Il seme nel sasso - Artificial Quantum Life

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IL SEME NEL SASSO
Idee e progetti di frontiera tra scienza e filosofia
Damiano Anselmi
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La vita è un fenomeno fisico, che va definito e spiegato come tale. Il grado di comprensione delle leggi fisiche raggiunto oggi è sufficientemente avanzato da permetterci
di formulare leggi precise sulla natura della vita, la sua origine nell’universo, la sua
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evoluzione. Cosa differenzia un seme da un sasso? Perché il genoma umano ha una
struttura cosı̀ poco regolare? Quale percorso logico connette i fenomeni microscopici e la vita? Dall’analisi scientifico-filosofica delle scoperte più importanti del secolo
scorso, emerge un sistema logico-concettuale che consente di identificare la natura
fisica del fenomeno della vita e formulare proposte di ricerca per la creazione di vita
artificiale.
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Uno dei concetti più importanti nell’indagine della natura e alle volte della vita, è il
concetto di causa. Il principio di causalità permette di relazionare gli eventi e i fenomeni
che osserviamo, collegarli l’uno all’altro, il precedente al successivo. Stabiliamo un rapporto
di causa-effetto tra un evento e l’evento che lo segue. Sembra inconcepibile una scienza
priva della concatenazione causale tra gli eventi. Ci potremmo chiedere, similmente, che
cosa ne sarebbe della filosofia, se eliminassimo, o indebolissimo, il principio di causalità,
che molti pensatori, in altrettante epoche storiche, hanno assunto come un assoluto. Lo
chiamerò il principio di causalità assoluta. L’idea è che i fenomeni della natura si possano
descrivere in termini di cause ed effetti, i quali fanno seguito alle cause, e che la connessione
fra causa ed effetto sia, e questo è di fondamentale importanza, deterministica. Una causa
determina in modo univoco un effetto. Diciamo che l’effetto, cioè l’evento successivo,
è causato dall’evento precedente, cioè esiste, ha luogo, solamente perché ha avuto luogo
l’evento precedente. Se non avesse luogo un ben preciso evento, la causa, non avrebbe luogo
quel ben preciso evento successivo, l’effetto. Questa restrizione sembra essere avvalorata
in maniera indiscutibile dall’osservazione della natura, almeno l’osservazione della natura
che ci circonda. Si tratta, invero, di un’assunzione molto restrittiva e che non dovrebbe
essere data per scontata. Nel secolo scorso, la scienza, in particolare la fisica, ha messo
in evidenza, con la nascita della meccanica quantistica, che l’idea di causa, assieme a
molte altre idee suggerite dall’osservazione ingenua della natura, deve essere ripensata,
e forse rimossa. La fisica è possibile anche senza determinismo. La rinuncia all’idea di
concatenazione causale non ha decretato la morte della fisica, né tantomeno della scienza.
Si è fatta avanti una nuova concezione del mondo, una nuova fisica, una nuova scienza,
una nuova maniera di vedere, che deve essere ancora completamente sviscerata, capita ed
applicata.
In questo saggio, ci proponiamo di capire cosa ci dice la nuova fisica, sviluppare le nuove
idee, studiare le nuove assunzioni, elaborare le nuove prospettive, liberarci delle vecchie, e
poi estendere le implicazioni a domini diversi, per esempio la filosofia, cercando di capire
quali sono le conseguenze di questa nuova maniera di intendere il mondo, anche in ambiti in
cui normalmente non si crede che queste rivoluzioni del pensiero scientifico siano ininfluenti.
Non è cosı̀. Le implicazioni filosofiche della nuova visione del mondo non sono ininfluenti,
per la stessa ragione per cui non sono ininfluenti le leggi della meccanica quantistica, che
riguardano la sfera dell’infinitamente piccolo, sul mondo che ci circonda, che non è parte
dell’infinitamente piccolo. Le conseguenze delle leggi elementari non deterministiche sono
di portata enorme, anche a livello macroscopico. L’impatto di una visione diversa, ispirata
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da quelle leggi, può essere notevole in tutti gli ambiti del sapere umano, e anche nella
società e nella vita.
In generale, quando investighiamo la natura, la vita, la storia dell’umanità, la filosofia,
assumiamo acriticamente l’idea di causa assoluta. Navighiamo tra gli eventi passati procedendo a ritroso nel tempo, collegando attraverso un’assunzione di causa un evento a quello
che l’ha preceduto. Chiamerò questo procedere, il procedere a ritroso nel tempo, appunto.
Quando si indaga la storia, in un modo che si pretende scientifico, si procede solitamente a
ritroso nel tempo, cercando collegamenti diretti o indiretti tra gli eventi, che poi vengono
chiamati cause. Questa assunzione non può essere dedotta dall’indagine della storia, deve
essere introdotta dall’esterno. È chiaro che senza questa assunzione, qualunque indagine
del presente, del passato e qualunque conclusione riguardo al futuro possono cambiare.
Vogliamo capire i limiti del principio di causalità, rimuovere questo principio, e sviluppare
un pensiero che ne sia privo.
Un altro motivo importante per cui il principio di causalità va rimesso in discussione
è che non sembra in grado di spiegare la vita, per esempio predire il comportamento
di un essere umano o animale in genere, ma perché no, anche la crescita di un vegetale.
Nell’applicare il principio di causalità, di solito distinguiamo tra gli esseri viventi e gli esseri
non-viventi. Le difficoltà sorgono non appena ci chiediamo se il principio di causalità debba
applicarsi anche alla vita. Se è davvero un principio, cioè una legge fondamentale della
natura, dovrebbe applicarsi certamente anche alla vita, ma bisognerebbe capire come il
principio di causalità possa spiegare fenomeni, come per esempio le decisioni che prendo
la mattina appena alzato, che sembrano non avere alcuna spiegazione causale. Di solito,
promuoviamo l’assunzione causale ad un principio generale, da applicarsi a tutto l’universo,
inclusi gli esseri viventi. Avvertiamo però, che la maniera nella quale questo principio si
applica agli esseri viventi non ci è immediatamente evidente, ma insistiamo che il principio
fondamentale esiste ed è quello causale assoluto. Se noi esseri viventi non capiamo perché
ci comportiamo in base a delle ben precise leggi causali-deterministiche, è evidente che noi
siamo limitati, che il nostro grado di comprensione non è ancora sufficientemente preciso,
che i nostri strumenti di osservazione sono grossolani. In questo approccio, il problema
dello scienziato è quello di capire come la legge di causalità si applichi alla vita. Il fatto
che si applichi alla vita è dato per scontato, il solo problema è descrivere come ciò avvenga.
Se non fosse per l’esistenza nella natura del fenomeno della vita, il principio di concatenazione causale non sarebbe da mettere in discussione, o forse verrebbe messo in discussione
soltanto da qualcuno particolarmente ferrato nelle idee della fisica quantistica. Infatti, a
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livello dell’infinitamente piccolo la fisica rimette in discussione il principio di causalità. Gli
argomenti principali contro il principio di causa assoluta sono quindi due: uno riguarda
la fisica del microscopico, uno riguarda la vita. È possibile stabilire un collegamento tra
i due? Sono forse due facce della stessa medaglia? Abbiamo stabilito due punti fermi,
che non abbiamo ancora collegato, ma che potrebbero essere collegati, che ci inducono
a rivedere un’assunzione fondamentale del pensiero umano, quale quella del principio di
causalità.
Il problema più grave è che a tutt’oggi non abbiamo un’idea chiara di cos’è la vita. Non
sappiamo ancora come definire la vita. La vita è, nonostante tutte le idee che possiamo
farci in proposito, un fenomeno fisico, come tanti, e dobbiamo capire cosa lo distingue
dagli altri, cosa lo caratterizza. Ciascun fenomeno fisico è particolare, e si caratterizza in
base a certi parametri, al valore di alcune quantità, alle proprietà di certe grandezze. Non
sappiamo ancora caratterizzare la vita. Dobbiamo intraprendere un lungo lavoro di analisi
per colmare le lacune di una comprensione del mondo a tutt’oggi insoddisfacente.
Arriveremo per gradi a studiare le implicazioni più concrete, più pratiche, del sistema
di pensiero che emergerà da questa analisi. Per il momento rimaniamo a parlare dei grandi
concetti. L’esistenza o meno di una precisa relazione causale tra gli eventi coinvolge la
comprensione di nozioni come quelle di presente, passato, futuro. Cos’è il passato? Cos’è
il presente? Cos’è il futuro? Se immaginiamo che il mondo sia deterministico, non c’è
nessuna differenza tra passato, presente e futuro. Determinismo vuol dire che, fissate
alcune condizioni iniziali, il presente determina univocamente il futuro, ed è possibile, allo
stesso modo, risalire senza ambiguità alla configurazione di un sistema fisico relativa a
qualunque istante passato, partendo dall’informazione sul presente. Similmente, fissate
le condisioni iniziali in un tempo passato, posso determinare univocamente il presente e
il futuro, fissate le condisioni iniziali in un tempo futuro, posso risalire univocamente al
presente e al passato. Non c’è nessuna differenza sostanziale tra presente, passato e futuro,
se non una traslazione temporale, cioè il passato è un presente traslato indietro nel tempo,
mentre il futuro è un presente traslato avanti nel tempo.
In questo modo, però, arriviamo a dei paradossi e contraddizioni insolubili, perché
il futuro è privato della sua peculiarità intrinseca, che è l’impredicibilità, ed è di fatto
assimilato al passato e al presente. In pratica, l’errore che facciamo è riflettere il passato
nel futuro. Il passato e il futuro non sarebbero altro che il riflesso l’uno dell’altro rispetto
al presente. Questa descrizione del mondo può anche soddisfarci, ma ci può soddisfare solo
fino ad un certo punto, perchè è una descrizione che si adatta bene soltanto ad una ben
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precisa classe di fenomeni, cioè ai fenomeni fisici, esclusa la vita, che avvengono alle nostre
scale di grandezza e alle scale di grandezza più grandi, per esempio astronomiche. Non si
applica alla vita, non si applica alle scale di grandezza atomiche, dove valgono le leggi della
meccanica quantistica. Ne deduciamo che questa descrizione è necessariamente limitata.
Non può essere corretta a livello fondamentale, perché non si applica a tutto l’universo, ma
soltanto ad una parte di esso. Se si insiste a voler applicare questa descrizione ai fenomeni
a cui non si applica, bisogna fare molto lavoro mentale, spesso forzando idee, concetti
e modelli fisici, per far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta. È più
conveniente esplorare strade diverse, più semplici, anche se il prezzo da pagare è quello di
abbandonare dei concetti a cui siamo affezionati, ma che non possono essere considerati più
validi di altri, solamente perché una specie vivente, la nostra, ci si è affezionata, in un certo
periodo storico. Discuteremo poi come i tentativi di ricondurre i fenomeni nuovi ai vecchi,
cioè assimilare l’indeterminismo al determinismo, siano intrinsecamente senza speranza.
Ciò vuol dire che i fenomeni indeterministici non sono diversi da quelli deterministici
soltanto in apparenza, ma sono cosı̀ profondamente diversi dai fenomeni deterministici, da
rendere impossibile a priori una qualunque loro assimilazione ai fenomeni deterministici.
Per adesso, sospendiamo il giudizio e accettiamo l’esplorazione di una strada alternativa
al determinismo come un’ipotesi di lavoro, e vedremo poi di giustificarla.
Il primo punto fermo da stabilire è se l’impredicibilità dei fenomeni della natura, tra cui
la vita e i fenomeni quantistici, sia una impredicibilità intrinsica della natura stessa, o un
nostro abbaglio, dovuto alla nostra ignoranza dei fenomeni in questione. Nel primo caso,
predire il comportamento di un essere vivente, come predire il risultato di un esperimento
di meccanica quantistica è impossibile per principio. Non è difficile, o impossibile soltanto
per noi o per i nostri attuali strumenti di laboratorio. Se fosse, invece, corretta la seconda
posizione, predire il comportamento di un essere vivente sarebbe possibile in principio,
ma difficile per noi, e impossibile al lato pratico, allo stesso modo come, per esempio, è
praticamente impossibile prevedere l’evoluzione futura, deterministica, di un gas fatto di
1023 molecole. Non saremo mai in grado di conoscere con sufficiente precisione le condizioni
iniziali di tutte le molecole, per prevedere l’evoluzione di ciascuna delle 1023 molecole,
in interazione fra loro e coll’ambiente esterno in cui si trovano. Tuttavia, questo non è
impossibile in principio, ma solamente in pratica.
La differenza tra queste due situazioni è di importanza fondamentale, anche se sembra
che, a tutti gli effetti pratici, non lo sia. Spiegheremo in dettaglio perché non si tratta di
una questione accademica. Quando si dice che “a tutti gli effetti pratici”, due descrizioni
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sono equivalenti, si intende che lo sono a “quasi” tutti gli affetti pratici. Cioè, si trascura
qualcosa, ovviamente. Questo tipo di approssimazione è accettabile finché ci si occupa di
applicazioni pratiche con portata limitata, quantosivoglia estesa, ma limitata. Quando,
invece, si vuol parlare del tutto, inglobare tutto lo spazio, tutto il tempo e tutto l’universo
in un’unica descrizione, non si può trascurare la differenza tra ciò che è impossibile in
principio e ciò che è impossibile in pratica, perché una situazione in cui la differenza si
fa sentire esiste sempre, anzi i suoi effetti possono essere straordinari anche alle scale di
grandezza a cui si credono trascurabili. Vedremo che nelle questioni di cui stiamo trattando
succede precisamente questo.
Per prima cosa, chiediamoci da dove deduciamo il principio di concatenazione causale.
Lo deduciamo generalmente dall’osservazione del passato. Il passato ci sembra definito,
determinato univocamente. Analizzando il passato con il metodo descritto prima, cioè
procedendo a ritroso nel tempo, gli eventi ci sembrano legati da una concatenazione causale.
Consideriamo un evento B, immediatamente preceduto dall’evento A. Eravamo presenti
sia all’evento A che all’evento B, e li abbiamo registrati, annotando la loro sequenza sui
nostri appunti. Non sappiamo se prima dell’evento B avrebbero potuto esserci altri eventi,
diversi da A, ai quali sarebbe succeduto lo stesso evento B. Osservando il passato, vediamo
soltanto A, prima di B. Stabiliamo quindi una relazione univoca e deterministica, cioè
causale, tra A e B. Tuttavia, dall’osservazione del passato non possiamo escludere che altri
eventi diversi da A avrebbero potuto precedere B. Se lo facciamo, facciamo un’assunzione
gratuita, assolutamente ingiustificata. Fatta quella assunzione, tutta la nostra maniera di
pensare e investigare il mondo verrà vincolata da quella. Un altro passaggio illecito molto
comune è riflettere gli eventi passati, in particolare la concatenazione causale imparata
dall’osservazione degli eventi passati, sul futuro, perché non sembra ragionevole pensare
che ci sia una differenza intrinseca tra passato e futuro. Ma anche questa posizione è
gratuita e vincola ogni elaborazione ulteriore sulla natura e sulla vita.
Siamo di fronte a un bivio, e dobbiamo fare una scelta: o accettiamo che il passato e il
futuro sono intrinsicamente differenti, e allora dobbiamo cercare di caratterizzare questa
differenza, magari di caratterizzare passato e futuro proprio in base a questa differenza.
Oppure insistiamo che sono l’uno la riflessione dell’altro rispetto al presente, che sono legati
l’uno all’altro da una traslazione temporale. E rinunciamo ad una comprensione globale
dell’universo.
A prima vista, nella maniera di vedere più ingenua, che poi vedremo è anche quella più
giusta, il passato si differenzia dal futuro perché il passato è univocamente determinato
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(ammesso che sia stato registrato - vedremo che strettamente parlando è impossibile registrarlo con precisione assoluta), mentre il futuro non lo è, anzi è impredicibile. Possiamo
poi convincerci che la non predicibilità del futuro sia dovuta ad una nostra ignoranza e
che in realtà il futuro sia predicibile usando le leggi fisiche. La fisica dimostra che non è
cosı̀. La percezione ingenua ci dice che il futuro non può essere previsto con certezza, almeno in una vasta classe di fenomeni, tra cui quelli che ci interessano maggiormente, legati
alla vita. Esiste quindi una differenza intrinseca tra l’impredicibilità del futuro e la determinatezza del passato. Al massimo, potremmo cercare di relazionare l’impredicibilità del
futuro colla dimenticanza, perché il passato non è mai registrabile alla perfezione e quindi a
un certo punto viene dimenticato. Dimenticando, si introduce anche nel passato un fattore
di indeterminatezza, di ambiguità. Tuttavia, l’ambiguità del passato (oblio) e l’ambiguità
del futuro (impredicibilità) sono di natura cosı̀ diversa che è vano insistere nel cercarvi
una relazione, o una somiglianza, o vedere l’uno come il riflesso dell’altra. Vogliamo qui
seguire la via più semplice, evitare ogni artificio e ogni forzatura. L’indagine del mondo
non è un gioco alla ricerca della spiegazione che più ci aggrada, quell’interpretazione delle
leggi della natura che ci dà maggiore soddisfazione, o conferma la nostra tesi preconcetta.
Nell’indagine della natura dobbiamo porci di fronte alla natura come degli assoluti ignoranti, pronti ad imparare ciò che la natura ha da dirci, senza filtrarlo o deformarlo.
L’ambiguità del passato è l’oblio, l’ambiguità del futuro è l’impredicibilità. Che cos’è
il presente? Il presente è la transizione di fase tra passato e futuro. Stabilito che passato e
futuro sono due fasi differenti, caratterizzate da proprietà completamente differenti, quali
quelle che abbiamo or ora individuato, possiamo correttamente definire il presente come la
transizione di fase tra passato e futuro. Il presente è quel fenomeno che collassa il futuro
e lo fa diventare passato, per cui il futuro, una volta imprevedibile, prende una forma
tra quelle possibili, e nel momento in cui prende la sua forma, cioè viene determinato,
non è più imprevedibile, non è più libero, e quindi diventa passato. Questo momento di
transizione si chiama presente. Riepilogando, definiamo il futuro come la fase temporale
non prevedibile, il passato come la fase temporale univocamente determinata, e il presente
come la transizione tra le due fasi.
In sostanza, quando osserviamo la realtà a ritroso nel tempo, vediamo una realtà “a
fuoco”, ben definita, mentre quando osserviamo la realtà in avanti nel tempo, cioè il futuro,
vediamo una realtà “sfocata”, cioè indefinita, che deve ancora prendere forma. La realtà
sfocata del futuro prende forma, e diventa passato, attraverso qulla transizione che noi
chiamiamo presente.
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Se riflettiamo l’immagine del mondo suggerita dal passato, che è quella a fuoco, nel
futuro, e imponiamo che anche il futuro sia ben definito e a fuoco, abbiamo una visione
falsata del mondo. Il procedere a ritroso nel tempo, che usiamo per studiare il passato, è
un procedere anticronologico, in cui analizziamo gli eventi non nell’ordine in cui si sono
succeduti, ma nell’ordine opposto a quello nel quale si sono succeduti. Se guardiamo gli
eventi nell’ordine stesso nel quale si succedono, ci convinciamo subito che non è possibile, o
meglio non sempre è possibile (vedremo poi quando è possibile, quando è impossibile, e in
che senso è talvolta “possibile”), prevedere l’evento futuro che seguirà l’evento precedente.
Abbandoneremo quindi l’assunzione della concatenazione causale nella descrizione del futuro. Vedremo che sarà necessario abbandonarla anche nella descrizione del passato, e cioè
che la concatenazione tra eventi che noi osserviamo nel passato non è una concatenazione
causale, ma è semplicemente una successione temporale di eventi, che si succedono in quel
dato ordine non perché si devono necessariamente succedere in quell’ordine, ma perché, di
fatto, si succedono in quell’ordine.
La realtà non è quella realtà a fuoco di cui ci siamo sempre convinti. La realtà è sfocata.
Lo è nel futuro come nel passato. Dobbiamo incorporare questo dato di fatto nella nostra
descrizione del mondo e della natura, dalla quale seguirà una maniera di vedere le cose
completamente nuova.
Tutte queste considerazioni si applicano molto bene al problema della vita. Il problema
della vita non può essere spiegato in base alla legge della concatenazione causale.
I deterministi rimandano la spiegazione causale della vita al momento in cui avremo una
conoscenza della natura sufficientemente precisa da colmare le lacune che ci nascondono
i fenomeni che causano il comportamento vivente. Queste affermazioni equivalgono a
dichiarare la propria incapacità a spiegare cosa sia la vita, come avvenga e perché avvenga
questo fenomeno nella natura, per lasciare, di fatto, l’esclusiva in merito alle spiegazioni
di questo fenomeno alla religione o alla metafisica, che non hanno però ancora dato un
contributo vero alla comprensione del fenomeno. Tuttavia, oggi siamo in grado di spiegare
la vita come fenomeno fisico. Disponiamo i una conoscenza sufficientemente precisa delle
leggi fisiche per raggiungere questo traguardo.
Vogliamo definire la vita come fenomeno fisico. Vogliamo sapere perché ha luogo la
vita, quali sono le leggi della natura che la governano, quali sono quelle quantità, quelle
grandezza che la caratterizzano, che la distinguono dagli altri fenomeni. La vita è un
fenomeno particolare, nello stesso senso in cui ogni fenomeno è particolare, che vuol dire che
ha bisogno di essere caratterizzato in una maniera sufficientemente precisa da indentificarlo
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tra gli altri fenomeni. La vita è uno dei tanti fenomeni della natura. Non è speciale, non
è privilegiato, non è più importante degli altri, non ha più senso degli altri, non è più
interessante degli altri. È, semplicemente, uno dei tanti fenomeni della natura. E va
inteso, e spiegato, come tale.
Mi sono già espresso varie volte usando implicitamente immagini e metafore suggerite
dai principi della fisica, in particolare della meccanica quantistica. Uno di questi, il più
importante, il mattone fondamentale, è il principio di indeterminazione, che è incompatibile
coll’assunzione della causalità assoluta. Il futuro non è determinato univocamente dal
presente, perché il risultato di un esperimento di meccanica quantistica può essere previsto
soltanto in senso probabilistico. Questo spiega perché il fatto che il mondo appaia sfocato
non è dovuto all’imprecisione e limitatezza dei nostri strumenti di osservazione, ma la
verità è che la corretta percezione della natura, in particolare del futuro, è necessariamente
sfocata. La natura è intrinsecamente sfocata. La natura può essere messa a fuoco soltanto
in un senso approssimato, statistico, ma a livello fondamentale, elementare, la natura è
sfocata. Come può allora una natura sfocata apparire a fuoco e in quali casi succede?
Questo succede, per esempio, alle nostre scale di grandezza, dove non abbiamo problemi a
prevedere e controllare i movimenti della nostra auto (salvo imprevisti) e degli strumenti
di cui ci serviamo, anche se non possiamo prevedere le decisioni dei nostri amici, dei figli,
e nemmeno le nostre. A mettere a fuoco ciò che è sfocato è la legge dei grandi numeri.
Quando combiniamo un numero enorme, praticamente infinito, di fenomeni quantistici, che
sono non-deterministici, gli effetti dell’indeterminismo si compensano a vicenda, si mediano
via e quasi scompaiono, lasciando una realtà che “a tutti gli effetti pratici” si comporta in
maniera prevedibile, deterministica, anche se non lo è a livello assoluto, perché i fenomeni
elementari di cui è composta, se presi singolarmente, sono imprevedibili.
Annotiamo un fatto molto importante: uno scambio di ruoli curioso tra approssimazione ed esattezza, tra indeterminazione e determinismo. L’indeterminazione è il principio fondamentale, il determinismo, e quindi l’idea di causa, sono effetti approssimati.
Sembra contraddittorio, ma questa è una delle implicazioni più importanti delle conquiste
della fisica del secolo scorso. Generalmente noi pensiamo che il caso, l’indeterminazione,
siano dovuti ad una nostra ignoranza o imprecisione, e che a livello elementare i fenomeni
siano assolutamente prevedibili, causali, deterministici. Vediamo il caso come la conseguenza di una mancanza di controllo, dovuta alla complessità di sistemi fatti a loro volta
di mattoni elementari deterministici. La verità è invece precisamente l’opposto. I ruoli
si capovolgono: i fenomeni elementari sono i getti di dadi, il caso, e gli effetti del caso si
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mediano a zero in sistemi complessi fatti di un grande numero di atomi. Questi sistemi
complessi quindi sono approssimativamente regolari, deterministici, anche se strettamente
parlando non lo sono. Nella visione classica, il caso è l’ignoranza della causa. Nella visione
quantistica, invece, la causa è una media approssimata di fenomeni casuali.
Il mondo non è un continuo, ma una sequenza di flash, di immagini che si susseguono
staccate e scollegate l’una dall’altra, e questo comportamento “schizoide” diventa massimamente evidente a livello microscopico. Per farci un’idea di come apparirebbe un mondo
come quello microscopico, possiamo immaginare di vivere in un sogno, cioè in un mondo in
cui gli eventi si succedono l’uno all’altro come le immagini di un sogno, senza relazione di
continuità, né causalità, un mondo in cui nulla è stabile e certo, determinato o prevedibile.
Quando ci proponiamo di descrivere il mondo microscopico, ci proponiamo di formulare
le leggi fisiche di un mondo come questo, fatto di bagliori. Queste immagini, questi flash,
rappresentano il fenomeno quantistico elementare. Una sequenza sufficientemente fitta di
immagini che si succedono in un intervallo molto breve di tempo, può darci l’illusione del
continuo, della regolarità. Questo è ciò che vediamo a livello macroscopico. Ma se andiamo
a vedere ciò che succede a livello elementare, continuiamo a vedere una sequenza di bagliori,
e il flash successivo può non avere alcuna relazione con il flash precedente. Una data immagine può essere seguita dall’immagine più disparata, ma quando prendiamo un numero
sufficientemente grande e denso di immagini che si succedono nel tempo, esse sembrano
essere collegate l’una all’altra da una ben precisa relazione di continuità. Questo ci dice che
il mondo è intrinsecamente sfocato, fatto di flash, e che è inutile forzare le nostre idee per
vedere ciò che non c’è, cioè la continuità dove non c’è continuità. Il mondo stesso genera
la continuità, in un senso approssimato, dove continuità deve essere, o almeno apparire,
cioè alle scale di grandezza nostre e più grandi delle nostre, ma alle scale di grandezza
atomiche e più piccole di quelle atomiche i fenomeni della natura sono completamente diversi. Dobbiamo quindi accettare che la realtà è questa, che il mattone fondamentale della
natura è il getto di dadi, il caso, il fenomeno indeterministico, rinunciando all’idea di causa
come principio fondamentale della natura, accettandolo invece come effetto approssimato
della combinazione di un numero enorme di fenomeni casuali, in cui gli effetti del caso si
mediano a zero.
Il problema della catena infinita delle cause non esiste in un contesto quantistico. Ogni
volta che avviene un fenomeno quantistico, un getto di dadi, la catena delle cause è rotta,
per cui il problema del regresso all’infinito, tipico del procedere a ritroso nel tempo in un
contesto deterministico, viene superato. Quando parleremo della teoria dei campi vedremo
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un altro senso e un altro contesto in cui viene superato il vecchio problema del regresso
all’infinito.
Dobbiamo elaborare una nuova visione della natura, più vicina alle leggi della fisica,
più vicina alla conoscenza accumulata dalla scienza fino ad oggi. Da una parte, c’è chi
ancora oggi lavora strenuamente, nella scienza e nella fisica, per ricondurre i nuovi concetti
ai vecchi, perché i nuovi concetti gli provocano uno stato di imbarazzo notevole, quasi un
turbamento psicologico. Per esempio, pensare che il mattone fondamentale della natura
è il getto di dadi, il caso, risulta indigesto anche alle menti di coloro, scienziati e fisici
in particolare, che dovrebbero essere abituati a prendere atto degli insegnamenti della
natura freddamente e impassibilmente. Dall’altra parte, possiamo decidere una volta per
tutte, di mettere da parte questi vani tentativi di restaurazione, rimuovere ogni opposizione
ideologica, per recepire né più né meno che quello che la natura ci dice, imparando dalla
natura invece che volendo imporre alla natura le nostre leggi preferite. Questo è lo scopo
del libro.
Sarà necessario, almeno nella prima parte del libro, affrontare in un certo dettaglio
alcuni risultati della fisica del XX secolo. Lo faremo con un linguaggio accessibile a tutti,
perché alla fine ciò che a noi interessa sono le implicazioni filosofiche delle nuove idee, che
richiedono sı̀ un cambio di prospettiva radicale, fino a rimettere in discussione le questioni
più ovvie e scontate, ma che non per questo sono complicate o astruse. Anzi, la visione
risultante sarà più semplice e chiara di qualunque altra proposta finora.
I concetti della fisica che investigheremo dal punto di vista filosofico sono principalmente
tre. Uno lo abbiamo già menzionato, ed è il principio di indeterminazione. Il secondo e
i terzo provengono dalla teoria dei campi e si chiamano rinormalizzazione e irreversibilità
quantistica. Nel loro insieme, questi tre concetti riassumono la rivoluzione quantistica, e
permettono di stabilire un percorso logico-concettuale ben definito che collega l’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Questo è precisamente ciò di cui abbiamo bisogno
per comprendere la relazione tra l’impredicibilità del fenomeno quantistico elementare
e l’impredicibilità del comportamente umano, per capire come questa strada sia stata
percorsa nella storia del nostro pianeta e dell’universo e come il processo continuerà nel
futuro.
Del principio di indeterminazione abbiamo già detto. Gli altri due principi sono conseguenze più o meno dirette del principio di indeterminazione. La rinormalizzazione ha a
che vedere con il problema di decidere quali sono le leggi fisiche della natura sulla base dei
dati sperimentali, in un mondo come quello microscopico, dove non abbiamo a disposizione
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gli stessi strumenti e le stesse potenzialità che abbiamo a disposizione nell’osservazione del
mondo macroscopico. Come è noto, la meccanica quantistica costringe a cambiare radicalmente posizione in merito all’osservazione sperimentale e al processo di misura. In
questo contesto si inserisce anche la rinormalizzazione, che rimuove il problema filosofico
del regresso all’infinito, cioè la procedura, normalmente consistente in un numero infinito
di passaggi (che diventano un numero finito nel caso della teoria dei campi), necessaria per
determinare con precisione assoluta una legge fisica. Nella visione classica, è necessario
fare logicamente un processo di limite. Noi possiamo esplorare la natura sempre soltanto
fino a un certo grado di precisione, quello consentito dalla strumentazione sperimentale,
ma dobbiamo rinunciare di scrivere hic et nunc la completa legge fisica che governa il
mondo, o una certa classe di fenomeni della natura. Un risultato come questo non è classicamente alla nostra portata, a causa degli inevitabili errori sperimentali, che possiamo
ridurre quanto ci pare, ma mai eliminare completamente. Invece, la determinazione completa, esatta, della legge fisica è alla nostra portata nell’ambito della teoria dei campi. Il
regresso all’infinito non esiste più. Spesso è sufficiente un numero finito di informazioni
per fissare univocamente la legge fisica, in modo che questa copra, allo stesso tempo, i
fenomeni dell’infinitamente piccolo e quelli dell’infinitamente grande.
L’irreversibilità quantistica è una conseguenza della rinormalizzazione e consiste in un
principio di irreversibilià che caratterizza e differenzia l’infinitamente piccolo dall’infinitamente grande. Esso descrive come cambia, e in che senso cambia, l’universo dalle scale di
grandezza particellari, a quelle atomiche, alle quotidiane, alle astronomiche.
Messi insieme, questi tre principi sono i fondamenti di una visione filosofia completamente nuova, con vaste implicazioni che studieremo.
Bisogna anche parlare di un altro aspetto, più propriamente sociologico, o ideologico,
di queste questioni. Esso riguarda la stessa comunità scientifica, dove non sempre le idee
rivoluzionarie, per quanto siano applicate e verificate quotidianamente, vengono accettate
come tali, ma incontrano una resistenza e un’opposizione testarde e alle volte difficilmente
giustificabili. Molti scienziati sono ancora oggi maldisposti ad accettare le nuove idee per
quello che sono e lavorano di fino per ricondurre i nuovi concetti a quelli vecchi. È già
successo col principio di indeterminazione, che moltissimi scienziati negli ultimi cent’anni
si sono rifiutati di consideratre un principio fondamentale, ma interpretavano come un
abbaglio dovuto ad un principio di causalità ancora più sottile, ma “nascosto”. Queste
ricerche non sono mai approdate agli obiettivi che si prefissavano, cioè ricondurre l’indeterminazione quantistica al determinismo classico, ma sono state molto preziose per confer-
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mare che l’indeterminazione è principio fondamentale e deve essere accettato in quanto tale,
non come effetto approssimato dovuto all’ignoranza di una causalità nascosta. Una simile
opposizione è stata recentemente esercitata e lo è ancora oggi contro la rinormalizzazione, e
i fondamenti della teoria dei campi, con effetti regressivi sulla ricerca scientifica. Il mezzo
più popolare per frenare sul nascere la ricerca intorno agli argomenti “imbarazzanti” è
quello di sviare l’attenzione da una novità producendo artificiosamente una miriade di false
novità e false rivoluzioni, in modo da rendere impossibile discernere ciò che è importante
da ciò che non lo è. Immagino che tentativi simili verranno fatti senz’altro in opposizione
all’idea di irreversibiltà quantistica, che è il principio nuovo che mi propongo, tra le altre
cose, di promuovere con questo libro, assieme alle sue implicazioni sulla comprensione del
fenomeno della vita.
Riassumendo, primo scopo del libro è elaborare un sistema di pensiero radicato nei
principi della fisica quantistica, in modo tale che esso abbracci in una descrizione unica
l’infinitamente piccolo, le nostre scale di grandezza e l’infinitamente grande, ne spieghi le
differenze intrinseche, rimuovendo il problema del regresso all’infinito, riducendo a priori
le leggi fisiche permesse ad un insieme finito. In secondo luogo, lo scopo è elaborare le
implicazioni di questo schema di idee al di fuori della fisica, fino ad abbracciare tutti i
domini del sapere umano, a partire dalla filosofia, e alla biologia, per arrivare ad una
definizione coerente e precisa del fenomeno della vita, e aprire un varco ai primi tentativi
verso la creazione di forme di vita artificiale. Il risultato sarà una descrizione del mondo
in completo accordo con la conoscenza accumulata finora, nonostante la rimozione del
principio di causalità assoluta e la rinuncia alla semplificazione che assimila il passato
al presente e al futuro. Il nuovo approccio risponde in modo preciso a domande le cui
risposte sono state sempre lasciate finora nel vago, quelle che riguardano la vera natura
della vita, e infine indirizza una concreta ricerca futura verso la realizzazione di forme
di vita completamente diverse da quelle oggi conosciute. Tutto ciò richiede di rimettere
in discussione anche le nozioni più elementari e ovvie, fino ai presupposti più nascosti e
inconsci, sulla falsariga di una lezione desunta, ma non ancora completamente imparata
ed assimilata, dalle imbarazzanti scoperte della fisica del secolo scorso.
Non so se la nuova disciplina che mi propongo di fondare sarà chiamata ancora fisica,
o biofisica, o biologia, o cibernetica quantistica, o in chissà quale altro modo. Per dirla
con una battuta, una combinazione di getti di dadi sta portando alla creazione di questo
libro, uno dei tanti. Forse una sequenza ancora più fortunata di getti di dadi porterà alla
realizzazione concreta dei progetti esposti in queste pagine, annaffiando quel seme nel sasso
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che sta aspettando da tempo un aiuto del caso per trovare la propria via e germogliare.
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La vita
Nella prima parte del libro abbiamo esaminato le novità concettuali delle leggi quantistiche, abbiamo assistito all’emergere di nozioni che pongono le basi di una maniera
completamente nuova di vedere e intendere il cosmo. Siamo partiti dall’indeterminazione
quantistica, in cui a condizioni inziali identiche corrisponde una moltiplicità di risultati
finali possibili. Un fenomeno irreversibile, il collasso della funzione d’onda, proietta lo
stato iniziale su uno soltanto dei risultati finali possibili. Questa irreversibilità temporale,
rappresentata dal collasso della funzione d’onda, è un’irreversibilità temporale locale, nel
senso che non è permesso l’ordine cronologicamente inverso degli eventi, ma, allo stesso
tempo, il ritorno di una situazione assolutamente identica a quella iniziale, con conseguente
cancellazione totale del passato, è possibile. Il collasso della funzione d’onda non cambia le
possibilità del cosmo nella sua globalità, non stabilisce nessuna differenza globale tra passato e futuro, ma è comunque un fenomeno di irreversibilità locale, concentrata nel luogo
e nel tempo in cui il fenomeno del collasso si verifica. Questo cambiamento a livello locale
rappresenta la transizione di fase tra il passato locale e il futuro locale, quella transizione
di fase che abbiamo chiamato presente. A livello globale tutte le possibilità rimangono
ancora aperte, e sono le stesse di prima, non si conserva alcuna memoria del passato, e
lo stato iniziale può ritornare, esattamente identico a se stesso. Ha luogo una perdita di
informazione, perché il collasso della funzione d’onda è allo stesso tempo la scelta di uno
stato finale tra tanti possibili, e anche la cancellazione completa dello stato iniziale. Tuttavia, anche le perdita di informazione è un fenomeno locale e a livello globale non viene
persa informazione alcuna. Abbiamo visto che queste proprietà sono sufficienti a dare una
direzione al tempo. Il tempo si evolve in un senso ben preciso, definito dall’irreversibilità temporale locale del collasso della funzione d’onda (e anche dalla legge dell’entropia).
Basta un’irreversibilità locale a stabilire la direzione del tempo, non c’è bisogno di una
memoria cosmica e non c’è bisogno che il ritorno allo stato iniziale sia impossibile.
Siamo poi passati allo studio della teoria dei campi, che completa la meccanica quantistica sotto vari aspetti, prima di tutto sotto l’aspetto fisico, perché colma le lacune, le
carenze della meccanica quantistica dal punto di vista fisico, ma anche sotto l’aspetto
filosofico, perché chiude il cerchio, risolve i problemi di consistenza interna della meccanica
quantistica e permette di comprendere il segreto della determinazione della legge fisica,
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come si possa raggirare il problema del regresso all’infinito ed evitare l’infinità arbitrarietà intrinseca alla meccanica classica, riducendo l’insieme delle teorie accettabili ad un
insieme finito, che permette il confronto coll’osservazione sperimentale del mondo microscopico. La rinormalizzazione, la rimozione delle divergenze, ha una serie di implicazioni
notevoli, tra cui l’emergere di un nuovo tipo di irreversibilità nel cosmo, un’irreversibilità
nel senso delle scale di grandezza, che è allo stesso tempo fondamentale e necessaria, e
stabilisce una differenza intrinseca tra il microscopico e il macroscopico, e stabilisce anche
che nell’universo esiste una direzione nel senso delle scale di grandezza, che punta dal microscopico al macroscopico. Intuitivamente, possiamo dire che questa irreversibilità è una
conseguenza indiretta del principio di indeterminazione, cioè il grando di determinismo di
un sistema aumenta coll’aumentare del grado di complessità del sistema, per cui passando
dal microscopico al macroscopico, l’indeterminismo, la caoticità lasciano gradualmente il
posto al determinismo, alla prevedibilità, alla regolarità. Questa interpretazione intuitiva
necessita tuttavia di qualche messa a punto più precisa e vedremo tra breve di cosa abbiamo
bisogno. Abbiamo poi analizzato le differenze concettuali tra i vari tipi di irreversibilità
e siamo giunti alla conclusione che nel contesto della teoria dei campi e della meccanica
quantistica, abbiamo l’irreversibilità temporale locale, l’eterno ritorno dell’identico senza
ciclicità e l’irreversibilità globale di scala. Nella seconda parte del libro vogliamo studiare
le implicazioni filosofiche di queste idee in senso lato, cioè come una maniera di pensare e
concepire il cosmo improntata alle leggi della fisica possa ripercuotersi sul nostro pensiero.
Sappiamo che gli effetti del principio di indeterminazione vengono ridotti alle scale
di grandezza macroscopiche, perché quando molti sistemi elementari vengono combinati
assieme gli effetti dell’indeterminazione si compensano e, genericamente, si mediano a
zero. Tuttavia, questo “genericamente” sottintende che la legge è vera soltanto in senso
statistico: nella maggior parte dei casi, ma non sempre, i fenomeni microscopici si combinano in sistemi complessi tali da ridurre l’indeterminazione e produrre la predicibilità
e la regolarità. È però anche possibile, e questo accadrà in una frazione molto piccola
di casi, che i fenomeni microscopici si combinino in modo da amplificare l’indeterminazione. Basta pensare ad un qualunque apparato sperimentale usato osservare i fenomeni
quantistici. Qualunque esperimento di meccanica quantistica è una sorta di amplificazione
dell’indeterminismo dal microscopico al macroscopico. L’abbiamo visto quando abbiamo
parlato dell’interazione tra il sistema elementare, per esempio un elettrone di cui vogliamo
misurare lo spin, e il rivelatore, un sistema macroscopico fatto di molti atomi, che può
essere completamente ionizzato o lasciato inalterato, cioè completamente non-ionizzato.
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L’apparato sperimentale è in grado di stabilire una corrispondenza uno a uno tra gli stati
finali possibili del sistema microscopico, cioè gli stati su cui può essere proiettato il sistema microscopico, e gli stati possibili del sistema macroscopico. Noi osserviamo soltanto
lo stato finale del sistema macroscopico, e, in virtù di questa corrispondenza uno a uno
tra stati del sistema macroscopico e stati del sistema microscopico, ne deduciamo lo stato
nel quale viene collassato il sistema microscopico. Questo è un esempio semplice in cui
l’incertezza, l’indeterminazione quantistica, l’imprevedibilità, non viene affatto mediata a
zero, ma anzi viene amplificata, in un colpo solo, a livello macroscopico, tanto che la posizione dello spin di un singolo elettrone si riverbera istantaneamete a livello macroscopico,
eventualmente ionizzando completamente un rivelatore.
L’esistenza di apparati sperimentali come quelli usati per gli esperimenti di meccanica
quantistica dimostra che l’amplificazione dell’indeterminazione quantistica a livello macroscopico è possibile, anche se avrà luogo in un numero molto ristretto di casi. Ora, l’esempio
che abbiamo descritto consiste di un apparato sperimentale costruito appositamente da
noi esseri umani per ottenere questa amplificazione. L’amplificazione dell’indeterminazione avviene nei nostri laboratori perché noi decidiamo di farla avvenire. Ciò richiama alla
mente l’idea di ordine, regolarità, cioè ci fa pensare ad un sistema studiato apposta per
produrre quello scopo, da una mente razionale, “intelligente”. Poiché tuttavia le leggi
fisiche esaminate finora non ci hanno mostrato l’esistenza di alcuna intelligenza in natura
(e, come vedremo, la “nostra” intelligenza non è affatto intelligenza, a livello fondamentale), né tantomeno razionalità, dobbiamo evitare di introdurre la nozione di ordine dove
ordine non c’è, di regolarità dove non c’è regolarità, di causa dove non c’è causa. Ci basta
osservare che l’amplificazione in questione è possibile e quindi si dovrà necessariamente verificare in un ben definito numero di casi, e si può verificare anche “spontaneamente”, cioè
senza bisogno del nostro intervento (che comunque fa parte, né più né meno, dei fenomeni
prodotti “spontaneamente” dalla natura, per quanto ci illudiamo che cosı̀ non sia). Certo,
è difficile pensare che si creino spontaneamente in natura condizioni simili a quelle nelle
quali noi umani facciamo i nostri esperimenti di meccanica quantistica, ma non teniamo
conto che la varietà di situazioni simili che possono produrre lo stesso effetto è virtualmente infinita e sarebbe assurdo pensare che la natura si proibisca di fare succedere eventi
che possono succedere. Dovremo dunque investigare come, dove, con quale distribuzione
e probabilità avvengono questi fenomeni spontanei di amplificazione dell’indeterminazione
quantistica in natura.
L’amplificazione dell’indeterminazione è una proprietà locale dell’universo. Localmente
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possiamo avere un’amplificazione, e dunque il verificarsi di fenomeni quantistici su scale
macroscopiche, ma globalmente prevale comunque la legge della soppressione dell’indeterminazione, come predetto dal principio di irreversibilità quantistica, che è appunto
un’irreversibilità globale. La sparizione completa dell’indeterminazione avviene soltanto
nel limite di scale di grandezza infinitamente grandi, che sono comunque impossibili, visto
che l’universo ha dimensioni finite. Pertanto, a qualunque scala di grandezza finita c’è
spazio per una certa forma di indeterminazione quantistica. Vorremmo identificare meglio
queste “isole di indeterminazione”, alle varie scale di grandezza, includendo naturalmente
le scale di grandezza nostre. Con un linguaggio forse un po’ impegnativo, potremmo
indicare questa ricerca con il nome di “fenomenologia dell’irreversibilità quantistica”, cioè
lo studio delle leggi che governano l’amplificazione dell’indeterminazione quantistica in
contrapposizione al fenomeno prevalente, che è la sua soppressione, la distribuzione di
indeterminazione quantistica nel cosmo.
Possiamo quindi parlare di due movimenti principali dell’irreversibilità quantistica. Da
una parte abbiamo il primo movimento, che è il movimento di soppressione dell’irreversibilità quantistica, dall’altra parte abbiamo il movimento di amplificazione dell’indeterminazione quantistica. Si tratta di “movimenti” nel senso delle scale di grandezza, procedendo
dal microscopico al macroscopico. Alle piccole scale di grandezza non c’è alcuna differenza
fra i due movimenti, entrambi coperti da una sorta di rumore quantistico che affoga tutto
nell’oceano del caos e dell’indeterminazione, una sorta di brodaglia quantistica. Procedendo verso le scale di grandezza più grandi, incontriamo una biforcazione, che dà su due
sbocchi separati e non più ricongiungentisi, due maniere diverse di comporre il microscopico nel macroscopico: il movimento di soppressione dell’indeterminazione e il movimento
di amplificazione dell’indeterminazione. Sono dunque due movimenti rispetto alle scale
di grandezza, il primo globale, quello di sopporessione, il secondo locale, quallo di amplificazione. Possiamo anche considerarli come movimenti nel tempo, nel qual caso sono
entrambi movimenti locali: a livello globale non diminuisce, e non aumenta, la probabilità
di amplificazione dell’indeterminazione col passare del tempo, perché non esiste, come
abbiamo detto più volte, alcuna irreversibilità temporale globale.
I due movimenti sono in un certo senso in contrapposizione, ma la questione è in realtà
più complessa. Intanto, entrambi i movimenti seguono dallo stesso principio fisico, e infatti
si confondono e sono indistinguibili alle scale di grandezza microscopiche. Non solo, ma i
due movimenti sono correlati in modo spettacolare. Nessun evento quantistico può essere
osservato direttamente. Il fenomeno quantistico ha bisogno dello strumento classico per
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essere percepito, per esistere, altrimenti sarebbe invisibile. Tuttavia, l’oggetto classico
rappresenta la soppressione dell’indeterminazione quantistica. Quindi, da una parte il
primo movimento dell’irreversibilità quantistica rappresenta la soppressione dell’indeterminazione quantistica, dall’altra parte è ciò che permette l’esistenza e l’espressione del secondo
movimento dell’irreversibilità quantistica e cioè dell’indeterminazione quantistica stessa. Si
tratta di una relazione spettacolare tra elementare e complesso. L’elementare, di solito,
costituisce il complesso, per composizione. Ma in meccanica quantistica e, soprattutto,
nella teoria dei campi, esiste un effetto di corto-circuito del complesso sull’elementare,
tanto che è il complesso che permette e garantisce l’esistenza dell’elementare. Nella teoria
dei campi l’abbiamo visto rigorosamente: la composizione dei vertici produce i diagrammi,
ma, attraverso la rinormalizzazione, il complesso modifica e determina l’elementare. In
primo luogo, può essere necessaria l’aggiunta di nuovi vertici elementari, prima assenti, per
la rimozione delle divergenze. In secondo luogo, l’effetto di corto-circuito del complesso
sull’elementare si fa sentire anche sui vertici elementari, perché i parametri λi devono essere
sostituiti da parametri rinormalizzati λ0i , che dipendono dalla scala di grandezza. In questo
modo, mentre a livello classico i vertici sono reversibili nel senso delle scale di grandezza,
a livello quantistico il “rivestimento” dei vertici dovuto al corto-circuito del complesso
sull’elementare viola l’invarianza sotto trasformazioni di scala e l’inversione di coordinate,
generando un’irreversibilità di scala che è allo stesso tempo fondamentale e necessaria.
Nella fisica quantistica non è possibile vedere il complesso semplicemente come il frutto
dell’interazione, o composizione, tra l’elementare e l’elementare. Nel processo logicoconcettuale della quantizzazione, il complesso viene descritto come composizione dell’elementare soltanto nel primo passaggio, ma l’apparire delle divergenze mostra l’inconsistenza
di questa prima descrizione. La rinormalizzazione costringe il processo di quantizzazione
a riavvolgersi su se stesso, con un corto-circuito dal complesso all’elementare che chiude il
cerchio e permette di ottenere una formulazione consistente, altrimenti impossibile. Senza
questo riavvolgimento del complesso sull’elementare, la teoria non avrebbe senso, perché
rimarrebbe divergente. Quindi, non esiste solamente la composizione dell’elementare nel
complesso, esiste anche il corto-circuito del complesso sull’elementare. La teoria è determinata dalla spettacolare correlazione tra la composizione dell’elementare nel complesso e
il corto-circuito del complesso sull’elementare. È questa la scoperta più sconvolgente che
emerge dalla teoria dei campi.
Abbiamo assistito al corto-circuito del complesso sull’elementare anche nel caso del collasso della funzione d’onda, che avviene grazie all’interazione tra il sistema microscopico
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e il sistema macroscopico. È l’interazione stessa tra il microscopico e il macroscopico che
causa il collasso della funzione d’onda. Il fenomeno stesso del collasso non esiste in sè e
per sè, non esiste “prima di essere amplificato”, ma esiste nel momento stesso in cui viene
amplificato. Quando diciamo che avviene l’amplificazione di un effetto microscopico su
un sistema macroscopico, ci esprimiamo in maniera poco precisa, perché a ben guardare
non esiste un fenomeno microscopico in sè e per sè, che può essere o meno amplificato
a livello macroscopico, esiste soltanto l’interazione tra il microscopico e il macroscopico,
tra l’elementare e il complesso, tra l’uno e i molti, tra la singolarità e la molteplicità, tra
un atomo e un sistema di molti atomi. La descrizione in termini da “amplificazione” di
un fenomeno microscopico è soltanto una descrizione di comodo, cosı̀ come i vertici sono
interazioni “di comodo” da cui partire nel processo di quantizzazione, ben sapendo che la
legge fisica vera è data dal risultato finale, ottenuto componendo i vertici in diagrammi
e risommando i diagrammi, e che il processo di quantizzazione richiede un corto-circuito
non banale del complesso sull’elementare, in cui il complesso, tramite la rimozione delle
divergenze, determina o modifica l’elementare. Al punto che perfino nelle situazioni fisiche
in cui basta il grado di approssimazione più basso, quello rappresentato dai vertici elementari, si manifesta la violazione dell’invarianza sotto trasformazioni di scala, perché i
vertici devono essere moltiplicati dai parametri ridefiniti λ0i , che non sono più costanti, ma
dipendono dalla scala di grandezza del processo fisico. Allo stesso modo, è il corto-circuito
del macroscopico sul microscopico che produce il collasso della funzione d’onda, che poi
è l’unico “momento” osservabile del fenomeno, tutto il resto, ciò che “avviene” prima e
ciò che “avviene” dopo il collasso della funzione d’onda, essendo una nostra descrizione di
comodo.
Infine, abbiamo assistito al corto-circuito del complesso sull’elementare anche nello
studio dell’irreversibilità quantistica. Nella teoria dei campi è possibile ricavare una legge
fondamentale e necessaria di irreversibilità a partire da leggi reversibili. Se ci fosse soltanto
la composizione dell’elementare nel complesso, senza alcun corto-circuito del complesso
sull’elementare, si potrebbe al massimo ottenere, come in meccanica statistica, un’irreversibilità di tipo approssimato, apparente, ma la legge fondamentale rimarrebbe la reversibilità.
Il riavvolgimento del complesso sull’elementare, l’interazione tra il classico e il quantistico, il microscopico e il macroscopico, l’individuo e l’insieme statistico degli individui, è
una decisione, una proiezione, un collasso, appunto, rappresenta quindi anche una risposta,
un messaggio, una comunicazione tra mondi profondamente diversi. Non esiste comunicazione possibile tra classico e classico, né tra quantistico e quantistico. Questi mondi non
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16B1 AQL
hanno niente da dire a se stessi. Nel microscopico regna il caos, nel macroscopico regna il
determinismo. Non c’è nulla di interessante che si possano dire due sistemi caotici e non
c’è nulla di interessante che si possano dire due sistemi deterministici. La comunicazione
avviene dal quantistico al classico e dal classico al quantistico, ed è anzi questa comunicazione il solo fenomeno esistente, che permette l’esistenza anche degli stessi mittente e
destinatario della comunicazione. L’insieme statistico è la folla nella quale l’individuo si
perde, ma è anche l’ambiente che permette all’individuo di esprimersi e quindi esistere.
Stiamo progressivamente abbandonando il terreno della scienza fisica, matematica,
per muoverci verso l’esplorazione di un dominio diverso, in cui ci poniamo delle domande più filosofiche. Prima di immergerci definitivamente in questa esplorazione, dobbiamo accennare ai rischi che questo comporta. La meccanica quantistica ha dato spunto
a molte persone per giustificare certe convinzioni aprioristiche del tutto infondate dal
punto di vista sceintifico. Vari filosofi, anche quelli che si sono autoproclamati “campioni dell’indeterminismo”, invece che studiare freddamente le conseguenze del principio di
indeterminazione, si sono serviti di esso, spulciando superficialmente qui e là tra le leggi
fisiche o le interpretazioni delle leggi fisiche che potevano tornargli più utili, per dare falso
supporto ad un insieme di risposte preconfezionate alle domande filosofiche più importanti. Cosı̀ possiamo leggere saggi in cui, a partire dalla meccanica quantistica troviamo
giustificato il libero arbitrio, la coscienza, l’esistenza delle coscienza e della libertà nella
natura. Non torneremo più sulla disamina delle leggi fisiche fatta nei capitoli precedenti,
che è esauriente, definitiva, e non contiene in alcuna sua parte motivi per giustificare il
libero arbitrio o la coscienza nel mondo. Vogliamo studiare tutte le implicazioni di quelle
legge fisiche, anche fuori della fisica, e tra queste implicazioni non c’è assolutamente che
l’unica alternativa alla catena infinita delle cause sia il libero arbitrio, e non c’è nemmeno
l’esistenza di una coscienza nella natura. Vogliamo piantare per terra le radici del pensiero
quantistico, e scrollarci di dosso tutte le falsità ereditate dalle idee passate.
Ora, il principio di causa è detronizzato dalla meccanica quantistica, e ancor di più dalla
teoria dei campi, che svela i segreti della comprensione e della codificazione delle leggi della
natura, arrivando a stabilire come è possibile selezionare le leggi fisiche compatibilmente
coll’osservazione sperimentale del mondo microscopico, approdando ad un principio di
irreversibilità spaziale del cosmo. Tutto questo è conseguenza, diretta o indiretta, del
principio di indeterminazione, che è il fondamento della nuova filosofia; non un accidente,
una nozione come le altre, bensı̀ il principio sul quale va ripensato e rifondato tutto.
Noi non ci proponiamo di riconciliare il nuovo col vecchio. Vogliamo rigettare in toto il
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vecchio, per procedere diretti e senza ostacoli verso il nuovo. Non ci soffermeremo nemmeno
a confutare gli argomenti di coloro che hanno preteso di giustificare il libero arbitrio e
la coscienza a partire dalla meccanica quantistica. Mi duole dire che non ho mai letto
idee sensate a proposito della filosofia del principio di indeterminazione, o a proposito del
posto del principio di indeterminazione nella filosofia. Vogliamo comprendere il messaggio
comunicatoci dalla natura attraverso le scoperte della fisica, porre nuove domande, trovare
nuove risposte, aprire nuove prospettive, fondare un nuovo pensiero, scoprire il nuovo
significato del pensare.
Nella prima parte del libro abbiamo osservato che nel momento in cui rinunciamo al
principio di causalità assoluta, possiamo, anzi dobbiamo, chiederci che cosa sia la vita, nel
senso che la vita sembra essere, anzi è, un fenomeno fisico che non obbedisce alla legge
di causalità. Secondo alcuni si tratta di una causalità, di un determinismo più sottile,
ma se sappiamo che in natura i fenomeni elementari, i più sottili, violano la causalità,
perché dovremmo ricondurre il comportamento di un essere vivente ad una causalità più
sottile? Sono sforzi vani, come ci dimostra l’impossibilità di ricondurre l’indeterminazione
quantistica ad una causalità più sottile, rappresentata dalle teorie di variabili nascoste
locali. Non c’è alcuna causalità sottile: il sottile è nelle mani del caso. Dobbiamo cercare
di capire, facendo tesoro della comprensione delle leggi fisiche raggiunta fino ad ora, che
cosa sia la vita in quanto fenomeno fisico, come compare, come si evolve, come si estingue.
Vogliamo elaborare una definizione scientifica e rigorosa del fenomeno della vita, identificare che cosa la contraddistingue in maniera essenziale dal resto della natura. Ci sono
tante caratteristiche che contraddistinguono le forme di vita che conosciamo dalla natura
inanimata, ma noi vogliamo astrarre dalle particolari forme di vita che si sono sviluppate
sulla terra. A noi non interessa spiegare che cosa sia la vita che si è formata sul pianeta
terra. Non ci interessa spiegare perché e come si è sviluppata la particolare vita che si è
sviluppata sulla terra. A noi interessa capire e descrivere la vita in sè e per sè, la vita nel
cosmo, indipendentemente dalle forme che essa assume sui vari pianeti. Vogliamo sapere
cos’è il fenomeno fisico che chiamiamo vita. Dovremo anche fare una filosofia in grado di
permettere di elaborare la crezione di vita artificiale, perché se la nostra filosofia pretende
di essere scientificamente rigorosa, forse il primo tentativo di filosofia scientifica, dobbiamo
elaborare una teoria della vita che sia scientificamente testabile. Non è possibile stabilire
una dimostrazione definitiva di una teoria della vita sulla base di quello che già conosciamo: a meno di contraddizioni palesi, è fin troppo facile argomentare, o forse sarebbe
meglio dire raggirare gli argomenti, per trovare supporto, giustificazione, nella conoscenza
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esistente, alle proprie idee preferite, alle spiegazioni posticce, approntate mediante una superficiale disamina degli eventi procedendo a ritroso nel tempo, assegnando cause ad eventi
che causa non hanno, distribuendo finalità inesistenti, e cosı̀ via. Una “conferma” di una
teoria che provenga dalla semplice compatibilità della teoria colla conoscenza accumulata
non è stringente. Occorre, come il metodo scientifico ci insegna, che la teoria faccia delle
predizioni nuove e che queste siano confermate da nuove osservazioni sperimentali, indipendenti dalla conoscenza preesistente, quella utilizzata per concepire la teoria stessa. Non
basta che una teoria spieghi tutti i fenomeni osservati finora, molte teorie incompatibili
possono riuscirci. C’è bisogno che preveda risultati nuovi e che questi siano effettivamente
confermati. La nostra teoria deve essere selezionata come la spiegazione giusta della vita,
tra tutte le spiegazioni fornite fino ad oggi, perché non soltanto spiega le forme di vita
esistenti, ma permette anche la creazione di forme di vita nuove, quella che chiameremo la
vita artificiale. La teoria sarà verificata se la crezione della vita artificiale avverrà in base
ai principi che esporremo.
Ora, quando si parla di vita, naturale o artificiale, si pensa quasi sempre anche all’intelligenza, e quando si parla di forme di vita si pensa anche a forme di intelligenza. Noi non
ci occuperemo quasi mai di intelligenza. L’intelligenza non è un aspetto essenziale della
vita, non è una proprietà fondamentale della vita. Non commetteremo l’errore di occuparci
di vita artificiale a partire dall’intelligenza artificiale. L’intelligenza, o almeno ciò che noi
chiamiamo intelligenza, è una proprietà di una particolare specie di una forma di vita, o di
poche forme di vita, su di un particolare pianeta, o pochi pianeti. Se l’intelligenza fosse un
aspetto essenziale della vita, allora sarebbe una proprietà di tutte le forme di vita possibili,
cosa chiaramente contraria al vero. Non c’è nessun motivo per credere che l’intelligenza
favorisca una specie sulle altre, o una forma di vita sulle altre, fregiandola del titolo di
“superiore”. Non c’è nessun motivo per credere che una specie intelligente abbia più
possibilità di sopravvivere ed espandersi delle specie più prolifiche, in grado di riprodursi
e mutare a grande velocità, come gli insetti. Mi concentrerò di più su altri aspetti, come
per esempio l’incosciente, che hanno una importanza superiore a quella dell’intelligenza
nell’uomo.
Infine, devo mettere in guardia il lettore dall’assimilare i termini che uso in questo libro
ai termini analoghi utilizzati correntemente in letteratura. Per esempio, con vita artificiale
si intendono spesso delle macchine che simulano il comportamento umano. Si tratta di un
uso improprio dei termini “vita artificiale”. Intanto, una macchina non è nulla di vivente,
perché un sistema deterministico non ha nulla a che vedere colla vita. Poi, non è il grado di
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somiglianza con l’uomo che può stabilire che cosa è vivo, e nemmeno il grado di somiglianza
con una qualunque forma vivente che conosciamo. Noi dobbiamo astrarre dalle particolari
forme viventi che ci sono note. Prima di parlare di vita artificiale, che sarà l’ultimissimo
prodotto della nostra elaborazione, dobbiamo trovare una definizione chiara e univoca di
vita, che spieghi e descriva tutta quanta la vita possibile nel cosmo. Sarà il successo o
meno della creazione di vita artificiale in base alle leggi della vita identificate a decretare
la validità o meno della teoria della vita da me elaborata.
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La connessione tra i quanti elementari di indeterminazione
16B1 AQL
C
A
P
B
Schematizziamo l’indeterminazione quantistica con una biforcazione, come quella mostrata in figura. La chiameremo, per semplicità, il “getto di dadi”, anche se sappiamo che
in un contesto classico il getto di dadi non è un vero fenomeno indeterministico, perché il
risultato di un getto di dadi non è imprevedibile in principio, ma rappresenta soltanto una
simulazione del caso, dovuta alla difficoltà pratica di controllare tutte le variabili in gioco
e fare delle predizioni precise. Con “getto di dadi elementare” intenderemo il fenomeno
elementare quantistico in cui a definite condizioni iniziali corrisponde una pluralità di risultati finali possibili e il collasso della funzione d’onda “sceglie” un risultato finale tra quelli
possibili, secondo una precisa distribuzione di probabilità. Si tratta quindi di una bifor24
16B1 AQL
cazione “esatta”, in cui l’entrata è costituita di una sola linea, mentre l’uscita è fatta di
due linee. Potremmo considerare anche triforcazioni, o multiforcazioni, ma la sostanza
non cambierebbe. Leggiamo la biforcazione della figura da sinistra a destra. Arriviamo
dal punto A e incontriamo il punto di biforcazione P. In P dobbiamo decidere se procedere
verso il punto C o verso il punto B. Se decidiamo, per esempio, di procedere verso C,
abbiamo il percorso APC, altrimenti abbiamo il percorso APB. Scegliamo C, e guardiamo
la sequenza degli eventi a ritroso nel tempo. Siamo in C, prima che in C eravamo in P e
prima che in P eravamo in A. Guardando indietro nel tempo vediamo un percorso unico:
CPA. La biforcazione scompare alla vista. L’alternativa B, il percorso BPA, non è visibile,
perché non esiste nessun B e non esiste tale percorso. B era, rispetto a P, uno dei futuri
possibili, ma nel momento in cui abbiamo scelto C, la possibilità B è stata automaticamente cancellata. Guardando gli eventi a ritroso nel tempo abbiamo l’impressione della
concatenazione causale esatta: P è l’unico evento che precede C e A è l’unico evento che
precede P. Pertanto, abbiamo l’impressione che P sia la causa di C e A sia la causa di P. Il
punto di biforcazione P è visibile come tale, soltanto se guardiamo la biforcazione provenendo da A, cioè se consideriamo gli eventi nel senso cronologico. Questa è la differenza
fondamentale tra il passato e il futuro, o, meglio, tra il guardare gli eventi della natura in
ordine anticronologico e il guardarli in ordine cronologico. Guardandoci indietro, ci sembra
che il passato sia deterministico, a fuoco, mentre guardando in avanti nel tempo vediamo
che il futuro non è affatto a fuoco, è non-deterministico. L’analisi anticronologica ci dà
una falsa impressione, l’impressione di una concatenazione causale dove non c’è alcuna
concatenazione causale. Ciò che determina il futuro del sistema, C invece che B, è la scelta
compiuta in P, ma non è il punto P. Potremmo descrivere A come la causa di P, perché
A è l’unico punto che precede P, ma A non genera la decisione presa in P. Non c’è nulla,
nello schema della biforcazione, che predetermini la decisione da prendere in P, o informi
su quella. Quindi il passato è univocamente definito, mentre esiste una molteplicità di
futuri possibili. P è l’istante che determina senza essere determinato, è la transizione di
fase tra passato e futuro, il presente.
Se riflettiamo ingenuamente sul futuro la conoscenza imprecisa imparata dall’analisi del
passato, rischiamo di commettere gli errori più grossolani, come quello della concatenazione
causale assoluta, che sono poi gli errori commessi dalla maggior parte dei filosofi nel corso
della storia. Secondo le interpretazioni più erronee e più diffuse, la concatenazione causale,
estesa a tutto il tempo e a tutto l’universo, è un principio assoluto. Essa assimila il futuro
al presente e al passato, come se fossero collegati da una traslazione temporale. In questo
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16B1 AQL
modo, priva passato, presente e futuro delle loro caratteristiche e differenze intrinseche.
D’altra parte, gli stessi sostenitori del principio della causalità assoluta rimangono perplessi
di fronte alla catena infinita delle cause, insoddisfatti, disturbati da questa necessità di
avere a che fare con l’infinito. Per qualche motivo che non sono mai riuscito a capire, i
filosofi preferiscono introdurre il trascendente, addirittura il trascendente, pur di evitare
l’infinito, pur di evitare la possibilità che l’universo esista da sempre, senza inizio e senza
fine. Il trascendente tranquillizza i filosofi, l’infinita catena delle cause li lascia perplessi...
Oggi sappiamo che non c’è nessun bisogno di introdurre il trascendente, perché non
c’è nessuna catena causale infinita. La catena delle cause è rotta in tutti gli istanti, ogni
evento è una rottura della catena delle cause, è un anello che non tiene. Se si vuol parlare
di causalità, di determinismo, la si deve circoscrivere ai percorsi che portano da A a P,
da P a C e da P a B. In questi percorsi intermedi, sappiamo, la funzione d’onda evolve
deterministicamente. Ma sappiamo anche che questi percorsi intermedi non sono eventi
né osservati, né osservabili. Soltanto il momento P esiste e consiste, cioè esiste soltanto
il momento a-causale. E se parliamo di punto A, se osserviamo A, lo osserviamo soltanto
come un punto di biforcazione precedente, Pprec . Se parliamo di C e osserviamo C, lo
osserviamo soltanto come un punto di biforcazione successivo, Psucc . E cosı̀ sarebbe per
B se osservassimo B. Non si possono osservare che i presenti, i punti di biforcazione. Non
esistono che punti di biforcazione.
È l’istante P che crea il futuro. Questo fenomeno non è descrivibile con una legge di
conservazione, ma ha bisogno di una sorta di legge di creazione, che ha le sue radici nel
principio di indeterminazione. Non è vero, in un contesto quantistico, che “nulla si crea
e nulla si distrugge”, perché il risultato di una scelta quantistica è creato effettivamente
dal nulla. Quindi il fenomeno fondamentale dell’universo non è la concatenazione causale,
ma la biforcazione quantistica, che chiameremo getto di dadi o quanto di indeterminazone
elementare. Tutti gli eventi dell’universo sono sequenze di biforcazioni come queste.
La legge di distruzione corrispondente alla legge di creazione appena enunciata è la
cancellazione del passato, l’oblio, la perdita di informazione. Ogni punto P è la distruzione
di un passato e la creazione di un futuro, e questa transizione è il presente. L’identità
di un oggetto, ciò che è reale, è la transizione P. La storia di un oggetto è la sequenza
di transizioni P della sua vita, la sequenza delle decisioni che ha preso. La consistenza
della realtà ha origine nell’incertezza, nell’indeterminazione della realtà stessa. Ciò che
percepiamo lo percepiamo come proiezione irreversibile della pluralità dei futuri possibili
in un singolo presente. Il presente esiste come transizione dalla molteplicità alla singolarità.
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16B1 AQL
La ragione per cui un la realtà esiste, è che avrebbe potuto essere qualcos’altro. La ragione
per cui un singolo oggetto esiste, è che avrebbe potuto essere qualcos’altro. Questa è la
conclusione più sconvolgente.
Parliamo ora dell’amplificazione dell’indeterminazione quantistica. Consideriamo dei
sistemi complessi costituiti di un grande numero di quanti. Sappiamo che, in generale, gli
effetti del principio di indeterminazione si compensano e mediano a zero, però non possiamo
escludere l’esistenza di combinazioni particolari dei fenomeni elementari fatte in modo tale
che gli effetti del principio di indeterminazione si amplifichino, invece che sopprimersi. Un
apparato qualunque per esperimenti di meccanica quantistica ottiene precisamente questo
risultato, attraverso l’interazione tra un sistema microscopico ed un sistema macroscopico.
Semplificativamente, possiamo dire che la componente deterministica è quella macroscopica, mentre la componente indeterministica è quella microscopica, ma in realtà sappiamo
che c’è un corto-circuito essenziale tra il macroscopico e il microscopico, per cui ciò che
veramente esiste è la coppia microscopico-macroscopico, in cui il macroscopico è composto
dal microscopico, determinato dal microscopico attraverso una legge di composizione, ma
allo stesso tempo il microscopico è soggetto all’influenza essenziale del macroscopico, che
cambia le proprietà intrinseche del microscopico, tra cui la reversibilità in irreversibilità,
attraverso il principio di rinormalizzazione. Ciò che esiste è il frutto della “dialettica tra il
microscopico e il macroscopico”. È questa stessa dialettica che determina tanto il macroscopico quanto il microscopico.
Finora abbiamo sempre sorvolato su un’altra maniera di amplificare incertezza e imprevedibilità, quella rappresentata dai sistemi caotici. Prima di procedere, è bene soffermarci sulla relazione tra sistemi quantistici e sistemi caotici. Sappiamo che un sistema
caotico, in cui a condizioni iniziali arbitrariamente vicine producono risultati finali arbitrariamente lontani, è comunque deterministico, per cui l’origine dell’imprevedibilità di
un sistema caotico non è un fatto di principio, ma sta soltanto nell’impossibilità pratica di conoscere con precisione le condizioni iniziali. Anche il sistema caotico amplifica
l’incertezza, quella delle condizioni iniziali, a livello macroscopico, producendo risultati
finali arbitrariamente lontani. Tuttavia, il sistema caotico in sè non è in grado di stabilire l’origine dell’incertezza iniziale, relegandola all’impossibilità pratica, nostra, di determinare con precisione le condizioni iniziali. Un sistema quantistico spiega tanto l’origine
microscopica dell’indeterminazione, quanto la sua amplificazione macroscopica. Infatti,
l’amplificazione prodotta da un sistema quantistico ha proprietà che ricordano da vicino
quelle del sistema caotico. Prendiamo per esempio ancora il rivelatore, che può trovarsi
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16B1 AQL
in uno stato completamente non-ionizzato o uno stato completamente ionizzato, e misura
la componente z dello spin di un elettrone nello stato iniziale ↑x . I due risultati possibili
dell’esperimento, rivelatore completamente ionizzato o completamente non-ionizzato, sono
situazioni finali arbitrariamente lontane tra loro, associate a situazioni iniziali, gli stati
↑z o ↓z del sistema microscopico, arbitrariamente vicine tra loro. Un sistema quantistico è
dunque, in particolare, un sistema caotico. Probabilmente, tutti i sistemi caotici in natura
hanno origini quantistiche. Il sistema caotico amplifica l’incertezza, ma non spiega l’origine
dell’incertezza. Il sistema quantistico spiega anche l’origine di principio dell’incertezza. In
definitiva, anche se non abbiamo trattato esplicitamente i sistemi caotici, a cui molti studiosi attribuiscono un ruolo eccessivamente importante, la nostra analisi non è lacunosa,
in quanto i sistemi caotici sono contenuti implicitamente tra i sistemi complessi che stiamo
analizzando.
Ora, quando vogliamo comporre i fenomeni di indeterminazione microscopica in sistemi
complessi macroscopici, possiamo farlo sostanzialmente in due modi: in serie e in parallelo. Quando componiamo le biforcazioni quantistiche in parallelo, abbiamo l’apparente
determinismo, in cui l’indeterminazione microscopica viene di fatto soppressa. Quando
componiamo le biforcazioni in serie, otteniamo l’amplificazione dell’indeterminazione su
scale macroscopiche. In pratica, non esistono composizioni perfettamente in serie o perfettamente in parallelo, ma per la nostra descrizione questa semplificazione può bastare.
La composizione in parallelo è la più probabile, in cui i sistemi elementari sono distribuiti in modo casuale, senza una regola ben precisa. Per esempio, per costruire una
composizione di biforcazioni elementari in parallelo basta prendere un insieme costituito
di N copie dell’apparato sperimentale S0 che misura la componente z dello spin di un
elettrone nello stato ↑x . All’uscita, troveremo N/2 elettroni nello stato ↑z e N/2 elettroni
nello stato ↓z , con un valor medio della componente z dello spin uguale a zero. Questo
risultato, cioè il valore medio dello spin finale, sarà tanto più preciso, e quindi più precisamente prevedibile, quanto più grande è il numero N di copie considerate. Se consideriamo
una sola copia del sistema S0 , invece, lo spin dell’elettrone in uscita è imprevedibile: 1/2
se l’elettrone esce nello stato ↑z e -1/2 se esce nello stato ↓z . Si può dimostrare che se
prendiamo N copie di un sistema Sα che misura la componente dello spin dell’elettrone ↑x
non lungo l’asse z, ma lungo una direzione formante un angolo α con l’asse z, nel piano xz,
otterremo un valore medio dello spin uguale a (sin α)/2, e anche in questo caso il risultato
sarà tanto più certo quanto maggiore è il numero di copie di sistemi Sα . In questo caso,
le probabilità di ottenere spin su e spin giù non sono il 50% e il 50%, ma (1 + sin α) /2 e
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16B1 AQL
(1 − sin α) /2, rispettivamente. Se associamo al risultato “spin su” la risposta “sı̀´’ e a “spin
giù” la risposta “no”, questo esempio illustra come sbilanciare le probabilità a favore di
un risposta piuttosto che un’altra, per esempio positiva piuttosto che negativa, angolando
in modo opportuno la direzione osservata dello spin. Per esempio, se l’angolo α è 30o, la
risposta sı̀ ha il 75% delle probabilità di uscita e la risposta no ha il rimanente 25% delle
probabilità di uscita.
La connessione in parallelo può non essere una connessione fittizia, come negli esempi
appena visti. Le copie di sistemi S0 o Sα non si parlano, sono completamente indipendenti.
È un po’ come fare un sondaggio su un grande numero di persone: le risposte date da
ciascuna persona sono libere e indipendenti dalle risposte date dalle altre persone.
Le configurazioni in serie sono configurazioni in cui il risultato di una biforcazione
quantistica influenza la biforcazione successiva. Per esempio, costruiamo una connessione
in serie di due sistemi S0 . Un elettrone nello stato ↑x entri nel primo sistema S0 . Ne uscirà
come ↑z o ↓z . Stabiliamo che la connessione tra il primo sistema S0 e il secondo sia tale
che se l’elettrone esce dal primo S0 nello stato ↑z , il secondo sistema S0 ruoti di un angolo
α nel piano xz e diventi pertanto un sistema Sα . Invece, se l’elettrone esce dal primo S0
nello stato ↓z , il secondo sistema S0 ruoti di un angolo −α nel piano xz e diventi pertanto
un sistema S−α . Se α è 30o , avremo che l’uscita dell’elettrone nello stato ↑z dal primo
sistema S0 sbilancia, nel secondo sistema S, le probabilità a favore del sı̀ di un 75% a 25%,
mentre l’uscita dell’elettrone nello stato ↓z dal primo S0 sbilancia le probabilità del secondo
sistema S in modo analogo a favore del no. In pratica, una risposta sı̀ in uscita dal primo
sistema accresce la probabilità di uscita della risposta sı̀ anche dal secondo sistema, mentre
la risposta no in uscita dal primo sistema accresce la probabilità di uscita del no anche dal
secondo sistema. Questa è una maniera di creare una “memoria” usando combinazioni in
serie di biforcazioni quantistiche.
Combinando biforcazione quantistiche in serie possiamo modulare le probabilità di
uscita delle risposte a piacimento. Abbiamo sbilanciato le probabilità delle risposte di
uscita del secondo sistema quantistico, ma in realtà non siamo stati noi a decidere come
sbilanciare le risposte del secondo sistema: l’abbiamo fatto decidere a un altro sistema
quantistico precedente. Come vediamo, non c’è nessun bisogno di immaginare un intervento intelligente o ordinatore per produrre queste concatenazioni sofisticate fra sistemi
quantistici. Esse possono ben esistere in natura, formarsi spontaneamente, e la probabilità
che sistemi quantistici si concatenino in maniera da produrre effetti combinati come quello
descritto esiste ed è certamente non nulla. Possiamo immaginare di costruire “macchine”
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16B1 AQL
arbitrariamente sofisticate, in grado di decidere per noi, e di prendere da sole le decisioni
più elaborate e complicate. Il tutto senza mai invocare la causalità e il determinismo,
ma lasciando sempre il dovuto spazio al caso, dunque alla creazione, all’imprevedibilità,
all’originalità, e, per conseguenza, anche all’“errore”, cioè la possibilità di prendere delle
decisioni in qualche senso “sbagliate”. Lo studio della costruzione di tali “macchine” sarà
chiamata cibernetica quantistica.
Le concatenazioni delle biforcazioni quantistiche in serie sembrano “ordinate”, o costruite apposta per raggiungere uno scopo. Dobbiamo capire come e se sia possibile che queste
catene si generino spontaneamente in natura. Non esistono nè “ordine”, nè razionalità
in natura, poiché nessuna delle leggi fisiche conosciute, le più importanti essendo state
analizzate in dettaglio nella prima parte del libro, mostrano tracce di ordine e razionalità,
anzi il contrario. Pertanto, queste combinazioni apparentemente ordinate delle biforcazioni
quantistiche sono demandate sempre e comunque alle cieche leggi del caso e della statistica. Siccome queste combinazioni sono possibili, necessariamente esiste una ben precisa
probabilità, non nulla, che esse si formino spontaneamente in natura. Nella maggior parte
dei casi, N sistemi quantistici restano indipendenti, non si parlano tra loro e mediano
l’indeterminazione a zero. Ma non sarà sempre cosı̀. In una piccola percentuale di casi
i sistemi quantistici si parleranno in qualche modo, si influenzeranno a vicenda, creando
tutte le concatenazioni possibili.
Qual’è la sorgente di questo “combinarsi” dei sistemi, la sorgente dei tentativi, dei
successi e dei fallimenti, il motore che garantisce il perpetuarsi del movimento e del rinnovamento? È l’indeterminazione stessa. L’indeterminazione è il movimento. Il motore
immobile è il getto di dadi, l’indeterminazione quantistica. La natura è fornita di una
sorgente inesauribile di movimento, di tentativi, di prove per creare, come distruggere,
combinazioni, in serie come in parallelo. La natura può provare tutte le soluzioni possibili,
e può fare le prove che le servono perchè il mattone fondamentale della natura è proprio il
getto di dadi, cioè la prova, il tentativo, la creazione e la distruzione. La sorgente eterna
del movimento non ha bisogno di carburante, ...
Possono formarsi concatenazioni in serie di complicazione arbitraria. C’è bisogno
soltanto di abbastanza tempo e abbastanza spazio, affinché la natura lavori, incessantemente, faccendo tutti i tentativi necessari. L’importante è notare che questo tempo c’è,
lo spazio a disposizione c’è, e i tentativi messi in atto dalla natura sono numerosissimi,
poiché ogni singolo evento fisico elementare è un tale tentativo. La natura è eternamente
al lavoro per combinare e scombinare, creare e distruggere.
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16B1 AQL
Se volessimo stimare teoricamente la probabilità di formazione di concatenazioni in
serie sufficientemente sofisticate nell’universo, dovremmo probabilmente fare dei calcoli
troppo complicati, per i quali non possediamo, a tutt’oggi, informazioni sull’universo abbastanza precise. Più semplice è procedere in modo empirico, discriminando i fenomeni
fisici dell’universo che amplificano l’indeterminazione da quelli che la sopprimono, per separare, classificare la materia nota dell’universo nelle due categorie che ci interessano: combinazioni in parallelo di biforcazioni quantistiche e combinazioni in serie. Dovremmo, in
sostanza, quantificare la percentuale della materia dell’universo in cui le biforcazioni quantistiche sono connesse in serie, stimare quale frazione dell’universo occupa, dove si forma,
eccetera. Ma per fare tutto questo è necessario prima di tutto riconoscere i fenomeni
fisici nei quali l’indeterminazione quantistica viene amplificata spontaneamente alle scale
di grandezza macroscopiche.
Ebbene, il prodotto più eclatante della concatenazione delle biforcazioni quantistiche
in serie sta precisamente davanti ai nostri occhi: è la vita.
La vita è un fenomeno statisticamente sfavorito, perché alla nostra conoscenza attuale
la materia vivente nell’universo è un piccola frazione della materia di un piccolo pianeta di
un piccolo sistema solare dell’universo. Possono esistere molti altri mondi, abitati dalle più
svariate forme di vita, cioè dalle più svariate forme di amplificazione dell’indeterminazione
a scale macroscopiche, che vuol dire probabilmente scale di grandezza tipiche diverse per
mondi diversi. In ogni caso, l’osservazione sperimentale ci mostra che la grandissima maggioranza della materia dell’universo non è vivente e questo ci dà un’idea di quanto poco
probabile sia l’amplificazione dell’indeterminazione quantistica rispetto alla sua soppressione.
La vita è il processo di amplificazione dell’indeterminazione quantistica dal microscopico
al macroscopico. Abbiamo individuato la frazione di universo in avviene questo fenomeno
e la frazione di universo in cui l’indeterminazione quantistica si media a zero. La prima
la chiamiamo il seme e la seconda la chiamiamo il sasso. Abbiamo anche detto che i
tentativi di produrre vita hanno luogo ovunque e comunque. Ogni fenomeno quantistico è
un tentativo di generare vita, è il seme nel sasso. A livello microscopico, l’indeterminazione
è la regola. A livello macroscopico l’indeterminazione è l’eccezione e la regola è il sasso.
La vita è rara, statisticamente sfavorita, e temporanea. Cosı̀ come è difficile ottenere
la vita, altrettanto è facile perderla. La combinazione che porta alla vita si realizza al
prezzo di un numero enorme di tentativi, la maggior parte dei quali va a vuoto o viene
interrotta a metà. Ma anche i tentativi che hanno “successo” hanno successo per un certo
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16B1 AQL
tempo, dopodiché si trasformano in fallimenti. Non possono avere eternamente successo.
Non c’è niente di eterno nella vita, nell’amplificazione macroscopica dell’indeterminazione,
per le stesse leggi statistiche che ne descretano allo stesso tempo la possibilità e la scarsa
probabilità. A ben guardare, nemmeno il sasso è eternamente sasso, perché anch’esso
contiene un seme. Anche il sasso è soggetto, dopo un tempo sufficientemente lungo a
fenomeno quantistici e quindi comportamenti imprevedibili.
Il sasso, la soppressione dell’indeterminazione, è il fenomeno prevalente, globale, mentre il seme, l’amplificazione dell’indeterminazione, è un fenomeno locale. Il fenomeno di
amplificazione dell’indeterminazione è accompagnato da un fenomeno locale di tipo contrario, più veloce, in cui la delicata concatenazione delle biforcazioni quantistiche in serie si
rompe. La concatenazione in serie si trasforma repentinamente in concatenazione in parallelo, l’amplificazione dell’indeterminazione lascia il posto alla soppressione degli effetti
quantistici. Si ha cosı̀ la transizione di fase dalla vita al sasso: è la morte. L’impossibilità di
un’irreversibilità temporale globale implica la morte. L’amplificazione dell’indeterminazione può essere soltanto locale, temporalmente e spazialmente. Può durare tempi arbitrariamente lunghi, ma non in eterno. Può espandersi su scale di grandezza arbitrariamente
grandi, ma non all’infinito. Soltanto la soppressione dell’indeterminazione è globale. La
vita è come una scarica elettrica che si propaga nell’aria. Si propaga per un certo tempo
e un certo spazio, si dirama in ramificazioni sempre più numerose, articolate e capillari, e
poi muore. La struttura finale, complessa, diversificata, specializzata, capillarizzata, sembrerebbe essere il punto d’arrivo, e invece è soltanto il punto immediatamente precedente
l’estinzione.
Definizioni.
– La vita è l’amplificazione dell’indeterminazione quantistica nel senso delle scale di
grandezza, in accordo con il secondo movimento dell’irreversibilità quantistica.
– La non-vita è la soppressione degli effetti dell’indeterminazione quantistica alle scale
di grandezza macroscopiche, in accordo con il primo movimento dell’irreversibilità quantistica.
– La morte è la transizione di fase dalla vita alla non-vita, implicata dalla località
dell’irreversibilità temporale e dalla globalità dell’irreversibilità di scala.
Queste sono le mie definizioni della vita, della morte e della non-vita in quanto fenomeni
fisici. Nel corso della storia, non credo ci sia mai stata una definizione altrettanto rigorosa.
Ci tengo a sottolineare che la mia definizione non si basa in alcuna maniera su concetti
biologici, cioè nozioni imparate dall’osservazione delle forme di vita organica che abitano
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16B1 AQL
la terra. Al contrario, la definizione è fondata sulle leggi fisiche dell’universo. La capacità
riproduttiva dell’essere vivente, in particolare, non è considerata qui una caratteristica
essenziale per distinguere un essere vivente da un essere non-vivente. La riproduzione è un
fenomeno macroscopico di rigenerazione degli esseri viventi, sicuramente interessante in sè
e oggetto di studio, ma per quanto mi riguarda non è altro che la conseguenza naturale, in
un certo senso il riflesso macroscopico, del fenomeno microscopico di creazione incessante
che è l’indeterminazione quantistica. Il fatto che gli esseri viventi, a differenza del sasso, si
riproducano, è, dal mio punto di vista, una conseguenza dei principi fisici generali e non
un principio esso stesso. Volutamente, inoltre, non faccio alcuna distinzione tra la materia
organica e la materia inorganica. La vita può essere organica come inorganica. Il fatto
che la vita sulla terra abbia assunto la forma organica non implica assolutamente nulla
sulle proprietà universali del fenomeno fisico della vita. Sono costretto quindi a scartare
la maggior parte delle teorie finora avanzate intorno alla vita. Purtroppo, non mi potrò
dilungare oltre sulle definizioni e caratterizzazioni della vita proposte finora, perché tutto
lo spazio disponibile mi è necessario per elaborare la mia proposta.
Lo scopo della seconda parte del libro è lo studio della fenomenologia dei due movimenti
dell’irreversibilità quantistica e della transizione di fase tra l’uno e l’altro: il sasso, il
seme, il seme nel sasso e la transizione da seme a sasso. È lo studio del particolare bivio
che si forma nel passaggio dalle scale di grandezza microscopiche alle scale di grandezza
macroscopiche, quel bivio che distingue i due movimenti dell’irreversibilità quantitica, cioè
le due maniere di combinare i fenomeni quantistici elementari, in serie e in parallelo. Come
caso particolare, parleremo anche della vita umana e della vita sulla terra.
L’esistenza della morte assicura che non c’è un meccanismo di conservazione eterna
della memoria, di acquisizione di dati irreversibile in senso globale. Possiamo estendere
alla memoria e all’oblio le considerazioni fatte e le definizioni che abbiamo dato per la
vita e per la morte. Soltanto a livello locale esiste la possibilità di memorizzare. Soltanto
localmente i fenomeni fisici possono organizzarsi in modo da tener traccia del loro passato.
Abbiamo detto che la proprietà chiave che caratterizza la vita, che la distingue dalla
materia non vivente, è l’indeterminazione quantistica, amplificata a livello macroscopico,
quindi l’impredicibilità dei suoi comportamenti. Si potrebbe obiettare che, strettamente
parlando, anche i sistemi S0 , Sα , S−α , eccetera, sono “vivi”, in quanto amplificano l’indeterminazione a livello macroscopico, poiché i risultati non sono prevedibili a partire dalle
condizioni iniziali. Questo potrebbe sembrare contrario a tutte le regole del senso comune,
perché vorrebbe dire che il singolo elettrone, il sistema indeterministico microscopico, è
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16B1 AQL
“vivo”. Tuttavia, le proprietà dei sistemi microscopici non sono soggette alle leggi del
senso comune, come abbiamo più e più volte mostrato. Inoltre, la caratterizzazione dei
sistemi microscopici non riguarda il problema della vita. Il problema della vita riguarda
solo i sistemi macroscopici e le proprietà dei sistemi macroscopici. In quanto sistemi
macroscopici (poiché sono collegati ad un rivelatore macroscopico), anche i sistemi S0 , Sα ,
S−α , possono essere considerati “vivi”, certo. Essi rappresentano l’elemento fondamentale
di cui è composta la vita, la “cellula” elementare, la singola biforcazione, la combinazione
in serie più semplice possibile, sufficiente ad amplificare la decisione elementare quantistica
a livello macroscopico. Se vogliamo, possiamo demandare tutte le decisioni della nostra
vita a sistemi del tipo S0 , Sα , S−α : non c’è nulla di strano nel considerare “vivi” anche
questi sistemi. In definitiva, noi siamo fatti di sistemi di questo tipo.
La caratterizzazione di un vivente in quanto essere vivente è relativa, perché se la proprietà caratterizzante del vivente è l’amplificazione del fenomeno indeterministico a livello
macroscopico, dovremmo forse considerare parte del corpo dell’essere vivente tutto ciò
che serve a questa amplificazione. Tuttavia, la maggior parte degli organi del corpo funzionano in modo deterministico, quindi sarebbero altrettanto correttamente considerabili
come delle macchine, prevedibili e non-viventi. Dovremmo allora considerare la maggior
parte del nostro corpo come non vivente. Qui può entrare in gioco la definizione di vita biologica, basata sulle proprietà e caratteristiche della vita organica, con tutto il suo corredo
di nozioni sulle quali qui vogliamo sorvolare, perché non rilevanti al nostro tipo di indagine.
Retando invece nel nostro ambito, potremmo ugualmente dire che estensioni meccaniche
del nostro corpo (arti o organi artificiali) sono ugualmente vive o ugualmente non vive
che gli arti ed organi naturali del nostro corpo. Al limite, potremmo considerare “vivo”
anche un aereo, o un’automobile, immaginandoli come estensioni meccaniche del corpo del
pilota o del guidatore, perché l’aereo e l’automobile si muovono in maniere imprevedibile,
determinata dagli ordini impartiti dai fenomeni quantistici che avvengono all’interno del
cervello del guidatore e trasmessa alla macchina tramite gli arti del corpo del guidatore e
la strumentazione di bordo. Ancora: quando un giorno la specie umana sarà cosı̀ potente
(se mai lo sarà) da decidere a piacimento il tempo meteorologico di tutto il pianeta, la
meteorologia non sarà più soggetta alle consuete leggi fisiche e l’intero pianeta potrà essere
considerato “vivente”.
Per concludere, la definizione di vita di riferisce soltanto all’amplificazione degli effetti
quantistici a livello macroscopico. Sarebbe troppo pedante fare sottili distinguo sulle forme
e i modi di questa amplificazione.
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16B1 AQL
Essendo la vita un fenomeno statistico, la percentuale di materia vivente dell’universo
è approssimativamente (cioè a meno di fluttuazioni, violazioni locali nello spazio e nel
tempo) conservata. La vita può estinguersi un pianeta e apparire su un altro. La legge di
conservazione della mateoria vivente totale dell’universo è una conseguenza della località
dell’irreversibilità temporale: in totale, nell’universo non cambia nulla; il cambiamento può
essere soltanto locale, alla creazione di nuova vita in un luogo corrisponde la distruzione di
vita in un altro luogo. In totale non c’è alcun potenziamento, né indebolimento della vita
nel cosmo. La vita e la non non-vita scambiano continuamente i loro ruoli. Certo, la vita
non può sparire da un pianeta da un momento all’altro, ma sicuramente la scomparsa della
vita è un fenomeno molto più veloce della sua comparsa. Abbiamo in generale un movimento a dune illustrato in figura, una salita poco ripida ma molto lenta corrisponde alla
formazione della vita, una discesa ripidissima e veloce corrisponde all’estinzione. Questo
movimento a dune bene illustra le proprietà dell’irreversibilità temporale locale: il movimento stesso è irreversibile, ma lo stato iniziale può ritornare. L’irreversibilità è data, in
questo contesto, dalle differenti velocità delle fasi di evoluzione e involuzione della vita.
Possiamo descrivere i movimenti dell’irreversibilità quantistica come gli effetti della contrapposizione, o lotta, tra l’individuo e la statistica, l’eccezione e la regola, il microscopico
e il macroscopico, il piccolo e il grande, la vita e la non-vita, il caso e la prevedibilità. La
natura è il teatro di questa lotta. L’incertezza combatte contro la statistica per espandersi,
per evitare di essere soffocata. L’espansione è sia spaziale che temporale. Ma è anche vero,
come abbiamo già detto, che nessuno dei due termini della contrapposizione può esistere
senza l’altro. L’individuo è oppresso dalla folla statistica, ma può esprimersi soltanto grazie alla folla statistica. L’elementare determina ed è determinato dal complesso allo stesso
tempo. Il compesso è determinato e determina l’elementare allo stesso tempo. Il tutto si
autosostiene soltanto in quanto tutto. Non è una contrapposizione di opposti, non è una
dialettica di tesi e antitesi, è una dialettica di tipo completamente nuovo, una dialettica
quantistica.
Il prodotto di questa dialettica sono gli esseri viventi, che raggiungono una certa forma
di protezione dell’individualità. Su un sistema quantistico elementare è possibile fare esperimenti statistici. Il comportamento dei sistemi elementari non è prevedibile individualmente, ma lo è in senso statistico, perché è nota la legge di probabilità dei risultati
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16B1 AQL
possibili. Invece, nei sistemi complessi, che amplificano l’indeterminazione a livello macroscopico, come gli esseri viventi, gli esperimenti statistici sono tanto più difficili quanto più
il sistema è complesso: essi sono praticamente impossibili. In altre parole, non siamo in
grado di calcolare, per ragioni di difficoltà pratica, la distribuzione di probabilità delle
risposte di un essere vivente alle nostre domande o sollecitazioni. Se volessimo raggirare
empiricamente questa difficoltà di calcolo, dovremmo disporre di un numero enorme di
copie di quel singolo essere vivente, da sottoporre a tutte le sollecitazioni possibili, e tabulare empiricamente i risultati. In definitiva, nei sistemi viventi complessi viene amplificata
l’indeterminazione e allo stesso tempo viene vanificata la statistica. È forse possibile, fare
predizioni statistiche di tipo empirico sugli esseri viventi più semplici, i batteri o i virus.
In un sondaggio, andiamo a chiedere, non prevediamo, il parere ai singoli individui e il
grado di predittività del risultato di un sondaggio decade rapidamente nel tempo, per cui
possono bastare uno o due giorni per ribaltare le previsioni di risposta alle domande più
semplici, quelle che ammettono solo due risposte possibili, un semplice sı̀ o no, un destra
o sinistra. In definitiva, non è possibile scrivere leggi di probabilità delle risposte dei sistemi indeterministici macroscopici, cioè gli esseri viventi. Anche la prevedibilità in senso
statistico viene persa.
Se la vita è un fenomeno statisticamente necessario, come spieghiamo la sua concentrazione su un pianeta come la terra? Come mai il suo sviluppo è concentrato in un luogo
invece che essere sparpagliato ovunque? Innanzitutto, la località del fenomeno vuol dire
innanzitutto questo, cioè il fatto che può raggiungere picchi di sviluppo in uno spazio concentrato senza svilupparsi altrove, precisamente come nell’immagine della scarica elettrica
che attraversa l’aria per un certo tempo e poi muore. In secondo luogo, deve comunque
esser vero anche che i tentativi, magari abortiti, di produrre vita, se non i successi di
questi tentativi, devono essere presenti ovunque nell’universo, sui pianeti disabitati come
nelle meteoriti che cadono sulla terra dallo spazio. Certamente, le condizioni particolari
del pianeta terra possono favorire un certo tipo di forme di vita, ma la vita in quanto
vita, per come l’abbiamo definita, deve essere presente ovunque nel cosmo e se esploriamo
l’universo con sufficiente precisione, forse non troveremo forme di vita sviluppate come la
nostra, ma dovremo sicuramente trovare ovunque le tracce degli innumerevoli tentativi con
cui la natura ha provato tutte le strade possibili per riuscire a individuare quella “giusta”.
Se osserviamo la natura a scale di grandezza intermedie tra quelle microscopiche e quelle
macroscopiche, ci troveremo gli aborti arrestatisi a quelle scale intermedie. L’universo è
pieno di vita, ovunque: fin dentro i sassi.
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Ricerche recenti sulle rocce piovute sulla terra dallo spazio come meteoriti sembrano
suggerire conclusioni in accordo con le idee esposte in questo libro. D’altra parte, stabilire
se la vita è provenuta sulla terra dallo spazio o si è sviluppata indipendentemente sulla
terra, è una questione irrilevante, dal mio punto di vista: i tentativi di produrre vita hanno
luogo ovunque e comunque. Non c’è necessità di importare la vita da un luogo all’altro.
I recenti progressi della biologia, tra i quali la codificazione e lo studio del genoma
umano e quello di altri esseri viventi più semplici, confermano le nostre idee. A prima
vista il codice genetico fa pensare al determinismo biologico, per cui tutti i caratteri di un
essere vivente, e magari i suoi comportamenti, le leggi in base alle quali l’individuo reagisce
agli stimoli esterni, sarebbero “già scritte”, fissate in maniera non ambigua, codificate univocamente nel suo codice genetico. Niente di più erroneo e grossolano. Le osservazioni
recenti mostrano che non c’è una grande differenza tra il numero di geni e la struttura
del genoma umano e quello di esseri viventi più semplici, come il lievito. Appare inoltre
evidente che la maggior parte dei geni non hanno una funzione definita, ma costituiscono una sorta di “spazzatura genetica”, pronta per essere eventualmente impiegata in fasi
evolutive diverse, ma non nella situazione attuale. Probabilmente, molti geni di questa
“spazzatura” hanno ricoperto un qualche ruolo nei nostri progenitori, milioni di anni or
sono, altri avranno un ruolo nei nostri discendenti, o nei discendenti di altre specie viventi.
Infine, ciò che più salta all’occhio è l’assoluta mancanza di regolarità nella disposizione
dei geni nel genoma. Nessuna geometria, nessuna razionalità, nessun “senso”. Ciò che
appare evidente nell’osservazione del genoma umano è che questo non può che essere stato
prodotto dal caso. Tentativo dopo tentativo, combinazione dopo combinazione, successo
dopo miriadi di fallimenti, si è formata una catena lunghissima di geni, la maggior parte
dei quali sono inutili, una catena che è comunque straordinariamente efficiente, perché
dà vita ad esseri sofisticati e specializzati come quelli che conosciamo, racchiude in una
stringa di dati la complessità dell’occhio umano e quella del cervello. Questo è un esempio eclatante dell’efficienza raggiungibile dalla forza bruta e stupida delle leggi statistiche
delle combinazioni casuali e dimostra che non esiste limite alla sofisticazione ottenibile
con questo procedimento, che, in linea di principio, è il più semplice e grossolano che si
possa immaginare. Quando, tuttavia, si tiene conto della miriade di tentativi a disposizione dell’universo, per un lasso di tempo lungo come quello della vita del cosmo, su una
distribuzione geografica che interessa tutta la materia esistente nel cosmo, si conclude che
non è poi cosı̀ irragionevole pensare che queste combinazioni cosı̀ specializzate e sofisticate,
si formino, del tutto casualmente, in una frazione di materia piccolissima, in casi partico-
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larissimi, che però ci sono, sul nostro pianeta e su chissà quanti altri pianeti dell’universo.
Il DNA è la matrice che codifica l’amplificazione dell’indeterminazione elementare a livello
macroscopico, la rete di biforcazioni quantistiche connesse in serie che identifica l’individuo.
Basta una piccola modifica di una struttura microscopica, come il DNA, una mutazione, un
effetto quantistico, per generare un effetto macroscopico. Non esiste un essere intelligente
che ha codificato razionalmente, ordinatamente, questa struttura. Il DNA si è formato in
base alle leggi del caso, tentativo dopo tentativo, e la sua struttura irregolare ci trasmette
memoria della miriade di tentativi che sono stati necessari per ottenere questo risultato.
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indeterminazione e complessità
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Nella biforcazione descritta in fig. 10 i percorsi APB e APC sono equiprobabili. Questo
è il caso della biforcazione elementare generica, o indisturbata, come per esempio l’apparato
che misura la componente z dello spin di un elettrone nello stato ↑x . Possiamo immaginare
biforcazioni quantistiche in cui uno dei due risultati finali, per esempio B, è più probabile
dell’altro. Avevamo visto che se misuriamo la componente z dello spin di un elettrone il cui
spin iniziale è diretto lungo una direzione che forma un angolo α coll’asse x nel piano xz, la
probabilità dello stato finale ↑z è (1 + sin α) /2, mentre la probabilità dello stato finale ↑z
è (1 − sin α) /2. In particolare, se l’angolo α è 30o , lo spin finale è diretto in su nel 75% dei
casi, e in giù nel rimanente 25% dei casi. Abbiamo anche visto che è possibile demandare
la decisione di sbilanciare la probabilità dei risultati finali ad una biforcazione quantistica
precedente, connessa in serie. Avevamo costruito un esempio semplice di connessione in
serie di due biforcazioni quantistiche che realizzavano questo tipo di scenario, in cui una
biforcazione quantistica modula la distribuzione di probabilità dei risultati finali di una
biforcazione quantistica successiva. Questo è l’esempio più semplice di indeterminazione
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16B1 AQL
complessa. Possiamo immaginare strutture arbitrariamente complicate che generalizzano
questa semplice construzione. In questo tipo di strutture potremo distinguere vari livelli,
superiori e inferiori. Le biforcazioni di livello superiore sono quelle che modificano, influenzano, le distribuzioni di probabilità delle biforcazioni inferiori. Strutture di questo tipo
possono servire da primo modello per descrivere il funzionamento del cervello umano, o,
più in generale, di tutte le forme di vita, dalle più semplici alle più specializzate.
In una struttura complessa di biforcazioni quantistiche elementari connesse in serie distinguiamo principalmente due sfere, la sfera inferiore e la sfera superiore. Ciascuna sfera
è costituita da svariati livelli, e magari sottosfere che raggruppano esse stesse molti livelli.
Per il momento, ci interessa caratterizzare la struttura complessa nella maniera più immediata. La sfera inferiore comunica con il mondo esterno, cioè risente degli stimoli esterni
e prende decisioni che si traducono, o si possono tradurre, in azioni sul mondo esterno.
La sfera suepriore, invece, comunica soltanto colla sfera inferiore, riceve stimoli da quella
inferiore e prende decisioni che si traducono, o possono tradurre, in azioni sulla sfera inferiore. Praticamente, le azioni della sfera superiore su quella inferiore hanno influenza
diretta sulle distribuzioni di probabilità delle decisioni che pertengono alla sfera inferiore,
riconfigurano, riorganizzano la sfera inferiore, ma non hanno effetto diretto sul’esterno.
L’attività della sfera superiore è puramente interna, determina il carattere, le tendenze,
le preferenze di un individuo. Questa organizzazione in due sfere principali, una inferiore
che comunica coll’esterno e una superiore che comunica con la sfera inferiore, garantisce
una certa elaborazione interna delle decisioni, prima che vengano effettivamente tradotte
in azioni sull’ambiente esterno. Allo stesso modo, garantisce un certo filtraggio degli effetti
degli stimoli esterni sulla struttura stessa, che non sono immediati, ma vengono opportunamente ritardati per consentire un certo grado di rielaborazione interna. Si tratta anche
di una forma di protezione dei livelli più alti della struttura dall’esterno.
Grazie ad una struttura complessa fatta di moltissime biforcazioni quantistiche interconnesse, organizzate su parecchi livelli e sfere gerarchiche, il comportamento dell’essere
vivente, che obbedisce comunque alle leggi del caso quantistico, non appare completamente
fortuito, ma può sembrare relativamente regolare, ordinato, meditato, razionale, finalizzato
e magari anche causato. Le distribuzioni di probabilità dei risultati finali delle biforcazioni
quantistiche dei livelli inferiori sono modulate in modo tale da privilegiare nettamente alcune decisioni su altre, alcuni comportamenti su altri, in modo tale che, pur rimanendo la
decisione di natura prettamente quantistica, a stimoli uguali o simili possono seguire, in
una frazione consistente di casi, risposte uguali o simili, ciò che dà poi la sensazione della
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ripetitività e della regolarità, e che può suggerire un falso determinismo nei comportamenti
biologici.
In mancanza di una struttura come questa, invece, o in quei casi in cui l’ordine gerarchico di questa struttura viene meno (follia, malattie mentali), il comportamento può
apparire gratuito, imprevedibile, inspiegabile e schizoide, cosı̀ come sono gratuiti e imprevedibili i fenomeni quantistici elementari. Lo stimolo esterno può scatenare immediatamente una reazione, casuale, non filtrata e non mediata, con effetti sull’esterno altrettanto
immediati e incontrollabili.
La struttura complessa delle biforcazioni quantistiche connesse in serie realizza la situazione intermedia tra indeterminazione assoluta, propria dei fenomeni elementari, e determinismo assoluto, proprio del sasso. Il comportamento risultante appare regolare senza
essere deterministico, sembra controllabile e prevedibile, ma in realtà lo è soltanto entro
certi limiti. Su scale di grandezza più grandi situazioni intermedie tra il determinismo
assoluto e l’indeterminazione assoluta sono anche l’istinto degli animali, la crescita delle
piante, i fenomeni evolutivi, l’apparire della vita.
L’attività razionale, il pensiero, la coscienza, eccetera, sono attività proprie della sfera
inferiore, o della comunicazione tra la sfera superiore e quella inferiore, e, infatti, sono
associate ad una serie di sensazioni interne. Anzi, possiamo considerare tanto la volontà,
come la coscienza e il pensiero, come delle sensazioni interne, le sensazioni dell’interazione
tra la sfera inferiore e quella superiore. Su questo sarò più preciso tra breve. Le attività
della sfera superiore, invece, non lasciano quasi traccia, non producono alcuna sensazione
interna: si tratta delle attività incoscienti, per cui la sfera superiore possiamo correttamente
chiamarla incosciente, e la sfera inferiore cosciente. Qui, coscienza ed incoscienza vanno
intese nel senso appena descritto, e sono nozioni da applicare a tutti gli esseri viventi,
almeno agli esseri viventi sufficientemente complessi, in cui la struttura (per esempio, la
struttura cerebrale) sia organizzata in vari livelli e raggruppamenti di livelli. Tutti i pesci,
rettili, uccelli e mammiferi rientrano in questa caratterizzazione. L’incosciente va inteso
come la sede più recondita dell’indeterminazione quantistica, dove le decisioni prese dalle
biforcazioni quantistiche non lasciano alcuna traccia se non sotto forma di influenza sulle
biforcazioni di livello inferiore, o della sfera inferiore. Questa definizione di incosciente
non ha alcuna relazione con la definizione freudiana. Forse è più vicina alla definizione
nicciana di incosciente (questa è anche la ragione per cui uso il termine incosciente, invece
che inconscio).
La configurazione delle distribuzioni di probabilità è dovuta in parte all’esperienza,
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16B1 AQL
in parte è innata. Essa cambia con l’età. La riconfigurazione delle probabilità dovuta
all’esperienza costituisce anche una forma di memoria, è la traccia che rimane incisa nel
cervello della conoscenza accumulata nel corso della vita. La configurazione innata, invece,
tiene memoria del passato evolutivo, della conoscenza accumulata sotto forma di mutazioni
genetiche.
È soltanto perché le distribuzioni di probabilità delle reazioni a certi stimoli sono opportunamente modulate, alle volte fino ad attribuire quasi il 100% della probabilità ad una ben
precisa risposta, che in certi casi le reazioni possono apparire automatiche, dando la falsa
impressione del determinismo. Questo è il caso delle reazioni involontarie, come la reazione
alla vicinanza di una forte sorgente di calore o una situazione di pericolo, l’allontanamento
immediato del corpo dalla sorgente di calore. Nonostante la distribuzione di probabilità sia
fortemente concertata su un preciso risutato finale, non esiste un rapporto di causa-effetto
tra l’azione e la reazione, tant’è vero che è possibile, in condizioni molto particolari, decidere
di bruciarsi volontariamente la mano, alla Muzio Scevola. Certamente, la decisione di bruciarsi volontariamente la mano richiede uno sforzo notevole, e questo sforzo è una misura
indiretta della scarsa probabilità lasciata ad un’azione come questa. Tuttavia, una probabilità, per quanto piccola, c’è e si concretizza soltanto in una corrispondentemente piccola
frazione di casi. Si può fare un discorso simile a proposito del suicidio, assai più frequente
del bruciarsi la mano volontariamente. Occorre anche osservare che in un neonato, la distribuzione di probabilità delle reazioni agli stimoli non è già sufficientemente modulata in
modo da garantire la protezione semi-automatica da questo tipo di pericoli. In un neonato,
la probabilità di comportamenti e reazioni che causino danno irreversibile all’organismo è
molto più alta, ciò che dimostra che la modulazione delle distribuzioni di probabilità in
funzione protettiva non è innata, ma in grande misura è dovuta all’esperienza. Una decisione come quella del suicidio può richiedere situazioni molto particolari, che sole possono
rimodulare le distribuzioni di probabilità delle biforcazioni quantistice in modo da rendere
più probabile un’azione altrimenti quasi impossibile. Per ottenere un risultato come questo,
l’individuo deve essere sottoposto a stimoli molto forti e prolungati nel tempo, in modo
che vengano interpellati i livelli più alti della gerarchia delle biforcazioni quantistiche.
Lo stimolo esterno ripronone una domanda, a cui magari è stata già data, in passato,
una risposta, registrata nella configurazione di distribuzioni di probabilità. Per esempio,
posso avere deciso di andare, stasera, al cinema. Questa decisione è, supponiamo, demandata a una biforcazione del settimo livello, che chiameremo B7 . Successivamente, succede
un imprevisto che mi costringe a cambiare idea. Ciò significa che sopraggiunge uno stimolo
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16B1 AQL
sufficientemente forte da chiamare in causa le biforcazioni dei livelli superiori al settimo,
sesto o quinto per esempio, alle quali è demandata la decisione in merito a questioni concernenti l’imprevisto accaduto nel frattempo. Alle biforcazioni di livello superiore verrà
riproposta una domanda, a cui avevano già dato, in passato una risposta, dalla quale
dipendeva la configurazione della biforcazione B7 che aveva poi optato per andare al cinema. Le biforcazioni di livello superiore possono riconfermare la vecchia risposta, ed io
andrò al cinema come stabilito, ma in una certa percentuale di casi le biforcazioni di livello
superiore disconoscono la vecchia risposta, prendendo casualmente una decisione nuova.
Questa nuova decisione si riverbera su tutte le biforcazioni gerarchicamente sottoposte,
tra cui anche la B7 . La distribuzione di probabilità delle risposte possibili della B7 viene
modificata, dopodiché viene riproposta alla B7 la domanda sul cinema, e la B7 , a sua volta,
disconoscerà molto probabilmente la decisione presa prima, in favore di un’altra.
La riproposizione di una domanda che chiama in causa biforcazioni collocate nei livelli
più alti della gerarchia richiede stimoli fortissimi, spesso sofferenza e pena. Un eventuale
disconoscimento delle decisioni precedentemente prese dalle biforcazioni superiori ha un
effetto a cascata su tutte quelle sottoposte e può essere percepito dall’individuo come
un “cambiamento di vita”. Decisioni drastiche come queste avvengono raramente nel
corso della vita di un individuo e in casi molto particolari. Non sempre uno stimolo forte
produce una cambiamento, perché esiste sempre un margine di probabilità che la risposta
data fino a quel momento venga confermata. Gli individui che riconfermano la risposta
precedente sono indistinguibili dagli individui che non ricevono stimoli abbastanza forti
per rimettere in discussione decisioni superiori, per cui si può essere tratti in inganno e
pensare che a stimoli forti segua necessariamente un cambiamento rivoluzionario, quando
non è cosı̀. Lo stimolo produce la riproposizione di una domanda, e coinvolge decisioni, cioè
biforcazioni quantistiche, di livello superiore o inferiore a seconda della sua intensità e della
sua durata temporale. Sottoporre una persona a stimoli forti per un tempo lungo aumenta
la probabilità che subentri una decisione completamente nuova con effetti rivoluzionari
sulla vita di quell’individuo, appunto un cambiamento di vita. La decisione nuova, tuttavia,
non è prevedibile e dunque non è controllabile, essendoci in generale una molteplicità di
alternative possibili.
L’unica forma di controllo sulle decizioni degli esseri viventi è ottenibile quando vengono ammassati in gruppi numerosi di individui peraltro scorrelati da loro, in modo che
le iniziative del singolo individuo si infrangano contro la barriera statistica elevata dalla
massa circostante, oppure quando sono sottoposti a stimoli deboli e ripetitivi. In questo
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modo vengono rispoposte sempre le stesse domande, vengono coinvolti soltanto i livelli
inferiori della struttura delle biforcazioni quantistiche e si riduce al massimo la probabilità di decisioni incontrollabili. Tutto questo suona famigliare, perché sono i principi a
fondamento della organizzazione sociale occidentale...
Abbiamo distinto due regioni principali nell’attività del cervello o di un qualunque
organismo vivente sufficientemente complesso, una sfera superiore e una sfera inferiore e
abbiamo accennato al fatto che facoltà come la coscienza, la volontà, la razionalità, il pensiero, eccetera, sono di natura secondaria, e appartengono la sfera inferiore, o sono prodotte
dalla comunicazione tra la sfera superiore e quella inferiore. Discutiamo ora questo punto
in maggiore dettaglio. La sfera inferiore è influenzata, anzi perfino plasmata, configurata,
dalle decizioni delle biforcazioni quantistiche collocate nella sfera superiore. Una decisione
presa da una biforcazione della sfera inferiore è accompagnata da una sensazione interna.
Cosı̀ come l’ambiente esterno funge da stimolo che agisce sulla sfera inferiore, tramite le
sensazioni, le percezioni, provocando la riproposizione di vecchie domande e l’eventuale
ricerca di nuove risposte, la sfera inferiore funge da stimolo sulla sfera superiore, provocando la riproposizione di domande di rango superiore. Questo deve avvenire tramite delle
percezioni interne, delle vere e proprie sensazioni interne al cervello. Similmente, cosı̀ come
la sfera inferiore prende decisioni che si traducono in azioni concrete sull’ambiente esterno,
azioni accompagnate da una miriade di sensazioni e percezioni, allo stesso modo la sfera
superiore prende decisioni che si traducono in azioni concrete sulla sfera inferiore e anche
queste azioni interne vengono accompagnate da percezioni interne. Una decisione presa da
una biforcazione della sfera superiore non viene percepita dalla sfera superiore, nella quale
può anche non lasciare alcuna traccia, ma viene percepita dalla sfera inferiore. La sede
delle sensazioni interne è dunque la sfera inferiore, mentre la sfera superiore è praticamente
priva di autosensazioni. Per esempio, una decisione della sfera inferiore viene percepita
internamente come “voluta”, poiché è influenzata, più o meno fortemente, dalle decisioni
della sfera superiore, le quali a loro volta non sono internamente percepite. La decisione
di grado inferiore sembra quindi più o meno prestabilita. Questa sensazione interna è ciò
che chiamiamo volontà, e che spesso confondiamo colla causa della decisione stessa, che
invece risiede nella sfera superiore ed è completamente indeterminata e casuale, involontaria e irresponsabile. L’individuo non ha autopercezione alcuna della vera origine della
decisione. L’unica percezione che ha è la percezione interna che segue la decisione superiore
e precede la decisione inferiore. La volontà è dunque suscitata dal gradiente tra i livelli
delle biforcazioni quantistiche coivolte nel processo decisionale. Questo gradiente produce
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16B1 AQL
la sensazione interna, affatto apparente, dell’“io” che vuole, comanda, coordina, decide,
sceglie, controlla, è cosciente. Si tratta, come già anticipato, di sensazioni secondarie, che
sono conseguenze di fenomeni interni associati alla struttura gerarchica delle biforcazioni
quantistiche connesse in serie. Ogni percezione interna di volontà può avere luogo soltanto
dopo che la decisione cruciale, quella superiore, è stata già presa, non prima. La volontà
è precisamente la sensazione interna di una decisione già presa, e presa in modo completamente indeterminato e incosciente. Non è possibile percepire una decisione prima che
venga presa, non esiste la volontà come “causa”, o origine della decisione, come facoltà di
decidere. La volontà accompagna, non determina, una decisione. Per farci un’idea ancora
più chiara di questo, basta ripensare a quei particolari momenti della nostra vita in cui abbiamo preso le decisioni maggiori, quelle che hanno influenzato tutte le decisioni successive,
e magari hanno cambiato persino la nostra maniera di guardare al mondo e alla nostra vita.
Quel’è stata l’origine di quelle decisioni? Da dove sono venute? Quando le abbiamo prese
esattamente? Cos’è che ci ha fatto prendere quelle decisioni invece che altre? Possiamo
davvero affermare che quelle scelte sono state volute, determinate da “noi”? È difficile
rispondere in modo preciso a queste domande, anche perché stiamo guardando al nostro
passato colla procedura di analisi a ritroso nel tempo, e sappiamo che questa procedura
induce molto facilmente in errore, e fa credere ad una connessione causale tra gli eventi
precedenti e i successivi, anche quando non c’è alcuna connessione causale. Tuttavia, se
proviamo veramente a indagare il nostro passato senza il pregiudizio della causalità assoluta, ci convinceremo molto probabilmente che molte delle nostre decisioni più importanti
sono state prese... durante il sonno. Un bel mattino ci siamo svegliati percependo diversamente e volendo diversamente, e da quel giorno in poi abbiamo cominciato a prendere
decisioni che mai avremmo preso prima. Sembra che le decisioni chiave della nostra vita
siano affiorate dal nulla, impreviste, imprevedibili, incalcolabili, irresponsabili, libere, gratuite, indeterminate, incoscienti. Cosı̀ è infatti, essendo queste decisioni demandate alla
sfera superiore della struttura del nostro cervello, i cui fenomeni non lasciano quasi alcuna
traccia, qualsi alcuna sensazione interna. Le sensazioni coscienti sono quelle che hanno
seguito le decisioni, per esempio durante il periodo di veglia. Le sensazioni coscienti non
determinano le decisioni, ma sono determinate da quelle. Possiamo pensare ancora una
volta al comportamento e alle decisioni prese da un bambino appena nato, sicuramente
incoscienti, non volute. Sarebbe molto azzardato sostenere che le azioni di un bambino
che non sa ancora parlare sono volute, finalizzate, consapevoli. Esse sono imprevedibili,
non deterministiche. Una facoltà come la volontà manca nel bambino, il quale però prende
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comunque decisioni, fa le sue scelte. Di fronte ad un ostacolo decide autonomamente, e
casualmente, se raggirarlo da destra o da sinistra. La distinzione tra le due sfere, superiore ed inferiore, esiste già, ma le sensazioni interne, come la volontà e la coscienza, sono
ancora indistinte, cosı̀ come sono indistinte negli altri esseri viventi. Queste sensazioni
interne cominciano ad essere percepite più chiaramente non appena il bambino impara a
parlare, perché la loro nitidezza, nell’essere umano, è direttamente associata alla capacità
di un linguaggio articolato. Il bambino è la dimostrazione più evidente che volontà e coscienza non hanno un ruolo primario. Il bambino rappresenta il nostro stesso passato, ma
curiosamente moti filosofi, nel corso della storia, non hanno attribuito alcuna importanza
a questo fatto.
Ciò che vogliamo rimarcare ancora una volta è che nella struttura gerarchica l’incosciente
occupa una posizione superiore al cosciente e, mentre l’incosciente è essenzialmente legato
alla definizione di vita, il cosciente è un fenomeno accidentale, secondario, tanto che nelle
forme di vita più semplici è completamente assente. Anche l’attività razionale, l’attività di
pensiero, di classificazione delle sensazioni raccolte, di elaborazioni di modelli su cui simulare i possibili effetti delle azioni prima di concretizzarle appartengono alla parte inferiore,
che si occupa infatti delle decisioni che hanno effetto immediato sull’ambiente esterno.
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Caso, selezione, evoluzione
Il sistema filosofico che emerge dalle nostre considerazioni, ispirato dalle leggi fisiche dei
sistemi elementari, in particolare il principio di indeterminazione, e dalla loro composizione in sistemi complessi, è intrinsecamente dinamico e verticale. Abbiamo visto che
non è dato alcuno stato di equilibrio. Al contrario, esiste il rinnovo continuo, la generazione e la rigenerazione, senza che, nel complesso, considerando l’universo nella sua
globalità, cambi alcunché, e quindi in perfetto accordo colla legge dell’eterno ritorno
dell’identico. La creazione, la distruzione, il rinnovo, sono fenomeni locali, mentre l’eterno
ritorno dell’identico è una proprietà globale dell’universo.
Facciamo alcune altre osservazioni generali sulla definizione di vita che abbiamo dato,
come pure la definizione di morte e di materia non-vivente, in modo da stabilire il giusto
significato dei termini che abbiamo usato. A questo proposito è particolarmente istruttivo
fare un confronto colle teorie darwiniane. Da questo confronto emerge una severa critica
al darwinismo, che ne mette in luce le intrinseche incongruenze e le differenze con le idee
esposte in questo libro.
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16B1 AQL
Parliamo dunque di evoluzione. Finora ho evitato, di proposito, l’uso di questo termine, per evitare alcuni significati indesiderati di solito inconsciamente associati al termine
evoluzione, spesso inteso come un cambiamento verso il “meglio”. Prefisco una terminologia più fedele all’impassibilità delle leggi fisiche, per cui ho usato termini come movimento,
irreversibilità. Non appartiene alla mia filosofia, e non può appartenere ad alcuna filosofia
costruita sulle mere leggi fisiche, una terminologia pseudomorale come quella che suggerisce che l’universo abbia un senso, uno scopo finale Non esiste in natura alcuna legge
fisica che giustifichi una definizione globale, cioè oggettiva, assoluta, di “meglio” e “peggio”.
Possiamo, certo, dare definizioni a valenza locale, cioè soggettive, relative, di “meglio” e
“peggio”, “positivo” e “negativo”, ma non è superfluo rimarcare il loro carattere locale. I
termini evoluzione e involuzione stanno nella stessa classe dei termini vita e morte, memoria
e oblio. Le differenti velocità della fase di evoluzione e della fase di involuzione descrivono
un movimento a dune, che si chiude nel ritorno al punto di partenza. Questo movimento
irreversibile compatibile col ritorno dell’identico è sufficiente a definire una direzione temporale. La legge dell’eterno ritorno dell’identico non consente che nella natura ci sia alcun
movimento di “progresso”, verso il “meglio”. Nell’universo non esiste alcuna memoria,
alcun “senso”, se non per una durata limitata di tempo e in una regione limitata di spazio,
dopodichè un movimento contrario di risciacquo, molto più veloce, cancella tutto, e si
riparte daccapo.
Ho evitato anche l’uso dei termini “prova ed errore”. È in un certo senso corretto usare
la parola “prova”, per descrivere il fenomeno quantistico elementare, che è in effetti una
prova, un tentativo, un getto di dadi. Non è invece corretto usare la parola “errore”, perché,
di nuovo, non esiste alcuna legge fisica che permetta di definire in senso assoluto, globale,
cos’è l’errore, e cosa sia “giusto”. Quando una specie vivente si estingue, perché male
adatta all’ambiente esterno, non si può parlare di “errore”. L’estinzione, come la morte,
è uno dei tanti fenomeni fisici, necessari come l’evoluzione e la vita. Molti insuccessi sono
statisticamente necessari per produrre un successo e, di contro, il successo di uno è possibile
soltanto grazie all’insuccesso di molti. Al limite, potremmo dire che ogni tentativo è un
successo, per definizione. Pertanto, anche di errore si può parlare solamente in senso locale.
Queste precisazioni, ovvie per noi che abbiamo edificato uno schema di pensiero sulle
pure e semplici leggi fisiche elementari e sulle leggi della loro composizione in sistemi complessi, non sono per nulla ovvie, invece, per coloro che studiano esclusivamente i sistemi
complessi, magari una classe particolare di sistemi complessi, per esempio le forme di vita
sulla terra. Studiando i sistemi complessi e cercando di indurre da questi le proprietà ele-
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mentari, o globali, del cosmo, è facile incorrere in errori grossolani, come pensare che nella
natura esista un movimento globale di evoluzione, nel senso di “progresso”, soltanto perché
la vita sul nostro pianeta sembra mostrarci questo. L’errore consiste nel generalizzare una
proprietà locale all’universo in quanto tale. Lo studio delle forme di vita che abitano la
terra è pur sempre uno studio limitato, circoscritto a scale di grandezza e intervalli temporali finiti. Analizzando il complesso nell’ignoranza dell’elementare, le interpretazioni
incorrette, sfasate, distorte, si sprecano.
I movimenti dell’irreversibilità quantistica sono assolutamente ciechi, sordi e stupidi, e
non sono tali in senso “negativo”. Ogni tentativo è un successo, anche se non produce il
seme, ma produce il sasso. Anzi, la maggior parte dei tentativi in natura devono necessariamente produrre il sasso, per consentire, statisticamente, alla parte rimanente di produrre
il seme. Non esiste alcun movimento globale verso il miglioramento. Il futuro non è né
migliore né peggiore del passato. Ogni tentativo per giustificare argomenti pseudomorali
o paramorali a partire dalle leggi fisiche della natura è frutto di ignoranza, una forma di
superstizione, come la filosofia kantiana.
Veniamo dunque al darwinismo. Alcune lacune del darwinismo sono note. Non metto
in discussione che gli esseri viventi vengano selezionati in base al loro maggiore o minore
adattamento all’ambiente in cui vivono, o che sia rilevante la lotta per la sopravvivenza,
per la conservazione della specie. Non c’è dubbio che l’interazione coll’ambiente esterno,
unita alla durata relativamente breve della vita degli esseri viventi, sia responsabile di un
processo di selezione che favorisce gli individui meglio adatti. Questi si riproducono più
abbondantemente e velocemente dei meno adatti e trasmettono ai discendenti i caratteri
favorevoli alla sopravvivenza della specie. Adattamento e selezione sono i fenomeni principali dell’evoluzione. Ciò che vogliamo discutere è la rilevanza di questi fenomeni, il loro
posto in uno schema di idee che si prefigge non soltanto di descrivere l’evoluzione della
vita, ma di capire cos’è la vita, da quali principi fisici trae origine la vita. Li chiamo
fenomeni dell’evoluzione per evidenziare che non sono i principi dell’evoluzione, non spiegano l’evoluzione e non spiegano la vita. Il darwinismo non riesce a identificare l’origine
dei fenomeni che descrive e spesso dà l’impressione di confondere i principi con i fenomeni
secondari, come nel caso del principio di conservazione della specie, che tutto è meno che
un principio.
Il principio di conservazione della specie è contraddittorio. Non ha alcun senso far
discendere una legge di evoluzione da un principio di conservazione. La conservazione è la
proprietà propria del sasso. Ciò che meglio raggiunge l’obiettivo di conservarsi è la materia
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non-vivente. Di sicuro la materia vivente non può essere mossa, cioè spinta ad evolversi,
dalla necessità di conservarsi. La rapidità dell’involuzione, la possibilità che questa sopraggiunga e causi l’estinzione della specie, l’insieme dei pericoli a cui un individuo è sottoposto
durante la sua vita e ne minacciano la sopravvivenza, possono ben suggerire l’enunciazione
di un principio di conservazione delle spiecie, che sicuramente descrive un aspetto rilevante
di una certa classe di fenomeni inerenti all’evoluzione delle specie. Tuttavia, un principio come questo è inadeguato a spiegare le radici profonde del fenomeno, di cui dà una
descrizione soltanto approssimativa e sommaria. Un uso improprio del principio di conservazione delle specie può genera soltanto confusione. Mettiamo dunque al bando questo
principio.
Le teorie di Darwin non sono in grado di spiegare l’apparire della vita sulla terra, di dare
una definizione della vita, dire cosa distingue l’essere vivente dalla materia non-vivente,
non spiegano come l’essere vivente possa formarsi dalla materia non-vivente. E cosı̀ nel
tentativo di spiegare come e perché la vita evolve, quelle teorie risultano assai approssimative, e confondono fenomeni secondari con principi fondamentali. La maggior parte dei
fenomeni individuati da Darwin sono i mezzi attraverso i quali ha luogo l’evoluzione, ma
non ne sono i principi.
La vita non è in lotta per la conservazione, è semmai in lotta per l’espansione. È soltanto
espandendosi che la vita può “conservarsi”. L’evoluzione non è una conseguenza della conservazione, semmai la conservazione è una conseguenza dell’evoluzione. Un pregiudizio
comune a molte filosofie è quello di voler dedurre il movimento dalla staticità, quasi che la
staticità non necessiti di spiegazione, e il movimento necessiti di essere spiegato. Cercare
di spiegare il nuovo con il vecchio, o il dinamico collo statico, non è diverso che cercare
di spiegare l’indeterminismo col determinismo, inventando teorie di variabili nascoste classiche che simulino il caso quantistico, oppure cercare di generare l’intrinseca irreversibilità
della teoria dei campi, propria delle divergenze, tramite scale di riferimento classiche. In
definitiva, è come voler spiegare la vita dalla non-vita, quando in realtà sia la vita che
la non-vita sono prodotti della stessa legge elementare, composta nei due casi in modi
diversi. Darwin pretende che l’evoluzione sia conseguenza dell’autoconsistenza, quando
dall’autoconsistenza può seguire soltanto la stasi o, al massimo, la periodicità, la ciclicità.
La selezione naturale è insoddisfacente perché non contiene nessun principio di irreversibilità, ma vuol far discendere l’irreversibilità dai cambiamenti (reversibili) dell’ambiente
esterno. È un meccanismo senza motore, o un motore senza combustibile. L’individuo è
costretto a lottare, a competere con e contro i suoi simili per adattarsi a qualcosa di dato,
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stabilito, esterno, e il suo scopo sarebbe soltanto sopravvivere. Per Darwin l’evoluzione è
la lotta per l’adattamento e la sopravvivenza, non lotta per l’accrescimento, l’espansione.
Manca qualunque nozione di movimento puro, ingenerato, non causato. L’evoluzione non
avrebbe luogo se non sollecitata dall’ambiente esterno. Questo lottare per seguire, questo
modificarsi per adattarsi, implica mortificazione della creatività, negazione della stessa,
fatalismo, determinismo.
Mi è difficile capire perché l’essere umano opponga una cosı̀ strenua resistenza all’accettare
che esista nella natura un principio di creazione e di movimento, perché gli sia più facile
e comodo pensare che tutto sia deterministico e causale, statico o ciclico, eccezion fatta
per l’unico atto di creazione demandato all’unico essere superiore. Probabilmente la spiegazione è di natura psicologica: se non c’è un principio di creazione nella natura, deve
esistere un essere superiore (che non è necessariamente Dio, ma può essere la Ragione o lo
Spirito), e se esiste un essere superiore, esiste un senso, se esiste un senso, esiste un motivo grazie al quale l’essere umano può ritenersi privilegiato rispetto a tutto il resto della
natura, pensando che esiste un’origine, un fine, e scacciando l’incubo di essere irrilevante,
quanto ciascun altro essere vivente, quanto il sasso e la polvere. La verità è, invece, che
l’essere umano è sottoposto alle stesse leggi del resto della natura, è costituito degli stessi
ingredienti che il resto della natura, e non c’è alcuna legge fisica che gli riservi un posto in
prima fila, ne decreti la superiorità, fondi e giustifichi quella legge “morale” che rispecchi
il cielo stellato sopra di lui. Si sono usate persino le idee evoluzionistiche per privilegiare
l’essere umano sugli altri esseri viventi, sostenendo che il processo di evoluzione avrebbe
come “scopo” proprio la generazione dell’essere umano, il quale grazie alla cosiddetta “coscienza” e alle capacità razionali che gli permettono di (illudersi di) dominare sulla natura,
non sarebbe più sottoposto alle leggi della natura, in particolare la selezione naturale, ma
stabilirebbe egli stesso le leggi alla natura.
Ora, poiché noi vogliamo fare una filosofia scientifica, dobbiamo attenerci a ciò che
dicono le leggi della natura, astenendoci dal rivestirle di significati che non hanno, soltanto
per venire in contro ai nostri bisogni psicologici, o ai bisogni psicologici di molti.
Un altro punto debole delle teorie darwiniste è che ammettono la possibilità di una
situazione di equilibrio. Sappiamo che soltanto l’universo nella sua globalità è in equilibrio. Abbiamo visto nei capitoli precedenti che a livello quantistico non esistono sistemi
perfettamente isolati in equilibrio. Essendo la sorgente del caso l’indeterminazione quantistica, non esiste alcuna possibilità pratica di porre un limite superiore agli effetti delle
fluttuazioni. I buchi neri sono un esempio eclatante di questo fatto. Essi rappresentano,
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classicamente, la situazione in cui la materia e l’energia sono massimamente intrappolate,
tanto che persino la luce non riesce ad uscire: l’attrazione gravitazionale è cosı̀ forte che
anche la luce è costretta a “ricadere” verso il centro del buco nero. Tuttavia, a livello
quantistico, anche i buchi neri sono instabili, ed infatti evaporano. L’impossibilità di localizzare una particella in un punto ben preciso, la necessità di immaginarla come un’onda
di probabilità, sparpagliata in tutto il cosmo, rende impossibile intrappolare le particelle
in uno spazio finito. Esiste sempre una via di fuga, un anello che non tiene, una sorgente
di instabilità.
L’equilibrio locale è la proprietà che caratterizza la materia non vivente, e la differenzia
da quella vivente. Non esiste alcuna possibilità di equilibrio locale, per la materia vivente.
Darwin attribuisce un’importanza eccessiva alla lotta per l’adattamento all’ambiente esterno. Sicuramente, l’essere vivente viene selezionato in base al suo grado di adattamento
all’ambiente, ma questo fenomeno dell’evoluzione non è il motore dell’evoluzione. Se cosı̀
fosse, infatti, sarebbe pensabile una situazione di massimo adattamento possibile, e quindi
di equilibrio, una situazione che nel prosieguo chiamerò “equilibrio darwiniano”. Le teorie
darwiniane implicano che un qualunque sistema naturale tende a un equilibrio di massimo
adattamento possibile. Nell’equilibrio darwiniano si avrebbero ancora mutazioni genetiche,
ma queste sarebbero tutte sfavorevoli, per definizione, e quindi non avrebbero effetti apprezzabili sull’evoluzione delle specie. Si tratterebbe di semplici fluttuazioni attorno alla
posizione di equilibrio. Le specie viventi non evolverebbero, non regredirebbero, non si
estinguerebbero, non correrebbero alcun rischio. Al massimo, seguirebbero i cambiamenti
ciclici dell’ambiente esterno. Secondo le teorie darwiniane, il movimento evolutivo è indotto
dall’ambiente esterno, cioè è indotto da un movimento molto più lento, le cui caratteristiche, quali il determinismo e la ciclicità, sono del tutto opposte a quelle del movimento
della vita. L’equilibrio darwiniano sarebbe il massimo successo dell’evoluzione darwiniana,
e del principio di conservazione, il naturale prodotto di una teoria che vuole far discendere
l’evoluzione da un principio di conservazione. L’equilibrio, infatti, rappresenta la massima
conservazione possibile. Tuttavia, la vita è dotata di un suo motore interno, non segue
affatto i movimenti dell’ambiente esterno, non dipende da esso. Senza un motore interno
della vita non sarebbe possibile alcuna distinzione tra l’essere vivente e la materia nonvivente: tutto il cosmo tenderebbe alla situazione di equilibrio finale propria della materia
non-vivente. Nessun fenomeno della materia vivente mostra che la vita, o una sua parte,
tende verso una situazione di equilibrio. La vita è un fenomeno fisico intrinsecamente privo
di uno stato di equilibrio finale, che non sia la morte, cioè la transizione di fase dalla vita
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al sasso. Con equilibrio intendo qui anche un movimento ciclico, che è da associare e tutti
gli effetti più alla staticità che al movimento vero e proprio, qui inteso come movimento
creativo. Inoltre l’osservazione mostra chiaramente che il movimento della vita è di gran
lunga più veloce e diversificato del cambiamento che osserviamo nell’ambiente esterno e
quindi deve possedere un motore proprio.
L’evoluzione non può essere un prodotto indotto dall’ambiente esterno. Sia l’ambiente
esterno che la vita sono prodotti dallo stesso principio di combinazione dei fenomeni microscopici in sistemi complessi macroscopici, realizzate in due modi diversi. La costruzione
di sistemi complessi mediante combinazioni di sistemi indeterministici elementari presenta
a un certo punto un bivio: possono prevalere le combinazioni in parallelo, che generano il
sasso, cioè l’ambiente esterno, o le combinazioni in serie, che generano il seme, cioè la vita.
Non esiste l’ambiente esterno prima della vita, come non esiste la vita prima dell’ambiente
esterno. La vita non dipende dall’ambiente esterno, come l’ambiente esterno non dipende
dalla vita. Nessuno dei due viene logicamente prima dell’altro, nessuno preesiste all’altro
e genera e induce il movimento dell’altro. Entrambi seguono dallo stesso principio microscopico, in contemporaneità logica, entrambi traggono forma dalla stessa “brodaglia
quantistica primordiale”, che è all’origine del tutto. Tra materia vivente e materia nonvivente esiste una sorta di contrapposizione, per via delle caratteristiche e proprietà che
differenziano l’una all’altra, ma non esiste una gerarchia che pone l’una prima dell’altra.
Darwin stesso era consapevole delle lacune delle sue teorie, intuiva che la legge della conservazione delle specie, la lotta per la sopravvivenza, l’adattamento all’ambiente esterno,
non bastano a mettere in modo e far avanzare il meccanismo dell’evoluzione. Darwin capiva
che soltanto una sorgente di fenomeni imprevedibili può mettere in moto l’evoluzione, ma
non poteva sapere quale sia questa sorgente. Introdusse dunque un non meglio identificato “caso”. Con il generico nome di “caso”, Darwin voleva indicare tutte le sorgenti
di movimento, di tentativi, per esempio alcuni agenti esterni come i raggi cosmici, capaci di produrre mutazioni nella riproduzione degli esseri viventi. Oggi sappiamo qual’è
l’origine del caso, oggi conosciamo l’eterna ed inesauribile sorgente di movimento che è
l’indeterminazione quantistica, il motore immobile dell’evoluzione. Equipaggati di questa
conoscenza che Darwin non aveva, siamo in grado di delineare meglio le proprietà dei
fenomeni dell’evoluzione e correggere gli errori a cui inducono le teorie darwiniste.
A livello classico è necessario immaginare che il movimento abbia sorgenti e cause esterne, per esempio i raggi cosmici necessari a produrre le mutazioni invocate da Darwin.
Questo però vuol dire rinunciare a descrivere il movimento in quanto tale, e descriverelo
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come movimento indotto da un movimento preesistente. In un contesto classico, dobbiamo
pensare che il movimento provenga dall’esterno della teoria classica stessa, perché la teoria
classica non contempla alcun fenomeno in grado di generare movimento. Invece, il movimento è l’indeterminazione, la biforcazione quantistica, l’impredicibilità, la generazione di
una situazione fisica non contenuta nelle condizioni iniziali, la creazione di una novità.
Non c’è alcun movimento nel determinismo e non c’è alcun movimento nella ciclicità. Oggi
siamo finalmente in grado di formulare una teoria completa della vita che colmi le lacune
delle teorie precedenti.
La vita possiede un motore interno, che è anche il motore dell’evoluzione, e non necessita di sollecitazioni esterne, come le mutazioni dovute ai raggi cosmici. Il maggiore o
minore grado di adattamento all’ambiente esterno è il mezzo attraverso cui opera la selezione, lo strumento che guida, indirizza, l’evoluzione, non il principio da cui l’evoluzione
trae forza e vitalità. Il movimento è principio esso stesso, non conseguenza di un principio
di assenza di movimento, come un principio di conservazione. Si ha evoluzione anche in
assenza di cambiamento dell’ambiente esterno. Non esiste alcuna situazione di massimo
adattamento, perché in meccanica quantistica non esiste una situazione di equilibrio. Il
movimento dell’irreversibilità quantistica, quindi della vita e dell’evoluzione, è un movimento attivo, che rigenera anche ciò che muore. Non è un movimento reattivo, come il
movimento indotto dall’adattamento all’ambiente esterno. Il movimento attivo crea, genera in continuazione, anche specie ed individui male adatti alle circostanze ambientali in
cui capitano, necessari per “fare statistica”, provare tutte le possibilità, pronti ad inserirsi
qualora le condizioni ambientali mutassero e li favorissero, o qualora trovassero un ambito
in cui prosperare, per sviluppare magari una specie diversa. Gli individui e le specie che
muoiono presto sono anche quelli che vengono rigenerati più facilmente e più frequentemente. Essi rappresentano tutti i fallimenti necessari perché pochi successi abbiano luogo,
ma allo stesso tempo la loro rigenerazione garantisce che verrà anche il loro momento,
quello in cui loro prevarranno perché saranno i più adatti. Nessun carattere è favorevole in
assoluto, nessuno è sfavorevole in assoluto. Le forme di vita ripetutamente eliminate dalla
selezione vengono costantemente rigenerate dall’irreversibilità quantistica, perché possono
essere le più adatte in una situazione ambientale diversa.
L’adattamento all’ambiente esterno ricopre un ruolo importante anche nell’ambito delle
nostre teorie, anche se non è il motore dell’evoluzione. Se non esiste una situazione finale di
massimo adattamento, di equilibrio, verso cosa tende il movimento? Il secondo movimento
dell’irreversibilità quantistica è una successione di combinazioni, disfacimenti e ricombi-
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nazioni, e non tende verso alcuno stato finale. Esso possiede una forza interna che dopo un
certo tempo, invero nemmeno questo predicibile in base alle condizioni iniziali, si esaurisce,
proprio come una scarica elettrica che si propaga attravarso l’aria. Ma lo stesso principio
che ne decreta la morte, ne decreta anche la rinascita, dopo un tempo sufficientemente
lungo, poiché non esiste a livello quantistico alcuna situazione di equilibrio locale. Gli
effetti delle fluttuazioni non sono circoscrivibili, i loro effetti non sono trascurabili sempre
e comunque. Dopo un tempo sufficientemente lungo ha luogo una fluttuazione abbastanza
grande da rompere l’equilibrio apparente e rimettere in moto il movimento. L’equilibrio
perenne vale soltanto per il cosmo nella sua globalità.
Riepilogando, le teorie darwiniane sono buone descrizioni dell’evoluzione, entro certi
limiti corrette, ma non definiscono il concetto di vita, non la distinguono dalla non-vita,
non spiegano la comparsa della vita sulla terra (ma solo come si evolverebbe), attribuiscono
il processo di evoluzione ad un meccanismo che non ha motore, non sono in grado di
spiegare la velocità dell’evoluzione della vita sulla terra, non individuano alcun motore
dell’evoluzione, non individuano la sorgente del movimento e del caso, e si prestano a molte
interpretazioni non corrette, come quella secondo la quale esiste nella natura, o in parte
di essa, cioè nella natura vivente, un processo globale e irreversibile di “miglioramento”,
quindi un “senso”, un’evoluzione come progresso, quando questo non è possibile, perché non
è permesso dalle leggi statistiche a cui anche la vita è sottoposta, come tutta la natura.
Interpretate scorrettamente, le idee darwiniane possono essere estremamente perniciose,
perché suggeriscono che non vi sia e non vi sia bisogno di alcun principio di movimento,
nel senso di creazione. Applicate alla società, le teorie darwiniane implicano competizione
tra individui verso l’appiattimento completo e l’omologazione, che è l’equilibrio darwiniano
sul piano sociale.
Il problema dell’apparire della vita sulla terra è la lacuna più evidente delle teorie
darwiniane. Nessuna teoria evoluzionistica ha mai spiegato, né potrà mai spiegare in
modo soddisfacente, il formarsi della vita dalla materia non-vivente e la velocità con cui la
vita si evolve sulla terra. Non è possibile, del resto, spiegare le modifiche a cui è sottoposta
la vita sulla terra senza dare una chiara ed inequivocabile definizione scientifica della vita.
Certamente il principio di conservazione delle specie, la lotta per la sopravvivenza, la
competizione fra individui, l’adattamento all’ambiente e la selezione sono insufficienti a
spiegare la vita e l’evoluzione, sicuramente fenomeni interessanti del fenomeno della vita,
ma non principi primi.
Al contrario, l’apparire della vita sulla terra, la velocità di evoluzione, e gli altri aspetti
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che le teorie darwiniane non riescono a spiegare soddisfacentemente, sono tutti argomenti
a favore delle nostre teorie, che riservano un posto a ciascuno dei fenomeni che osserviamo
intorno alla vita, non lasciano alcuno spazio vuoto, alcuna lacuna senza spiegazione. Abbiamo dato la definizione della vita, abbiamo spiegato come e da cosa si forma la vita, come
evolve e come muore. Naturalmente, le nostre idee possono anche indirizzare la ricerca per
la creazione della vita artificiale. Nel prossimo capitolo studieremo come le biforcazioni
quantistiche elementari sono combinate tra loro nei sistemi complessi, nelle forme di vita
che conosciamo e anche in quelle che non conosciamo ancora.
Facciamo ora delle osservazioni di carattere più generale. Come abbiamo detto, la vita
non può conservarsi. Solo il sasso si conserva. La vita conosce una fase di lenta espansione,
cui segue una fase di veloce contrazione. La vita non è tale senza la morte. L’unico
essere immortale è il sasso. Vita e immortalità sono termini in contraddizione tra loro.
L’immortalità della vita violerebbe, infatti, la proprietà di località del secondo movimento
dell’irreversibilità quantistica. Individui longevi non sono necessariamente favoriti: in
molte situazioni individui che si moltiplicano velocemente e vivono brevi vite, come gli
insetti, possono essere più favoriti di individui di specie longeve. La morte non è un passo
indietro: essa è un passo in avanti come la vita. Si può ritornare alla situazione iniziale,
ma vi si ritorna andando sempre avanti. Tornare indietro è impossibile.
L’umanità ha sempre cercato di immaginare la vita, e in particolare la vita umana,
come qualcosa di speciale, privilegiato, nel cosmo, e ha sempre eretto un muro invalicabile
tra gli esseri viventi, imprevedibili e magari dotati di “anima”, e gli esseri non viventi,
predevibili. In verità, gli esseri viventi e gli esseri non viventi si differenziano nella forma,
in particolare nella forma del movimento dell’irreversibilità quantistica, ma tutti derivano
da un’unica brodaglia quantistica dei fenomeni indeterministici elementari. Nella storia
del cosmo, essi si scambiano continuamente di ruolo. Se osservassimo il comportamento di
un sasso per un tempo lunghissimo, noteremmo in esso dei fenomeni quantistici. Su scale
di durata temporale molto più lunga della nostra vita, anche il sasso è vivo. La defizione
di vita è relativa alle scale di grandezza e all’intervallo temporale considerato. Per noi un
sasso è non vivente, ma noi non siamo la misura assoluta di tutte le cose, siamo soltanto
una misura relativa.
L’universo è globalmente stabile, localmente instabile. Localmente possono avere luogo
le “scariche elettriche” con cui abbiamo metaforicamente descritto la vita e lo sviluppo
della vita, ma dopo un certo tempo le scariche si esauriscono. In totale prevalgono il
silenzio e l’immobilismo, il sasso. Il movimento non ha nulla di ciclico, non ha inizio né
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fine, tutte le configurazioni possibili possono uscire e la configurazione iniziale può tornare.
L’incertezza quantistica è la macchina eterna, il motore immobile dell’universo, che non
ha bisogno di essere acceso, rifornito di carburante o velocizzato. I suoi prodigi creativi
hanno luogo ovunque e senza sosta. Nessuna parte del cosmo, nemmeno il sasso, ne è
esclusa. Può essere necessario un tempo molto lungo e un grandissimo numero di tentativi
e fallimenti, ma un varco per la vita esiste sempre, il seme nel sasso.
Nella nostra definizione della vita, il comportamento dell’essere vivente è di natura
quantistica. Ciò vuol dire che in tutti gli esseri viventi, e nel cervello umano in particolare, hanno luogo fenomeni di natura quantistica, che questi fenomeni sono rilevanti e non
trascurabili, anzi che gli esseri viventi sono essenzialmente degli apparati che amplificano
l’indeterminazione quantistica elementare a livello macroscopico. L’importanza degli effetti quantistici nella vita e nel cervello umano non è ancora riconosciuta da tutti. Molti
insistono che non esiste una dimostrazione diretta che gli effetti quantistici siano rilevanti
nei fenomeni biologici. Oggettivamente, è difficile fare esperimenti per stabilire inequivocabilmente la natura quantistica dei fenomeni nei sistemi complessi. Non esistono individui
o organismi assolutamente identici e, quand’anche esistessero, non siamo in grado di controllare le variabili in gioco in modo da porli esattamente nelle stesse condizioni iniziali,
per verificare che a situazioni iniziali identiche possono seguire risultati finali diversi. La
complessità dei sistemi viventi è tale che è sempre possibile immaginare che risultati finali
diversi siano dovuti alla diversità degli organismi, quindi alla diversità delle condizioni
iniziali. Nei sistemi complessi, l’indeterminazione quanstistica protegge se stessa, come
abbiamo già notato, mascherandosi tra i fenomeni deterministici e confondendosi con essi,
per cui riesce estremamente difficile distinguere il caso quantistico dalle sue simulazioni deterministiche. In un certo senso, l’indeterminazione quantistica si amplifica “in segreto”,
senza farsi notare. A livello macroscopico vale una sorta di principio di indeterminazione
“biologico”, per cui è impossibile rivelare il segreto della vita senza ucciderla. Nel momento
in cui si cerca di isolare il fenomeno indeterministico negli esseri viventi, si produce una
serie di collassi della funzione d’onda, che fanno apparire il fenomeno stesso deterministico,
cioè non-vivente. L’esistenza di un principio di indeterminazione di natura “biologica” era
stata predetta dai padri della meccanica quantistica, i quali si erano posti il problema del
ruolo del principio di indeterminazione in relazione alla vita. Successivamente, tanto i fisici
quanto i biologi lasciarono questi importanti interrogativi da parte, per cui lo studio del
ruolo dell’indeterminazione quantistica in relazione alla vita rimase lacunoso e incompleto.
Soltanto nei sistemi elementari è possibile fare inequivocabili esperimenti statistici per
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isolare il comportamento indeterministico. Si pensi anche alle difficoltà sperimentali da superare per discriminare tra le predizioni delle teorie delle variabili nascoste e le predizioni
della meccanica quantistica ortodossa, tra indeterminazione simulata e indeterminazione
vera. Si può facilmente immaginare che se ci furono grandi resistenze ad accettare l’indeterminazione pura tra le leggi fisiche dei sistemi elementari, ci saranno ancora maggiori
resistenze ad accettarne il ruolo nel comportamento degli esseri viventi. I rappresentanti
del “partito del determinismo” insistono molto su questo punto, cioè l’impossibilità pratica di dimostrare rigorosamente il ruolo dei fenomeni quantistici nel comportamento e
nell’evoluzione degli esseri viventi, per affermare che i fenomeni biologici sono essenzialmente di natura deterministica. Mai penserebbero che i fenomeni quantistici siano la vera
essenza, la natura della vita.
La questione va rigirata. I fenomeni elementari sono quantistici, quindi tutti i fenomeni
complessi risentono, chi più, chi meno, degli effetti quantistici. In molti casi questi effetti
sono soppressi, ma non sempre. In una certa percentuale di materia dell’universo, la
materia vivente, gli effetti quantistici vengono amplificati anziché soppressi. L’onere della
prova passa dunque ai deterministi, i quali dovrebbero dimostrare che in tutti i sistemi
complessi, ivi compresi gli esseri viventi, i fenomeni quantistici vengono soppressi e mediati
approssimativamente a zero. In qualità di leader del partito dell’indeterminazione, non mi
sento chiamato a dimostrare la rilevanza dei fenomeni quantistici per la vita. Essa è
una conseguenza ovvia e naturale delle leggi fisiche, in perfetto accordo coll’osservazione
sperimentale. Agli altri l’onere di negare l’evidenza.
In ogni caso, queste questioni sottili possono essere evitate, per risolvere la diatriba
in modo oggettivo ed inequivocabile. Mi riferisco alle predizioni per la ricerca futura, la
ricerca per la creazione di vita artificiale, che discuteremo nel prossimo capitolo. Ho anticipato all’inizio del libro che le mie idee non vogliono soltanto essere il fondamento di
una nuova filosofia, ma ambiscono alla realizzazione della prima vera e propria filosofia
sperimentale, cioè una filosofia in grado di fare predizioni sperimentalmente testabili. Le
idee che ho esposto suggeriscono una serie di proposte per la ricerca della vita artificiale,
mentre le idee deterministiche, o quelle che comunque riconoscono sı̀ un ruolo, ma non un
ruolo essenziale, ai fenomeni quantistici, suggeriscono proposte di ricerca completamente
diverse. Basterà dunque sottoporre le diverse proposte alla prova dei fatti e attendere il
responso della natura, per conoscere quale dei due tipi di ricerca avrà successo e dunque chi
avrà ragione, chi avrà svelato la vera natura della vita. Le idee di questo libro definiscono
la vita come fenomeno fisico, ne spiegano l’origine e il rapporto con la materia non-vivente
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dell’universo, connettono con un percorso logico-concettuale il microscopico al macroscopico e propongono delle linee-guida per la costruzione della vita artificiale. Il nostro scopo
non è convincere coloro che sono fissati su idee contrarie alle nostre. Dal nostro punto
di vista, le loro convinzioni sono dovute particolari connessioni tra biforcazioni quantistiche, nei loro cervelli, che privilegiano una reazione scettica di fronte alla possibilità di un
ruolo fondamentale dei fenomeni quantistici per la vita. Le loro posizioni sono esse stesse
dovute a fenomeni quantistici, casuali e a-causati. Noi possiamo soltanto concentrarci
sull’elaborazione di una filosofia consistente che inglobi tanto l’infinitamente piccolo, come
l’infinitamente grande, che spieghi senza lacune i fenomeni osservati e predica fenomeni non
ancora osservati, cioè possa essere sottoposta alla verifica sperimentale. Ci impegniamo
altresı̀ nella divulgazione di questa filosofia, per aumentare la probabilità che più persone
si uniscano nello sforzo di creare vita artificiale seguendo le linee guida qui indicate.
Molti fenomeni che avvengono nel corpo e nel cervello umano sono sicuramente di
natura deterministica, ma la vita in quanto vita è comunque un fenomeno di natura essenzialmente quantistica. Il ruolo fondamentale dei fenomeni quantistici nel comportamento
umano, e di tutti gli esseri viventi, nell’evoluzione della vita e nella crescita delle piante, è
una conseguenza logica e naturale dei principi fisici e delle linee di pensiero fin qui sviluppate.
Fino ad oggi i filosofi, anche coloro che hanno attribuito una qualche importanza ai
fenomeni quantistici, hanno sempre relegato il principio di indeterminazione ai margini
del loro pensiero e del loro sistema di idee. Non hanno mai stato intrapreso un tentativo
serio e sistematico di tracciare un percorso logico e concettuale che connetta l’indeterminazione microscopica all’indeterminazione complessa macroscopica, l’imprevedibilità del
fenomeno elementare all’imprevedibilità dell’essere vivente. Senza il percorso tortuoso e
accidentato dell’amplificazione dell’indeterminazione quantistica, un percorso in cui tutti
gli esseri viventi, tutti i tentativi, quelli che hanno successo come i fallimenti, e anzi
ogni singola parte dell’universo, giocano un ruolo, sarebbe molto ingenuo, se non ridicolo,
stabilire una relazione tra la “libertà” dell’elettrone, che “decide” di uscire come ↑z o come
↓z da un apparato sperimentale , e la libertà dell’essere umano e dell’essere vivente in
generale. Una volta stabilita questa relazione siamo in grado di comprendere quale sia la
vera natura di questa libertà, che è indeterminazione, caso puro, quantistico, e non libero
arbitrio.
L’universo non è mai stato osservato, prima di oggi, dal punto di vista delle diverse
scale di grandezza. Realtà microscopica e realtà macroscopica sono sempre state guardare
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staticamente, non è mai stata tentata l’elaborazione di una relazione verticale, dinamica,
tra il microscopico e il macroscopico. Si è rinunciato a vedere il complesso come prodotto
della combinazione di fenomeni elementari, stabilendo di fatto una separazione insanabile,
una dicotomia, tra l’elementare e il complesso, tra il fenomeno quantistico microscopico e
l’osservatore. Si è rinunciato a descrivere la vita come fenomeno fisico, a stabilire e comprendere la relazione tra la materia vivente e il resto dell’universo, la materia non-vivente.
Tutto questo, probabilmente, è avvenuto, incosciamente, per perpetuare la convinzione che
l’essere umano sia privilegiato rispetto al resto dell’universo. È un privilegio di cui l’uomo
è convinto e si compiace fin dall’inizio della storia. La meccanica quantistica stessa è stata
spesso interpretata in funzione di questo dogmatico privilegio. L’osservazione sperimentale
del mondo macroscopico sembra riservare un posto particolarissimo all’osservatore, piazzarlo al di fuori della teoria: l’essere umano sarebbe privilegiato in quanto l’osservatore
della natura. Non di rado si è cercato di usare la meccanica quantistica per giustificare il
libero arbitrio. Prendendo spunto da alcune interpretazioni diffuse della meccanica quantistica, si è detto perfino che la meccanica quantistica dimostra che esiste nell’universo,
in particolare nell’essere umano, una forma di coscienza. Anche nell’ambito delle teorie
evoluzionistiche, si tende a vedere l’essere umano non come un anello, soltanto un anello,
di una catena che ha un passato, ma ha anche sicuramente un futuro, un fenomeno fisico
tra tanti fenomeni fisici, particolare e diverso dagli altri cosı̀ come tutti i fenomeni sono
particolari e diversi dagli altri, ma un punto di arrivo delle leggi dell’evoluzione, svincolato
da quelle stesse leggi, quasi che le leggi della natura siano finalizzate alla produzione della
vita umana. Anche qui si confrontano quelle due opposte visioni del mondo che abbiamo
delineato qualche capitolo fa, e che abbiamo chiamato cartesianesimo e galileismo. Da una
parte coloro che sottopongono la natura all’uomo, in particolare la coscienza o la razionalità
umana, o a un essere o un’entità superiore, dall’altra coloro che sottopongono l’uomo alla
natura. Nella mia visione filosofica, in cui l’indeterminazione quantistica e l’irreversibilità
quantistica sono i principi fondanti della vita, l’essere umano non gode non può godere di
alcun privilegio rispetto al resto della natura. La libertà è indeterminazione quantistica e
non libero arbitrio, non è una prerogativa dell’uomo, ma di tutti gli esseri viventi, comprese
le piante, perché la crescita delle piante, se non il comportamento delle piante, è difficilmente riconducibile ai fenomeni deterministici. Infine la volontà, la coscienza, la ragione, il
pensiero, l’intelligenza, l’“io”, lo spirito, i sentimenti, le sensazioni, eccetera, sono soltanto
fenomeni di natura secondaria, derivata, non primaria, effetti apparenti, risultanti dalla
combinazione di molti fenomeni elementari che, stupidi, casuali, involontari, incoscienti,
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irresponsabili, irrazionali, non lasciano traccia. L’intelligenza è particolare (almeno cosı̀
crediamo) dell’essere umano e lo differenzia dagli altri esseri. Ma anche la mano prensile
rende particolare una certa classe di esseri viventi, tra cui l’uomo, e non solo l’uomo, senza
che questo sia motivo sufficiente per giustificare una falsa nozione di privilegio, in base
alla quale gli esseri viventi dotati di mano prensile sono superiori agli altri. Non esiste una
coscienza in natura, non esiste un’intelligenza in natura, non esistono sentimenti in natura,
cosı̀ come non esiste la mano prensile in natura, a parte in quei particolari esseri viventi
che possiedono queste proprietà. Secondo la nostra visione filosofica, la differenza tra una
specie vivente e un’altra, o tra un individuo e un altro, è soltanto una differenza di forma,
anche la differenza tra gli individui più adatti e i meno adatti, e in quanto questione di
forma, è dovuta soltanto al caso e alle circostanze, temporanea, mutevole. Essa non può
giustificare alcuna nozione di privilegio o superiorità.
È possibile definire una misura del grado di indeterminazione complessa, come prodotto
del grado di complessità e del grado di amplificazione dell’indeterminazione elementare.
Tuttavia, un grado maggiore di complessità non è necessariamente un carattere favorevole,
che garantisce maggiori probabilità di sopravvivenza o espansione, e quindi la superiorità.
Anzi, esseri più semplici e poco adatti alle condizioni esterne hanno più probabilità di
ritornare frequentemente, in base alla legge dell’eterno ritorno dell’identico. Si potrebbe,
simmetricamente, definire un criterio di superiorità, in base alla frequenza del ritorno.
Ovviamente le strutture più semplici sarebbero privilegiate da questo criterio rispetto alle
strutture più complicate, che tornano più raramente.
Nel contesto della relazione tra indeterminazione e complessità, ci possiamo chiedere in
che senso la struttura delle biforcazioni elementari conesse in serie può definire l’individualità, e quali siano le proprietà e caratterizzazioni della definizione conseguente. A livello
elementare, particelle dello stesso tipo sono indistinguibili. Per esempio, non è possibile
“marcare”, contrassegnare gli elettroni dello stato ↑x , per distinguerli l’uno dall’altro. Essi
sono esattamente identici ed è per questo che, nell’esperimento che misura la componente
x di un insieme di elettroni nello stato ↑x diciamo che a condizioni iniziali assolutamente
identiche fanno seguito risultati finali diversi. Questo principio di indistinguibilità delle
particelle, che è uno dei principi fondamentali della meccanica quantistica, mostra che a livello elementare non esiste alcuna definizione possibile di individualità. L’individualità deve
essere il risultato dell’organizzazione in una struttura complessa. È possibile distinguere
due strutture complesse se sono diverse tra loro. Strutture articolate sono più difficilmente
copiabili o riproducibili. La struttura delle connessioni tra le biforcazioni quantistiche
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definisce l’individuo. Le singole biforcazioni quantistiche possono essere identiche tra loro,
ma la connessione tra le biforcazioni può modulare le distribuzioni di probabilità delle biforcazioni quantistiche dei livelli inferiori in modo diverso in strutture diverse, distinguendo
cosı̀ individui diversi. Questa differente modulazione delle distribuzioni di probabilità può
voler dire, nell’essere umano, differenti caratteri, personalità, inclinazioni, preferenze, abitudini, eccetera, e una differenziazione di questo tipo vale, a un livello meno sofisticato,
per tutti gli esseri viventi sufficientemente complessi.
L’individualità possiede la proprietà che la complessità della struttura e la sua non
facile riproducibilità, impedisce esperimenti statistici sull’individuo, per i quali sarebbero
necessarie molte copie esattamente identiche. Attraverso gli esperimenti statistici sarebbe
possibile risalire completamente alla distribuzione di probabilità associata alla struttura
complessa delle biforcazioni quantistiche connesse in serie, come è possibile ricostruire la
funzione d’onda a livello elementare disponendo di un numero sufficientemente elevati di
sistemi elementari identici nello stesso stato iniziale e facendo esperimenti statistici su di
essi. La complessità della struttura protegge dunque l’individualità, l’indeterminazione
e l’imprevedibilità dal loro “nemico”, che è la statistica. Tuttavia, questa forma di protezione non è assoluta, ma relativa, perché l’impossibilità di disporre di un gran numero
di copie identiche di una struttura sufficientemente complessa, è un’impossibilità pratica,
non di principio. La nozione di individualità è dunque approssimata, relativa alle scale
temporali e di grandezza considerate. Il segreto dell’individualità non è violabile per ragioni pratiche, non per ragioni di principio. Infatti, il grado di imprevedibilità si riduce
notevolmente nella massa, costituita di un gran numero di individui non identici tra loro,
ma soltanto simili. Si può parlare di connessione in serie o in parallelo anche a proposito
delle relazioni tra gli individui. Se gli individui sono completamente scorrelati, cioè “connessi in parallelo”, allora il grado di determinismo e prevedibilità aumenta, compensano
in parte l’imprevedibilità del comportamento del singolo individuo. È ciò che accade in un
sistema politico democratico, nelle elezioni, nei sondaggi. Su una massa di individui non
correlati tra loro è relativamente facile fare predizioni ed esercitare una forma di controllo.
Gli individui di una massa possono però essere correlati tra loro in modo da amplificare,
invece che ridurre, l’imprevedibilità del loro comportamento. Una massa di individui correlati tra loro mima le connessioni in serie tra le biforcazioni quantistiche, che amplifica
l’indeterminazione quantisticha a livello macroscopico invece che sopprimerla. Esempi di
grandi insiemi di individui correlati in modo da amplificare il grado di imprevedibilità sono
i sistemi totalitari, le dittature, le monarchie o anche le oligarchie, le aristocrazie. Men-
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tre la democrazia mima il primo movimento dell’irreversibilità quantistica, le oligarchie
mimano il secondo movimento dell’irreversibilità quantistica.
Un individuo è definito quindi dalla struttura delle biforcazioni quantistiche connesse
in serie e dalla conseguente modulazione delle distribuzioni di probabilità delle biforcazioni
quantistiche dei livelli inferiori. La vita, nel senso di “storia”, di un individuo è l’insieme
di tutte le decisioni prese dalla struttura complessa, tanto le decisioni con effetti esterni,
quanto le decisioni con soli effetti interni, che riconfigurano parte della struttura stessa. La
forma della struttura è in parte innata, dovuta al percorso evolutivo, e in parte acquisita,
attraverso le modifiche interne intervenute nel corso della vita. La complessità della struttura consente quindi una forma di memoria. La parte innata della struttura reca memoria
dell’evoluzione, la parte acquisita reca memoria della storia personale dell’individuo. Si
tratta di una forma parziale di memoria, perché in un sistema quantistico, a differenza che
nei sistemi classici, non è possibile la memoria assoluta. I sistemi chiusi classici, in quanto
deterministici, mantengono memoria perfetta di tutto il loro passato, perché è possibile
ricostruire il passato a partire dal presente. A livello quantistico, invece, non sono possibili
i sistemi chiusi, e non è possibile ricostruire il passato a partire dal presente. Soltanto una
forma approssimata di memoria, secondo le linee che abbiamo appena tracciato, è possibile
a livello quantistico.
Le domande cui dà risposta il mio sistema filosofico sono le domande che interessano
qualunque forma di vita, in qualunque luogo dell’universo. Non mi pongo domande particolari sull’organizzazione della vita sociale della specie umana e qualunque tentativo di
dedurre conclusioni politiche, morali o sociali dal mio sistema filosofico è fuorviante. Per
prima cosa, non esiste alcuna legge fisica che suggerisca una nozione di morale, una legge
morale, un principio, di convenienza o di qualsiasi altra natura, che debba illuminare e
guidare il comportamento umano. Anzi, un qualunque principio del genere sfavorirebbe
l’indeterminazione, invece che amplificarla. Non sarebbe comunque lecito nemmeno fondare una legge “antimorale”, che privilegi ogni sorta di amplificazione dell’indeterminazione
quantistica sulla sua soppressione. In secondo luogo, è molto ingenuo cercare di fondare
una teoria della società, o della politica, che mimi, riproduca, o rifletta, i principi fisici
e le leggi generali imparate nella nostra indagine. La relazione tra il particolare e il generale è governata dalle leggi statistiche, che lasciano spazio ad ogni sorta di fluttuazione e
incalcolabilità, nei casi particolari. Dedurre una legge morale dall’armonia celeste, come
fa Kant, è soltanto uno stanco esercizio razionale, con poco o nullo valore filosofico. Per
questo chiamo superstiziosa la filosofia kantiana e chiamerei superstizione qualunque ten-
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tativo di mimare la mia filosofia per propagandare un’organizzazione sociale invece che
un’altra, qualunque tentativo di applicare, per analogia, le leggi fisiche laddove esse non
si applicano. Queste degenerazioni, paraltro ricorrenti nel corso della storia, sono frutto
di quel complesso che coglie colui che, nello studio della natura e delle sue leggi, si lascia
coinvolgere emotivamente, e piomba in uno stato contemplativo, di ammirazione esagerata
per la cosiddetta “bellezza” delle leggi fisiche, la loro “perfezione”, l’eleganza matematica, l’armonia e via dicendo, quando non c’è alcuna bellezza, né perfezione, come non c’è
bruttezza, né imperfezione, nelle leggi fisiche, né in alcuna parte dell’universo.
Possiamo chiederci a che punto è arrivato, colla specie umana, il grado di amplificazione
dell’indeterminazione quantistica elementare e quale sarà il futuro di questo processo di
amplificazione, di cui la specie umana rappresenta soltanto un anello, importante, ma non
fondamentale, né necessario. Saranno questi i temi di discussione del prossimo capitolo.
Ricordiamo comunque che le leggi fisiche non consentono di vaneggiare un processo di amplificazione ad oltranza, eterna, che punti ad uno scopo finale quale “l’universo vivente”,
cioè l’universo che prende decisioni su se stesso, una specie di spirito assoluto di stampo
hegeliano. Questo è incompatibile con il carattere locale dell’irreversibilità del secondo
movimento dell’irreversibilità quantistica, perché a livello globale prevale sempre e comunque il sasso, e la percentuale di materia vivente dell’universo è approssimativamente
conservata. Un “universo vivente” è concepibile soltanto come fluttuazione, temporanea
ed altamente improbabile. L’unico equilibrio globale possibile è quello sel sasso. La morte
è necessaria quanto la vita. Non c’è nessun movimento di espensione globale della vita. Se
la vita si espande in un luogo vuol dire che sta recedendo in un altro luogo. E comunque,
se proprio si vuol parlare di universo che prende decisioni su se stesso, si deve concludere
che questo succede in qualunque momento ed in qualunque luogo, a livello microscopico e
alle volte anche a livello macroscopico. L’irreversibilità quantistica è il motore immobile
di un movimento eterno senza scopo, né senso, né destinazione finale.
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Vita artificiale
I fenomeni quantistici sono rilevanti per comprendere il fenomeno della vita, anzi sono la
stessa vera essenza della vita in quanto fenomeno fisico. Abbiamo studiato come gli effetti
quantistici vengono amplificati alle scale di grandezze macroscopiche e abbiamo riconosciuto che questa amplificazione è la caratterizzazione intrinseca della materia vivente, che
la differenzia dalla materia non-vivente. Nella parte iniziale del libro e nei capitoli re62
16B1 AQL
centi ho anche spiegato che la mia filosofia è una sorta di filosofia sperimentale, nel senso
che fornisce delle predizioni sperimentalmente testabili. I test sperimentali possono falsificare o confermare la teoria. Dobbiamo ora indirizzare la ricerca sperimentale, ispirata
dalle idee sviluppate fin qui, avente come scopo la creazione di forme di vita artificiale,
attraverso l’amplificazione dell’indeterminazione quantistica alle scale di grandezza macroscopiche, possibilmente oltre l’essere umano, oppure oltre il pianeta terra, oppure oltre
la vita organica. Chiameremo questa disciplina di ricerca “cibernetica quantistica”. In
questo capitolo stabiliamo le linee-guida principali di questa ricerca, senza elaborare modelli concreti specifici, la cui realizzazione sarà compito dello sperimentatore. Il fallimento
o il successo della cibernetica quantistica sarà anche il fallimento o il successo della mia
filosofia.
Nella ricerca della vita artificiale si corre il rischio di imboccare strade senza uscita. Non
è affatto ovvio che sia conveniente studiare dettagliatamente, e cercare di imitare, le forme
di vita conosciute. Abbiamo stabilito in questo libro i principi-cardine del fenomeno della
vita, quei principi che la identificano rispetto a tutti gli altri fenomeni fisici dell’universo.
Questo bagaglio di conoscenza è sufficiente a procedere nella ricerca della creazione di forme
di vita artificiale indipendentemente dalle forme di vita oggi conosciute. La conoscenza
precisa delle strutture nelle quali sono organizzate le forme di vita conosciute può servire di
ispirazione, ma può essere limitativa, privando il ricercatore degli stimoli necessari a cercare
e percorrere strade diverse, completamente nuove. L’organizzazione delle forme di vita
organica può prestarsi assai malamente ad essere trasposta nelle forme di vita inorganica.
Osserviamo a questo proposito che nessuna delle leggi della natura che abbiamo studiato
privilegia in un qualche senso le forme di vita organica. La vita organica è soltanto una
possibilità fra le tante. Il fatto che la vita organica sia l’unica conosciuta e che abbia
avuto uno straordinario successo sul nostro pianeta non implica che la vita debba essere
necessariamente organica, perché questo non segue dai principi fondamentali della vita.
Non siamo comunque sicuri che non esistano forme di vita inorganiche, su altri pianeti,
che abbiano raggiunto un grado di espansione maggiore di quello raggiunto dalla vita sulla
terra. È preferibile rimuovere qualunque pregiudizio basato sulla conoscenza della vita
organica.
Un’altra tendenza fuorviante può portare molti ricercatori a concentrare i loro sforzi
nello studio dell’intelligenza artificiale, invece che la vita artificiale. L’intelligenza è una
particolare serie di fenomeni, tipici di una particolare specie vivente. Non esiste alcuna
connessione diretta tra l’intelligenza e i principi fondamentali della vita. È più conveniente
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16B1 AQL
cominciare la ricerca della creazione di vita artificiale dalle forme di vita inorganica più
semplici e stupide, di dimensioni relativamente piccole, possibilmente mutevoli e facilmente
adattabili, in grado di riprodursi velocemente e in grande quantità, più pronte a colonizzare
il cosmo: creature che potremmo chiamare vermi quantistici, o insetti quantistici. Cercare
di capire come funziona precisamente il cervello umano per poi imitarlo o potenziarlo può
essere uno sforzo inutile. È sicuramente una strada da percorrere, anche quella, ma senza
insistere troppo su di essa a discapito delle altre strade percorribili. Lo scopo finale è la
creazione di vita nuova, non di intelligenza.
Si può procedere secondo linee-guida diverse e tra queste io prediligo la ricerca che
non fa alcun, o quasi alcun riferimento alla vita organica, ma procede indipendentemente,
a partire dalle strutture più semplici di biforcazioni quantistiche connesse in serie, come
quelle esemplificate nei capitoli precedenti. Un grande vantaggio della vita organica è
quello di non essere vincolata al pianeta terra, all’atmosfera. Potrebbe nutrirsi di energia
solare, riprodursi dopo aver collezionato una quantità sufficiente di materia durante i suoi
viaggi cosmici. La durata della vita di un individuo inorganico potrebbe essere lunghissima,
rispetto alla durata della vita di un individuo organico. Occorre esplorare tutte le strade
possibili, ma soprattutto fare in modo che questi esseri continuino il lavoro di esplorazione
da soli, perché in questo consiste principalmente il potenziamento e l’amplificazione dell’indeterminazione quantistica su scale di grandezza sempre maggiori.
Un’altra strada possibile è quella di cercare di potenziare le forme di vita esistenti, cioè
continuare lungo il percorso tracciato fin qui dalla vita organica, attraverso l’ingegneria
genetica e le manipolazioni dei geni e del DNA. Credo che questa strada sia la più difficile,
perché richiede lo studio, da realizzarsi in un tempo relativamente breve, del funzionamento
delle strutture già esistenti, che sono state costruite, pezzo dopo pezzo, in miliardi di anni,
codificare una struttura come quella del genoma che non presenta alcuna regolarità, alcun ordine. Riconoscere il ruolo di ciascun gene con una precisione tale da permetterci di
manipolare questa struttura o di riprodurla è troppo difficile. In questo campo, possiamo
sicuramente ottenere risultati rilevanti per soddisfare una serie di bisogni dell’umanità, in
particolare curare malattie o rimuovere deficienze, ma non credo che questa ricerca posa
servire da base per la creazione di forme di vita artificiale che siano in grado di colonizzare
il cosmo, o perlomeno credo che questo programma sia molto più difficilmente realizzabile
del programma che non fa alcun riferimento alle forme di vita organica. Si può pensare
anche a forme di simbiosi tra la vita organica e la vita inorganica, in cui i centri decisionali
sono soltanto organici, e la parte organica è usata per attrezzare l’organismo di arti e organi
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inorganici più potenti. Possiamo potenziare la memoria, l’intelligenza, la sensibilità, i movimenti, i riflessi, la forza fisica, le dimensioni del corpo, la durata della vita. Effettivamente,
per raggiungere questo tipo di risultati, può non essere strettamente necessario comprendere a fondo il funzionamento della struttura organica. Probabilmente in futuro saremo
in grado di usare gli esseri viventi “comuni” per produrre interi cervelli, non soltanto tessuti cerebrali, da connettere poi ad articolazioni e muscolature inorganiche. Questo tipo
di risultato, però, non sarebbe completamente soddisfacente, perché non sarebbe molto
diverso dal potenziare le capacità dell’essere umano tramite l’automobile, l’aereo, il computer. Non si tratterebbe di vera creazione di nuova vita, non sarebbe un vero potenziamento dell’indeterminazione quantistica, ma soltanto un potenziamento indiretto. Per
fare dei veri passi avanti lungo la strada dell’amplificazione dell’irreversibilità quantistica,
si deve intervenire direttamente all’interno delle strutture decisionali esistenti, o costruirne
di nuove. Oppure costruire strutture decisionali, in parte organiche e in parte inorganiche,
ma a questo punto vale forse la pena di tentare construzioni completamente inorganiche.
In ogni caso, si tratta di opzioni da tenere in debita considerazione, per non lasciare nulla
di intentato.
Se vogliamo dare un “senso” alla presenza dell’uomo sulla terra, fatto salvo che non
esiste un senso oggettivo, né del cosmo come un tutto, né di una sua parte, potremmo attribuirgli il compito qui delineato, quello della creazione della vita artificiale, per permettere
alla vita di svincolarsi dal pianeta terra e colonizzare il cosmo, cosı̀ come gli anfibi riuscirono a svincolare la vita dall’acqua per permettere la colonizzazione della terra. Questo è
il compito, questa è la missione dell’essere umano. È ingenuo, invece, investire l’uomo del
compito di dominare il mondo. Ogni forma di vita è un ponte tra due forme di vita, una
precedente e una successiva, non necessariamente quella successiva più evoluta di quella
precedente, oppure un ponte tra una forma di vita precedente e la morte, l’estinzione, la
sparizione. L’uomo è un anello di una lunga catena, e potrebbe essere l’ultimo anello di
quella catena. Tutti i nostri antenati hanno realizzato la loro missione, hanno connesso una
forma di vita precedente ad una successiva. Noi non abbiamo ancora realizzato la nostra
missione. Se non la realizzeremo, spariremo. Se la realizzeremo, finiremo al massimo nelle
riserve, o negli zoo dei nostri successori più evoluti, i quali verranno di tanto in tanto a
farci visita, cosı̀ come noi oggi facciamo visita ai nostri antenati in gabbia. In ogni caso, la
nostra storia non può avere lieto fine. Sarebbe meglio tenerne conto, ogni tanto, e limitare
una presunzione di centralità, o superiorità, che ancora oggi è dura a morire. A poco vale
compiacersi delle conquiste del progresso tecnologico e scientifico. La verità è che nonos-
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tante il nosto progresso noi non abbiamo ancora assolto al nostro compito, quando tutti
i nostri antenati hanno assolto al compito loro. Le conquiste del progresso umano sono
ben poca cosa rispetto al progresso ottenuto con la realizzazione, ad esempio, di un organo
come l’occhio. Non il computer o il telefonino, non le superstizioni filosofiche di un Kant o
un Cartesio, e nemmeno le garanzie sociali e i diritti politici possono giustificare la nostra
infinita presunzione di essere speciali nel cosmo.
È chiaro che nella ricerca della vita artificiale, è necessario un certo grado di altruismo,
per poter dare vita agli esseri che un giorno forse ci metteranno nei loro zoo. L’intelligenza
umana può essere un carattere sfavorevole, in questo contesto, perché alimenta la presunzione che l’essere umano sia “speciale”, la primadonna del cosmo, svincolato dalle leggi a
cui è sottoposto tutto il resto della natura. L’intelligenza, inoltre, alimenta l’egoismo, il
desiderio di primeggiare, e la gelosia nei confronti di quegli esseri che ci succederanno e
saranno più potenti di noi. Difficilmente un essere intelligente può accettare di rinunciare
alla sua posizione di (presunta) centralità. La specie umana conoscerà la decadenza comunque, a un certo punto, e l’unica cosa che rimane da vedere è se decadrà senza aver
assolto al suo compito o avendo compiuto la sua missione. La decadenza sopraggiungerà
comunque, ineluttabilmente. Prima di quel momento, è necessario aver gettare le basi
affinché altri, non noi, possano continuare da soli, indipendentemente da noi, lungo il
cammino del secondo movimento dell’irreversibilità quantistica.
L’intelligenza, la razionalità, la rielaborazione della conoscenza memorizzata, può, entro certi limiti, permettere di elaborare modelli della realtà esterna, su cui simulare le
conseguenze possibili delle nostre azioni, e permettere di decidere in base al risultato di
questo tipo di analisi se attuare quelle azioni o meno. Nella ricerca della vita artificiale,
l’intelligenza può permetterci di risparmiare tempo e sforzo, facendoci rinunciare a percorrere strade infruttifere. Tuttavia, è bene anche ricordare che l’intelligenza è un fenomeno
derivato, secondario, mentre il fenomeno fondamentale è il caso. Ciò che può essere abbracciato dalla ragione è limitato, approssimato. Non c’è invece alcun limite a ciò che può
abbracciare il caso. La strada che la ragione ci mostra più sconveniente può rivelarsi la
migliore nel lungo termine. La storia ci insegna che l’essere umano persevera per secoli nelle
convinzioni razionali più sbagliate, più ingenuamente sbagliate. I ragionamenti razionali
sono anch’essi getti di dadi, tentativi come ogni altro tentativo, soggetti essi stessi alle leggi
universali del caso e della probabilità. Possono funzionare in un gran numero di situazioni,
ma non in tutte le situazioni, né per sempre. Non sto qui parlando di teoremi applicabili
a sistemi semplici, idealizzati, in cui tutte le variabili in gioco sono note per definizione.
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Sto considerando il ruolo che l’intelligenza umana può svolgere in una ricerca, come quella
della vita artificiale, in cui siamo ben lontani dal tenere sotto controllo tutte le variabili in
gioco, dove pertanto esiste sempre un margine di rischio, nel momento in cui si rinuncia
a percorrere una strada perché la si giudica infruttifera. D’altra parte, percorrere tutte le
strade possibili può essere proibitivo. La stessa conoscenza del principio di indeterminazione, dell’irreversibilità quantistica e di tutto il sistema filosofico elaborato qui, può essere
un vantaggio o può non esserlo. Le nostre azioni, anche la scrittura di questo libro, non
sono altro che getti di dadi, o combinazioni di getti di dadi. Queste idee potrebbero essere
corrette o sbagliate. Anche se corrette, potrebbero essere ignorate. Anche se corrette e
seguite, i tentativi intrapresi per la loro realizzazione pratica potrebbero essere insufficienti. D’altra parte, specie viventi che non sanno né possono sapere nulla di irreversibilità
quantistica potrebbere arrivare prima di noi al risultato. Esseri piccoli, che si riproducono
facilmente e in gran numero, velocemente adattabili all’ambiente esterno, come gli insetti,
potrebbero generare organismi in grado di superare la barriera dell’atmosfera, rompere il
cordone ombelicale che lega la vita al pianeta terra e colonizzare il cosmo. Probabilmente
ci stanno già provando, con un ritmo e una velocità che noi non ci sognamo nemmeno.
La nostra intelligenza, insomma, non ci favorisce rispetto agli esseri viventi dotati di
mezzi più grezzi e semplici, come la legge del numero, propria degli gli insetti, per esempio.
Vediamo allora di classificare i tentativi principali, intrapresi dalle forme di vita terrestri,
per massimizzare il grado di amplificazione macroscopica dell’irreversibilità quantistica.
Sul pianeta terra sono stati compiuti o sono in via di compimento tre grandi tentativi
di amplificazione ulteriore dell’irreversibilità quantistica, basati sulle dimensioni corporee
(rettili), sull’intelligenza (mammiferi), e sul numero (insetti). È bene ricordare infatti, per
confutare la gratuita presunzione umana, che non siamo i primi a dominare il pianeta.
Prima di noi ci furono i rettili, e non è detto che noi faremo una fine più gloriosa. Forse
lasceremo ai nostri successori un cimitero di ossa, lattine e dischetti. I rettili fecero un tentativo di amplificazione basato sulle grandi dimensioni corporee dell’individuo. Si estinsero,
probabilmente nel momento di massima espansione, perché quelle dimensioni corporee erano troppo grandi rispetto alle dimensioni del pianeta, alle risorse del pianeta, e al numero
minimo di individui necessari per autosostenere la specie e garantirne la sopravvivenza.
Probabilmente, le cose sarebbero andate diversamente su un pianeta di dimensioni più
grandi. Mentre scomparivano i rettili, si stavano facendo strada esseri dalle dimensioni più
ridotte, sufficienti tuttavia a sviluppare un’intelligenza, e sfruttare la versatilità di questo
strumento e la conseguente migliore e più veloce adattabilità all’ambiente esterno. La
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specie umana sta probabilmente conoscendo il momento di massima espansione in questo
periodo. Sta dominando il pianeta, nel senso che lo sta occupando con un gran numero di
individui. Eppure non sembrano esserci facili vie di espansione futura. Da una partre non
è possibile consentire un aumento incontrollato della popolazione del pianeta. Dall’altra
parte, non è facile, come si credeva ingenuamente qualche decennio fa, uscire dal pianeta
terra per mezzo di astronavi e viaggi interplanetari. In questo problema sono coinvolte
scale di grandezza troppo grandi e intervalli di tempo troppo lunghi rispetto alle nostre
dimensioni e la durata della nostra vita. Le forme di vita inorganica sarebbero indubbiamente molto più avvantaggiate. Se la specie umana sarà, come probabilmente succederà,
costretta a sopravvivere compressa sul pianeta terra per qualche secolo ancora, farà quasi
sicuramente la fine degli abitanti dell’Isola di Pasqua, esempio di ambiente isolato dal
resto del mondo, in cui la popolazione si sviluppò e la civiltà conobbe un momento di
grande fioritura, ma non appena fu raggiunto il momento di massima espansione, compatibile colle dimensioni e le risorse dell’isola, iniziò un veloce ed inarrestabile regresso,
che ridusse gli abitanti dell’isola ad uno stato semi-primitivo. Si tratterà di vedere se il
nostro declino inizierà prima o dopo la creazione della vita artificiale, cioè se avverrà o
meno il passaggio del testimone a forme di vita inorganica in grado di colonizzare il cosmo,
svincolati dalle nostre limitazioni terrestri. Nel frattempo, altri esseri stanno sopraggiungendo, di dimensioni ancora più piccole, cioè gli insetti. Gli insetti stanno lavorando al loro
tentativo particolare, per proporre la loro strada verso l’amplificazione dell’indeterminazione quantistica. Il tentativo degli insetti si basa sul numero degli individui e l’evoluzione
veloce. La durata della vita di un individuo è ridotta, come sono ridotte le dimensioni
dell’individuo. L’intelligenza è bassa, inutile, poiché la velocità di evoluzione consente di
sviluppare organi con una precisione da fare impallidire le nostre migliori strumentazioni.
Probabilmente, con questo metodo gli insetti potranno davvero riuscire, un giorno, a produrre degli esseri in grado di sopravvivere nel cosmo e colonizzarlo. Bisogna anche notare
che per caratteristiche e dimensioni, gli insetti hanno maggiori possibilità di stabilire un
ponte verso forme di vita inorganica. Tutto ciò senza conoscere nulla delle leggi della fisica,
senza sapere nulla dell’irreversibilità quantistica, senza aver mai letto questo libro. Senza
“conoscere” nel senso nostro, naturalmente, ma conoscendo benissimo e perfettamente nel
senso loro, basato sulla sperimentazione diretta delle leggi della natura, tramite selezione
ed evoluzione. Se devo esprimere un parere personale, credo che gli insetti stiano percorrendo una strada più promettente della nostra. Le dimensioni dell’essere umano potrebbero
essere ancora troppo grandi rispetto alle dimensioni e risorse del pianeta. Inoltre, la nostra
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civilità si sta incamminando lungo strade dubbie. Vogliamo allungare la vita del singolo
individuo, vogliamo consentire a tutti di procreare, e a qualsiasi età, facciamo duplicati,
cloni, crediamo davvero di essere svincolati dalle leggi della natura e dell’evoluzione. Una
volta varcata la sommità del profilo a dune della figura, la discesa è ripida, inarrestabile.
Alcuni passi falsi sono consentiti, troppi hanno conseguenze irreversibili. L’uomo sta camminando su una corda tesa, come un funambolo. Può cadere o arrivare alla meta. In
ogni caso, il tentativo che stiamo facendo non è ancora fallito, anzi. Anche questo libro
fa la sua parte, nel grande giodo dei getti di dadi che muove il mondo. La divulgazione
delle idee di questo libro può aumentare le probabilità di riuscita. Potrebbe non avere
effetto alcuno o conseguente meno rilevanti di quelle previste (vermi, insetti e bambolotti
quantistici come giocattoli per bambini: un grande affare commerciale!), oppure portare
veramente alla creazione della vita artificiale. Ora bisogna iniziare la ricerca sperimentale
in questo campo. Il primo compito è quello di risolvere alcuni problemi pratici, soprattutto
riuscire a produrre e controllare biforcazioni quantistiche di dimensioni più piccole possibili, in modo da poterne combinare il maggior numero possibile nel minor spazio possibile.
Gli attuali generatori di numeri casuali basati sui fenomeni quantistici sono ancora troppo
grandi e troppo macchinosi. Occorre trovare sistemi fisici adatti, più pratici. L’avventura
è solamente agli inizi.
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