Camera Penale di Firenze - Ordine degli Avvocati di Firenze

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Camera Penale di Firenze
Il Presidente
Firenze, 28 gennaio 2017
Signora Presidente della Corte di Appello,
La ringrazio per l’invito rivolto alla Camera penale di Firenze ad intervenire a
questa cerimonia, alla quale siamo onorati di partecipare pur mantenendo le
perplessità di principio su un evento le cui cadenze rituali oggettivamente non
agevolano un confronto franco tra gli operatori della Giustizia.
Confronto di cui invece – e di questo desidero pubblicamente ringraziarLa – Ella
si è fatta promotrice sin dall’insediamento, istituendo tavoli di contraddittorio
tecnico la cui cifra distintiva che più abbiamo apprezzato sta non tanto nella
disponibilità all’ascolto delle proposte dell’avvocatura, ma prima ancora nel
rispetto – mi permetta di dire – autentico e non rituale, della funzione essenziale
che l’avvocato svolge nel processo penale.
Pare davvero felice la coincidenza che ha voluto oggi la presenza del Sig.
Presidente della Corte Costituzionale, prof. Paolo Grossi, cui va il mio deferente
saluto, ed il deposito, a poche ore da questa cerimonia, della bella decisione con
cui la Corte Costituzionale ha eretto un argine invalicabile a difesa dei principi di
legalità e di separazione dei poteri, decidendo sulla nota questione riveniente
dalla sentenza della Corte di Giustizia in causa Taricco, in tema di
disapplicazione delle norme sulla prescrizione.
I principi inviolabili del nostro ordinamento costituzionale – ribadisce la
Consulta – non consentono di affidare al giudice penale il compito di stabilire con
quali mezzi, ed in quali casi, perseguire un risultato repressivo, fissato solo in
termini generali da una norma di scopo, autorizzandolo a “disfarsi di qualsivoglia
elemento normativo che attiene alla punibilità o al processo, quando esso sia ritenuto di
ostacolo alla repressione del reato”.
Le tradizioni costituzionali di civil law “non affidano al giudice il potere di creare un
regime legale penale in luogo di quello realizzato dalla legge”, e “ripudiano l’idea che i
tribunali penali siano incaricati di raggiungere uno scopo, pur legalmente predefinito,
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senza che la legge specifichi con quali mezzi e in quali limiti ciò possa avvenire”: una
idea che “eccede il limite proprio della funzione giurisdizionale nello Stato di diritto”.
Per felice convergenza, proprio sulla cultura del limite del giudice (il triplice limite
rappresentato dalla legge, dalla prova, dal suo ruolo istituzionale), quale
precondizione culturale della terzietà della giurisdizione, si incentrerà la
riflessione che le Camere Penali svolgeranno nell’ambito dell’Inaugurazione
dell’anno giudiziario del penalista, che si terrà tra qualche giorno a Matera, e cui
parteciperanno autorevoli ospiti, tra cui il Primo Presidente della Suprema Corte.
Una riflessione che si iscrive nel quadro di iniziative culturali di cui proprio la
Camera Penale di Firenze si è fatta promotrice negli anni scorsi, con
l’organizzazione di convegni nazionali sulla terzietà del giudice, sulla crisi del
principio di legalità, e – nell’ottobre 2015 – proprio sulla decisione Taricco.
In questo senso permettetemi dunque di dire che consideriamo anche un po’ una
nostra vittoria – dell’avvocatura, delle Camere Penali – questa riaffermazione alta
e nitida della legalità penale quale principio inviolabile.
La Cerimonia di oggi è anche occasione di bilanci sulle riforme attuate e su quelle
che si annunciano: a noi interessa, lo dico con franchezza, l’urgenza delle riforme
funzionali a rendere effettive le garanzie del giusto processo, mentre ci
appassiona poco la sorte contingente degli interventi in tema di pensionamenti
dei magistrati, con cui certo non si identificano neppure per una frazione i
problemi della Giustizia.
Il difficile momento politico sembra in procinto di segnare il destino infausto del
principale dei progetti in discussione, il cd. DDL Orlando, che certo contiene
ipotesi di modifica per noi inaccettabili, a partire dalla generalizzazione dei
meccanismi di espulsione fisica dell’imputato-detenuto dal luogo di celebrazione
del processo, sì da renderlo spettatore virtuale di un evento – il suo processo, che
è centrale per la sua esistenza – e che invece così degrada ad un dialogo altrove, tra
altri, sulla sorte processuale di un nome, o nella migliore delle ipotesi di un
ologramma in pixel.
Eppure quello stesso DDL contiene anche innovazioni del sistema su cui
amplissimo – se non unanime – è il consenso tra gli operatori: tra queste, ricordo
la reintroduzione del cosiddetto patteggiamento in appello, l’introduzione della
limitazione alla sola violazione di legge del ricorso del pubblico ministero per i
casi di doppia conforme di assoluzione, la riserva del ricorso in Cassazione agli
avvocati iscritti all’albo speciale.
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Ma soprattutto, davvero ampio è il consenso sulla delega per la riforma
dell’Ordinamento Penitenziario, i cui criteri direttivi affondano le radici
nell’esperienza proficua degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, una delle
migliori elaborazioni del ministero Orlando.
Una riforma resa urgente dalla condizione carceraria, che si va facendo
nuovamente intollerabile, con la netta ripresa dell’incremento della popolazione
detenuta.
Ma non è solo questione di numeri e statistiche: lo dico con rispetto al sig.
Sottosegretario alla Giustizia, di cui non posso in alcuna, neppure minima misura
condividere l’evocazione del sistema penitenziario italiano come modello.
Il 30 novembre scorso, nel 230° anniversario del Codice Leopoldino, abbiamo
visitato i reparti del Carcere di Sollicciano, ed abbiamo condiviso anche assieme
ad un Sostituto della Procura di Firenze – cui va il mio personale ringraziamento
– la constatazione de visu di condizioni di detenzione che nessuna persona
ragionevole esiterebbe un solo istante a definire degradanti, disumane, indegne di un
paese civile!
Condizioni, per di più, visibilmente peggiorate dall’anno precedente.
A Sollicciano erano rinchiusi, in quei giorni, oltre 730 detenuti, a fronte di una
capacità regolamentare inferiore ai 500, calcolata però anche su sezioni chiuse da
mesi per lavori di ristrutturazione.
Vi erano detenuti – assieme alle madri – bambini in tenera età, nonostante il
divieto di legge.
Era detenuto, nonostante il proprio status di persona malata da curare e non di
persona colpevole da punire, un soggetto sottoposto a misura di sicurezza
terapeutica.
Erano detenute, nonostante la già intervenuta ammissione all’esecuzione
domiciliare, persone in lista d’attesa per un braccialetto elettronico.
E quest’ultima vicenda, dei braccialetti elettronici, appare davvero epitome
d’ogni narrazione sullo stato dell’esecuzione penitenziaria.
In Italia disponiamo di 2.000 braccialetti elettronici: nessuno di proprietà dello
Stato, tutti noleggiati a costi straordinariamente elevati, 10 milioni di euro annui,
con cui si potrebbero riacquistare, ogni anno, tutti e 2.000 gli apparecchi a nolo,
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più volte. 5.000 euro a dispositivo, costrebbe meno noleggiare un’auto di media
cilindrata.
E con lo stanziamento di simili risorse abbiamo cionondimeno centinaia di
persone non saprei dire se illegalmente, ma di certo inutilmente,
irragionevolmente detenute.
Per fornire un elemento di raffronto: la Francia dispone di 26.000 braccialetti, 13
volte tanto!
La lista d’attesa per i braccialetti, le cui dinamiche determinano effetti esistenziali
sulla vita dei detenuti in attesa, è gestita, senza alcuna garanzia, né da un Giudice
né dal DAP, ma dalla Telecom.
Per continuare la narrazione della condizione penitenziaria, a Sollicciano la
popolazione detenuta è costituita per oltre il 70% da stranieri extracomunitari: si
tratta dunque di 500 persone. Eppure a Sollicciano prestano servizio saltuario (una
volta la settimana, per due ore ciascuno) tre mediatori culturali (tre!), la cui opera si
limita sostanzialmente alla verifica dei recapiti telefonici forniti dai detenuti per
chiamare i propri parenti nei paesi di provenienza.
Il muro di cinta è pericolante, è stato transennato, ed in parte anche smontato,
unico tra i manufatti pubblici moderni che a Firenze abbiano subito significativi
danni dagli eventi sismici di questi mesi.
Il teatro della sezione femminile è stato dichiarato inagibile perché, a 33 anni dal
collaudo (che qualcuno avrà pur firmato), si è scoperto che è privo di
fondamenta, ed il pavimento poggia sulla nuda terra.
L’elenco potrebbe continuare, ma sono sicuro che non ve ne sia bisogno.
In questi mesi ci siamo occupati di un’altra vicenda davvero surreale, che rischia
di paralizzare uno strumento importante di deflazione penale: la messa alla
prova per gli adulti, istituto di recente conio e di grande efficacia, la cui sorte
rischia di essere segnata da un incredibile difetto di coordinamento tra
Amministrazioni Centrali (l’Inail da una parte, il Ministero della Giustizia
dall’altro).
Ne ha già riferito, in termini impeccabili, la signora Presidente, che desidero
nuovamente ringraziare per avere immediatamente fatta propria la nostra
denuncia attivandosi unitamente al sig. Procuratore Generale, che pure ringrazio,
e per avere fatto di questa vicenda oggetto di un significativo e rigoroso
passaggio del suo discorso inaugurale.
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Eppure, a proposito di riforme, per risolvere questioni come questa basterebbe
davvero pochissimo: a costo zero – perché zero vale la questione in discorso per
le casse dello Stato – basterebbe aggiungere una riga ad uno qualsiasi dei molti
Decreti Legge che caratterizzano l’odierna produzione normativa.
Mi avvio a concludere.
L’inefficienza della macchina giudiziaria è spesso figlia dell’irragionevolezza.
Al di là delle riforme, l’esperienza proficua del Protocollo per la liquidazione dei
compensi del patrocinio a spese dello Stato, recentemente sottoscritto con Ella,
sig. Presidente, e con il sig. Procuratore Generale, all’esito di un percorso di
elaborazione sempre pienamente condiviso, dimostra che vi sono molte cose che
si possono fare, a legislazione e risorse vigenti, coniugando buon senso e buona
volontà.
In questi giorni ci siamo fatti parte attiva per proporre anche alla Presidenza del
Tribunale alcune soluzioni organizzative che ci paiono poter consentire un
migliore esercizio delle facoltà difensive e garantire un risparmio di risorse per
gli uffici: una proposta che proprio ieri ha trovato positivo riscontro da parte
della Presidente, che desidero ringraziare, esprimendo nuovamente in questa
sede il fermo intendimento dell’Associazione che presiedo a coltivare questo
confronto, con spirito di leale collaborazione e nel pieno rispetto dei reciproci
ruoli.
A Ella Signor Presidente, ai Giudici, ai Magistrati dell’Ufficio del Pubblico
Ministero, agli Avvocati e agli operatori del Distretto della nostra Corte, i migliori
auguri di buon lavoro.
Luca Bisori
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