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Commentary, 9 febbraio 2017
LO SGRETOLAMENTO DELLA FORZA DI PACE AMISOM
E I NUOVI SPAZI PER AL-SHABAAB
ENRICO CASALE
C
i sarà un futuro per Amisom dopo il 2017? E
senza Amisom le traballanti istituzioni somale
riusciranno a sopravvivere? Sono le domande
che la comunità internazionale dovrebbe porsi di fronte a
un sempre più evidente sgretolamento della Missione
dell’Unione africana in Somalia. Una missione che, finora, è riuscita, con molti sacrifici e tante difficoltà sul
terreno, a liberare le principali città somale e una parte
(non molto grande in verità) dell’entroterra dalla stretta
morsa delle milizie islamiche di al-Shabaab (affiliate ad
al-Qaeda). L’annunciato ritiro dei militari ugandesi, il
richiamo di una parte del contingente etiope, i tentennamenti delle forze burundesi rischiano però di lasciare
senza difese il governo somalo.
©ISPI2017
La missione Amisom nasce il 21 febbraio 2007. È il
Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana
a istituirla con la risoluzione n. 1744 (alla quale dà il suo
assenso l’Onu). Ad essa assegna numerosi obiettivi: sostenere il Governo federale di transizione, delineare e
attuare una strategia di sicurezza nazionale, addestrare le
forze di sicurezza somale e contribuire a creare un ambiente sicuro per la distribuzione degli aiuti umanitari
(porti, aeroporti e, soprattutto, vie di comunicazione). Il
contingente è inizialmente composto da 5.250 soldati:
2.250 inviati dal Burundi e 2.700 dall’Uganda. Gradualmente, a partire dal 2011, Amisom si rafforza con i
contingenti di Gibuti (850 soldati) e della Sierra Leone
(altri 850 militari). Col tempo arriveranno anche reparti
da Camerun, Gambia, Ghana, Niger, Nigeria, Senegal e
Zambia. Ma è nel 2012 che la missione riceve i rinforzi
maggiori. Le truppe del Kenya e quelli dell’Etiopia, dopo
aver invaso una parte della Somalia per contenere le milizie islamiche, diventano parte effettiva di Amisom.
All’inizio 2016, la missione UA conta quindi su 22mila
uomini, tra i quali 6.000 ugandesi, 5.400 burundesi, 4.400
etiopi e 3.600 keniani. Nonostante la Somalia rimanga un
paese instabile, Amisom contribuisce a liberare dalla
presa di al-Shabaab le principali città della costa e alcune
zone dell’entroterra. I reparti sono quotidianamente impegnati contro al-Shabaab. Quella con i jihadisti, è una
guerra asimmetrica fatta di imboscate, attentati, colpi di
mano. Azioni quasi sempre impreviste e imprevedibili
che fanno decine di vittime tra le file della missione e tra
quelle dei miliziani. Ma, più che le vittime, sono i problemi economici e quelli politici a mettere in crisi Amisom che, lentamente, segna le prime defezioni.
La più importante è quella etiope. L’11 ottobre, Addis
Abeba inizia a ritirare i propri reparti da due città strate-
Enrico Casale, giornalista di Africa Rivista
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
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giche nella regione di Hiraan nella Somalia centrale. Il 23
ottobre, un contingente abbandona un’altra base sempre
nella regione di Hiraan. Il 26 ottobre poi viene evacuato
un presidio a Bakol, vicino al confine con l’Etiopia. Di
preciso non si sa quanti uomini abbia richiamato Addis
Abeba. Non si conosce neppure il motivo esatto del ritiro.
Ufficialmente, l’Etiopia ha lasciato la Somalia per motivi
economici. Il budget federale non permetteva, secondo il
governo, di sostenere le spese della missione. La realtà
sarebbe però più sfaccettata. La stampa internazionale ha
riportato voci di tensioni etniche all’interno dell’esercito
etiope. Soldati oromo si sarebbero ribellati agli ufficiali
tigrini. Riportando così nelle forze armate quelle forti
tensioni che sta vivendo la società etiope. Secondo altre
ricostruzioni, il governo di Addis Abeba ha ritirato i
propri reparti perché aveva bisogno di uomini in patria.
sono state pagate. Così Nkurunziza ha annunciato il ritiro.
Per non lasciare ulteriormente sguarnita Amisom, è stato
però trovato un compromesso dell’ultimo minuto: i salari
sarebbero stati pagati non alla banca centrale del Burundi,
ma a un istituto di credito privato. Si è evitato, in questo
modo, un contatto diretto tra le autorità politiche locali e
l’Unione europea.
Più serie invece le intenzioni dell’Uganda. Il governo di
Kampala ha ufficialmente annunciato che ritirerà le sue
truppe a partire dal dicembre 2017. Si tratta di una grande
perdita per l’Amisom. I soldati ugandesi hanno offerto un
importante contributo nel contenimento delle milizie
al-Shabaab, costringendo la ritirata dei jihadisti da molte
città somale. Il generale Katumba Wamala ha spiegato
che il suo paese non può però più tollerare le continue
perdite di uomini nelle imboscate dei fanatici di
al-Qaeda. I morti nelle file ugandesi iniziano, a parere dei
politici di Kampala, a essere troppi. Alla base, tuttavia, ci
sono ancora i ritardi nei pagamenti da parte europea.
©ISPI2017
Le truppe in Somalia, pur rappresentando solo il 5%
dell’organico delle forze armate, sono le meglio addestrate e hanno una grande esperienza sul campo di battaglia. Proprio quell’esperienza che potrebbe tornare utile
per il controllo massiccio del territorio richiesto dallo
stato di emergenza, dichiarato dal governo per sedare le
proteste dell’etnia oromo. Al di là delle motivazioni, gli
effetti del ritiro sono stati catastrofici. L’abbandono della
Regione di Hiraan ha fatto sì che una delle vie di comunicazioni più importanti della Somalia, quella che collega
Mogadiscio al resto del paese, non sia più controllata e
possa nuovamente cadere nelle mani di al-Shabaab.
Anche il ritiro dalla zona di Bakol mette a rischio una
zona che, negli ultimi anni, era riuscita a tenersi lontana
dalle milizie jihadiste.
Teoricamente, la missione dell’UA dovrebbe essere
gradualmente sostituita dai militari della Somali National
Army. L’esercito somalo però non pare ancora pronto per
assumersi la responsabilità della sicurezza nazionale,
nonostante lo sforzo profuso nell’addestramento dai
partner internazionali. Tra essi, oltre agli Stati Uniti e alla
Turchia, anche l’Unione europea che, nel 2010, ha dato
vita a Eutm Somalia, una missione che ha come scopo
«lo sviluppo delle istituzioni preposte al settore della sicurezza». Istruttori militari occidentali, tra i quali anche
ufficiali e sottufficiali italiani, hanno formato giovani
somali alle attività di controinsurrezione e di mantenimento della sicurezza. Attualmente sono circa 11mila i
soldati e i poliziotti addestrati. Ma sono in numero insufficiente per assicurare il contrasto alla diffusione delle
ben organizzate milizie al-Shabaab. Non solo, ma non
dispongono neppure degli armamenti e degli equipaggiamenti necessari. Per ripristinare i propri organici dopo
il ritiro dei contingenti, Amisom avrebbe bisogno di un
rinforzo di almeno novemila uomini entro la fine del
2017. A lanciare l’allarme in questo senso è stato Fran-
Più controverso, invece, l’annuncio di abbandono da
parte del Burundi. Prima minacciato, poi revocato, il
provvedimento di ritiro è legato unicamente a questioni
politico-economiche. La missione Amisom è sostenuta
finanziariamente dall’Unione europea. Ma, proprio
Bruxelles, ha imposto sanzioni a Bujumbura dopo la
contesta rielezione di Pierre Nkurunziza e le violenze che
ne sono seguite. È quindi diventato inopportuno per i
diplomatici europei versare fondi nelle casse burundesi.
Per questo motivo, per mesi, le truppe di Bujumbura non
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cisco Madeira, rappresentante speciale per la Somalia del
presidente dell’Unione Africana. «L’addestramento – ha
detto – è in corso e continuerà anche nei prossimi mesi.
Ma un soldato è tale se può disporre delle armi e degli
equipaggiamenti di cui ha bisogno.
paese circolano troppe armi e che non è necessario inviarne altre. Ma il rischio è che, se si ritirano le forze
Amisom, al-Shabaab recuperi tutto il terreno perso negli
anni passati. Possiamo permettercelo? Non credo. Per
questo, c’è bisogno di rinforzi mentre l’esercito somalo
continua a consolidarsi». Il rischio è che la Somalia torni
a essere un santuario del terrorismo internazionale.
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Purtroppo la comunità internazionale è ancora diffidente
nei confronti della Somalia. In molti sostengono che nel
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