, pubblicate su Micromega nel 2004, riassumono il suo pensiero: «Oggi il pittore è l’ultimo anello di un’espansione di debolezza, voluto anche da una certa politica di sinistra, che ha voluto questa perdita di peso. Mentre una volta il quadro centralizzava l’interesse culturale, oggi è l’istituzione burocratica che offre la centralità, ma questa idea globale di pluralità allontana la critica ed è un discorso nefasto nascosto sotto un’apparenza libertaria».

Abbiamo vissuto tante storie insieme, con Gianni e Michelle, donna straordinaria accanto a un uomo straordinario, fin dal lontano 2002, quando ti avevo invitato alla mostra Incontri alla Galleria Borghese, dove avevi dialogato con il tuo amato Caravaggio. Poi, nel 2011, al conventino di Monteciccardo, perduto tra le verdi colline marchigiane, e infine alla Pescheria di Pesaro, l’estate scorsa. Ci hai donato un capolavoro, quel "funerale napoletano” degno di celebrare il ventennale del Centro Arti Visive. Ciao Gianni. Da quando avevi scelto di essere cittadino italiano, nel 1992, eri diventato Gianni, e in ogni parte del mondo per comunicare avevi un’unica lingua: l’italiano. Rimarrai per sempre con noi, perché ci hai insegnato che un artista è, prima di tutto, una figura morale, che nemmeno la morte riesce a scalfire.

Ludovico Pratesi Vi proponiamo l'ultima intervista che ci ha rilasciato in occasione della Focara di Novoli (Lecce) del 2014 Oggi dalle 14:00 alle 19:00 sarà allestita la camera ardente in Campidoglio. I funerali si terranno lunedì 20 alle 11:30 nella Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo.

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