Visualizza in PDF

Download Report

Transcript Visualizza in PDF

10
PRIMO PIANO
Giovedì 2 Febbraio 2017
Nasce il nuovo femminismo. Già 320 tra associazioni e collettivi hanno aderito
8 marzo: non festa ma sciopero
«Il piacere è una questione intimamente nostra, come l’anima»
DI
CARLO VALENTINI
L’
8 marzo? Da festa a
sciopero. Per ora riservato alle donne. Che
però hanno lanciato
un appello ai sindacati perché
«proclamino uno sciopero generale per l’8 marzo. La presa
di posizione della Cgil contro
la violenza sulle donne dovrebbe passare anche attraverso
l’appoggio al nostro sciopero,
aiutando le donne a metterlo
in pratica. Uno sciopero in cui
riaffermare la nostra forza a
partire dalla nostra sottrazione:
una giornata senza di noi, in cui
rivendicare con forza che se le
nostre vite non valgono, allora
non produciamo».
Torna il femminismo. Lo
sostengono le 1400 che si sono
iscritte per partecipare alla manifestazione nazionale «Non
una di meno», che si svolgerà a
Bologna il 4 e 5 febbraio. Hanno
aderito 320 associazioni e collettivi. Dice Anna Pramstrahler,
una delle organizzatrici: «Provenienti da tutta Italia, da Catania
a Torino, le donne si riuniranno
per organizzare un vero e proprio sciopero in occasione dell’8
marzo che accomunerà una ventina di Paesi del mondo».
L’iniziativa bolognese
segue la manifestazione romana del 26 novembre in cui,
a detta dei promotori, oltre
duecentomila persone scesero in piazza contro la violenza
alle donne. «Ciò che è accaduto
in novembre a Roma –è scritto
nel manifesto di convocazione
per Bologna- è solo l’inizio di
un nuovo e potente movimento femminista. Ora la sfida è
tutta in avanti. La retorica del
vittimismo è funzionale al nostro addomesticamento e alla
marginalizzazione e quindi la
rifiutiamo. La potenza politica
delle donne invade le strade e
sovverte l’ordine del discorso».
Insomma, neofemministe di
tutt’Italia, ri-unitevi. «L’esempio ce lo danno le donne di altri
Paesi -afferma Paola Rudan,
del collettivo Connessioni Precarie- come lo sciopero polacco
contro il progetto del governo di
abolire la legge sull’aborto per
finire alla marcia delle donne
statunitensi contro il presidente Donald Trump».
A galvanizzare quel che
è rimasto del femminismo è
stata anche la grande marcia
delle donne anti-Trump di Washington. Un’onda rosa a cui ha
parlato, dal palco, la senatrice
Elizabeth Warren, potente e
ascoltatissima voce della sinistra americana: »Adesso possiamo o piagnucolare o combattere». Ovvio che la scelta ricada
sulla seconda soluzione. Da
questa marcia è nato anche il
nuovo simbolo del femminismo,
il cappello rosa in lana con due
finte orecchie Pussyhat, creato da due californiane, Krista
Suh e Jayna Zweiman. Ma il
movimento s’è diviso (come for-
se avverrà in Italia, anche negli
anni 70 successe) tra guerra o
pace coi maschi. Se la Warren
ha invitato gli uomini a solidarizzare, l’attrice Gwyneth
Paltrow non ne vuole sentire
palare, lei sostiene di essere «la
paladina della vagina quale
tempio da conservare».
Come si regoleranno le neofemministe italiane? Nella
parte convegnistica (nelle aule
della facoltà di giurisprudenza)
della due-giorni bolognese saranno affrontati i temi che poi
formeranno il documento alla
base dello sciopero dell’8 marzo: lavoro e welfare, educazione
alle differenze, femminismo migrante, sessismo nei movimenti, diritto alla salute sessuale e
riproduttiva, narrazione della
violenza attraverso i media e
percorsi di fuoriuscita dalla
violenza.
La Cgil ha aderito all’iniziativa ma non ha ancora
preso posizione sull’8 marzo. Il
sindacato di Susanna Camusso
appare diviso e sembra possa
uscire dall’impasse dando libertà alle singole rsu, gli organismi
sindacali in azienda, di decidere
in autonomia in che modo comportarsi. Invece alcuni sindacati
di base (Usb, Slai Cobas, Cobas e
Usi) hanno già indetto la giornata di sciopero. «Abbiamo proposto- aggiunge Paola Rudan- a
Usb e Cobas di unire nella data
dell’8 marzo lo sciopero indetto
per il 17 marzo contro la Buona
Scuola. Si tratta di un tema che
è terreno di battaglia per le lotte
femministe e crediamo che due
scioperi a distanza così ravvicinata non siano sostenibili».
Il revival del femminismo
PUNTURE DI SPILLO
Svolta: Floris adesso ha scoperto
che esistono anche i poveri benestanti
DI
GIULIANO CAZZOLA
Svolta nel filo conduttore dei talk show. Non
siamo più il Biafra. A «Di martedì» Giovanni
Floris si è accorto non solo che in Italia esistono i ricchi e che amano il lusso, ma che vi sono
anche tanti «poveri benestanti».
***
Emmanuel Macron è uno dei candidati
nelle elezioni presidenziali francesi. A noi
piace perché invita i suoi sostenitori a presentarsi alle manifestazioni portando con sé
la bandiera dell’Unione europea. Che cosa
si deve fare per avere un Macron anche in
Italia?
***
Ci fu un tempo in cui in Parlamento c’erano
cavalca innanzi tutto la questione della violenza sulle donne. Dal 2006 al 2016 le donne
uccise in Italia sono state 1.740
e di queste 1.251 (il 71,9%) in
famiglia, 846 (il 67,6%) all’interno della coppia, 224 (il 26,5%)
per mano di un ex compagno,
fidanzato o marito. «È un momento storico importante – afferma Anna Pramstrahler
- la manifestazione di Roma ci
ha mostrato che il femminismo
non è morto ma è diffuso socialmente».
La bozza del documento
neo-femminista che sarà presentato domenica ricalca, più o
meno, le parole d’ordine degli
anni 70: «Rifiutiamo l’oppressione psicologica, culturale e isti-
i monarchici, divisi addirittura in due partiti: il partito monarchico nazionale di Alfredo
Covelli e il partito monarchico popolare di
Achille Lauro, a lungo sindaco di Napoli. Oggi
dobbiamo accontentarci dei «sovranisti».
***
Ho scoperto che esiste in Italia un Fronte
Sovranista Italiano (FSI) che ha lanciato un
Appello al popolo dal titolo: « Sovranismo o
barbarie: difendere gli stati sovrani dall’attacco della globalizzazione neoliberista». I
suoi adepti non sono stati in grado neppure di trovare una parola d’ordine originale.
«Comunismo o barbarie» era uno slogan degli anni ’70 a cui le persone di buon senso
rispondevano: «barbarie, grazie». È quanto
diciamo ai «sovranisti», oggi.
tuzionale che relega le donne
in ruoli stereotipati, l’abbattimento delle risorse destinate ai
centri antiviolenza, la precarietà
e i tagli del welfare che ci obbligano a svolgere il lavoro di cura
e riproduttivo gratuitamente o in
cambio di un misero salario, gli
attacchi alla libertà sessuale e ai
diritti riproduttivi, le discriminazioni e le gerarchie di genere che
fin dai banchi di scuola invadono
i media e l’intera società, il razzismo che colpisce ogni giorno le
migranti».
Un esempio di questo ritrovato attivismo femminista
è stato l’incontro a Roma (il 17
gennaio) sul Piano nazionale antiviolenza, sbandierato ad ogni
femminicidio ma in realtà mai
arrivato all’approvazione dei politici, i quali hanno invece insediato una «commissione d’inchiesta
su fenomeno del femminicidio».
Servirà?
Intanto una femminista
storica, Edith Bruck, scrittrice ungherese naturalizzata
italiana, plaude al risveglio del
femminismo: «Attraverso la rete
si possono far scendere in piazza una moltitudine di donne in
tutti il mondo a difesa dei diritti umani, della giustizia, delle
legalità, dei diritti delle donne,
come avvenuto recentemente con
l’elezione di Trump che ha dato
avvio a un «nuovo femminismo»
attivo, proprio come quello degli
anni Settanta».
Twitter: @cavalent
DOPO L’OPUS DEI, ALTRA PRELATURA: UNA DIOCESI SENZA TERRITORIO, CON UN PROPRIO SEMINARIO
I lefevriani tornano nella Chiesa
Anche se le resistenze e i problemi sono ancora molti
Q
DI
ANTONINO D’ANNA
uale deroga avrà ottenuto monsignor Bernard Fellay, superiore
della Fraternità Sacerdotale San
Pio X (ossia i lefebvriani) per dire
in tv la sera del 27 gennaio scorso che la
discussa apertura del Papa alla Comunione per i divorziati risposati: «È la sua preoccupazione per le periferie esistenziali»?
Domanda che sorge spontanea malgrado
la frase, abbastanza neutra, ma che viene
da una bocca che sullo stesso tema, meno
di un anno fa, aveva pronunciato questa
frase: «È gravissimo! Gravissimo! Credo
che non si misuri sufficientemente la gravità di ciò che è stato detto». Era l’aprile
2016 (fonte: Fsspx, Distretto italiano, predica di monsignor Fellay al Santuario di
Puy en Lay).
La mazzata targata Lefebvre era arrivata con questa dichiarazione sull’Amoris Laetitia, l’esortazione postsinodale della discordia, sempre in quell’occasione: «Il
Sommo Pontefice ha fatto un buco nella
chiglia della barca...È inutile dire che il
buco è stato fatto prendendo tutte le pre-
cauzioni possibili, è inutile dire che il buco
è piccolo: la barca affonda!». Perché, spiegò:
«Non c’è eccezione alla legge di Dio».
Acqua (santa?) evidentemente
passata, allora, se il capo dei lefebvriani
ha potuto commentare serenamente davanti alle telecamere di Tv Liberté, nella
trasmissione Terres de Mission, la discussa apertura papale sulla Comunione ai
divorziati risposati. E pensare che Fellay
non aveva avuto esitazioni nel parlare, in
passato, del modernismo di Jorge Mario
Bergoglio. In compenso alle domande
dell’intervistatore ha anche annunciato
che il dialogo (verso la prelatura personale) sarebbe a buon punto.
Quindi: accanto all’Opus Dei nel
giro di diciamo uno-due anni potrebbe
arrivare nella Chiesa cattolica una seconda prelatura, cioè una diocesi senza territorio, con un proprio seminario e clero
ordinato esattamente come l’Opera (con
la differenza che l’Opus Dei non ha mai
messo in discussione il Concilio Vaticano
II) che a questo punto non accetterebbe o
comunque considererebbe in modo molto
restrittivo le innovazioni rappresentate
dal Vaticano II e che spinsero il fondatore
della Fsspx, monsignor Marcel Lefebvre,
a mettersi in rotta col Vaticano.
Ma c’è di più: nel corso dell’intervista a monsignor Fellay è stato chiesto
qualcosa sul centenario delle apparizioni
mariane di Fatima. Il capo dei lefebvriani
ha detto che il messaggio di Fatima contiene elementi alcuni conosciuti ed altri
sconosciuti (ma l’allora cardinale Joseph
Ratzinger, nel 2000, non aveva detto che
tutto era stato rivelato?). Ha riaffermato
la richiesta della Madonna di consacrare
la Russia al suo Cuore Immacolato (ma
Suor Lucia, la veggente, non aveva detto
che la consacrazione fosse stata fatta da
Giovanni Paolo II nel 1984?) e che la
Russia – dopo questa consacrazione - si
convertirà al cattolicesimo, riunendosi a
Roma.
Torneranno a breve nella Chiesa e
dalle loro fila un domani potrebbe quindi
uscirne un Papa: chi lo va a raccontare agli
Ortodossi e a Vladimir Putin, visto che
in Russia Ortodossia e potere politico vanno a braccetto da sempre? E i progressisti
non avranno nulla da dire a Francesco?