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ESTERO - LE NOTIZIE MAI LETTE IN ITALIA
Giovedì 16 Febbraio 2017
Si accelera la conquista, da parte di Pechino, dell’industria cinematografica americana
Opa della Cina su Hollywood
È un mezzo per accrescere la sua influenza sull’Occidente
DI
L
crescita incredibile per Hollywood.
ANGELICA RATTI
a Cina accelera la stretta
sull’industria cinematografica americana, presa
per il collo. Hollywood è
diventato uno strumento per
accrescere la propria influenza
sull’Occidente. Il cinema cinese
sarà un mezzo per propagandare le propei idee. Presto i
produttori non esiteranno a
modificare le trame dei film
per adattarle al mercato asiatico. Disney ha proposto una
versione specifica di «Iron Men
3» con degli attori cinesi.
Questa dimostrazione
del «soft power» cinese sta
preoccupando i parlamentari,
come ha raccontato il quotidiano francese Le Figaro. A
questo ritmo, James Bond e
Capitan America presto passeranno sotto la bandiera del
Dragone, mentre Tom Cruise
parlerà il mandarino. Negli ultimi anni, l’ex Impero di mezzo
ha avviato una serie di Opa su
Hollywood. Spinge le sue pedine ad alta velocità e senza
farsi problemi. A manovrare
sono i magnati della Cina, la
cui crescita esponenziale ha
fruttato una montagna di denaro da reinvestire. Guidato
da Jack Ma, il gigante dell’ecommerce Alibaba ha fatto il
suo ingresso nel capitale della
Amblin, la società di Steven
Nel 2019 la Cina diventerà il primo mercato mondiale del cinema
Spielberg, e ha finanziato anche successoni come «Missione
impossible» e «Star Trek».
Da parte sua, Wang Jianlin, ceo del conglomerato immobiliare Wanda, ha appena
pagato un miliardo di dollari
(944 mila euro) per prendersi
la Dick Clark Productions,
organizzatore della cerimonia
dei Golden Globe, dopo essersi
preso lo studio Legendary,
che ha prodotto «Batman»,
«Jurassic World» o «Gozilla»
per 3,5 miliardi di dollari (3,3
miliardi di euro) e aver avviato
una trattativa con Sony Pictures. Nel 2012, si era già fatta
notare per l’acquisizione della
catena di cinema Amc per 2,6
miliardi (2,4 mld di euro).
E questo è soltanto l’inizio.
Il magnate più ricco dell’Asia
vuole mettere le mani su una
prestigiosa major hollywoodiana: Disney, Fox, Warner,
Paramount, Universal,
Sony Pictures. «se qualcuna
di queste è disposta a vendere
a noi, ci stiamo», aveva fatto
sapere l’estate scorsa Wang
Jianlin.
Nel 2016 in Cina, gli incassi al box office sono arrivati
a quota 6,6 miliardi di dollari
(6,2 mld di euro). Gli schermi
cinematografici nel paese sono
41 mila, un po’ più che negli
Stati Uniti. E, secondo le intenzioni di Pechino, il paese
dovrà diventare il primo mercato mondiale del cinema nel
2019. Andando oltre le strategie di investimento industriale, queste partnership cinesi
permetteranno al Dragone di
appropriarsi delle tecniche e
di un know-how tecnico unico
per arrivare a produrre, un
giorno, direttamente in casa
i successoni di caratura internazionale.
In attesa di esportare la
sua produzione cinematografica in un futuro prossimo,
la Cina si intromette direttamente nelle superproduzioni
hollywoodiana per presentare
il paese nel suo aspetto migliore ed esportare i propri valori.
In questa guerra culturale
dolce la Cina può disporre di
un atout importantissimo,
quello di diventare nel 2019 il
più grande mercato cinematografico del mondo, secondo le
previsioni di Pwc riportate da
Le Figaro. Dunque, se l’attività ristagna negli Usa, la Cina
costituisce una possibilità di
Negli Stati Uniti questa
ingerenza dei capitali cinesi nel settore dell’intrattenimento culturale ha finito
per preoccupare la sfera politica che ha suonato l’allarme.
Alcuni politici hanno chiesto
che le acquisizioni cinesi nel
settore siano valutate con gli
stessi criteri che vengono utilizzati in materia di sicurezza
nazionale. Il timore dichiarato
è che la Cina intenda aumentare il controllo della propaganda del Dragone sui media
americani. E sotto la lente sono
finiti i rapporti fra Wanda e il
regime di Pechino. Ex colonnello dell’esercito cinese, Wang
Jianlin non ha mai nascosto
la propria vicinanza al potere e
per questo è diventato il braccio destro del cosiddetto «soft
power» .
Tuttavia la Cina è ancora lontana dal momento in
cui sarà in grado di fare da
contrappeso alla cultura occidentale. E non basta certo
mettere un’armatura cinese su
un attore americano come nel
film «La Grande Muraglia».
Conquistare Hollywood non
è facile e molti investitori, tra
canadesi, giapponesi, francesi,
si sono già rotti i denti.
© Riproduzione riservata
ACQUISIZIONE PER 11 MILIONI DI EURO DELLA BERLINA PRODOTTA DA HINDUSTAN MOTORS COMPANY NEL BENGALA
Peugeot fa shopping in India e si compra l’auto dei tassisti
La mitica Ambassador verrà rifatta con il marchio francese
DA PARIGI
GIUSEPPE CORSENTINO
È
costata poco la regina delle strade indiane, la mitica
Ambassador che per oltre
mezzo secolo, dal 1958 al
2014, è stata l’unica berlina interamente prodotta nello stabilimento
della Hindustan Motors Company
a Uttarpara, nel Bengala occidentale.
L’Ambassador, da due anni
fuori produzione, è stata acquistata per 800 milioni di rupie, poco
più di 11 milioni di euro, dalla Peugeot di Carlos Tavares, l’ingegnere
franco-portoghese che l’ha risanata e
riportata a livelli di redditività mai
visti. E che ha dichiarato l’intenzione
di sfruttare la notorietà di questo mito
automobilistico (la vettura si vede in
tanti film di Bollywood) per conquistare le famiglie della media borghesia
del subcontinente indiano.
Scocca e carrozzeria della vecchia Morris Oxford serie 3 (le berlina inglese che per tre anni, dal ’56 al
’59 affascinò gli automobilisti britannici), seppure con motorizzazioni via
via sempre più approssimative (pro-
L’Ambassador è da due anni fuori produzione. Verrà riportata in auge da Peugeot che mira alla media borghesia indiana
pulsori coreani e giapponesi al posto
dell’originale quattro cilindri inglese), l’Ambassador, dopo essere stata
l’auto-simbolo delle classi al potere, un
po’ come la Citroën DS qui in Francia,
è diventata la vettura dei tassisti di
Bombay fino ad arrivare al blocco della produzione e allo smantellamento
della catena di montaggio.
rifare le vecchie berline e le coupè
ancora in circolazione per le strade
di Cuba), si è aggiudicato un impianto produttivo, quello di Uttarpara,
da cui pensa di far uscire almeno
100mila vetture con il marchio Peugeot entro il 2020, grazie agli accordi
industriali già in essere con la Hindustan Motors.
Riscoprirla e comprarla per
11milioni di euro è stata, secondo
gli esperti di automotive, un mezzo
colpo di genio di Tavares che, con
questa mossa, oltre al mito della
Queen of indian roads (un po’ come
se la General Motors si mettesse a
Insomma, la mitica Ambassador con il suo fascino british serve
alla Peugeot per riaprire le porte di
un mercato che negli anni ’50, giova
ricordarlo, era dominato dalla Fiat
(con la sua Padmini, una riedizione
dell’altrettanto mitica 1100, diven-
tata anch’essa l’auto prediletta dai
tassisti di Bombay) e che, trent’anni
dopo, negli Ottanta aveva dato scacco alla sua 309 costringendola al ritiro a vantaggio della rivale Renault
e poi di Nissan e Toyota.
Un ritorno in India, quindi, un
viaggio all’indietro come quello dello scrittore indo-americano Anand
Giridharadas. Ma senza romanticismi. Solo la voglia di conquistare
un mercato che vale appena il 30%
di quello europeo. L’ingegner Tavares ha già fatto i suoi conti.
@pippocorsentino
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