L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 23 (47.457)
Città del Vaticano
domenica 29 gennaio 2017
.
Ai consacrati Papa Francesco chiede di valorizzare la vita fraterna in comunità
Incontra May e limita l’immigrazione da alcuni paesi
Bisogna dire no
alla cultura del provvisorio
Trump
non si ferma
«Immersi nella cosiddetta cultura
del frammento, del provvisorio, che
può condurre a vivere “à la carte” e
a essere schiavi delle mode», la vita
consacrata sta subendo una “emorragia” «che indebolisce la stessa Chiesa». Per questo occorre valorizzare la
vita fraterna in comunità, offrendo al
mondo una testimonianza di «speranza e gioia». È quanto ha raccomandato Papa Francesco alla plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di
vita apostolica, ricevuta sabato 28.
Preoccupato perché «le statistiche
dimostrano» un numero crescente di
“abbandoni” nelle congregazioni religiose, il Pontefice ha elencato i
«fattori che condizionano la fedeltà
in questo cambio di epoca, in cui risulta difficile assumere impegni seri
e definitivi». E ha ricordato la vicenda di «un bravo ragazzo impegnato
in parrocchia» che voleva «diventare
prete, ma per dieci anni». Ecco allora come «il primo fattore che non
aiuta a mantenere la fedeltà» sia «il
contesto sociale» odierno segnato
dalla «cultura del provvisorio», la
quale «induce il bisogno di avere
sempre delle “porte laterali” aperte
su altre possibilità». Inoltre, ha aggiunto il Papa, «viviamo in società —
ha commentato — dove le regole
economiche sostituiscono quelle morali, dettano leggi e impongono sistemi di riferimento»; società in cui
regna «la dittatura del denaro».
Il secondo elemento individuato
dal Pontefice riguarda «il mondo
giovanile» considerato «non negativo», ma comunque «complesso, ricco e sfidante. Non mancano — ha
spiegato — giovani generosi, solidali
e impegnati». Però anche tra loro
«ci sono molte vittime della logica
della mondanità». Il terzo fattore in-
dicato invece «proviene dall’interno
della vita consacrata, dove accanto a
tanta santità, non mancano situazioni di contro-testimonianza». Tra
queste «la routine, la stanchezza, le
divisioni interne, la ricerca di potere
— gli arrampicatori — un servizio
dell’autorità che a volte diventa autoritarismo e altre un “lasciar fare”».
Ma il Papa non si è limitato a criticare, ha anche suggerito un itinerario incentrato sulla speranza e sulla
gioia. Perché, ha aggiunto a braccio,
è questo che «ci fa vedere come va
una comunità. C’è speranza, c’è
gioia? Va bene. Ma quando viene
meno la speranza e non c’è gioia, la
cosa è brutta». Da qui l’invito a curare la vita fraterna in comunità, dal
cui rinnovamento dipendono «il risultato della pastorale vocazionale e
la perseveranza dei fratelli e delle sorelle giovani e meno giovani».
Infine il Papa ha rimarcato l’importanza
dell’accompagnamento,
suggerendo di investire «nel preparare accompagnatori qualificati». E
in proposito ha sottolineato come «il
carisma dell’accompagnamento, della direzione spirituale» sia “laicale”.
«Prendetevi cura voi — ha esortato i
presenti — dei membri della vostra
congregazione. È difficile mantenersi
fedeli camminando da soli, o camminando con la guida di fratelli e sorelle che non siano capaci di ascolto,
o che non abbiano un’adeguata
esperienza. Mentre — ha concluso —
dobbiamo evitare qualsiasi modalità
di accompagnamento che crei dipendenze, che protegga, controlli o renda infantili, non possiamo rassegnarci a camminare da soli, ci vuole un
accompagnamento vicino, frequente
e pienamente adulto».
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Per un duplice attentato compiuto nella parte orientale della città
Decine di vittime civili a Mosul
BAGHDAD, 28. Orrore senza fine in
Iraq. Due attentatori suicidi a bordo
di due autobombe si sono fatti
esplodere ieri nella zona orientale di
Mosul, da poco sottratta al controllo
dei jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is). Il duplice attacco — spiegano fonti della stampa locale — ha
causato «decine di vittime tra i civili», anche se un bilancio ufficiale
non è ancora disponibile. «Due
esplosioni si sono verificare nel quartiere Rashidiya e nelle zone verdi vicine causando decine di vittime, la
maggior parte civili» ha detto Saeed
Mamuzini, funzionario del Kurdistan Democratic Party (Kdp) per gli
affari di Mosul, con sede a Rudaw.
L’attacco, uno dei più sanguinosi
degli ultimi anni in Iraq, conferma
l’alto livello di instabilità che ancora
caratterizza Mosul e quindi tutte le
difficoltà che le truppe di Baghdad
stanno incontrando nella lotta contro i jihadisti dell’Is. L’offensiva su
Mosul era stata lanciata il 17 ottobre
scorso. Il governo iracheno aveva
pronosticato la conclusione delle
operazioni per la fine dell’anno, ma
poi è stato costretto a cambiare versione più volte. «Sono necessari ancora tre mesi» ha dichiarato di recente Haydar Al Abadi, premier iracheno, mentre gli ufficiali sul terreno
parlano di almeno sei mesi per concludere tutte le operazioni e controllare la città.
La situazione è dunque instabile.
Al momento, i governativi — supportati dalla coalizione internazionale a
guida statunitense — hanno ripreso il
controllo della parte est della città;
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Yemen minacciato
dalla carestia
da poco è partita l’operazione per la
riconquista dei quartieri occidentali.
Tuttavia, valicare il fiume, penetrare
e “ripulire” dai jihadisti la parte occidentale, col centro densamente abitato dai civili (si calcola ne siano rimasti circa 750.000) si annuncia impresa molto ardua. I ponti sul corso
d’acqua sono stati distrutti dai miliziani dell’Is o danneggiati dalle
bombe degli aerei della coalizione.
L’urbanistica, poi, favorisce i jihadisti, permettendo il posizionamento
di bombe, cecchini e mine.
Gli analisti dicono che a Mosul
ovest i jihadisti stanno combattendo
soprattutto con droni e cecchini, e si
servono di tunnel scavati per proteggersi e per sbucare alle spalle dei nemici. È aumentato poi il ricorso ad
autobombe blindate, dunque difficili
da fermare. Ne sono state lanciate
circa 900 contro gli attaccanti di cui
260 contro le forze speciali del Servizio antiterrorismo iracheno (Ictf).
Nel mese di dicembre, le perdite
consistenti, anche tra le truppe d’élite, avevano indotto i comandi iracheni a una pausa di due settimane
per riprendere respiro e studiare tattiche più consone agli ostacoli trovati. All’inizio del 2017 le manovre erano riprese con l’importante risultato
di arrivare appunto al fiume, dopo
aver liberato i palazzi dell’università
(la seconda per importanza dell’Iraq) pieni di miliziani che — secondo le testimonianze — avevano
trasformato le aule in centri studi
per la produzione bellica (si teme
persino di armi chimiche) e dove era
stato installato un centro per pianificare la resistenza.
Sullo sfondo delle operazioni militari, c’è il dramma degli sfollati e
di quanti stanno cercando di tornare
alle loro case nelle zone liberate. So-
Le trasformazioni del collegio cardinalizio
Scelti
da tutto il mondo
Un bambino denutrito in un ospedale di Sana’a (Epa)
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no migliaia gli iracheni che hanno
fatto rientro nella parte orientale di
Mosul secondo gli ultimi dati forniti
dalla Mezzaluna rossa. Le condizioni di vita restano tuttavia molto precarie: nella città manca tutto,
dall’elettricità ai beni alimentari e ai
servizi medici. «Circa 5200 persone
hanno lasciato i campi per sfollati di
Al-Khazir e Hassan Sham e sono
tornate nei quartieri orientali liberati
della città» ha detto all’agenzia di
stampa Anadolu Iyad Rafid, funzionario della Mezzaluna rossa. «Le
squadre di soccorso hanno distribuito più di 800 pacchi alimentari ai residenti del distretto di al-Mithaq, a
Mosul Est» ha reso noto Zaki Yakoub, direttore della Mezzaluna rossa nella provincia di Ninive, dove si
trova Mosul.
WASHINGTON, 28. «Le relazioni tra
Stati Uniti e Gran Bretagna non
sono mai state più forti». Con queste parole, ieri, il presidente statunitense, Donald Trump, ha salutato
la visita a Washington del premier
britannico, Theresa May. Tanti i temi sul tavolo del summit: dal commercio alla lotta al terrorismo islamico fino ai rapporti con la Nato e
con l’Europa. Oggi Trump avrà
colloqui telefonici con il presidente
russo, Vladimir Putin, il cancelliere
tedesco Angela Merkel, il presidente francese François Hollande e
con il capo del governo nipponico
Shinzo Abe.
La conferenza stampa congiunta
è durata soltanto 18 minuti, tanto è
bastato per riassumere i nodi fondamentali di un’intesa storica, che
oggi conosce un nuovo capitolo. Il
risultato più concreto è stato un alleggerimento dei toni sull’Alleanza
atlantica,
organizzazione
che
Trump aveva definito «obsoleta».
Ieri May ha rassicurato che il capo
della Casa Bianca «appoggia al
cento per cento la Nato», anche se
«giustamente chiede che anche gli
altri paesi membri facciano uno
sforzo» per condividerne gli oneri
economici. I due leader si sono
detti concordi sulla necessità di ridare slancio all’economia. «Dobbiamo ridare prosperità ai nostri
popoli» ha detto May. «Ci saranno
dei punti su cui non saremo d’accordo con il presidente Trump. Ma
la cosa fondamentale è che dialoghiamo» ha detto la leader tory.
Unico punto di attrito, le relazioni
con Mosca. Londra mantiene la
sua linea: «Le sanzioni resteranno
fino a quando il governo russo non
avrà rispettato gli accordi di
Minsk» ha detto May, facendo riferimento all’intesa siglata nel settembre 2014 per mettere fine al
conflitto ucraino. Su questo punto
Trump ha mostrato cautela, senza
parlare di una cancellazione delle
sanzioni. «Troppo presto per parlare delle sanzioni con la Russia» ha
detto il presidente. «Non conosco
Putin ma spero in una relazione
fantastica».
La giornata di ieri non è stata
caratterizzata soltanto dall’incontro
con May. In una visita al Pentagono, Trump ha firmato due ordini
Vertice a Berlino
Consolidati i rapporti
tra Francia e Germania
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NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza:
gli Eminentissimi Cardinali:
— Marc Ouellet, Prefetto
della Congregazione per i Vescovi;
— Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, con Sua Eccellenza Monsignor Krzysztof Jozef Nykiel, Reggente della Penitenzieria Apostolica;
Sua Eccellenza Monsignor
Giampiero Gloder, Arcivescovo
titolare di Telde, Presidente
della Pontificia Accademia Ecclesiastica.
Il Santo Padre ha confermato nell’incarico di Membri dei
Dicasteri della Curia Romana
gli Eminentissimi Signori Cardinali: Blase Joseph Cupich,
Arcivescovo di Chicago, nella
Congregazione per i Vescovi;
Dieudonné Nzapalainga, Arci-
vescovo di Bangui, nella Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; Joseph William Tobin, Arcivescovo di Newark, nella Congregazione per
gli Istituti di Vita Consacrata e
le Società di Vita Apostolica;
Carlos Aguiar Retes, Arcivescovo di Tlalnepantla, nel Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso.
Il Santo Padre ha accettato
la rinuncia al governo pastorale
della Diocesi di Gokwe (Zimbabwe), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Angel Floro Martínez, I.E.M.E..
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo di Gokwe (Zimbabwe)
il Reverendo Rudolf Nyandoro, finora Cancelliere della
Diocesi di Masvingo.
esecutivi. Nel primo ordine esecutivo, Trump ha disposto il rafforzamento delle forze armate. «Occorre
— ha detto — sviluppare un piano
per nuovi aerei, nuove navi, nuove
risorse e strumenti per i nostri uomini e le nostre donne in uniforme». Fonti di stampa riferiscono
che l’amministrazione sta valutando la possibilità di un’azione militare di terra in Siria.
Il secondo provvedimento riguarda invece l’immigrazione: è
stato bloccato per 120 giorni il programma che prevedeva l’ingresso di
rifugiati negli Stati Uniti, programma varato da Barack Obama. L’ingresso sarà sospeso per i cittadini
provenienti da sette paesi a mag-
Trump e May alla Casa Bianca (Ansa)
gioranza musulmana: Siria, Libia,
Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen.
Dopo questo periodo, sarà data
priorità innanzitutto alle minoranze
cristiane perseguitate. È stato inoltre tagliato di oltre la metà il numero dei rifugiati che gli Stati Uniti prevedevano di accettare in questo anno, portandolo a 50.000.
E sull’immigrazione c’è stato oggi l’intervento dell’Onu che ha
chiesto agli Stati Uniti «di mantenere la lunga tradizione di accoglienza e protezione nei confronti
di coloro che fuggono dai conflitti». Come si legge in una nota
congiunta dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr)
e dell’Organizzazione mondiale
delle migrazioni (Oim): «Le necessità di rifugiati e migranti nel mondo non sono mai state maggiori, e
il programma di riallocazione degli
Stati Uniti è tra i più importanti
del mondo». Sul tema ci sono da
registrare anche le parole del presidente iraniano, Hassan Rohani, il
quale oggi ha dichiarato: «Questo
è tempo di riconciliazione e convivenza, non di erigere muri tra le
nazioni».
Un riferimento indiretto al controverso progetto, lanciato da
Trump nei giorni scorsi, di completare e rafforzare la barriera al confine tra Stati Uniti e Messico. Dopo
una serie di dichiarazioni, ieri
Trump e il presidente messicano,
Enrique Peña Nieto, hanno avuto
un lungo colloquio telefonico. Al
termine, la Casa Bianca ha emesso
una nota nella quale sottolinea che
i due leader «concordano di dover
lavorare insieme nell’ambito di un
vasto dialogo su tutti gli aspetti
delle relazioni bilaterali». Il vertice
di martedì prossimo sembra confermato.
I vescovi messicani e statunitensi
Rispetto
per i migranti
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L’OSSERVATORE ROMANO
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domenica 29 gennaio 2017
Il presidente turco
Recep Tayyip Erdoğan (Afp)
Sono 246
i migranti morti
dall’inizio
dell’anno
Vertice a Berlino tra François Hollande e Angela Merkel
Consolidati i rapporti
tra Francia e Germania
GINEVRA, 28. Sono 3829 i migranti e rifugiati giunti in Europa via
mare dall’inizio del 2017 al 25 gennaio. Lo ha reso noto ieri a Ginevra l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), precisando che 246 sono le persone
morte in mare nello stesso periodo. Circa i due terzi (2788) sono
arrivati in Italia, il resto in Grecia
(1041).
Il totale di 3829 è molto inferiore ai 48.029 arrivi registrati nei
primi 25 giorni del 2016, sottolinea l’Oim, precisando inoltre che
nello stesso periodo lo scorso anno erano morti 210 migranti. Ma
mentre l’anno scorso la stragrande
maggioranza dei decessi erano registrati sulla rotta del mediterraneo orientale tra Turchia e Grecia
(185), quest’anno il maggior numero di morti (221) è stato segnalato sulla tratta che collega Nord
Africa e Italia.
Intanto il parlamento sloveno
ha approvato gli emendamenti alla legge sugli stranieri proposti
dal governo e che prevedono l’introduzione di misure più severe e
restrittive in fatto di asilo nel caso
di una nuova emergenza migranti.
Come riferiscono i media locali, a
favore hanno votato 47 deputati, i
contrari sono stati 18. Gli emendamenti consentono alla polizia, nel
caso di arrivi massicci di rifugiati,
di respingere ai confini anche gli
eventuali richiedenti asilo e di
rimpatriare nei paesi di provenienza quelli entrati illegalmente.
La situazione appare particolarmente tesa in diverse aree dell’Europa orientale. In particolare ai
valichi di confine in uscita dalla
Serbia verso Croazia e Ungheria,
dove si sono formate code chilometriche di camion e tir per i controlli molto accurati che polizia di
frontiera e servizi doganali croati e
ungheresi effettuano sui mezzi pesanti per scoprire eventuali migranti clandestini nascosti fra i carichi di merce. Un metodo al quale ricorrono sempre più spesso migranti e profughi della rotta balcanica per cercare di entrare
nell’Unione europea. A Batrovci,
al confine fra Serbia e Croazia la
colonna di tir è di sei chilometri e
l’attesa di almeno sette ore. A
Horgos, per l’ingresso in Ungheria si aspetta da cinque a sei ore e
la coda è di cinque chilometri.
Per l’estradizione negata di otto soldati turchi
Erdoğan accusa Atene
ANKARA, 28. «La prima notte» dopo il fallito golpe del 15 luglio in
Turchia «ho chiamato» le autorità
greche. «Hanno detto che la questione sarebbe stata risolta in 15-20
giorni. Il ritardo nel loro rimpatrio
ovviamente mina la fiducia» nelle
relazioni bilaterali. Così il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, dopo che ieri la corte suprema di Atene ha negato l’estradizione degli otto militari turchi fuggiti nel paese
dopo il putsch. Il governo di Alexis
Tsipras ha replicato che «la sola autorità responsabile per il relativo
giudizio è il sistema giudiziario greco indipendente, le cui decisioni sono vincolanti».
Quindi non si placa la tensione
tra i due paesi, anzi la Turchia potrebbe annullare l’accordo sulla
riammissione dei migranti siglato
con la Grecia e l’Unione europea a
causa del rifiuto di Atene di estradare gli otto soldati turchi accusati da
Ankara di aver preso parte al tentato golpe del 15 luglio. Lo ha sottolineato il ministro degli esteri turco,
Mevlüt Çavusoğlu. «Prenderemo le
misure necessarie, incluso l’annullamento dell’accordo sulla riammissione» dei migranti, ha dichiarato Çavusoğlu, commentando la vicenda.
I soldati turchi sono stati processati dalle autorità greche per ingresso illegale nel paese, dopo essere atterrati con un elicottero all’aeroporto di Alexandroupolis il 16 luglio.
Nel corso della prima udienza, che
si è tenuta il 28 novembre, i soldati
hanno domandato asilo politico, negando le accuse di coinvolgimento
nel tentato golpe. La prima richiesta
di estradizione è stata respinta dalla
corte suprema greca, secondo la
quale la vita degli otto militari sarebbe in pericolo in Turchia.
La sentenza di ieri della corte suprema greca ha scatenato la reazione di Ankara. «Contestiamo questo
verdetto che impedisce che queste
persone compaiano davanti alla giustizia turca», ha sottolineato il mini-
stero degli esteri turco in una nota.
Non è la prima volta che la Turchia
minaccia di non applicare l’accordo
sulla riammissione dei migranti che
arrivano in Grecia attraverso l’Egeo.
Nei mesi scorsi anche il presidente
Erdoğan aveva usato gli stessi toni
per chiedere passi avanti nella liberalizzazione dei visti per i turchi che
entrano nell’area Schengen.
BERLINO, 28. Una stretta di mano
per consolidare rapporti che devono diventare sempre più stretti.
Questa la risposta che da Berlino il
presidente
francese,
François
Hollande, e il cancelliere tedesco,
Angela Merkel, hanno suggerito
all’Europa tutta, per affrontare le
nuove sfide incarnate dalla Brexit e
dall’arrivo di Donald Trump alla
Casa Bianca. «Sappiamo bene che
il referendum nel Regno Unito rappresenta una forte censura nello sviluppo dell’Unione europea», ha
detto Merkel. In quest’ottica, risulta quindi ancora più importante
l’impegno assunto a Bratislava a
consolidare unità e cooperazione
fra gli altri 27 stati membri, «per affrontare — ha aggiunto il cancelliere
tedesco — le sfide che ci attendono,
e siamo dell’idea che solo insieme
possiamo gestirle».
«Oggi è più importante che mai
che l’Europa sia un’Europa politica», ha dichiarato dal canto suo il
presidente francese. L’Europa è minata anche da sfide interne, come il
populismo, ha continuato Hollande. «E per combattere il populismo
— ha concluso — bisogna rivolgersi
al popolo, e bisogna dire al popolo
Per preparare le elezioni anticipate di marzo
Nuovo governo bulgaro
SOFIA, 28. Il neo presidente bulgaro, Rumen Radev,
ha firmato il decreto sulla nomina del governo ad interim, alla cui guida è stato designato Ognian Ghergikov, professore di giurisprudenza ed ex presidente del
parlamento, che dovrà preparare le elezioni legislative
anticipate, indette per il 26 marzo prossimo.
Oggi, dopo lo scioglimento del parlamento, è prevista la presentazione ufficiale dei nuovi ministri. Nel
suo discorso, Radev ha rilevato che il compito principale dell’esecutivo di transizione è quello di preparare
il voto anticipato, in programma fra due mesi. Allo
stesso tempo — ha aggiunto — il governo dovrà garantire la stabilità finanziaria, sociale ed economica del
paese nonché la sicurezza dei cittadini. Ghergikov ha
dichiarato che i successi del governo dimissionario di
Bojko Borisov «saranno riconosciuti e arricchiti, mentre gli errori commessi saranno riparati». Il governo
ad interim è composto da quattro vice premier e altri
15 ministri. Il generale Stefan Yanev ricoprirà l’incarico di vice premier e ministro della difesa.
Il presidente bulgaro Rumen Radev (Afp)
dove risiede il nostro interesse, dove è il valore e quale sia il senso
delle decisioni prese in Europa».
Merkel e Hollande si sono poi
recati a Breitscheidplatz, il luogo in
cui a Berlino il 19 dicembre scorso,
il tunisino Anis Amri ha ucciso 12
persone con un camion, attaccando
il mercatino di Natale. «Ogni prova
che colpisce la Germania, tocca anche la Francia», ha precisato il capo
dello stato francese. Una visita congiunta voluta per lanciare un messaggio di unità tra Parigi e Berlino
nella lotta al terrorismo. «Solo
stando uniti di fronte alla minaccia
del terrorismo islamista possiamo
allontanare questo pericolo», hanno
dichiarato i due leader.
In Francia, intanto, cresce l’attesa
per il ballottaggio di domenica delle primarie del partito socialista,
che designerà il candidato alle presidenziali di aprile. La sfida è tra
l’ex premier, Manuel Valls, e l’ex
ministro, Benoît Hamon.
Al primo turno, domenica scorsa,
Hamon, a sorpresa, ha vinto con il
36,2 per cento dei voti, riuscendo a
sorpassare Arnaud Montebourg
(17,6) e l’ex primo ministro (31,2
per cento. Un exploit inatteso, frutto di una rimonta simile a quella
compiuta da François Fillon, a novembre, durante le primarie della
destra. Il ballottaggio — indicano
gli analisti politici — dovrebbe confermare i risultati di domenica scorsa, visto anche l’appoggio dato da
Montebourg, che ha invitato i suoi
sostenitori a votare per Hamon.
In Germania, invece, è attesa per
domenica la designazione finale dei
vertici del partito socialdemocratico
(Spd) di Martin Schulz — presidente del parlamento di Strasburgo dal
2012 fino a poche settimane fa —
come sfidante ufficiale di Merkel
alle prossime elezioni legislative tedesche del 24 settembre. Il suo
compito sarà tutt’altro che facile. I
sondaggi continuano a indicare la
Cdu di Angela Merkel attorno al
33-35 per cento delle intenzioni di
voto dei tedeschi, in netto calo rispetto al 41 per cento ottenuto nel
2013, ma sufficientemente in testa
per guidare la corsa. La Spd resta
ampiamente staccata e si muove attorno al 20 per cento, con i liberali
al 7,5. Perfino una coalizione a sinistra con i Verdi e Die Linke non
riuscirebbe a governare da sola.
In diversi comuni tra Marche e Abruzzo
Al centro immigrazione, crescita e sicurezza
La Duma russa depenalizza le violenze domestiche
I funerali delle vittime
di Rigopiano
Vertice dei paesi
dell’Europa meridionale
Picchiare moglie e figli
non sarà più reato
Macchine travolte dalla valanga nell’area dell’Hotel Rigopiano (Ansa)
ROMA, 28. Saranno celebrati oggi
in diversi comuni tra Marche e
Abruzzo i funerali di sei delle ventinove vittime della valanga che il 18
gennaio scorso si è abbattuta sull’hotel Rigopiano, seppellendolo
sotto la neve. A Pescara è stato indetto il lutto cittadino.
L’inchiesta dalla procura di Pescara, che indaga per disastro col-
poso e omicidio colposo plurimo,
procede intanto senza sosta. Da alcuni verbali della commissione valanghe del comune di Farindola,
istituita nel 1999, si evince che l’hotel Rigopiano è stato costruito su
un versante montano conosciuto
per essere «soggetto a slavine». E
collegato da una viabilità provinciale d’inverno molto complessa.
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GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
LISBONA, 28. Migranti, crescita, sicurezza. Su questi tre assi i paesi
dell’Europa meridionale provano a
rinsaldare un fronte comune. L’appuntamento, il secondo del gruppo,
è in agenda per oggi a Lisbona: vi
prendono parte i capi di governo di
Italia, Portogallo, Francia, Spagna,
Grecia, Cipro e Malta. Il tentativo
è creare un asse in vista del vertice
europeo del 3 febbraio a Malta, ma
soprattutto della discussione sul futuro dell’Unione di fine marzo, a
Roma, in occasione dell’anniversario della firma dei trattati.
Il primo appuntamento del gruppo, lo scorso settembre ad Atene,
fu bersaglio di un duro attacco del
ministro dell’economia tedesco,
Wolfgang Schäuble, che tacciò come «irresponsabile» il nascente
«fronte anti-austerità». E non possono escludersi nuove frizioni, nel
confronto sempre aperto sul rispetto dei parametri e sulle politiche
economiche dell’Unione. Ma la crescita e un modello più attento allo
sviluppo economico e sociale dei
centri urbani e delle periferie si an-
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caporedattore
Gaetano Vallini
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nunciano temi centrali anche di
questo summit.
Si parlerà inoltre di sicurezza e
contrasto al terrorismo internazionale. E un posto di rilievo avrà il
tema immigrazione, in vista del vertice informale dell’Unione la prossima settimana a Malta in cui sarà
presentato il piano della Commissione che punta a bloccare i flussi
verso l’Italia con misure a breve e
medio termine e un finanziamento
da 200 milioni nel 2017. Un passo
avanti — secondo numerosi analisti
— date le molte critiche gli impegni
disattesi da Bruxelles. Non è in
agenda, infine, ma potrebbe essere
oggetto di un primo confronto informale tra i leader socialisti presenti a Lisbona, il tema delle cariche al vertice dell’Unione. Intanto
ieri il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, che ha incontrato il presidente del governo
spagnolo, Mariano Rajoy, è intervenuto a proposito della situazione
economica e dei rapporti con l’Europa, sottolineando che «l'Italia ha
bisogno di politiche espansive, non
di manovre depressive».
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
MOSCA, 28. Nonostante le aspre
critiche lanciate dagli attivisti per la
difesa dei diritti umani, la Duma ha
approvato ieri in via definitiva un
controverso progetto di legge, con
cui depenalizza in Russia le violenze domestiche, che diventano così
un illecito amministrativo.
Ben 380 deputati si sono espressi
a favore della proposta e solo tre
hanno votato contro. Per essere varata, la nuova legge, ha bisogno ora
del via libera — scontato, indicano
gli analisti — del senato e della firma del presidente, Vladimir Putin.
Picchiare moglie e figli non sarà,
dunque, più un reato. Il documento, infatti, rende la violenza domestica — definita in modo specifico
come percosse contro un parente —
una responsabilità civile, con possibilità di essere considerata reato penale, solo se chi l’ha commessa sia
già stato condannato per lo stesso
motivo. In caso contrario si va incontro solo a una multa.
La corte suprema, ricordano gli
osservatori, aveva già depenalizzato
le percosse che non infliggono danni fisici, ma aveva lasciato fuori le
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
violenze contro i familiari, lasciando scontenti i parlamentari più conservatori, secondo i quali la nuova
legge «renderà più forti le famiglie». In una nota, il segretario generale del consiglio d’Europa,
Thorbjørn Jagland, ha espresso la
sua preoccupazione. A suo dire,
l’adozione di una tale legge «rappresenterebbe un evidente passo indietro». Le vittime della violenza
domestica in Russia sono per lo più
le donne: secondo statistiche del
2015, una donna su cinque ha subito violenze; solo il 12 per cento di
loro, però, si rivolge alla polizia.
Secondo dati del 2013 pubblicati
dal ministero dell’interno russo, il
40 per cento dei crimini violenti avvengono in casa e ogni anno sono
36.000 le donne che subiscono percosse dal marito. In 12.000 perdono
la vita. Il 60-70 per cento delle vittime non chiede aiuto; il 97 per
cento dei casi di violenza domestica
non arriva in tribunale e più volte
la stampa indipendente ha denunciato la mancanza di strumenti legali in grado di tutelare le donne.
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L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 29 gennaio 2017
pagina 3
Lavrov e i rappresentanti
dell’opposizione siriana moderata (Afp)
Allarme delle Nazioni Unite per il sanguinoso conflitto
Milioni di affamati nello Yemen
Per una soluzione politica della crisi siriana
L’Onu sostiene i risultati
del summit di Astana
DAMASCO, 28. I colloqui di pace di
Astana hanno fornito un importante
contributo per il raggiungimento di
una soluzione politica della crisi in
Siria. Ad affermarlo è l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria,
Staffan de Mistura, attraverso un
portavoce. Nonostante il rinvio —
annunciato ieri dal ministro degli
esteri russo, Serghiei Lavrov — dei
prossimi colloqui a Ginevra, il palazzo di Vetro è pronto a collaborare
con Russia, Turchia e Iran per cercare un rilancio del dialogo politico
tra le parti in causa, ovvero il governo del presidente Assad e i ribelli
moderati. In un comunicato, de Mistura ha sottolineato che le Nazioni
Unite sono pronte «a contribuire a
portare avanti il meccanismo messo
a punto da Russia, Iran e Turchia
per monitorare il rispetto della fine
delle ostilità in Siria». La continuità
della tregua è considerata un punto
di partenza essenziale per la ripresa
dei negoziati.
Ieri Lavrov ha incontrato a Mosca
i rappresentanti dell’opposizione
moderata e ha annunciato il rinvio
dei negoziati a Ginevra inizialmente
previsti per l’8 febbraio. Tuttavia, il
rinvio non equivale alla cancellazione totale. Lavrov ha detto che i colloqui riprenderanno quanto prima.
In questi negoziati, ha specificato il
capo della diplomazia russa, «le parti dovrebbero concentrarsi su temi
concreti come l’elaborazione di una
Costituzione», sulla base anche delle
proposte fatte da Mosca, che ha presentato ben due bozze. «Speriamo —
ha detto Lavrov — che tutti i siriani
prenderanno dimestichezza con questa bozza come parte dei preparativi
per l’incontro di Ginevra e che questa bozza stimoli la discussione pratica mirata alla ricerca di un accordo
generale».
Sul terreno, intanto, si continua a
combattere. I miliziani del cosiddetto stato islamico (Is) hanno lanciato
ieri un attacco contro le forze governative nel nord della Siria con
l’obiettivo di interrompere i collegamenti tra Hama e Aleppo. Non è
chiaro se i jihadisti abbiano o meno
ottenuto il controllo di Khanaser,
sottraendola all’esercito siriano. Nella regione di Wadi Barada, invece,
2500 miliziani hanno deposto le ar-
mi dichiarando la resa nei confronti
delle forze governative: qui la situazione nelle ultime ore è tornata alla
calma. I combattimenti nell’area, e
la distruzione dell’impianto idrico,
avevano causato una grave scarsità
d’acqua in tutta l’area di Damasco.
La regione di Wadi Barada non era
inclusa nel cessate il fuoco.
NEW YORK, 28. Ancora una volta
l’Onu lancia l’allarme per la situazione in Yemen, dove è in corso la
«più grave crisi alimentare nel mondo». E dove «se non si interviene
subito, si rischia la carestia». A ribadire la drammatica situazione nel
paese già tra i più poveri al mondo
è stato il capo degli affari umanitari
delle Nazioni Unite, Stephen
O’Brien, nel corso di una riunione
del consiglio di sicurezza durante
della quale è intervenuta anche
l’Italia, chiedendo di ristabilire il
cessate il fuoco.
O’Brien ha spiegato che in Yemen «ci sono 2,2 milioni di bambini che soffrono la fame», e in generale la situazione è «particolarmente
grave», con un minore di cinque
anni che muore ogni 10 minuti per
cause che si potrebbero prevenire.
Inoltre, 10,3 milioni di persone hanno bisogno di assistenza immediata
per sopravvivere. A causa dell’escalation del sanguinoso conflitto nel
paese, i due terzi della popolazione
ha bisogno di aiuti umanitari.
L’inviato speciale dell’Onu nello
Yemen, il diplomatico mauritano
Ismail Ould Cheikh Ahmed, ha poi
sottolineato che la pericolosa impennata di combattimenti e attacchi
L’economia cinese conosce nuove difficoltà
Se il Dragone
vola sempre più basso
PECHINO, 28. Anche il gigante cinese conosce la crisi. Il rallentamento
dell’economia è ormai sotto gli occhi di tutti. Nel 2016 la crescita ha
registrato una nuova frenata riportandosi ai livelli del 1990, ma rimanendo comunque all’interno del
range prefissato dal governo cinese.
Secondo il governo, nel corso
dell’anno il prodotto interno lordo
(pil) è cresciuto del 6,7 per cento
(l’obiettivo era di mettere a segno
una crescita compresa tra il 6,5 e il
sette per cento). Più pessimiste le
previsioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca
mondiale.
A preoccupare è soprattutto la fuga di capitali, che ormai ha raggiunto soglie preoccupanti, e l’alto indebitamento delle imprese.
A conferma del declino cinese c’è
un recente rapporto della Society
for World Interbank Financial Telecommunication secondo cui lo yuan
è sempre meno usato nelle transazioni internazionali. La fetta di pagamenti effettuati in renminbi, altro
nome della valuta cinese, è infatti
passata, a livello globale, dal 2,31 di
dicembre 2015 (quando era in quinta posizione tra le valute usate nelle
transazioni internazionali) all’1,68
per cento del dicembre 2016, segnando un declino del 29,5 per cento lo scorso anno. In un mese, tra
novembre e dicembre 2016, il valore
delle transazioni in yuan è sceso del
15,08 per cento, contro un declino
generale di tutte le valute molto più
contenuto, allo 0,67.
Il declino dello yuan nei pagamenti internazionali, secondo gli autori del rapporto, è da imputare soprattutto a tre fattori: il rallentamento dell’economia cinese, che nel
na, Ahmed Ouyahia, ha incontrato
a Tunisi il leader islamista libico,
Ali Al-Sallabi, della coalizione Fajr
Libya. L’incontro è stato concertato
direttamente dal presidente del Movimento della rinascita (Ennhadha),
Rached Ghannouchi, e, secondo
fonti locali, ha «consentito di fare
passi avanti per quanto riguarda la
soluzione della crisi libica».
Il colloquio si inquadra nell’ambito degli sforzi della Tunisia alla
ricerca di una soluzione politica alla crisi del paese vicino, e dell’iniziativa diplomatica tesa a tenere
prossimamente a Tunisi un vertice
dei ministri degli esteri di Tunisia,
Algeria ed Egitto proprio sulla questione libica.
In caso di successo di questo
summit — la presidenza tunisina
potrebbe lanciare l’iniziativa di un
vertice a tre a Tunisi con Bouteflika, Al Sisi e Essebsi.
2016 ha segnato una crescita del 6,7
per cento nel 2016, ai minimi dal
1990; la volatilità della valuta, che
ha avuto un deprezzamento di quasi
il sette per cento sul dollaro, e le
iniziative del governo centrale per
frenare le fuoriuscite di capitali, che
non hanno avuto finora gli effetti
sperati.
Riattivato il reattore nucleare di Yongbyon
Timori
per altri test nordcoreani
WASHINGTON, 28. La Corea del
Nord avrebbe riavviato negli ultimi giorni le attività del suo reattore nucleare di Yongbyon allo scopo di produrre plutonio, in base
all’esame delle fotografie satellitari:
lo ipotizza 38 North, think tank
statunitense basato a Washington.
«Le immagini dal 22 gennaio in
poi mostrano un pennacchio di vapore, molto verosimilmente caldo,
generato dallo sbocco del sistema
di raffreddamento, un segnale che
indica come il reattore sia molto
probabilmente operativo», si legge
nel rapporto sul sito web di 38
Monito di Haftar su eventuali attacchi
alla mezzaluna petrolifera libica
TRIPOLI, 28. Il generale Khalifa
Haftar, comandante delle milizie
che controllano la zona centroorientale della Libia, ha messo in
guardia chiunque volesse tentare di
attaccare gli impianti della mezzaluna petrolifera. Lo scrive il sito Libyàs Channel aggiungendo che «i
guerriglieri criminali che tentassero
di attaccare piattaforme e campi petroliferi» saranno inseguiti dalle
forze dell’ordine e dai militari «fin
nelle loro case».
Il generale Haftar, comandante
dell’Esercito nazionale libico (Lna)
che sostiene il parlamento insediato
a Tobruk, a settembre aveva strappato la mezzaluna petrolifera sul
golfo della Sirte a una milizia guidata da Ibrahim Jadhran e legata a
Tripoli, dove è insediato il premier
appoggiato dall’Onu, Fayez Al Sarraj. Intanto il capo dell’ufficio della
presidenza della Repubblica algeri-
aerei ha «tragiche conseguenze per
il popolo yemenita», con 18,2 milioni di persone colpite dall’emergenza
cibo. Il consiglio di sicurezza ha
quindi invitato tutte le parti a «consentire un accesso sicuro, rapido e
senza ostacoli» a cibo, carburante e
medicinali, ribadendo che nel paese
c’è una «malnutrizione diffusa e
acuta, sull’orlo della carestia».
Il conflitto nello Yemen — il più
trascurato dai media internazionali
e più incompreso nel Vicino oriente
— è iniziato nel 2014 quando i ribelli huthi scesi dalle loro roccaforti
nel nord hanno occupato nel settembre dello stresso anno la capitale
Sana’a e vasti territori del centro
sud costringendo all’esilio il presidente eletto nel 2012 e riconosciuto
dalla comunità internazionale, Abd
Rabbo Mansour Hadi.
Una coalizione guidata dall’Arabia Saudita è successivamente intervenuta in sostegno del presidente
Hadi contro i ribelli huthi e i loro
alleati, i miliziani dell’ex capo di
stato Ali Abdullah Saleh al potere
per oltre trent’anni.
Secondo
l’ultimo
rapporto
dell’Onu, nei tre anni di guerra almeno 10.000 civili sono morti, oltre
40.000 sono rimasti feriti e circa tre
North, riconducibile allo Us-Korea
Institute della Johns Hopkins
University. Dalle analisi sullo
Yongbyon Nuclear Scientific Research Center, distante una sessantina di chilometri dalla capitale
Pyongyang, emerge poi che il vicino fiume, di solito gelato in questa
parte dell’anno, scorre regolarmente nel punto di confluenza tra lo
sbocco di raffreddamento e il fiume. Di recente Stati Uniti, Corea
del Sud e Giappone hanno aumentato il livello di allerta a causa
di possibili nuove provocazioni da
parte di Pyongyang.
milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie
case. Le Nazioni Unite hanno cercato di portare intorno a un tavolo
le parti in conflitto ma finora le tre
sessioni di colloqui di pace (tra la
Svizzera e il Kuwait) sono sempre
falliti come le brevi tregue.
Attualmente le linee del fronte
sono tante: la provincia della capi-
tale Sana’a, Taiz (terza città del
paese assediata dai ribelli huthi, le
regioni centrali (come Al Bayda e
Mareb) e le aree adiacenti allo stretto del Bab El Mandeb, tra Mar
Rosso e Oceano Indiano, snodo
fondamentale per il commercio petrolifero internazionale, dove negli
ultimi giorni si è infiammata la battaglia intorno alla citttà di Mokha.
Incontro con il presidente
Il cardinale Parolin
in Madagascar
Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, si è recato in visita
nel Madagascar in occasione del
cinquantesimo delle Relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Il
porporato si recherà poi nella Repubblica del Congo, per la firma
dell’Accordo Quadro sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato. Durante il viaggio, della durata
complessiva di undici giorni, è
prevista una breve tappa a Nairobi, in Kenya.
Nella notte tra il 26 e il 27 gennaio il segretario di Stato è giunto
all’aeroporto di Antananarivo, accompagnato da monsignor Gianfranco Gallone, officiale della sezione per i Rapporti con gli Stati.
Ad attenderlo vi erano, oltre al
nunzio apostolico Paolo Gualtieri,
e il collaboratore don Ciprian Bejan-Piser, il primo ministro malgascio Oliver Solonandrasana Mahafali, accompagnato da molti ministri, tutti i vescovi della Conferenza episcopale e moltissimi fedeli,
che all’esterno hanno intonato
canti tradizionali di accoglienza.
Nella mattinata del 27 gennaio,
il porporato è stato ricevuto dal
presidente della Repubblica, Hery
Martial Rajaonarimanampianina,
al palazzo presidenziale Iavoloha.
Dopo i convenevoli previsti dal
cerimoniale accuratamente preparato, il capo dello Stato ha avuto
un cordiale colloquio privato con
il cardinale. Dopo lo scambio dei
doni, si è avuto l’incontro bilaterale tra il capo dello Stato — accompagnato dal primo ministro, dal
vice-ministro degli Affari esteri e
da altri officiali — e il cardinale
Parolin, accompagnato dal nunzio,
dal consiglio permanente della
Conferenza episcopale, dal cardinale Maurice Piat, vescovo di
Port-Louis (Mauritius).
Il presidente ha espresso la propria riconoscenza per la visita, ricordando i buoni rapporti con la
Santa Sede, che nel corso di questi 50 anni si sono rafforzati. Ha
rammentato la visita resa a Papa
Francesco nel giugno 2014 e ha
espresso gratitudine per tutto ciò
che la Chiesa cattolica fa nel Paese, soprattutto con i centri educativi, sanitari e caritativi. Ha riconosciuto il ruolo che essa svolge
con le sue istituzioni, contribuen-
do allo sviluppo sociale di tutti i
cittadini, i quali devono essere
educati secondo i valori tradizionali come credenti, per dare una
stabilità morale, spirituale ed economica al Madagascar. Nel contempo, ha assicurato personale attenzione affinché le forze dell’ordine vigilino sull’incolumità delle
istituzioni cristiane. Ha altresì manifestato fermo rigetto della violenza terroristica perpetrata dagli
estremismi religiosi e ha auspicato
un continuo dialogo con i presuli.
Da ultimo, si è augurato che la celebrazione del cinquantenario delle relazioni diplomatiche serva a
rendere sempre più saldi i legami
con la Santa Sede e di lavorare affinché si giunga a stabilire, attraverso un Accordo Quadro, una
più profonda collaborazione.
Il cardinale Parolin, da parte
sua, ha portato il saluto affettuoso
del Papa, molto amato in Madagascar, soprattutto tra i giovani, e
ha espresso gratitudine per l’accoglienza, straordinariamente calorosa, che gli è stata riservata. Ha
manifestato la disponibilità della
Santa Sede a continuare questa
proficua collaborazione per tutelare, attraverso le istituzioni della
Chiesa cattolica, i diritti dei più
deboli e garantire l’assistenza necessaria a tutte le persone, in particolare, ai più poveri ed emarginati. Ha auspicato che attraverso
la Chiesa locale si possa contribuire al benessere spirituale e sociale
dei cittadini. Si è augurato che la
propria visita sia un avanzamento
vantaggioso per le buone relazioni
esistenti, per giungere a un accordo che assicuri alle istituzioni della Chiesa pieno riconoscimento
giuridico. È seguito il ricevimento
ufficiale offerto dal presidente in
onore del cardinale Parolin. Sono
stati invitati il cardinale Piat, tutti
i presuli malgasci, le autorità del
governo, i rappresentanti delle istituzioni del paese, e i capi religiosi
di altre confessioni cristiane.
La giornata si è conclusa presso
la sede del primo ministro dove,
nel corso di una cerimonia, il cardinale segretario di Stato è stato
insignito dell’alta onorificenza di
grande officiale dell’Ordine nazionale del Madagascar.
C0lpito anche chi commette violenze di genere
L’Onu rafforza le sanzioni a Bangui
NEW YORK, 28. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha prorogato le sanzioni dei confronti della
Repubblica Centrafricana fino al 31
gennaio 2018, rafforzando l’embargo
delle armi e il blocco dei viaggi. Su
iniziativa dell’Italia, i Quindici hanno introdotto un nuovo criterio sanzionatorio: chi è coinvolto nella pianificazione, dirige o commette atti
di violenza di genere sarà soggetto
alle misure restrittive. È la prima
volta che una risoluzione del Consiglio di sicurezza include la violenza
di genere come criterio per applicare
sanzioni. I Quindici hanno raccolto
l’invito rivolto in questo senso dal
rappresentante del segretario generale per la violenza di genere nei conflitti armati, Zainab Hawa Bangura.
Lo scopo è quello di rafforzare la
protezione in particolare di donne e
ragazze nei conflitti.
Intanto nella Repubblica Centrafricana ha chiuso il campo sfollati di
Mpoko, all’aeroporto internazionale
di Bangui, luogo simbolo della vio-
lenta crisi che ha devastato il paese
negli ultimi tre anni. Secondo Medici senza frontiere (Msf), che da oltre
20 anni fornisce assistenza medica e
Caschi blu delle Nazioni Unite dislocati a Bangui
umanitaria nel paese, i problemi non
sono però risolti: una persona su
quattro è ancora sfollata, all’interno
o al di fuori dei confini nazionali, e
più della metà della popolazione dipende dagli aiuti per sopravvivere.
All’apice del conflitto scoppiato
nel 2013, si legge in una nota di
Msf, Mpoko ha ospitato fino a
100.000 persone, ammassate lungo
le piste di atterraggio in cerca di
protezione dalle forze internazionali.
Ma secondo Msf a parte la presenza
militare delle Nazioni Unite e della
Francia, il paese non ha visto una
mobilitazione di aiuti internazionali
adeguata agli enormi bisogni della
popolazione. Gli sfollati a Mpoko
hanno vissuto in estrema precarietà.
E le ultime 20.000 persone che lo
hanno lasciato dovranno affrontare
condizioni di insicurezza.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
l concistoro del 19 novembre
2016, con il quale sono entrati
nel collegio dei cardinali 17
nuovi membri, ha riacceso l’attenzione su questo singolare organismo che da oltre nove secoli elegge il papa. Caratteristico della Chiesa
romana, l’istituto cardinalizio viene fatto risalire all’età tardoantica. In quest’epoca il termine latino cardinalis aveva un’accezione prevalentemente liturgica, ed era usato per i membri del clero legati alle principali chiese di Roma,
poi anche per alcuni ecclesiastici in altre diocesi, e non solo in Italia.
In realtà la storia del cardinalato inizia ad assumere vera rilevanza dopo il
Mille, con il movimento di riforma generato da un forte impulso della sede
romana. Nel 1059 l’elezione papale, in
cui per secoli erano intervenute diverse
componenti della Chiesa romana, viene infatti riservata ai cardinali vescovi
e solo molto più tardi, nel 1179, si
estende agli altri ordini di cardinali,
cioè ai cardinali preti e ai cardinali diaconi. Non è dunque forse un caso che
la prima attestazione dell’espressione
sacrum collegium compaia tra queste
due date, in un documento sinodale
francese del 1148.
Entrata presto nell’uso corrente,
molti secoli dopo la definizione di “sacro collegio” viene ratificata nel Codex
iuris canonici del 1917, con un’aggiunta:
domenica 29 gennaio 2017
I
Bernardo da Chiaravalle è il primo
a porre la questione
dell’internazionalizzazione, come oggi si direbbe
Questione che verrà poi dibattuta
soprattutto a partire dagli inizi del Trecento
i cardinali costituiscono «il senato del
romano pontefice». Le due espressioni
non verranno tuttavia recepite nel codice riformato dopo il Vaticano II e
promulgato nel 1983, dove l’istituto è
descritto più sobriamente come peculiare collegium, che “particolare” lo è davvero.
Proprio negli anni in cui al collegio
ormai denominato “sacro” veniva riservata l’elezione del papa, Bernardo da
Chiaravalle, nel celebre De consideratione, rivolgendosi a Eugenio III, suo antico discepolo divenuto successore
dell’apostolo Pietro, dedica un capitolo
alla scelta dei cardinali, e si chiede “se
Le trasformazioni del collegio cardinalizio
Scelti
da tutto il mondo
dalle decisioni di Sisto V, che nel 1586
per il sacro collegio fissa il limite di
settanta membri, mantenuto per quasi
quattro secoli, e due anni più tardi riforma la curia romana, stabilendo un
assetto rimasto di fatto inalterato sino
al radicale aggiornamento voluto da
Pio X nel 1908.
La questione posta invece già
all’esordio dell’istituzione cardinalizia
da Bernardo da Chiaravalle comporta
vari aspetti, di ordine politico e teologico, che convergono sulla questione
decisiva del potere papale e sulle possibilità di condizionarlo, e non solo al
momento dell’elezione in conclave.
Così nel medioevo si discute sull’opportunità di creare cardinali tedeschi,
ammessa con difficoltà e di fatto non
verificatasi per oltre due secoli tra
Duecento e Quattrocento. Sono più
rari di un corvo bianco, si scrive nel
1519, e questo a causa di una sorta di
bilanciamento visto come necessario
tra imperium, appannaggio della nazione germanica, e sacerdotium, da lasciare
quindi ad altre nationes. Nel 1294 si registra invece il più pesante intervento
di un potere laico in tutta la storia del
sacro collegio per l’influenza angioina
sull’unica creazione cardinalizia effettuata da Celestino V nel suo brevissimo
e infelice pontificato.
Non è poi certo un caso che una
prima internazionalizzazione del sacro
collegio intervenga nell’età del conciliarismo con Eugenio IV, ovviamente ristretta in larghissima prevalenza ai diversi stati italiani, alla Francia e alla
Spagna. Questa tendenza sarà poi
mantenuta per tutta l’età moderna: in
quest’epoca «la stabile maggioranza
italiana nel collegio dei cardinali era
una condizione indispensabile della libertà d’azione del papa» grazie a nomine «più affidabili di quelle straniere,
che erano forzate», sintetizzerà senza
giri di parole lo storico anglicano
Owen Chadwick nel suo The Popes and
the European Revolution. E l’allusione
dello studioso è naturalmente alle creazioni volute dalle corone, soprattutto
tra Cinquecento e Settecento. Si spiega
così la schiacciante prevalenza degli
italiani, in particolare di quelli provenienti dallo stato pontificio, nella scelta dei cardinali, tenacemente perseguita dai papi e
garanzia, implicita
o almeno sperata,
per un governo
meno influenzato
Anticipiamo un articolo che esce
da forze esterne.
sul prossimo numero di «Vita e
Bisogna però arPensiero», il bimestrale di cultura
rivare al lunghissie dibattito dell’Università
mo pontificato di
cattolica del Sacro cuore.
Pio IX perché il
numero dei cardinali italiani cominci a decrescere. Se
infatti dei 205 creati tra il 1800 e il
1846 dai suoi quattro predecessori ben
160 sono gli italiani (il 78 per cento),
la percentuale con Mastai Ferretti
scende al 58 per cento (71 su 123), e
viene mantenuta da Leone XIII (85 su
147), per abbassarsi ancora al 53 per
cento (83 su 158) con i loro tre successori tra il 1903 e il 1937, anno dell’ultima creazione cardinalizia di Pio XI.
Ratti nel 1924 tiene un piccolo concistoro per due soli cardinali, ma entrambi statunitensi, ed è questa la prima creazione, sia pure minuscola, senza europei. Questa particolarità verrà
ripetuta soltanto dall’ultimo concistoro
di Benedetto XVI, alla fine del 2012,
quando i sei cardinali non europei mo-
non debbano essere scelti da tutto il
mondo quelli che il mondo giudicheranno” (an non eligendi de toto orbe orbem iudicaturi). Bernardo è dunque il
primo a porre la questione dell’internazionalizzazione, come oggi si direbbe;
una questione che verrà poi dibattuta
soprattutto a partire dagli inizi del Trecento, quindi negli anni del conciliarismo quattrocentesco e infine in età
contemporanea, mentre con il trascorrere del tempo andrà sempre più a incrociarsi con le vicende e il nodo del
potere papale.
All’ecclesiologia medievale risale infatti la singolare definizione di “parte
del corpo del papa” (pars corporis papae) per indicare l’insieme dei cardinali: è appunto il pontefice a sceglierli,
anzi a crearli, termine tecnico che intende proprio sottolineare questa prerogativa sovrana — ma spesso condizionata da non poche variabili — nella
selezione dei più stretti collaboratori
del papa nel governo della Chiesa. E
nel cuore del medioevo il sacro collegio si afferma come un organismo ristretto e influente che nel 1289 riesce a
ottenere dal pontefice la metà delle entrate della sede romana. Non interessati anche per questo motivo ad aumentare di numero, i cardinali governano
realmente insieme al pontefice grazie
ai frequentissimi concistori.
Tra alterne vicende, tuttavia, sin dagli inizi del Cinquecento questa forma
particolare di esercizio della collegialità
si stempera, per l’aumento progressivo
del collegio e quindi per la parallela
perdita d’importanza dei concistori a
vantaggio delle congregazioni romane.
Questa doppia tendenza viene sancita
Vita e Pensiero
La sepoltura di san Bernardo in una miniatura medievale
streranno la necessità di bilanciare il
precedente concistoro tenuto all’inizio
dello stesso anno, dove ben due terzi
dei 18 nuovi cardinali erano europei
(tra loro, sette italiani).
La rivoluzione in questo ambito avviene pochi mesi dopo la conclusione
della seconda guerra mondiale, quando
il 24 dicembre 1945 Pio XII annuncia il
suo primo concistoro per la creazione
di cardinali, il più numeroso fino ad
allora registrato e che il papa tiene il
18 febbraio: gli ecclesiastici rivestiti
ma soprattutto a calare in maniera sensibile, sotto i due terzi, sono gli europei.
All’inizio degli anni settanta a Montini — che secondo John F. Broderick
dichiara pubblicamente i criteri delle
sue creazioni cardinalizie come nessun
altro predecessore aveva fatto — risalgono altre due misure radicalmente innovative nella storia del sacro collegio:
l’esclusione dei cardinali ultraottantenni dal diritto di voto attivo in conclave
e l’innalzamento del limite degli eletto-
La prima pagina con la cronaca del concistoro del 18 febbraio 1946
della porpora romana da Pacelli sono
ben 32, di cui soltanto quattro italiani.
«Un’immagine viva dell’universalità
della Chiesa» sottolinea il papa in
quella vigilia di Natale, perché «come
abbiamo veduto negli anni trascorsi
del
nostro
pontificato
confluire
nell’eterna città, nonostante la guerra,
uomini di ogni nazione e delle più
lontane regioni, così avremo ora, cessato il conflitto mondiale, la consolazione — piacendo al Signore — di veder
affluire intorno a noi nuovi membri
del sacro collegio provenienti dalle cinque parti del mondo». E, quasi a prevenire le critiche per la drastica riduzione degli italiani, Pacelli aggiunge
che l’Italia non «ne rimarrà diminuita,
ché anzi splenderà agli occhi di tutti i
popoli come partecipe» della grandezza e dell’universalità della Chiesa che
l’ultimo papa romano definisce «soprannazionale»: madre che «non appartiene né può appartenere esclusivamente a questo o a quel popolo» e che
«non è né può essere straniera in alcun
luogo». Così, dopo un secondo concistoro nel 1953, alla fine del pontificato
di Pio XII i cardinali italiani crolleranno al 27 per cento (14 su 52) mentre gli
europei scenderanno sotto i due terzi.
È dunque questo il vero inizio
dell’internazionalizzazione del sacro
collegio, continuata in proporzioni diverse dai suoi successori. Nelle creazioni di Giovanni XXIII — che oltrepassa il
numero dei cardinali fissato da Sisto V
quasi quattro secoli prima e moltiplica
le nazionalità — gli italiani risalgono
infatti al 42 per cento (22 su 52) e gli
europei ben oltre i due terzi. Al pari di
Pacelli, a innovare incisivamente per
quanto riguarda il sacro collegio è Paolo VI, che crea ben 143 cardinali: tra loro 38 italiani, che tornano così a scendere e non superano il 27 per cento;
ri, fissato a 120. Nei due conclavi del
1978 entrano così 111 elettori, e sono 115
in quello del 2005, con una sostanziale
parità numerica — nei tre conclavi —
tra europei e non europei, mentre in
quello del 2013 tra gli elettori vi è un
La Chiesa non appartiene
né può appartenere
a questo o a quel popolo
né può essere straniera in alcun luogo
dice Pacelli il 24 dicembre 1945
leggero aumento dei cardinali europei
(60 su 115), conseguente alle scelte di
Benedetto XVI.
Primo papa non europeo da quasi
tredici secoli, Francesco ha creato 44
cardinali elettori: tra loro, meno di un
terzo sono europei, e cioè 14 (metà dei
quali italiani, circa il 16 per cento). Così, all’indomani della terza creazione
cardinalizia di Bergoglio, il 29 novembre 2016, gli elettori erano 120, cioè il
numero massimo previsto dalla riforma
di Paolo VI e solo episodicamente oltrepassato dai suoi successori. Tra i
cardinali elettori i 66 non europei erano ormai in una maggioranza — già registrata per brevi periodi nell’ultimo
quarantennio, ma più accentuata e destinata ad aumentare — a fronte dei 54
europei (tra questi, ben 25 italiani).
Nel complesso, un quadro molto variegato e che anche nella composizione
del collegio cardinalizio rispecchia ed
esprime davvero, come ha detto il pontefice settant’anni dopo il primo concistoro di Pio XII, l’universalità della
Chiesa. (g.m.v.)
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 29 gennaio 2017
pagina 5
Come ho detto ai miei studenti
può anche darsi che il reale esista
Io posso rifiutare di essere un ragazzo
anzi un essere umano
Ma comunque rifiuto qualcosa
Mirò
«Costruzione» (1930)
Sul costruttivismo e l’essere cattolici
Rendere giustizia
al reale
struttivismo: le soglie simboliche su cui si
sono finora fondate le società umane (la diell’ambito del corso che ho stinzione uomo/animale, la differenza tra i
tenuto quest’anno per gli stu- sessi, l’ordine delle generazioni e così via)
denti che frequentano l’École sono puramente costruite? Oppure si fonNormale Supérieure, ho af- dano su qualcosa di reale? La moda intelfrontato la questione del co- lettuale vuole che tutto sia culturale, senza
alcun riferimento alla natura o a un ordine delle
cose. Non si nasce donna
o uomo, lo si diviene, almeno se lo si desidera (alcuni, si ricorda, esitano
sulla soglia del loro genere). E la differenza dell’essere umano dalle altre specie si deve soltanto a un
orgoglio fuori luogo. Ma,
come ho detto ai miei studenti, può anche darsi che
il reale esista. Io posso rifiutare di essere un ragazzo, anzi un essere umano,
ma comunque rifiuto qualcosa. Qualcosa che mi
precede, con cui devo fare
i conti. È proprio perché
nasco donna che posso
poi rifiutare di esserlo e
che posso, al contrario, in
un gesto di accoglienza,
imparare ad accettarlo. È
perché ricevo il mio corpo
che posso leggerlo come
un fardello da negare o risolverlo come un dono da
scoprire.
Sapevo bene che il mio
discorso andava contro lo
spirito dei tempi. Ho osato comunque dire la verità, per quanto possa apparire banale dire che le ragazze nascono con un utero e che gli animali, diversamente agli uomini, non
si domandano se in fondo
non sono che animali.
Perciò me lo aspettavo:
gentilmente, ma con fermezza, una delle mie allieve mi ha suggerito che, se
la penso così, è perché sono cattolico. «Lei postula,
El Greco, «Guarigione del cieco» (1570-1571, particolare)
signore, un ordine del
Shakespeare
e il sogno
dei detenuti
di MARTIN STEFFENS
N
mondo che non esiste. Le scienze umane ci co, il cristiano non nutre la paura di credemostrano che tutto è costruito. Pertanto re che l’accettazione della verità dipenda
ognuno può scegliere il suo genere o soste- interamente dal suo annuncio. Non ne fa
una malattia se l’annuncio non sortisce efnere la presunta differenza delle specie».
Cattolico, quindi reazionario: molti oggi fetto. Dite a questa casa: «Pace a questa capercorrono questa scorciatoia, senza dubbio sa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra
per far tacere il buonsenso, ossia “il senso del reale”. Ci si può preoccupare
Il cristiano s’impegna tanto più volentieri nella lotta
per questo tipo di attacchi, ci si può indignare e
in quanto essendo questo mondo già salvato
protestare con tutta l’enervi lascerà sì delle piume
gia del mondo. Ma l’anma non certo quelle che gli consentono di volare
goscia, l’esasperazione o la
smania di vincere non sono atteggiamenti che fanno avanzare il Regno. È
meglio riflettere. E far notare, a chi vuole pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà
ascoltare, che essere cattolici permette non su di voi» (Luca, 10, 5-6).
solo di non abbracciare acriticamente tutte
La mia allieva non ha dunque torto: dile mode del tempo, ma anche e soprattutto ventando cattolico, ho smesso di pensare
di coltivare la pace e l’attenzione alle sfu- la mia libertà come potere di scegliere, a
mature persino nel dissenso e nello scontro. partire dal nulla, ciò che sono. Ma se non
Di fatto, personalmente, se non fossi catto- fossi cattolico, la cecità degli altri mi fareblico sarei peggiore! Non solo mi sembrereb- be venir voglia di cavare loro gli occhi, e
be aberrante che si possa negare il reale, non di farli aprire loro, con amore e pama tale “negazionismo” mi esaspererebbe. zienza, consapevole anche dei miei propri
Non avrei allora altra scelta che additare limiti. Combattere per la verità come cricon rabbia la follia dei miei contemporanei stiano è combattere con ancor più dinamio diventare io stesso folle.
smo e coraggio in quanto v’investe la sua
Ma Gesù ci dice: «abbiate fiducia; io ho reputazione, a volte persino la sua persovinto il mondo!» (Giovanni, 16, 33). Un cri- na, ma al contempo, essendo la guerra già
stiano ha il dovere della verità. Ma, da una vinta, la sua gioia e il suo amore per il
parte è la verità di una Buona Novella: se prossimo.
Il cristiano s’impegna tanto più volentiesi può rendere giustizia al reale (intendo dire, al suo corpo ricevuto, al suo posto in ri nella lotta in quanto, essendo questo
una generazione e in seno alla natura) è mondo già salvato, vi lascerà sì delle piuprima di tutto perché Dio è Creatore e me, ma non certo quelle che gli consentobuono; dall’altra, contrariamente al fanati- no di volare.
Può passare anche attraverso il
genio shakespeariano il processo
di riabilitazione del detenuto,
impegnato a valorizzare la propria
creatività e i propri talenti. Lo
testimonia l’iniziativa della
compagnia Puntozero, composta
per tre quarti da giovani attori
detenuti che, al Piccolo Teatro di
Milano, mette in scena, dal primo
al 5 febbraio, Sogno di una notte di
mezza estate con la regia di
Giuseppe Scutellà. Ecco allora che
il sogno di Shakespeare viene
ricreato dai detenuti del carcere
minorile di Beccaria, insieme con
alcuni coetanei, con l’obiettivo di
farlo diventare il loro sogno,
proiettato verso un mondo dove il
teatro svolge un ruolo significativo
contribuendo a promuovere un
profondo processo di crescita
umana e culturale.
«La commedia di Shakespeare in
cui s’intrecciano fantastico e reale
— afferma il regista che ha anche
curato la coreografia — ci è
sembrato potesse offrire un utile
esercizio di fantasia che ha
permesso agli attori di conoscere
nuovi mondi. Del resto —
aggiunge — come possiamo
pensare di rinchiudere dei giovani
e di chiedere loro di riflettere sul
proprio agire senza dare loro gli
strumenti necessari per farlo? E
una volta reclusi, come si può
pretendere che i giovani detenuti
rielaborino il loro reato e si
reinseriscano nella società senza
indicare loro la strada?». D opo
tante prove, affrontate con
determinazione e passione, i
detenuti hanno realizzato uno
spettacolo, di due ore, che
s’inserisce — rileva il regista — nel
solco della scuola strehleriana
dove la tradizione è di per sé
sperimentalismo e dove la
semplicità è il punto d’arrivo.
In memoria di don Cirillo Perron
Trionfo di Cecilia Bartoli e Antonio Pappano
Il piccolo Giulio e il finto zio prete
Compleanno romano per Amadeus
Siamo nel dicembre 1943. A un
bambino ebreo di soli sette anni
— scrive Lucio Brunelli nel libro
Caro Giulio. Corrispondenza di
un’amicizia imprevista con Giulio
Segre (Roma, Edizioni Istituto
Il parroco di Courmayeur
con poco tempo per capire
decise che avrebbe corso il rischio
di essere scoperto dai tedeschi
San Gabriele, 2016) — una sera
all’improvviso viene detto che
non potrà più vedere per molto
tempo i suoi genitori. Il piccolo
«dovrà imparare da subito a
chiamare zio un sacerdote, scordarsi il suo vero nome e apprenderne uno nuovo. Facendo attenzione a non confidare a nessuno, nemmeno ai suoi nuovi
compagni di classe, il segreto
della sua vera identità». Perché
lui, Giulio, è un bambino ebreo
e i genitori non hanno altra speranza di salvarlo dalla follia san-
guinaria del nazismo che affidarlo al parroco di Cormaiore,
come l’autarchia, anche linguistica, ha ribattezzato Courmayeur: don Cirillo Perron, sacerdote fino a un attimo prima
sconosciuto alla famiglia Segre.
«Il mestiere che faccio mi ha
portato nella vita a incontrare
tante persone e tante storie
straordinarie. Una delle più belle e coinvolgenti è certamente la
storia di Giulio Segre. Sembra
la trama di un romanzo. Incredibile, drammatica, avvincente,
ma con l’intensità e la bellezza
della vita vera» chiosa Brunelli,
vaticanista, dal 2014 direttore
delle testate giornalistiche di
Tv2000 e Radio InBlu.
Ma torniamo nella Cormaiore
del dicembre 1943. Don Cirillo,
senza preavviso, senza troppo
tempo per decidere, decide che
sì, correrà il rischio di essere
scoperto dai tedeschi e di subire
rappresaglie. Ma come dire di
no a quella famiglia spaventata?
I Segre, valigie in mano, avevano provato a passare il confine
con la Svizzera ma erano stati
bloccati da un muro di neve di
tre metri, finendo poi a Courmayeur, la porta di una canonica come unica speranza.
Certo, dunque Giulio sarà il
suo nipote preferito, bisognoso
dell’aria buona di montagna per
la lunga convalescenza prescritta dal medico dopo una brutta
malattia ai bronchi. Questa la
versione che don Cirillo fornirà
a tutti. Compreso l’ufficiale tedesco che ha perso un bambino
biondo come Giulio in un bombardamento in Germania, e si
affeziona al supposto nipote
ariano del parroco, gli porta
giocattoli e caramelle. «Conobbi Giulio Segre — racconta Brunelli — di persona all’inizio del
2014 per una lunga intervista
che realizzai per il Tg2 nella sua
casa a Saluzzo. Intervista che fu
trasmessa per il giorno della
memoria, il 25 gennaio, in versione breve nel notiziario delle
20.30 e in versione più estesa
nella rubrica Tg2Storie, nei soliti orari per nottambuli in cui si
relegano spesso i programmi di
qualità. Ricordo tutto, ogni dettaglio, di quelle poche ore passate insieme. La cordialità pie-
montese, austera, senza fronzoli.
Il fisico già minato da una malattia incurabile». Segre si era
deciso a raccontare la sua storia,
vincendo la sua naturale riservatezza, solo per saldare il suo debito di riconoscenza e far ottenere a don Cirillo la medaglia
di Giusto fra le nazioni.
In quell’occasione ricordò il
giorno in cui, alcuni anni dopo
la fine della guerra, tornò nella
piccola frazione di Courmayeur
dove la mamma aveva trovato
alloggio nel 1944, non potendo
resistere a lungo lontana dal suo
bambino. Anche lei in quel periodo buio non aveva potuto rivelare ad alcuno la vera natura
del legame con il bimbo, che si
accontentava ogni tanto di vedere da lontano e raramente incontrare di nascosto.
Ora che l’incubo era svanito
si sentirono dire, con grande
sorpresa, che tutti gli abitanti
della frazione in realtà già allora
avevano capito. «Qui lo sapevamo tutti. Ma la gente di montagna è abituata ad aiutare, e per
questo nessuno ne ha mai parlato». (silvia guidi)
Il mezzosoprano Cecilia Bartoli
Sarebbe piaciuto a Mozart, nato a
Salisburgo il 27 gennaio 1756, il
concerto romano — perfetto nella
scelta dei brani e davvero
emozionante — organizzato per il
suo compleanno dall’Accademia
nazionale di Santa Cecilia. Con
due protagonisti straordinari,
Cecilia Bartoli e il direttore
Antonio Pappano, che hanno
interpretato un programma sacro e
profano insieme all’orchestra e al
coro dell’accademia diretto da Ciro
Visco. Tra le composizioni eseguite,
l’Exsultate, jubilate scritto a Milano
nel 1773 e chiuso da un Alleluja reso
prodigiosamente dal mezzosoprano,
il celeberrimo e struggente Ave
verum corpus del 1791, l’anno della
morte, e il quarto movimento della
sinfonia Jupiter, che ha concluso in
modo trionfale la celebrazione
mozartiana, arricchita da generosi
bis concessi dai due grandi artisti.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 29 gennaio 2017
I vescovi messicani e statunitensi sulla decisione di erigere un muro al confine
Rispetto
per i migranti
CITTÀ DEL MESSICO, 28. «Esprimiamo il nostro dolore e rifiuto
per la costruzione di questo muro, e invitiamo rispettosamente a
fare una riflessione più approfondita sui modi attraverso i
quali si può garantire la sicurezza, lo sviluppo, la creazione di
posti di lavoro e altre misure,
necessarie ed eque, senza causare ulteriori danni a coloro che
già soffrono, i più poveri e i più
vulnerabili»: è quanto si legge in
un comunicato, dal titolo Valor y
respeto al migrante, diffuso ieri
dalla Conferenza episcopale
messicana in merito alla decisione, presa dal presidente statunitense Donald Trump, di dare
inizio alla costruzione di un muro al confine con il Messico per
frenare l’immigrazione illegale
negli Stati Uniti.
Nel documento — che porta la
firma del vescovo di Cuautitlán,
Guillermo Rodrigo Teodoro Ortiz Mondragón, presidente della
Dimensione episcopale di mobilità umana, e del vescovo ausiliare di Monterrey, Alfonso Gerardo Miranda Guardiola, segreta-
rio generale dell’episcopato — si
sottolinea che la Chiesa in Messico continuerà a «sostenere in
modo stretto e solidale i tanti
nostri fratelli che vengono dal
Centro e dal Sud America e che
attraversano il nostro Paese verso gli Stati Uniti». Si invitano
inoltre le autorità messicane a
continuare nella ricerca di dialogo e di accordi con gli Stati
Uniti, affinché «siano salvaguardati la dignità e il rispetto» di
persone che cercano solo migliori opportunità di vita. «Rispettiamo il diritto del governo degli
Stati Uniti di proteggere le sue
frontiere e i suoi cittadini, ma
non crediamo che un’applicazione rigorosa e intensiva della legge sia la maniera giusta per raggiungere i propri obiettivi, e che
al contrario — viene evidenziato
— tali azioni originano allarme e
paura fra i migranti, disintegrando molte famiglie, senza ulteriore considerazione».
Nel testo viene messo in rilievo il lavoro ventennale portato
avanti dai vescovi della frontiera
settentrionale del Messico con i
Visita di una delegazione del Wcc
Per sostenere
il futuro dell’Iraq
BAGHDAD, 28. «Un’importante opportunità per ascoltare ma anche un
momento per mostrare la solidarietà
e il sostegno delle chiese di tutto il
mondo al popolo iracheno, in particolare a coloro che soffrono per la
violenza estrema delle attività terroristiche». Così il segretario generale
del World Council of Churches,
Olav Fykse Tveit, a conclusione della visita che una delegazione dell’organismo ecumenico ha appena compiuto in Iraq. Cinque giorni, fra Baghdad e la regione del Kurdistan
settentrionale, per valutare il futuro
delle componenti più vulnerabili
della società irachena.
Numerosi gli incontri avuti dalla
delegazione: dalla leadership politica
a Baghdad, su tutti il presidente
dell’Iraq, Fuad Masum, ai rappresentanti del governo regionale del
Kurdistan a Erbil, dai parlamentari
che rappresentano le minoranze ai
leader delle altre comunità di fede,
dai vertici delle missioni Onu a
quelli delle chiese cristiane, tra cui il
patriarca di Babilonia dei Caldei,
Louis Raphaël I Sako. La delegazione del Wcc ha inteso perciò richiamare ancora una volta l’attenzione
della comunità internazionale chiedendo una risposta davanti alle
emergenze, al fine di sostenere gli
sforzi per garantire sicurezza, stabilizzare e ricostruire le comunità
coinvolte nello scontro con il cosiddetto stato islamico.
vescovi della frontiera meridionale degli Stati Uniti, che ha
permesso per esempio la creazione di comunità di fede seguite
da diocesi confinanti come Matamoros e Brownsville o Laredo
e Nuevo Laredo. «Ci duole che
molte persone legate da relazioni familiari, di fede, lavoro o
amicizia saranno bloccate ancora
di più» da questa decisione. Si
ricorda fra l’altro il recente intervento del vescovo di Austin, Joe
Steve Vásquez, presidente del
Comitato per la migrazione della Conferenza episcopale statunitense, che ha sottolineato come la costruzione del muro
«metterà in pericolo le vite dei
migranti», specialmente delle
donne e dei bambini, vittime
preferite di trafficanti e contrabbandieri. «Invece di costruire
muri — ha detto monsignor Vásquez — noi vescovi continueremo a seguire l’esempio di Papa
Francesco. Vogliamo costruire
ponti tra le persone, ponti che ci
permettano di rompere i muri
dell’esclusione e dello sfruttamento».
La barriera fra il Messico e gli
Stati Uniti è una «pazzia» perché «non fermerà la migrazione
forzata», ha dichiarato ieri il vescovo di Saltillo, José Raúl Vera
López. Una migrazione «provocata dai governi, dai politici e
da coloro che si occupano
dell’economia mondiale». Per il
cardinale arcivescovo di Newark,
Joseph William Tobin, tale misura «è tutto il contrario di ciò
che significa essere americano» e
contribuirà a distruggere famiglie e comunità, mentre il cardinale arcivescovo di Boston, Sean
Patrick O’Malley, ha ribadito
che un cattolico non potrà che
continuare a provare «compassione e misericordia» per coloro
che fuggono da violenze e persecuzioni. Preoccupazione è stata
espressa anche dalla Santa Sede
attraverso il cardinale prefetto
del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Peter Kodwo Appiah Turkson, per
«il segnale che si dà al mondo»,
con l’auspicio che altri paesi, anche in Europa, «non seguano
questo esempio».
Messaggio di Papa Francesco ai partecipanti
A Washington
in marcia per la vita
versario della sentenza “Roe vs
Wade”, con cui il 22 gennaio
1973 la corte suprema legalizzò
l’interruzione di gravidanza. Ai
partecipanti alla quarantaquattresima edizione, Papa Francesco ha dato il suo “caloroso”
sostegno. In un messaggio a
firma del cardinale segretario di
Stato, Pietro Parolin, e inviato
al nunzio apostolico negli Stati
WASHINGTON, 28. Decine di
migliaia di americani hanno
preso parte ieri, venerdì, a Washington, alla “March for life”,
il tradizionale appuntamento —
nato nel 1974 — promosso dai
movimenti e dalle organizzazioni pro-life con il sostegno
della Conferenza episcopale
statunitense. L’evento si svolge
nella capitale federale nell’anni-
Messa in spagnolo
a Montreal
MONTREAL, 28. La mancanza
di chiese dove si celebra messa nella lingua madre delle
comunità immigrate e il crescente numero di residenti di
origine latinoamericana nel
quartiere canadese di Rivièredes-Prairies, a Montreal, ha
spinto padre Couture Lauréot, parroco della chiesa di
Saint-Joseph, a celebrare l’eucaristia in lingua spagnola. Il
settantaduenne sacerdote ha
motivato la sua scelta sottolineando quanto sia necessario
per la Chiesa cattolica modernizzarsi e adattarsi al cambia-
mento dei tempi. Secondo padre Couture, questa iniziativa
è importante per avvicinare i
fedeli, cercando di parlare la
loro stessa lingua e celebrando la messa in spagnolo in un
momento in cui proliferano le
sette ed è alto il rischio di un
allontanamento dalla fede.
Si stima che nei quartieri di
Rivière-des-Prairies,
Pointeaux-Trembles e in generale
nella parte orientale di Montreal vi siano poco più di diecimila persone di lingua spagnola.
Uniti, arcivescovo Christoph
Pierre, il Santo Padre ha affermato: «È così grande il valore
di una vita umana ed è così
inalienabile il diritto alla vita
del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che
in nessun modo è possibile
presentare come un diritto sul
proprio corpo la possibilità di
prendere decisioni nei confronti
di tale vita, che è un fine in se
stessa e che non può mai essere
oggetto di dominio da parte di
un altro essere umano». Papa
Francesco, inoltre, si dice «fiducioso che questo evento, in
cui molti cittadini americani
manifestano a favore dei più
indifesi dei nostri fratelli e sorelle, possa contribuire a una
mobilitazione delle coscienze in
difesa del diritto alla vita e a
misure efficaci per garantire la
sua adeguata protezione giuridica».
Alla marcia di Washington,
caratterizzata da numerosi striscioni che invitavano a «porre
fine alla pratica dell’aborto» e
a «scegliere la vita» hanno partecipato diverse autorità politiche. Come negli anni precedenti, la manifestazione è stata preceduta da una novena di preghiera e di pentimento e da
una veglia notturna nel santuario dell’Immacolata Concezione, che è proseguita nella cripta
con le confessioni, la recita del
rosario, la preghiera notturna e
l’esposizione del Santissimo Sacramento.
La veglia e la marcia per la
vita sono considerate dalla
Chiesa negli Stati Uniti il momento culminante della novena
di preghiera e penitenza che in
questi giorni ha coinvolto migliaia di fedeli in tutte le diocesi del paese.
Nel corso degli anni il numero delle adesioni alla marcia
per la vita è progressivamente
cresciuto fino a contare, per
esempio nel 2010, circa 300.000
presenze.
Diecimila giovani cattolici di Mangalore manifestano per la pace
Uniti da valori comuni
MANGALORE, 28. Più di diecimila
giovani cattolici indiani, provenienti
da tutto il paese, hanno percorso
nei giorni scorsi le strade di Mangalore per invocare pace e serenità in
Karnataka, lo stato segnato da violenze anticristiane a causa della presenza di gruppi e movimenti estremisti. Il lungo corteo ha pregato, riflettuto e manifestato pacificamente
al termine dell’assemblea dell’India
Catholic Youth Movement, che ha
voluto in tal modo lanciare un messaggio di pace e armonia, nella
diversità etnica e religiosa della nazione.
«L’India — ha dichiarato a Fides
padre Asis Parichha, sacerdote
dell’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar, in Orissa — è una nazione che
accoglie culture e identità diverse»
e la manifestazione promossa dai
giovani ha voluto dimostrare che insieme pace e dialogo sono possibili.
Tra i numerosi partecipanti, l’arcivescovo di Bangalore, monsignor Bernard Blasius Moras, che ha presieduto una celebrazione eucaristica
nella cattedrale della Madonna del
Rosario. All’edizione di quest’anno
hanno preso parte alcuni leader politici del Karnataka e anche il giudice cattolico Joseph Kurian, della
corte suprema indiana, il quale ha
rimarcato l’importanza di difendere
«i diritti e i valori costituzionali che
appartengono a ogni cittadino. Siamo nati in questa terra — ha detto
— e siamo dunque anzitutto indiani,
oltre che cristiani cattolici. Tutti gli
indiani, a prescindere dal loro credo, sono depositari di diritti costitu-
I pericoli della rete
BANGALORE, 28. Un appello ai giovani affinché prestino attenzione a
«non diventare schiavi della tecnologia» e a saper «distinguere il bene
dal male nella vastità del mondo virtuale» è stato lanciato da monsignor
Bernard Moras, arcivescovo di Bangalore. In un messaggio, diffuso in
vista del prossimo sinodo dei vescovi che si terrà nel 2018 e che avrà per
tema: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», il presule parla delle enormi possibilità di comunicazione e interscambio offerte dalla
rete, sottolinenando allo stesso tempo i rischi che si celano nelle pagine
internet, dietro le quali si possono nascondere adescatori e criminali, le
cui vittime preferite sono minori e donne.
zionali e hanno anche il dovere di
rispettare la costituzione». Quindi,
il giudice Kurian ha invitato i giovani a partecipare alla costruzione
della nazione «per stabilire il regno
di Dio sulla terra», e li ha esortati a
essere «cittadini responsabili», nonché «promotori e protagonisti di un
cambiamento». L’arcivescovo Moras, nel ricordare che «tutti abbiamo il diritto fondamentale di professare la nostra fede e nessuno può
privarcene», ha affermato che «bisogna essere uniti, promuovere la
giustizia e difendere i valori cristiani». Anche il vescovo di Mangalore,
monsignor Aloysius Paul D’Souza,
ha esortato i giovani a seguire la via
di Gesù: «Portate la luce del Cristo
nella vostra regione e fatela brillare
con la vostra vita». Nei giorni scorsi, i gesuiti di Calcutta hanno invitato politici e autorità a superare
ignoranza e pregiudizi e a educare i
giovani a promuovere la pace e l’armonia sociale. «La pace è una necessità impellente del tempo in cui
viviamo. Dobbiamo costruire relazioni e aiutare le persone non solo a
tollerare — ha sottolineato il teologo
gesuita indiano Michael Amaladoss,
direttore dell’Istituto per il dialogo
con le culture e le religioni al Loyola College di Chennai — ma a celebrare la differenza come dono creativo di Dio. Dobbiamo costruire
una coalizione multireligiosa per
contrastare ogni tipo di fondamentalismo in tutte le religioni. Dobbia-
mo riconoscere — ha proseguito —
che l’essenza di tutte le religioni è
l’amore, il servizio, la pace e l’armonia. Riconoscere che ogni persona
umana è dimora di un essere supremo porta al reciproco rispetto». A
conclusione della marcia di Mangalore, i rappresentanti politici hanno
ringraziato per la formazione di alta
qualità che le scuole cattoliche di
ogni ordine e grado garantiscono ai
giovani indiani. «Servire Dio e servire la nazione — ha detto Oscar
Fernandes, politico locale — sono
complementari: i giovani usano i talenti ricevuti nelle scuole per servire
l’umanità».
†
È spirato in pace
all’età di 93 anni,
nel
Signore,
l’Abate
D ON EMILIO DUNOYER
dei Canonici Regolari Lateranensi
Ne danno l’annuncio i confratelli e la
sorella.
La Santa Messa di Esequie avrà luogo a Roma lunedì 30 gennaio 2017 alle
ore 12.00 nella chiesa di San Giuseppe
a via Nomentana.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 29 gennaio 2017
pagina 7
Ai consacrati il Papa chiede di valorizzare la vita fraterna in comunità
«Immersi nella cosiddetta cultura del
frammento, del provvisorio, che può condurre
a vivere “à la carte” e a essere schiavi delle
mode», di fronte all’“emorragia” «che
indebolisce la stessa Chiesa» i consacrati
sono chiamati a valorizzare la vita fraterna
in comunità. Lo ha raccomandato Papa
Francesco ai membri della plenaria della
Congregazione per gli istituti di vita
consacrata e le società di vita apostolica,
ricevuti in udienza sabato mattina, 28
gennaio, nella Sala Clementina.
Cari fratelli e sorelle,
è per me motivo di gioia potervi ricevere
oggi, mentre siete riuniti in Sessione Plenaria per riflettere sul tema della fedeltà e
degli abbandoni. Saluto il Cardinale Prefetto e lo ringrazio per le parole di presentazione; e saluto tutti voi esprimendovi la
mia riconoscenza per il vostro lavoro a
servizio della vita consacrata nella Chiesa.
Il tema che avete scelto è importante.
Possiamo ben dire che in questo momento
Inseriti nella riforma
«Seguendo i suoi gesti, la sua parola, ma soprattutto la sua testimonianza quotidiana di supremo
pastore della Chiesa, anche noi consacrati e consacrate ci inseriamo in questa riforma della Chiesa,
cercando di costruirla insieme a lei». Lo ha detto il
cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, nel saluto a Papa Francesco. «Siamo convinti — ha aggiunto — che questo
passaggio è necessario in questo momento della
storia dell’umanità e della Chiesa». Dopo aver presentato i superiori e i membri del dicastero e sei
superiore generali invitate, il porporato ha detto
che in questi giorni è stato compiuto un lavoro interdicasteriale con la Congregazione per i vescovi
per la revisione del documento Mutuae relationes.
Ha poi spiegato che è stata approfondita la parte
teologica partendo dalla comprensione della Chiesa, popolo di Dio in missione, alla luce del concilio Vaticano II. Al centro di questo cammino, ha
sottolineato, «ci hanno guidato l’ecclesiologia e la
spiritualità di comunione e le due dimensioni coessenziali della Chiesa: quella gerarchica e quella
carismatica». Poi è stato presentato un sussidio canonico alla bozza del nuovo documento. Infine, è
stato esaminato l’aspetto pastorale.
Bisogna dire no
alla cultura del provvisorio
vere “à la carte” e ad essere schiavi delle
mode. Questa cultura induce il bisogno di
avere sempre delle “porte laterali” aperte
su altre possibilità, alimenta il consumismo e dimentica la bellezza della vita semplice e austera, provocando molte volte un
grande vuoto esistenziale. Si è diffuso anche un forte relativismo pratico, secondo il
quale tutto viene giudicato in funzione di
una autorealizzazione molte volte estranea
ai valori del Vangelo. Viviamo in società
dove le regole economiche sostituiscono
quelle morali, dettano leggi e impongono
i propri sistemi di riferimento a scapito
dei valori della vita; una società dove la
dittatura del denaro e del profitto propugna una visione dell’esistenza per cui chi
non rende viene scartato. In questa situazione, è chiaro che uno deve prima lasciarsi evangelizzare per poi impegnarsi
nell’evangelizzazione.
A questo fattore del contesto socio-culturale dobbiamo aggiungerne altri. Uno
di essi è il mondo giovanile, un mondo
complesso, allo stesso tempo ricco e sfidante. Non negativo, ma complesso, sì,
ricco e sfidante. Non mancano giovani
molto generosi, solidali e impegnati a livello religioso e sociale; giovani che cercano una vera vita spirituale; giovani che
hanno fame di qualcosa di diverso da
quello che offre il mondo. Ci sono giovani
meravigliosi e non sono pochi. Però anche
tra i giovani ci sono molte vittime della
logica della mondanità, che si può sintetizzare così: ricerca del successo a qualunque
prezzo, del denaro facile e del piacere facile. Questa logica seduce anche molti giovani. Il nostro impegno non può essere altro che stare accanto a loro per contagiarli
con la gioia del Vangelo e dell’appartenenza a Cristo. Questa cultura va evangelizzata se vogliamo che i giovani non soccombano.
Un terzo fattore condizionante proviene
dall’interno della stessa vita consacrata,
dove accanto a tanta santità — c’è tanta
santità nella vita consacrata! — non mancano situazioni di contro-testimonianza che
rendono difficile la fedeltà. Tali situazioni,
tra le altre, sono: la routine, la stanchezza,
il peso della gestione delle strutture, le divisioni interne, la ricerca di potere — gli
arrampicatori —, una maniera mondana di
governare gli istituti, un servizio dell’autorità che a volte diventa autoritarismo e altre volte un “lasciar fare”. Se la vita consacrata vuole mantenere la sua missione
profetica e il suo fascino, continuando ad essere scuola di fedeltà per i
vicini e per i lontani (cfr. Ef 2, 17),
deve mantenere la freschezza e
la novità della centralità di Gesù, l’attrattiva della spiritualità e
la forza della missione, mostrare la bellezza della sequela di
Cristo e irradiare speranza e
gioia. Speranza e gioia. Questo
ci fa vedere come va una comunità, cosa c’è dentro. C’è speranza, c’è gioia? Va bene. Ma quando viene meno la speranza e non
c’è gioia, la cosa è brutta.
Un aspetto che si dovrà curare
in modo particolare è la vita fraterna in comunità. Essa va alimentata dalla preghiera comunitaria, dalla lettura orante
Paolo Veronese,
«Le nozze
di Cana»
(particolare)
la fedeltà è messa alla prova; le statistiche
che avete esaminato lo dimostrano. Siamo
di fronte ad una “emorragia” che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della
Chiesa. Gli abbandoni nella vita consacrata ci preoccupano. È vero che alcuni lasciano per un atto di coerenza, perché riconoscono, dopo un discernimento serio,
di non avere mai avuto la vocazione; però
altri con il passare del tempo vengono
meno alla fedeltà, molte volte solo pochi
anni dopo la professione perpetua. Che
cosa è accaduto?
Come voi avete ben segnalato, molti sono i fattori che condizionano la fedeltà in
questo che è un cambio di epoca e non solo
un’epoca di cambio, in cui risulta difficile
assumere impegni seri e definitivi. Mi raccontava un vescovo, tempo fa, che un bravo ragazzo con laurea universitaria, che lavorava in parrocchia, è andato da lui e ha
detto: «Io voglio diventare prete, ma per
dieci anni». La cultura del provvisorio.
Il primo fattore che non aiuta a mantenere la fedeltà è il contesto sociale e culturale nel quale ci muoviamo. Viviamo immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, che può condurre a vi-
della Parola, dalla partecipazione attiva ai
sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, dal dialogo fraterno e dalla comunicazione sincera tra i suoi membri,
dalla correzione fraterna, dalla misericordia verso il fratello o la sorella che pecca,
dalla condivisione delle responsabilità.
Tutto questo accompagnato da una eloquente e gioiosa testimonianza di vita
semplice accanto ai poveri e da una mis-
sione che privilegi le periferie esistenziali.
Dal rinnovamento della vita fraterna in
comunità dipende molto il risultato della
pastorale vocazionale, il poter dire «venite
e vedrete» (cfr. Gv 1, 39) e la perseveranza
dei fratelli e delle sorelle giovani e meno
giovani. Perché quando un fratello o una
sorella non trova sostegno alla sua vita
consacrata dentro la comunità, andrà a
cercarlo fuori, con tutto ciò che questo
comporta (cfr. La vita fraterna in comunità,
2 febbraio 1994, 32).
La vocazione, come la stessa fede, è un
tesoro che portiamo in vasi di creta (cfr. 2
Cor 4, 7); per questo dobbiamo custodirla,
come si custodiscono le cose più preziose,
affinché nessuno ci rubi questo tesoro, né
esso perda con il passare del tempo la sua
bellezza. Tale cura è compito anzitutto di
ciascuno di noi, che siamo stati chiamati a
seguire Cristo più da vicino con fede, speranza e carità, coltivate ogni giorno nella
preghiera e rafforzate da una buona formazione teologica e spirituale, che difende
dalle mode e dalla cultura dell’effimero e
permette di camminare saldi nella fede.
Su questo fondamento è possibile praticare i consigli evangelici e avere gli stessi
sentimenti di Cristo (cfr. Fil 2, 5). La vocazione è un dono che abbiamo ricevuto
dal Signore, il quale ha posato il suo
sguardo su di noi e ci ha amato (cfr. Mc
10, 21) chiamandoci a seguirlo nella vita
consacrata, ed è allo stesso tempo una responsabilità di chi ha ricevuto questo dono. Con la grazia del Signore, ciascuno di
noi è chiamato ad assumere con responsabilità in prima persona l’impegno della
propria crescita umana, spirituale e intellettuale e, al tempo stesso, a mantenere viva la fiamma della vocazione. Ciò comporta che a nostra volta teniamo fisso lo
sguardo sul Signore, facendo sempre attenzione a camminare secondo la logica
del Vangelo e non cedere ai criteri della
mondanità. Tante volte le grandi infedeltà
prendono avvio da piccole deviazioni o
distrazioni. Anche in questo caso è importante fare nostra l’esortazione di san Paolo: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno» (Rm 13, 11).
Parlando di fedeltà e di abbandoni,
dobbiamo dare molta importanza all’accompagnamento. E questo vorrei sottolinearlo. È necessario che la vita consacrata
investa nel preparare accompagnatori qualificati per questo ministero. E dico la vita
consacrata, perché il carisma dell’accompagnamento spirituale, diciamo della direzione spirituale, è un carisma “laicale”.
Anche i preti lo hanno; ma è “laicale”.
Quante volte ho trovato suore che mi dicevano: «Padre, lei non conosce un sacerdote che mi possa dirigere?» — «Ma, dimmi, nella tua comunità non c’è una suora
saggia, una donna di Dio?» — «Sì, c’è
quella vecchietta che... ma...» — «Vai da
lei!». Prendetevi cura voi dei membri della
vostra congregazione. Già nella precedente Plenaria avete constatato tale esigenza,
come risulta anche nel vostro recente documento Per vino nuovo otri nuovi (cfr. nn.
14-16). Non insisteremo mai abbastanza su
questa necessità. È difficile mantenersi fedeli camminando da soli, o camminando
con la guida di fratelli e sorelle che non
siano capaci di ascolto attento e paziente,
o che non abbiano un’adeguata esperienza
della vita consacrata. Abbiamo bisogno di
fratelli e sorelle esperti nelle vie di Dio,
per poter fare ciò che fece Gesù con i discepoli di Emmaus: accompagnarli nel
cammino della vita e nel momento del disorientamento e riaccendere in essi la fede
e la speranza mediante la Parola e l’Eucaristia (cfr. Lc 24, 13-35). Questo è il delicato e impegnativo compito di un accompagnatore. Non poche vocazioni si perdono
per mancanza di validi accompagnatori.
Tutti noi consacrati, giovani e meno giovani, abbiamo bisogno di un aiuto adeguato per il momento umano, spirituale e
vocazionale che stiamo vivendo. Mentre
dobbiamo evitare qualsiasi modalità di accompagnamento che crei dipendenze.
Questo è importante: l’accompagnamento
spirituale non deve creare dipendenze.
Mentre dobbiamo evitare qualsiasi modalità di accompagnamento che crei dipendenze, che protegga, controlli o renda infantili, non possiamo rassegnarci a camminare da soli, ci vuole un accompagnamento vicino, frequente e pienamente adulto.
mento richiede, da parte dell’accompagnatore e della persona accompagnata, una fine sensibilità spirituale, un porsi di fronte
a sé stesso e di fronte all’altro “sine proprio”, con distacco completo da pregiudizi
e da interessi personali o di gruppo. In
più occorre ricordare che nel discernimento non si tratta solamente di scegliere tra
il bene e il male, ma tra il bene e il meglio, tra ciò che è buono e ciò che porta
all’identificazione con Cristo. E continuerei a parlare, ma finiamo qui.
Tutto ciò servirà ad assicurare un discernimento continuo che porti a scoprire il volere di Dio, a cercare in tutto ciò che più
è gradito al Signore, come direbbe
sant’Ignazio, o — con le parole di san
Francesco d’Assisi — a «volere sempre ciò
che a Lui piace» (cfr. FF 233). Il discerni-
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio ancora
e invoco su di voi e sul vostro servizio come membri e collaboratori della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e
le Società di vita apostolica la continua
assistenza dello Spirito Santo, mentre di
cuore vi benedico. Grazie.
Per la festa di santa Martina
Alla vigilia della memoria liturgica di santa
Martina, nella chiesa barocca al Foro romano dedicata all’evangelista Luca e alla giovane martire romana e legata all’Accademia
nazionale di San Luca, il 29 gennaio alle 18
nella cripta dov’è la confessio edificata da
Pietro da Cortona saranno celebrati i primi
vespri solenni della festa dal rettore della
chiesa, il vescovo Giuseppe Sciacca, segretario del Supremo tribunale della Segnatura
apostolica. E lunedì 30, giorno della festa,
alle 18 sarà celebrato nella stessa chiesa dal
cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del
Pontificio consiglio della cultura, un solenne pontificale. Per l’occasione verrà esposto
alla venerazione dei fedeli il prezioso reliquiario con il capo della martire, custodito
per volontà dello stesso Pietro da Cortona
nell’antico conservatorio (oggi Ipab) di Santa Eufemia.
Il cardinale Turkson denuncia le discriminazioni sociali
Quando
un lebbroso guarisce
«È di troppo ogni nuovo caso di lebbra, è di troppo ogni forma residua di
stigma per questa malattia, è di troppo ogni legge che discrimina i malati
e ogni forma di indifferenza». Non
usa giri di parole il cardinale Peter
Kodwo Appiah Turkson, prefetto del
Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, nel messaggio
per la sessantaquattresima Giornata
mondiale di lotta alla lebbra, che si
celebra domenica 29 gennaio. Eloquente il tema scelto per il 2017:
«Eradicazione della lebbra e reinserimento delle persone colpite dall’hanseniasi: una sfida non ancora vinta».
«La messa a punto di efficaci terapie farmacologiche — scrive il cardinale — e il forte impegno a livello planetario profuso da molti organismi e
realtà nazionali e internazionali, con
la Chiesa cattolica in prima linea»,
hanno consentito di compiere grandi
passi avanti nella lotta alla lebbra.
«Ma c’è ancora moltissimo da fare»
rileva il porporato. Anzitutto «dobbiamo impegnarci tutti e a tutti i livelli perché, in tutti i Paesi, vengano
modificate le politiche familiari, lavorative, scolastiche, sportive e di ogni
altro genere che discriminano direttamente o indirettamente queste persone». E sta ai governi mettere «a punto piani attuativi che coinvolgano le
persone malate».
Inoltre — fa notare il cardinale Turkson nel messaggio — «è fondamentale rafforzare la ricerca scientifica per
sviluppare nuovi farmaci e ottenere
migliori strumenti diagnostici, così da
aumentare le possibilità di diagnosi
precoce». In larga parte infatti «i
nuovi casi vengono identificati solamente quando l’infezione ha già provocato lesioni permanenti». Purtroppo, riconosce, «nelle aree più remote
è difficile garantire l’assistenza necessaria a terminare la cura».
C’è poi la grave questione del reinserimento «a pieno titolo» della «persona guarita nel tessuto sociale originario: nella famiglia, nella comunità,
nella scuola e nell’ambiente di lavoro». Ed è «forse questo, oggi come
oggi, l’ostacolo maggiore da superare
per chi è stato segnato dall’hanseniasi
e per chi opera in suo favore: le disabilità, i segni inconfondibili lasciati
dalla malattia sono ancora oggi simili
a dei marchi a fuoco». La paura, è la
denuncia del cardinale, prevale ancora
troppo spesso «sulla ragione e la
mancanza di conoscenza della patologia da parte della comunità esclude i
guariti che, a loro volta, a causa della
sofferenza e delle discriminazioni subite, hanno perso il senso della dignità che gli è propria, inalienabile anche
se il corpo presenta mutilazioni».
Nomina episcopale
nello Zimbabwe
La nomina di oggi riguarda la
Chiesa in Africa.
Rudolf Nyandoro
vescovo di Gokwe
Nato l’11 ottobre 1968 a Gweru,
allora diocesi di Gwelo, dopo gli
studi primari è entrato nel seminario minore di Chikwingwizha. Ha
seguito i corsi filosofici dal 1991 al
1994 nel seminario maggiore Saint
Charles Lwanga di Chimanimani,
in diocesi di Mutare. In seguito, è
stato inviato al seminario maggiore
di Chishawasha, nell’arcidiocesi di
Harare, per completare la formazione teologica. Ordinato sacerdote
il 19 dicembre 1998 e incardinato
nella diocesi di Masvingo, è stato
vicario parrocchiale a Mukaru Mission nel 1999 e amministratore della cattedrale dal 2000 al 2006. È
stato rettore del seminario minore
dal 2007 al 2009 e del Bondolfi
Teachers’ College dal 2010 al 2015.
Ha conseguito un dottorato in pastoral counselling nel 2015 presso la
University of South Africa e dallo
stesso anno era cancelliere della
diocesi di Masvingo e docente al
Bondolfi Teachers’ College.