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febbraio 2017
Libretto pastorale/Numero Dieci della Parrocchia di Ognissanti - Febbraio 2017.
Ognissanti
NUMERO SPECIALE DEDICATO
AGLI ALTARI DEL DUOMO
IL NUOVO ALTARE
DEL DUOMO
DI OGNISSANTI
SOMMARIO
Gli altari del Duomo di Ognissanti
•Il nuovo altare: struttura e significati;
l’ambone
•I bronzi dell’altare e dell’ambone
•Le reliquie dei Santi e dei Beati inserite
nell’altare
•Una lettera di S.E. il Cardinale Agostino
Cacciavillan.
•Cenni sugli altari ottocenteschi e su
quelli della vecchia chiesa
•Il significato teologico del tabernacolo
-2-
Redazione della monografia
Febbraio 2017
Libretto pastorale / Numero Dieci
della Parrocchia di Ognissanti
Febbraio 2017 – Numero Monografico
Redazione in Via Cavour 2 Arzignano (Vicenza)
Direttore: Mons. Mariano Lovato
Coordinatore responsabile di redazione: Nicodemo Gasparotto
Componenti della redazione: G. Corato, D. Concato, M. Pegoraro,
R. Conzato, M.R. Scolari, G. Zambon, E. Roviaro, A. Lora,
A. Bruttomesso, G. Consolaro, E. Bailo, L. Priante,
F. Giuriolo, L. Fontana.
Questa pubblicazione è disponibile in www.ognissanti.org
Dopo 132 anni dalla consacrazione del Duomo,
avvenuta il 9 novembre 1884, si è giunti il 12
novembre 2016, alla dedicazione del nuovo altare, con la celebrazione presieduta dal Vescovo Beniamino Pizziol. Hanno concelebrato i
presbiteri: mons. Mariano Lovato e Don Luigi
Fontana, parroci in solido della neo eretta Unità
Pastorale di Arzignano Centro, che comprende
le parrocchie di Ognissanti, Castello e San Giovanni Battista, don Andrea Bruttomesso, collaboratore pastorale e inoltre don Marco Gnoato,
cappellano dell’ospedale, don Giovanni Imbonati provicario foraneo, don Giampaolo Merlo
parroco di S. Zeno, don Ferdinando Turro parroco di S. Bortolo, don Mario Marchi, padre
Sergio Boscardin saveriano SX., fra Gianluigi
Pasquale OFM Cappuccino pronipote della Beata Eurosia, don Dario Guarato parroco di Marola parrocchia che custodisce le spoglie della
Beata e don Marco Gasparini segretario del vescovo. Ha guidato la celebrazione mons. Fabio
Sottoriva cerimoniere.
“L’altare nell’assemblea liturgica non è semplicemente un oggetto utile alla celebrazione, ma
è il segno della presenza di Cristo, sacerdote e
vittima, è la mensa del sacrificio e del convito pasquale che il Padre imbandisce per i figli
nella casa comune, sorgente di carità e unità”
(ALC17).
L’altare rappresenta la meta del viaggio di ogni
cristiano e della chiesa tutta: l’incontro con lo
Sposo. Per questo, all’inizio e al termine di ogni
celebrazione, chi presiede, a nome dell’intera
assemblea, bacia l’altare per esprimere la gioia
dell’incontro tra lo Sposo e la sposa.
Alla base di ogni incontro liturgico c’è la convocazione da parte del Signore per stare a tavola
con noi e spezzare per noi il pane. In quanto
ospita la cena, l’altare è una mensa; in quanto
il cibo è il dono che Gesù fa di se stesso quale
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(Arch. Nori presenta il lavoro per la realizazzione dell’altare prima dello svolgimento della cerimonia)
offerta al Padre e all’umanità, l’altare è il luogo
del sacrificio. L’altare è, quindi, il punto simbolico più visibile dell’appuntamento di Dio con
l’umanità.
L’altare, idealmente circondato dal popolo (il
Canone romano parla di “circumstantium”, cioè
coloro che stanno “intorno”), e aperto al mondo
su tutti i lati, ne è il piccolo/grande segno. Fin
dal secolo IV l’altare è di pietra perché in esso
Oltre ad avere la funzione pratica di permette- noi vediamo Cristo “la pietra che i costruttori
re di compiere agevolmente tutti i gesti liturgici hanno scartata ed è divenuta testata d’angolo”
ad esso inerenti, l’altare staccato dalla parete e (Mt 21,42; 1Pt 2,4).
rivolto verso il popolo (OGMR 299) racconta
anche l’immagine della Chiesa uscita dal Con- Poiché l’altare è Cristo e Cristo è uno, in una
cilio: una Chiesa che vuole guardare il mondo chiesa l’altare è unico, e l’Eucaristia viene celecon tenerezza fraterna, una chiesa comunione. brata esclusivamente da questo luogo, mai dagli
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altari laterali, che devono addirittura rimanere
spogli da tovaglie (OGMR 303).
Così pure, visto il significato dell’altare, sarà
bene avere l’attenzione di evitare di metterci
sopra di tutto, riducendolo ad un tavolo da lavoro…
Da “Come argilla nelle tue mani”
di Pierangelo Ruaro,
edizioni ISG, La Voce ELLEDICI
L’altare del Duomo di Ognissanti è composto di
quattro parti.
1.
La prima parte è una base di marmo che
poggia direttamente sul pavimento. È grezza,
scolpita a mano, a significare l’umanità che sta
alla base della Chiesa sulla terra. Su questa
base sono stati deposti i nomi delle famiglie
della comunità.
2.
Su di essa poggia il bronzo opera dello
scultore Raffaele Bonente del 1986, che raffigura in otto pannelli in altorilievo il mistero della
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Redenzione: la Nascita, la Passione, la Morte, la 1.San Felice, giovane martire, patrono della
Chiesa vicentina.
Risurrezione e Ascensione al cielo del Signore
e la Discesa dello Spirito Santo (rimandiamo ad
un altro articolo dello stesso artista la riflessio- 2.Santa Maria Goretti ragazza martire della
purezza.
ne sui bronzi dell’altare).
3.
Su di essa poggia un’altra lastra di mar- 3.Santa Giuseppina Bakhita, suora Canossiana della nostra diocesi.
mo significante la Chiesa celeste con la corona
di Santi e di Beati. Sono i Santi legati alla co- 4.San Giovanni Bosco, protettore dell’oratomunità e alla diocesi:
rio, centro giovanile Mattarello.
-6-
5.Beata Eurosia Fabris mamma e catechista Al di sopra di tutto è posta la grande Pietra
della nostra diocesi.
dell’Altare che simboleggia Cristo crocifisso
e risorto. Egli si fa “mensa” per noi e per tut6.Sant’Angela Merici, cui è dedicato il centro ta la chiesa e salvezza per tutta l’umanità. Sulla
caritativo di Arzignano.
pietra sono incise le cinque croci simbolo delle
7.Santa Maria Bertilla Boscardin, suora Do- cinque piaghe del Signore risorto. La pietra è inclinata nella parte inferiore per simboleggiare le
rotea della nostra diocesi.
mani alzate verso il cielo in segno di offerta: è
8.San Giovanni Antonio Farina, vescovo di Cristo infatti che offre se stesso al Padre per la
Vicenza al tempo della dedicazione del Duo- comunione di tutta la Chiesa.
mo e fondatore delle Dorotee.
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(Presentazione delle reliquie da incastonare nel nuovo altare)
L’ambone
vento di Gesù nella sinagoga di Nazareth: “Oggi
si è adempiuta questa scrittura che voi avete udiNella chiesa ogni spazio liturgico ospita un ele- ta con i vostri orecchi” (Lc 4,16-21).
mento, che costituisce sempre e comunque un
luogo di incontro salvifico fra il Signore e il cre- Il Vangelo della Veglia Pasquale racconta che
dente: sull’altare Cristo si offre come vittima e “... un angelo del Signore, si avvicinò, rotolò la
sacerdote, alla sede presiede e guida il suo popo- pietra e si pose a sedere su di essa … e disse alle
lo come re pastore, all’ambone si presenta come donne: “Voi non abbiate paura. So che cercate
il profeta del Padre, annunciatore del vangelo di Gesù, il crocefisso. Non è qui. È risorto …” (Mt
salvezza, com’è affermato a proposito dell’inter- 28,2.5-6°).
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(Presentazione delle reliquie da incastonare nel nuovo altare)
L’annuncio della risurrezione viene, quindi,
fatto dall’angelo salendo sopra la pietra del sepolcro. In ogni celebrazione il lettore prima, e
il diacono o il prete poi, salgono all’ambone per
compiere la medesima azione.
tro, e per questo ogni lettura viene conclusa dicendo solennemente “parola di Dio”, “parola del
Signore”. Inoltre, per raggiungere l’ambone, è
necessario salire almeno qualche gradino, come
ricorda la parola stessa (ambone viene dal greco
ana-baino che significa “salire”): si proclama da
Essi, infatti, vi salgono per “prendere la parola”, un luogo alto perché si da voce a una parola che
cioè hanno la consapevolezza che le cose che viene dall’alto.
diranno non sono loro, ma vengono da un Al-9-
L’ambone rappresenta il luogo in cui la Scrittura
ritrova, grazie a chi la proclama, visibilità (cioè
un corpo) e vocalità (cioè respiro e suono). In altre parole torna ad essere viva. Per questo la tradizione cristiana ha affidato proprio all’ambone
l’incarico di essere il luogo che ricorda e celebra
il mistero della risurrezione. Esso è monumento del sepolcro vuoto, dove il Signore Risorto si
manifesta alla comunità che, riunita, ascolta la
Parola.
(Don Mariano posizione la reliquia nel nuovo altare)
(Reliquie incastonata nel nuovo altare)
Questo è il motivo per cui la collocazione più
idonea del grande cero pasquale è proprio a
fianco dell’ambone, e il rito solenne, che liturgicamente esprime in pienezza l’importanza
dell’ambone, è il canto dell’Exultet che durante
la veglia pasquale annuncia la risurrezione del
Signore, esattamente come l’angelo (il “giovane” del racconto di Marco) che consola le donne
al sepolcro.
Da “Come argilla nelle tue mani” di Pierangelo presbiterio, a significare la Parola di Dio che ti
Ruaro, edizioni ISG, La Voce ELLEDICI viene incontro.
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L’ambone del Duomo, fusione bronzea dello Riporto lo scritto fattoci pervenire dall’autore
stesso autore Raffaele Bonente, raffigura la pa- stesso del bronzi.
rabola del seminatore e porta incise sopra e sotto
le parole di Pietro: “Signore, da chi andremo?”
Don Mariano Lovato
- “Tu hai parole di vita eterna”. Poggia su un basamento di marmo botticino, come l’altare, ed
è collocato a metà dei tre gradini che elevano il
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Cristo, il mistero, la Chiesa, il sacramento.
I BRONZI DELL’ALTARE
E DELL’AMBONE
La mia scultura, pregna soprattutto di fede cristiana, è fondata sulla tradizione cristiana che
mi fu tramandata e trasmessa con tanta devozione e poi nutrita da fonti ancor più limpide
e sagge di santi sacerdoti, ai quali rimasi sempre fedele con tanta venerazione per assaporare
ancor più le delizie dei loro insegnamenti e per
arricchire in seguito la mia arte scultorea.
tendo non solo emotività e bellezza e gioia, ma
soprattutto fede, vedendo queste opere impariaPer vedere tutto questo nelle mie sculture ci
mo e comprendiamo la dottrina Cristiana, una
vuole una vista perfetta, penetrante, pregna di
lettura per tutti anche per i non addetti ai lavori.
una grande santa fede, solo così se ne può assaporare e godere la fragranza.
Allora sì, quando ci accostiamo ad un’opera
d’arte sacra sentiamo vibrare dentro di noi una
Se, per assurdo possiamo dire che la materia
dolcezza celeste che ci farà quasi assaporare e
bronzea, è quasi insapore ed inodore, fra le luci
sollevare da terra, ci stacchiamo dal mondo per
e ombre trasmette la propria dolcezza il suo provivere un’altra realtà.
fumo la sua plasticità, la sua devozione, ed anche il sacrificio ed infine anche una bellezza di Un altro mondo, il mondo del cielo: “il paradicolui che l’ha realizzata.
so”.
Un’opera d’arte cristiana nasce così trasmet-
Sul fronte, ecco in primo piano “la Crocifissio-
dedicazione del Duomo, essendo l’altare e l’ambone il cuore della liturgia celeste e terrena, di
far brillare questi due fuochi. Certamente uno
non può escludere l’altro, nell’altare che è il primo di questi due, ho messo in risalto il sacrificio
di Cristo fondamento vivo della liturgia Eucaristica, senza tale sacrificio non sarebbe certamente nata la Chiesa, e pertanto sul retro dell’altare o messo subito in risalto la Pentecoste.
Un’arte semplice, impetuosa, quasi spontanea,
nata da una mano sapiente ma anche da un cuo- Pertanto, Cristo e la Chiesa.
re gonfio e ripieno dei segreti del cielo; un vero
Uno non può vivere senza l’altro, Cristo trioninnamorato di Dio.
fante sulla croce, la Chiesa, con Maria vergine
Essendomi pertanto stata assegnata, come in trionfatrice della cristianità.
ogni lavoro una tematica, ho cercato anche qui
Lo sposo e la sposa, una realtà esaltante della
ad Arzignano, in occasione del centenario della
nostra fede cristiana.
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Uno dei bozzetti originali conservato in Canonica
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(Cerimonia della dedicazione dell’altare del Duomo di Ognissanti da parte del Vescovo Mons. Beniamino Pizziol)
ne”, quasi un’immagine terrificante nella sua
crudezza e verità, ma senza di essa per noi non
ci sarebbe stata la vita, quella vitalità alla quale
ci richiamiamo giorno dopo giorno, un morire
che fa vivere, il morire in Cristo e vivere per
l’Eternità.
un’agonia. Gesù affida la sua vita Dio suo Padre
ed un angelo gli offre il calice della sofferenza.
Il terzo pannello che completa la scena della
pietà è il trionfo di Cristo che sconfigge la morte e ci apre la porta della nostra salvezza come
primizia di coloro che dormono il sonno eterno.
A fianco della crocifissione troviamo il pannel- “Doveva conoscere la sofferenza per entrare
lo della sofferenza, Gesù nell’orto degli ulivi, è nella gloria” (Lc 24,26) è la scritta che sottolinea
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(Cerimonia della dedicazione dell’altare del Duomo di Ognissanti da parte del Vescovo Mons. Beniamino Pizziol)
il mistero della passione morte e risurrezione
del Signore. Sono le parole rimproveranti e
rassicuranti i due discepoli di Emmaus con le
quali il Signore risorto ha spiegato le scritture e
fatto ardere il loro cuore per renderli testimoni
coraggiosi del Risorto. È profezia e pegno del
nostro destino.
Ai lati fioriscono i pannelli della gloria di Ma-
ria, vergine nel natale del Signore. “Emmanuele, Dio con noi” (Mt 1,23) Sono la parole incise
ai predi della Vergine che con Giuseppe presentano il mistero dell’incarnazione. È l’annuncio
della pienezza dei tempi, della nostra salvezza.
Dall’altra parte dell’altare l’Ascensione del corpo di Gesù in cielo a fianco del Padre. “Assunto
nella gloria” (1Tim 3,16), testimonia Paolo nella
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(Cerimonia della dedicazione dell’altare del Duomo di Ognissanti da parte del Vescovo Mons. Beniamino Pizziol)
sua prima lettera a Timoteo, professione di fede, altà mistica, il mistero della nostra fede. “Avrete
annuncio e anticipazione del nostro destino.
forza dallo Spirito e mi sarete testimoni” (Atti
1,8), così è scritto a fondamento della chiesa
Sul retro dell’altare suddiviso in tre pannelnascente. Sono le ultime parole di Gesù conseli troviamo la Pentecoste, conturbata e turbata
gnate agli apostoli prima di entrare nella gloria.
dal soffio dello Spirito Santo che si agita sulla
Sono il suo testamento, il suo mandato, la sua
Chiesa nella figura di Maria e degli Apostoli.
presenza accompagnatrice della sua chiesa.
Una scena quasi di spavento, di mistero: tutti si
sentono rapiti da una realtà sovrumana, una re- Chi può svelare questo mistero di Dio: Dio e
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(Cerimonia della dedicazione dell’altare del Duomo di Ognissanti da parte del Vescovo Mons. Beniamino Pizziol)
Dio solo.
Sul pannello dell’ambone troviamo il buon seminatore che sparge la sua semente, come dice
la parabola, in terreno fertile, in terreno meno
fertile ed anche fra le spine e i rovi. “Signore:
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”
(Gv 6,68) sono le parole di Gesù rivolte a Pietro
incredulo; parole che presentano la Parola per-
ché sia accolta, meditata, pregata, custodita e
vissuta. A buon intenditore poche parole, questo
è il messaggio che viene lanciato dall’ambone.
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Arch. Raffaele Bonente
LE RELIQUIE
DEI SANTI E DEI BEATI
INSERITE NELL’ ALTARE
Perché le reliquie e perché questi santi
La tradizione del martire nella fede assume un
risalto particolare: egli è visto come colui che,
offrendo in sacrificio la vita per testimoniare la
fede, ripercorre la Passione e morte di Cristo.
Diventa in questo modo un esempio per tutta
la Chiesa, degno della beatitudine celeste, tanto
vicino a Dio per i propri meriti da poter intercedere per tutti i fedeli. Ecco perché la memoria
dei martiri è per la Chiesa un giorno di festa e
di celebrazioni speciali, mentre la conservazione delle loro reliquie ha richiesto l’erezione di
spazi privilegiati per il loro culto e per l’inconFelice e Fortunato
tro con Dio.
Nell’altare rinnovato del nostro Duomo si è
scelto di deporre tali reliquie in ricordo di santi
martiri, ai quali Arzignano è particolarmente
legata
Felice e Fortunato, fratelli vicentini, dei quali
non si hanno molti documenti certi, subirono
il martirio ad Aquileia, forse nel 303, a seguito
della persecuzione di Diocleziano.
Si narra che all’inizio del quarto secolo, durante
la violenta persecuzione contro i cristiani, i 2
fratelli si recassero ad Aquileia per ragioni di
commercio. Ferventi cristiani, furono scoperti
un giorno, mentre pregavano in un bosco: fatti
subito arrestare dal prefetto Eufemio, dichiararono con grande coraggio la propria fede. Si
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ricorse a vari espedienti per indurli ad abbandonare la loro fede: si passò dalle lusinghe alle
minacce, dalla proposta di bruciare l’incenso in
onore degli imperatori alle torture che, a quanto
narra la tradizione, dovettero essere sempre più
gravi e strazianti.
però al 14 agosto secondo la tradizione aquileiese, ereditata poi a Chioggia, e al 13 maggio a Vicenza, vicina invece alla tradizione
ambrosiana. I santi Felice e Fortunato sono
titolari della basilica che sorge nell’omonimo
corso a Vicenza, lungo l’antica via consolare
Postumia, nel luogo dove la prima comunità
cristiana di Vicenza nel IV secolo aveva edificato un ambiente di culto ora chiamato ‘basilica antica’.
Essi perseverarono nella loro testimonianza
invocando il nome di Cristo. Risultando vana
ogni forma di dissuasione, il prefetto ordinò che
fossero decapitati. Condotti nei pressi del fiume
Natisone, compresi della gravità del momento, Giovanni Bosco
Felice e Fortunato si abbracciarono con affetto e, in ginocchio, resero grazie a Dio, mentre i
carnefici si accingevano a decapitarli.
Nel luogo stesso del loro martirio la primitiva
comunità cristiana aquileiese ne raccolse i resti e costruì un edificio di culto attorno al quale
si sviluppò poi un cimitero cristiano. Il dissidio
immediatamente sorto tra Vicenza ed Aquileia
per l’attribuzione delle reliquie dei due martiri
portò nella seconda metà del quarto secolo alla
divisione dei corpi: Vicenza ebbe quello di San
Felice, immediatamente deposto nel martyrion,
presso l’antica basilica omonima fuori delle
mura della città, mentre ad Aquileia rimase la
salma di san Fortunato, traslata in epoca longobarda a Malamocco e nel 1080 a Chioggia dove
è tuttora conservata nella cattedrale intitolata ai Giovanni Bosco, protettore del nostro oratorio,
nacque il 16 agosto 1815 al Colle dei Becchi,
due martiri vicentini.
una località presso Castelnuovo d’Asti, ora CaQuesta divisione, che smonta la bizzarra e tardi- stelnuovo Don Bosco. Di famiglia povera si
va tradizione secondo la quale si separarono le preparò, fra stenti ed ostacoli, lavorando e stuteste dai corpi mischiandoli, risulta confermata diando, alla missione che gli era stata indicata
tanto dalla testimonianza poetica di Venanzio durante un sogno, fatto all’età di nove anni e
Fortunato nel quinto secolo che dal privilegio confermata più volte in seguito, in modo straredatto dal vescovo Rodolfo per il monastero ordinario.
di san Felice, mentre le analisi antropologiche
Studiò a Chieri, a pochi chilometri da Torino. Tra
redatte nel 1769 sui resti conservati a Vicenza le belle chiese di Chieri Santa Maria della Scala
convalidano l’appartenenza ad un solo indivi- (il Duomo) fu la più frequentata da Giovanni
duo, morto per decapitazione. Nonostante la Bosco, ogni giorno, mattino e sera. Pregando
spartizione delle reliquie, la memoria dei due e riflettendo davanti all’altare della Cappella
fratelli martiri rimase comunque unita, fissata della Madonna delle Grazie egli decise il suo
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avvenire. A 19 anni voleva farsi religioso francescano. “Informato della decisione, il parroco
di Castelnuovo, don Dassano, avvertì Mamma
Margherita con queste parole molte esplicite:
“Cercate di allontanarlo da questa idea. Voi non
siete ricca e siete avanti negli anni. Se vostro
figlio va in convento, come potrà aiutarvi nella
vostra vecchiaia?”. Mamma Margherita si mise
addosso uno scialle nero, scese a Chieri e parlò
a Giovanni:
“Il parroco è venuto a dirmi che vuoi entrare
in convento. Sentimi bene. Io voglio che tu ci
pensi e con calma. Quando avrai deciso, segui
la tua strada senza guardare in faccia nessuno.
La cosa più importante è che tu faccia la volontà
del Signore. Il parroco vorrebbe che io ti facessi
cambiare idea, perché in avvenire potrei avere
bisogno di te. Ma io ti dico: in queste cose tua
madre non c’entra. Dio è prima di tutto. Da te
io non voglio niente, non mi aspetto niente. Io
sono nata povera, sono vissuta povera, e voglio
morire povera. Anzi, te lo voglio subito dire: se
ti facessi prete e per disgrazia diventassi ricco
non metterò mai più piede in casa tua. Ricordatelo bene”.
Giovanni Bosco quelle parole non le avrebbe dimenticate mai. Dopo molta preghiera ed essersi consultato con amici e con il suo confessore
Don Giuseppe Cafasso, entrò in seminario per
gli studi di teologia. Fu poi ordinato sacerdote
a Torino nella chiesa dell’Immacolata Concezione il 5 giugno del 1841. Don Bosco prese
con fermezza tre propositi: “Occupare rigorosamente il tempo. Patire, fare, umiliarsi in tutto e
sempre quando si tratta di salvare le anime. La
carità e la dolcezza di San Francesco di Sales mi
guideranno in ogni cosa”.
sco d’Assisi, ebbe l’incontro con il primo dei
moltissimi ragazzi che l’avrebbero conosciuto
e seguito: Bartolomeo Garelli. Incomincia cosi
l’opera dell’Oratorio, itinerante al principio, poi
dalla Pasqua 1846, nella sua sede stabile a Valdocco, Casa Madre di tutte le opere salesiane.
I ragazzi sono già centinaia: studiano e imparano il mestiere nei laboratori che Don Bosco ha
costruito per loro.
Egli aveva capito che, nel momento in cui nasceva il nuovo mondo industriale, i giovani dovevano essere preparati alla vita, non solo moralmente, ma anche professionalmente. Perciò
ideò le prime scuole professionali dalle quali
dovevano uscire non tanto uomini colti, ma
operai onesti e capaci
Più che maestro egli si considerava amico dei
ragazzi per i quali sopportò gravissime fatiche e
patì persecuzioni politiche. Un prete che si occupava di scuole e che fondava ovunque laboratori dava sospetto ai politici, liberali di nome
e settari di fatto.
Nella sua opera educativa fu aiutato da sua
madre, mamma Margherita, che fece venire
dai Becchi, per sostenerlo e perché facesse da
mamma a tanti suoi ragazzi che avevano perso i
propri genitori. Nel 1859 poi invita i suoi primi
collaboratori ad unirsi a lui nella Congregazione Salesiana: rapidamente si moltiplicheranno
ovunque oratori, scuole professionali, collegi,
centri vocazionali, parrocchie, missioni.
Nel 1872 fonda l’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice (FMA) che lavoreranno in svariate
opere per la gioventù femminile. Cofondatrice e
prima superiora fu Maria Domenica Mazzarello (1837-1881) che verrà proclamata santa il 21
Venuto a Torino, fu subito colpito dallo spetta- giugno 1951, da Pio XII.
colo di centinaia di ragazzi e giovani allo sban- Ma Don Bosco seppe chiamare anche numerosi
do, senza guida e lavoro: volle consacrare la sua laici a condividere con i Salesiani e le Figlie di
vita per la loro salvezza.
Maria Ausiliatrice la stessa sua ansia educativa.
L’8 dicembre 1841, nella chiesa di San France- Fin dal 1869 aveva dato inizio alla Pia Unione
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dei Cooperatori che fanno parte a pieno titolo doti di educatore.
della Famiglia Salesiana e ne vivono lo spirito Il 14 gennaio 1827 ricevette l’ordinazione saprodigandosi nel servizio ecclesiale.
cerdotale e subito dopo conseguì il diploma di
A 72 anni, sfinito dal lavoro, secondo quan- abilitazione all’insegnamento nelle scuole eleto aveva detto: “Ho promesso a Dio che fin mentari. Nei primi anni di ministero ebbe vari
l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei incarichi: fu docente in seminario per 18 anni,
poveri giovani”. Don Bosco muore a Tori- cappellano di San Pietro in Vicenza per 10 anni
no-Valdocco, all’alba del 31 gennaio 1888. Fu e partecipò a varie istituzioni culturali, spirituali
beatificato il 2 giugno 1929 e dichiarato santo e caritative cittadine, tra cui la direzione della
da Pio XI il l° aprile 1934, domenica di Pasqua. scuola pubblica elementare e liceale.
In seguito, molti altri sono venuti a gettare nei
solchi semi di vita: Domenico Savio, Don Rua,
Don Rinaldi… affinché il terreno continuasse
ed essere fertile, anche dopo Don Bosco.
Giovanni Antonio Farina
Nel 1831 diede inizio in Vicenza alla prima
scuola popolare femminile e nel 1836 fondò
le Suore Maestre di S. Dorotea Figlie dei Sacri
Cuori, un istituto di «maestre di provata vocazione, consacrate al Signore e dedite interamente all’educazione delle fanciulle povere». Subito
egli volle che le sue religiose si dedicassero anche alle fanciulle di buona famiglia, alle sordomute e alle cieche; le inviò quindi all’assistenza
degli ammalati e degli anziani negli ospedali,
nei ricoveri e a domicilio. Il 1° marzo 1839 ottenne il decreto di lode da papa Gregorio XVI;
le Regole da lui elaborate rimasero in vigore
fino al 1905, quando l’Istituto venne approvato
da papa Pio X, ordinato sacerdote dallo stesso
vescovo Farina.
Nel 1850 fu eletto vescovo di Treviso e ricevette
la consacrazione episcopale il 19 gennaio 1851.
In questa diocesi svolse una multiforme attività apostolica: iniziò subito la visita pastorale e
Nato a Gambellara l’11 gennaio 1803 da Pietro organizzò in tutte le parrocchie associazioni per
e Francesca Bellame, Giovanni Antonio Farina l’aiuto materiale e spirituale agli indigenti, tanricevette la prima formazione dallo zio paterno, to da essere chiamato «il vescovo dei poveri».
un santo sacerdote che fu per lui vero maestro Incrementò la pratica degli esercizi spirituali e
di spirito e anche suo precettore, non essendo- l’assistenza ai sacerdoti poveri e infermi; curò
ci all’epoca scuole pubbliche nei piccoli paesi. la formazione dottrinale e culturale del clero e
A quindici anni entrò nel seminario diocesano dei fedeli, l’istruzione e la catechesi della giodi Vicenza, dove frequentò tutti i corsi, distin- ventù. L’intero decennio del suo episcopato a
guendosi per bontà d’animo e una particolare Treviso fu turbato da questioni giuridiche con
attitudine allo studio. A 21 anni, mentre ancora il Capitolo della cattedrale; queste gli crearono
frequentava la teologia, venne destinato all’in- profonda sofferenza e condizionarono la realizsegnamento in seminario, rivelando spiccate zazione del suo programma pastorale frenando
molte iniziative, fino a impedirgli la celebrazio- 21 -
ne del sinodo diocesano.
XIX secolo, ha un autentico valore di attualità e
Il 18 giugno 1860 venne trasferito alla sede ve- possiede ancor oggi la fecondità spirituale delle
scovile di Vicenza, ove mise in atto un vasto persone di prua nella Chiesa e per la Chiesa del
programma di rinnovamento e svolse una im- terzo millennio.
ponente opera pastorale orientata alla formazio- Nell’edizione del Martirologio Romano, ed.
ne culturale e spirituale del clero e dei fedeli, 2007, la festa liturgica è stata segnata al 4 marzo
all’insegnamento catechistico dei fanciulli, alla (il suo dies natalis), mentre nell’Editto di beatiriforma degli studi e della disciplina nel semi- ficazione promulgato da Papa Giovanni Paolo
nario. Indisse il sinodo diocesano che non ve- II, la data è stata fissata al 14 gennaio, data in
niva celebrato dal 1689; nella visita pastorale cui lo celebra la diocesi di Vicenza. Papa Franpercorse talvolta vari chilometri a piedi o con la cesco lo ha canonizzato il 23 novembre 2014.
mula, per raggiungere anche i paesini di monta- Maria Bertilla Boscardin
gna che non avevano mai visto un vescovo. Istituì numerose confraternite per il soccorso ai poveri e ai sacerdoti anziani e per la predicazione
di esercizi spirituali al popolo; incrementò una
profonda devozione al Sacro Cuore di Gesù,
alla Madonna e all’Eucaristia. Tra il dicembre
1869 e il giugno 1870 partecipò al Concilio Vaticano I, ove fu tra i sostenitori della definizione
dell’infallibilità pontificia.
Gli ultimi anni della vita furono contrassegnati
da aperti riconoscimenti per la sua attività apostolica e la sua carità, ma anche da profonde sofferenze e da ingiuste accuse di fronte alle quali
egli reagì con il silenzio, la tranquillità interiore
e il perdono, con fedeltà alla propria coscienza e
alla regola suprema della «salute delle anime».
Dopo una prima grave malattia nel 1886, le sue
forze fisiche si indebolirono gradatamente, fino È nata nel 1888 a Brendola, in provincia di
all’attacco di apoplessia che lo portò alla morte Vicenza. Al battesimo è chiamata Anna Francesca: figlia di agricoltori non certo ricchi, ha
il 4 marzo 1888.
frequentato alcune classi di scuola elementare;
Dopo la sua morte la fama di santità andò cre- poi, presto al lavoro, come tutte le ragazze della
scendo negli ambienti ecclesiastici e civili; fin sua condizione all’epoca. Lavoro in campagna,
dal 1897 si cominciò a ricorrere alla sua inter- in casa sua, in casa d’altri.
cessione per ottenere grazie e favori celesti. Nel
1978 una suora ecuadoriana, suor Inés Torres Presa la decisione di farsi suora, Anna FranCordova, colpita da grave tumore con metastasi cesca lascia che sia il suo parroco a scegliere
diffuse, guarì miracolosamente dopo avere in- per lei tra le varie congregazioni femminili. Al
vocato il padre fondatore insieme alle sue con- momento della professione religiosa prende poi
i nomi di Maria Bertilla. I suoi primi compiti
sorelle.
in comunità sono i lavori in cucina, al forno e
Questo vescovo della carità, vissuto in una dif- in lavanderia: nessun problema per una che coficile situazione storica della Chiesa italiana nel
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nosce le fatiche della campagna ancora senza Giuseppina Bakhita
macchine, dove tutto si fa a forza di braccia. Poi
inizia il tirocinio presso l’ospedale di Treviso e
si rimette a studiare, diplomandosi infermiera.
Ma questo non le impedisce di dedicarsi anche
a compiti più pesanti per aiutare le consorelle.
Ecco poi sopraggiungere il tumore, l’intervento chirurgico, la lenta ripresa. Pochi anni dopo
scoppia la prima guerra mondiale, e quando
Treviso viene a trovarsi in pericolo suor Maria Bertilla è trasferita in Lombardia con tutto
l’ospedale e sottoposta a una prova severa: incomprensioni e dissensi provocano la sua “retrocessione” da infermiera a donna di fatica in
Nasce nel Sudan nel 1869, rapita all’età di setlavanderia.
te anni, venduta più volte, conosce sofferenze
Suor Maria Bertilla ne soffre moltissimo: ma fisiche e morali, che la lasciano senza un’idensoltanto dentro di sé. Non le sfugge una paro- tità. Sono i suoi rapitori a darle il nome di Bala di amarezza, di risentimento. Il suo fisico khita («fortunata»). Nel 1882 viene comprata a
ora resiste meno allo sforzo, ma la volontà non Kartum dal console Italiano Callisto Legnani.
cede. Dopo il rientro a Treviso, la religiosa vie- Nel 1885 segue quest’ultimo in Italia dove, a
ne reintegrata nelle funzioni di infermiera. Ma Genova, viene affidata alla famiglia di Augusto
lei è anche qualcosa d’altro, come dirà Giovan- Michieli di Mirano e diventa la bambinaia della
ni XXIII canonizzandola l’11 maggio del 1961: figlia. Quando la famiglia Michieli si sposta sul
“L’irradiazione di suor Bertilla si allarga: nelle Mar Rosso, Bakhita resta con la loro bambina
corsie, a contatto con gli epidemici, a consolare,
presso le Suore Canossiane di Venezia. Qui ha
a calmare: pronta e ordinata, esperta e silenziola possibilità di conoscere la fede cristiana e, il 9
sa, fino a far dire anche ai distratti che Qualgennaio 1890, chiede il battesimo prendendo il
cuno – cioè il Signore – fosse sempre con lei a
nome di Giuseppina. Nel 1893, dopo un intenso
dirigerla”.
cammino, decide di farsi suora canossiana per
Finché crolla: si è riprodotto il tumore. “La servire Dio che le aveva dato tante prove del
morte mi può sorprendere ad ogni momento”, suo amore. Divenuta suora, nel 1896 è trasferita
scrive nei suoi appunti, “ma io devo essere pre- a Schio (Vicenza) dove muore l’8 febbraio del
parata”. Nuova operazione, ma questa volta non 1947. Per cinquant’anni ha ricoperto compiti
si rialza più e la sua vita si conclude a 34 anni. umili e semplici offerti con generosità e semL’irradiazione però continua. Presso la sua tom- plicità.
ba c’è sempre chi prega, chi ha bisogno della
suora infermiera per i mali più diversi: e l’aiuto, Esiste un manoscritto, redatto in italiano e custoper vie misteriose, arriva. Vissuta oscuramente, dito nell’archivio storico della Curia generalizia
Maria Bertilla è sempre più conosciuta e amata delle suore Canossiane di Roma, che raccoglie
da morta. Esperta in sofferenza e umiliazione, l’autobiografia di santa Bakhita, canonizzata in
continua a donare speranza. Le sue spoglie si piazza San Pietro il 1° ottobre 2000 fra danze
trovano ora a Vicenza, nella Casa Madre della e ritmati canti africani. In questo manoscritto
sono racchiuse le brutture a cui fu sottoposta
sua comunità.
Bakhita nei suoi tragici anni di schiavitù, la sua
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riacquistata libertà e infine la conversione al
cattolicesimo.
“La mia famiglia abitava proprio nel centro
dell’Africa, in un sobborgo del Darfur, detto
Olgrossa, vicino al monte Agilerei... Vivevo
pienamente felice… “ Aveva nove anni circa
quando venne venduta a mercanti di schiavi,
iniziò per Bakhita un’esistenza di privazioni,
di frustate e di passaggi di padrone in padrone.
Poi venne tatuata con rito crudele e tribale: 114
tagli di coltello lungo il corpo: “Mi pareva di
morire ad ogni momento… Immersa in un lago
di sangue, fui portata sul giaciglio, ove per più
ore non seppi nulla di me… Per più di un mese
[distesa] sulla stuoia… senza una pezzuola con
cui asciugare l’acqua che continuamente usciva
dalle piaghe semiaperte per il sale”.
“Pronunciate i santi voti senza timori. Gesù vi
vuole, Gesù vi ama. Voi amatelo e servitelo
sempre così”, le dirà il cardinal Giuseppe Sarto, nuovo Patriarca e futuro Pio X. Nel 1896
pronuncia i voti e si avvia ad un cammino di
santità. Cuoca, sacrestana e portinaia saranno le
sue umili mansioni.
Donna di preghiera e di misericordia, conquistò
la gente di Schio, dove rimase per ben 45 anni.
La suora di “cioccolato”, che i bambini provavano a mangiare, catturava per la sua bontà, la
sua gioia, la sua fede. Già in vita la chiamano
santa e alla sua morte (8 febbraio 1947), sopraggiunta a causa di una polmonite, Schio si
vestì a lutto.
Sant’Angela Merici
Giunse finalmente la quinta ed ultima compra-vendita della giovane schiava sudanese.
Grazie al nuovo acquirente, l’agente consolare
italiano, Callisto Legnami, dieci anni di orrori e
umiliazioni si chiudevano. E, per la prima volta, Bakhita indossa un vestito.
Trascorrono più di due anni. L’incalzante rivoluzione mahdista fa decidere il funzionario italiano di lasciare Khartoum e tornare in patria.
Bakhita raggiunge la sconosciuta Italia, dove il
console la regalerà ad una coppia di amici di
Mirano Veneto e per tre anni diventerà la bambinaia di loro figlia, Alice.
Ed ecco l’incontro con Cristo. La mamma di
Alice, Maria Turina Michieli, decide di mandare figlia e bambinaia in collegio dovendo raggiungere l’Africa per un certo periodo di tempo.
La giovane viene ospitata nel Catecumenato diretto dalle Suore Canossiane di Venezia (1888).
Il 9 gennaio 1890 riceve dal Patriarca di Venezia il battesimo, la cresima e la comunione e le
viene imposto il nome di Giuseppina, Margherita, Fortunata, che in arabo si traduce Bakhita.
Nel 1893 entra nel noviziato delle Canossiane.
Angela Merici nacque il 21 marzo 1474 a Desenzano sul Garda (Brescia). Fondò nel 1535
la Compagnia di Sant’Orsola, congregazione
le cui suore sono ovunque note come Orsoline. Le sua idea di aprire scuole per le ragazze
era rivoluzionaria per un’epoca in cui l’educazione era privilegio quasi solo maschile.
Nata in una povera famiglia contadina, entrò,
giovanissima, tra le Terziarie francescane. Rimasta orfana di entrambi i genitori a 15 anni,
partì per la Terra Santa. Qui avvenne un fatto
insolito. Giunta per vedere i luoghi di Gesù,
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rimase colpita da cecità temporanea. Dentro di Eurosia Fabris
sé, però, vide una luce e una scala che saliva in
cielo, dove la attendevano schiere di fanciulle,
mentre una voce la invitava a fondare una comunità religiosa. Capì allora la sua missione.
Affascinata dalla celebre leggenda di Sant’Orsola, la regale fanciulla martirizzata dagli unni
a Colonia insieme con undicimila vergini,
una volta ritornata in patria, diede vita alla
nuova congregazione, che intitolò in onore di
Sant’Orsola. Le prime aderenti vestivano come
le altre ragazze di campagna. La regola venne
stampata dopo la sua morte, avvenuta a Brescia
il 27 gennaio del 1540. Nel testamento spirituale, Angela tratteggiò le linee essenziali del
suo metodo educativo, basato tutto sul rapporto
Eurosia Fabris nacque il 27 settembre 1866 a
di sincero amore tra educatore ed educando e
Quinto Vicentino, grosso Comune a otto chilosul pieno rispetto delle libertà altrui.
metri da Vicenza. I suoi genitori, Luigi e Maria
Così lasciò scritto alle sue Orsoline: “Vi suppliFabris, la portarono al fonte battesimale delco di voler ricordare e tenere scolpite nella menla chiesa parrocchiale di Quinto Vicentino tre
te e nel cuore, tutte le vostre figliole ad una ad
giorni dopo la nascita. Nel 1870, la famiglia si
una; e non solo i loro nomi, ma ancora la contrasferì a Marola, sempre in provincia di Vicendizione e indole e stato e ogni cosa loro. Il che
za. Qui Rosina, come era chiamata in famiglia,
non vi sarà difficile, se le abbracciate con viva
frequentò solo le prime due classi elementari,
carità… Impegnatevi a tirarle su con amore e
perché poi dovette aiutare i genitori nei lavori
con mano soave e dolce, e non imperiosamente
dei campi. In quel tempo, in cui l’analfabetismo
e con asprezza, ma in tutto vogliate essere piafemminile superava il 75%, fu comunque una
cevoli.
fortuna per lei poter imparare a leggere, scrivere
Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna e far di conto; la lettura fu la sua passione.
cosa per forza; perché Dio ha dato a ognuno il
Crebbe nel clima cristiano della famiglia, che
libero arbitrio e non vuole costringere nessuno,
ogni sera si riuniva per recitare il rosario. Conma solamente propone, invita e consiglia…”.
dusse la sua adolescenza e giovinezza nella
Il 24 maggio 1807, Angela Merici fu proclama- preghiera, nel lavoro, nella semplicità e nell’inta Santa da papa Pio VII e papa Pio IX nel 1861, nocenza. Completò la sua formazione con la
ne estese il culto a tutta la Chiesa universale.
lettura di libri utili, in particolare studiando il
A lei è dedicato il nostro centro caritativo fin catechismo e la «Storia Sacra». Insegnò il catedagli esordi, nel secolo scorso, quando Monsi- chismo nella parrocchia di Marola alle fanciulle
gnor Rizzetti accolse le prime Orsoline giunte e in seguito insegnò nella sua casa l’arte del taglio e cucito alle giovani. Nel 1885, quando Roin città.
sina aveva 19 anni, accadde una disgrazia nella
casa dei suoi vicini: una giovane sposa, Stella
Fiorina Fattori, moriva di un male incurabile,
lasciando vedovo Carlo Barban di 23 anni, con
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due figliolette, Chiara Angela e Italia, di 20 e 4 Nelle ultime ore di vita poté rivedere i figli e
parecchi dei nipoti, cui diede la sua benediziomesi.
Un giorno, Carlo Barban le presentò la sua pro- ne generale e consigli particolari. Infine si alzò
posta di matrimonio. Rosina prese tempo, pregò di scatto sul letto e, sebbene con voce affannoe si consigliò con i suoi parenti e con il parroco sa, ripeté: «Mio Dio, vi amo sopra ogni cosa!».
di Marola. Alla fine accettò, per poter accudire Spirò alle 21.30 dell’8 gennaio 1932, poco dopo
come una mamma le piccole orfane e adempie- che le fu udito dire: «Nelle tue mani, Signore,
re quindi la volontà di Dio, cui tante volte ave- raccomando l’anima mia».
va chiesto di manifestarsi. Il matrimonio venne celebrato il 5 maggio 1886 nella loro chiesa
parrocchiale di Marola, situata nella frazione di
Torri di Quartesolo; tutti lo considerarono uno
squisito gesto di carità.
Dal loro matrimonio, felice e fecondo, nacquero nove figli, di cui due morirono in tenera età
e tre divennero sacerdoti. Mamma Rosa, come
venne soprannominata, aderì al Terz’Ordine
Francescano, vivendone lo spirito di povertà e
di letizia.
È stata beatificata nella cattedrale di Vicenza
il 6 novembre 2005, sotto il pontificato di
Benedetto XVI. I suoi resti mortali sono
venerati nella chiesa parrocchiale della
Presentazione del Signore a Marola, che
nel 2014 è diventata il Santuario Diocesano
intitolato alla Beata Mamma Rosa.
Maria Goretti
Imparò a vivere in senso francescano anche la
povertà che la circondava, come ha attestato la
figlia Italia: «Mi pare che se fossi ricca non sarei
contenta come sono adesso», le disse un giorno,
aggiungendo: «Anche Gesù è stato povero, ed
era il Padrone del mondo».
Carlo Barban morì il 31 maggio 1930, preparato
e assistito dall’affetto della moglie. Lei, dopo
qualche tempo, riferì al figlio don Giuseppe:
«Sì, stamattina nella Santa Comunione, Gesù Maria Goretti, nata a Corinaldo (Ancona) il 16
ottobre 1890 e battezzata lo stesso giorno, fu
mi ha detto che morrò tra 19 mesi…».
poi cresimata, secondo l’uso dei tempi in piccoA partire dall’autunno 1931, in effetti, cominciò
la età, il 4 ottobre 1896 quando il vescovo Giuad avvertire i primi sintomi di una poliartrite,
lio Boschi, giunse in visita pastorale nel paesiche la bloccò a letto. Senza mai lamentarsi, si
no. Nel 1897, i genitori Luigi Goretti e Assunta
preparava serenamente al trapasso: «Se duranCarlini che avevano oltre la primogenita Maria,
te la vita si è fatto sempre il proprio dovere, la
altri quattro figli, essendo braccianti agricoli e
morte non fa proprio niente paura», commentastentando nel vivere quotidiano con la numerova spesso.
sa famiglia, decisero di trovare lavoro altrove.
Ai primi di gennaio 1932 una polmonite aggra- Scelsero di spostarsi nell’Agro Pontino nel Lavò le sue condizioni e ricevette l’Unzione degli zio, dove pochissimi sceglievano di trasferirsi,
Infermi. Il figlio Don Giuseppe, ottenne la fa- essendo infestato dalla malaria. Giunsero dapcoltà di celebrare la Messa in camera della ma- prima nella tenuta del senatore Scelsi a Paliano,
dre, che si andava spegnendo.
come mezzadri insieme ad un’altra famiglia già
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residente, i Serenelli, pure di origine marchigiana, composta solo da padre e figlio, essendo la
madre morta da tempo. Poi i rapporti con il proprietario si guastarono, ed i Serenelli ed i Goretti dovettero lasciare Paliano e fortunatamente
trovarono, sempre come mezzadri, un’altra sistemazione nella tenuta del conte Lorenzo Mazzoleni a Ferriere di Conca, nelle Paludi Pontine.
Mentre i genitori si adoperavano nel lavoro
massacrante dei campi, Maria accudiva alle faccende domestiche, tenendo in ordine la casa colonica e badando ai fratellini più piccoli. Dopo
alcuni anni, il 6 maggio 1900, il padre non ritornò a casa, stroncato dalla malaria ai margini
della palude, Maria aveva allora 10 anni; prese a confortare la mamma rimasta sola con la
famiglia e con un lavoro da svolgere superiore
alle sue forze; nonostante il raccolto quell’anno
fosse buono, la famiglia rimase in debito con il
conte Mazzoleni. Il proprietario invitò la madre
a lasciare quel lavoro e la casa, ma dietro la disperata richiesta di mamma Assunta di restare,
perché con cinque figli non aveva dove andare,
il conte acconsentì, purché nel rimanere si associasse ai Serenelli, che abitavano nella stessa
cascina e coltivavano altri terreni. La soluzione
sembrò ideale, i Serenelli padre e figlio coltivavano i campi e Assunta accudiva i figli e le
due case, oltre ai lavori sull’aia; mentre Maria
si dedicava alla vendita delle uova e dei colombi nella lontana Nettuno, al trasporto dell’acqua
che non era in casa come oggi, alla preparazione delle colazioni per i lavoratori nei campi, al
rammendo del vestiario. Non aveva più potuto
andare a scuola, che già frequentava saltuariamente; era definita dalla gente dei dintorni “un
angelo di figliola”; recitava il rosario, era molto
religiosa come d’altronde tutta la famiglia. Aveva insistito di fare la Prima Comunione a meno
di undici anni, invece dei dodici come si usava
allora; con grandi sacrifici riuscì a frequentare
il catechismo, e così nel maggio del 1902 poté
ricevere la Santa Comunione.
Intanto i rapporti fra il Serenelli padre e Assunta Goretti si incrinarono, in quanto egli essendo
vedovo le fece ben presto capire che se voleva
mangiare lei e la sua famiglia, doveva sottomettersi alle sue richieste non proprio oneste.
Il figlio del Serenelli, Alessandro, aveva intanto
raggiunto i 18 anni, di fisico robusto era l’orgoglio del padre. Alessandro ormai guardava
Maria con occhi diversi da prima e cominciava a cercare di avere degli approcci non buoni,
insidiandola varie volte, sempre respinto dalla
ragazza; un giorno fece apertamente delle proposte peccaminose e al rifiuto di Maria, temendo che ne parlasse in famiglia, la minacciò di
morte se lo avesse fatto.
Il 5 luglio 1902 i Serenelli ed i Goretti erano intenti alla sbaccellatura delle fave secche e Maria seduta sul pianerottolo che guardava l’aia,
rammendava una camicia del giovane Alessandro. Ad un certo punto questi lasciò il lavoro
e con un pretesto si avviò alla casa; giunto sul
pianerottolo invitò Maria ad entrare dentro, ma
lei non si mosse, allora la prese per un braccio e
con una certa forza la trascinò dentro la cucina
che era la prima stanza dove s’entrava. Maria
Goretti capì le sue intenzioni e prese a dirgli:
“No, no, Dio non vuole, se fai questo vai all’inferno”. Ancora una volta respinto, il giovane
andò su tutte le furie e preso un punteruolo che
aveva con sé, cominciò a colpirla. Quando vide
le chiazze di sangue sulle sue vesti, la lasciò, ma
capì di averla ferita mortalmente. Ancora viva
e cosciente, perdonò al suo assassino, dicendo
all’affranta madre che l’assisteva: “Per amore
di Gesù gli perdono; voglio che venga con me
in Paradiso”; fu iscritta sul letto di morte tra le
Figlie di Maria, ricevette gli ultimi Sacramenti e spirò placidamente il giorno dopo, 6 luglio
1902.
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Mariuccia Pegoraro
UNA LETTERA DI S. E. IL
CARDINALE AGOSTINO
CACCIAVILLAN
Riportiamo la lettera pervenutaci dal Cardinale Ognissanti e generoso contributo alla costruzioCacciavillan, che per i nostri non giovanissimi ne del nuovo altare coram populo trent’anni fa.
è sempre don Agostino, ci parla di ricordi: prima comunione, cresima, messe nel Duomo di
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APPUNTI SULLE COSE D’ARTE DEL DUOMO
CENNI SUGLI
ALTARI
OTTOCENTESCHI
Per quanto mi è dato sapere, in Arzignano nel corso dei secoli sono scomparse
almeno tre chiese un tempo di grande
importanza e devozione popolare. Per
due di esse ( quella di San Pietro al Costo degli Eremitani e quella francescana
della Madonna delle Grazie) è stata complice negativa la soppressione dei relativi
conventi da parte del noto decreto napoleonico del 1805 che le ha defraudate di
religiosi e suppellettili, oltre che di opere
d’arte.
Per la terza, la primitiva chiesa di Ognissanti, la demolizione è stata deliberatamente eseguita per costruirne una nuova
a seguito di specifica licenza ottenuta
dal parroco don Giuseppe Pagliarusco
(1780-1806) dall’allora vescovo Marco
Priuli, che fu presente anche alla posa
della prima pietra dell’edificio avvenuta
il 25 agosto 1803, come è documentato
dalla grande iscrizione murata in alto
all’interno della porta centrale dell’attuale Duomo. Riporto in rapida successione
le vicende che portarono a maturazione
e poi a compimento questa drastica decisione.
Nel 1732 il Senato Veneto, emana una
legge che, a favore di quella che era una
Rettoria di Castello, testualmente afferma: “la Chiesa di Ognissanti sarà Parrocchia e il suo parroco concederà i diritti di stola all’Arciprete di Santa Maria
nella solennità di tutti i Santi”. ( 1)
Nel 1977 il Vescovo di Vicenza con
proprio decreto, nonostante le proteste dell’Arciprete di Castello, aumenta
di 150 ducati il modesto beneficio di
Ognissanti. Il Senato veneto lo conferma definitivamente nel gennaio 1792,
cosicché don Pagliarusco assume il
nome ed il titolo di Arciprete.
Nel 1797, Ognissanti viene eretta a Parrocchia e si costituisce il Comune del
Piano in modo indipendente da quello di
Castello, A seguito di queste autonomie
e grazie al continuo incremento della popolazione, i cittadini, infiammati dalle
parole del predicatore missionario Fran-
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E DI ALTRE CHIESE DELLA PARROCCHIA
E SU QUELLI
DELLA VECCHIA
CHIESA
cesco Baccari di Lendinara, decidono la
svolta epocale: abbattere la vecchia chiesa e costruirne una nuova. Siamo nell’anno 1802, e subito - come abbiamo sopra
specificato- si pone la prima pietra.
Purtroppo da questo momento le notizie di cronaca non sono state recuperate. Le fasi della demolizione non sono
note, come quelle della costruzione del
nuovo tempio che peraltro risulta arrivato al completamento di tetto e cupola
nel 1843. In seguito gli Arcipreti mons.
Canova (1830-1861) e mons. Stocchiero
(1862-1907)(2) si dedicarono al suo completamento interno e decorativo, evidentemente solo tutto ancora in progetto se
nella seduta pubblica del 21 maggio dello stesso anno 1843 fu deciso che la prima opera da farsi era il pavimento e fu
lanciata la specifica sottoscrizione onde
raccogliere la somma in tre anni. Per la
cronaca parteciparono 120 concittadini.
Circa il nome del progettista fin dall’inizio nascono i primi interrogativi che
si risolveranno solo nel 1983 quando nel
numero di maggio/giugno del periodico
locale “Il Dafne” viene pubblicato l’inedito originale progetto del Duomo e il
nome certificato del suo autore: l’abate e
architetto di Bassano Daniello Bernardi
(1709- 1806). L’importante documento
consiste in una perizia tecnica contenente anche i disegni, redatta su preciso incarico del Podestà di Arzignano e
dell’Amministrazione della Provincia,
dall’ing. Simpliciano Bordoni nel febbraio 1816, dove il progetto è minuziosamente descritto con tutti i materiali che
dovevano essere usati e il punto in cui la
costruzione era arrivata in quel momento.
La singolare presunta attribuzione del
progetto all’abate Baccari fu certamente
dovuta al fatto che fu colui che convinse la popolazione all’ abbattimento della
chiesa e poi alla ricostruzione, e specie
alla sua presenza nel momento della posa
della prima pietra oltre che, probabilmente, anche all’effettiva presentazione di un
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primitivo schizzo. Ma si deve ricordare
che le medesime fasi e la stessa temporalità capitò a Cologna Veneta dove però
avvenne nel 1806 il disastroso crollo della costruzione ancora incompleta. Un
episodio eclatante che certamente avrà
fatto rizzare le orecchie anche ai bravi
arzignanesi che corsero ai ripari come
fecero i Colognesi, i quali chiamarono i
due famosi architetti veneziani Giovannantonio Selva e Antonio Diedo con l’incarico di fare una relazione sulle cause
del disastro. Le conclusioni, com’era prevedibile, furono di completa disapprovazione del progetto del Baccari, anche dal
punto di vista stilistico.(3)
Per quanto riguarda poi le memorie
relative alla vecchia chiesa si brancola
pressoché nel buio perché ci sono state
tramandate notizie del tutto frammentarie. Per il suo aspetto esteriore dobbiamo accontentarci del disegno. che si
trova in Biblioteca Bertoliana: la mappa di Soprana e Faedo del 1778. Sappiamo però dal Maccà (4) che era “di due
navi” cioè navate, e aveva il ‘cimiterio’;
inoltre aveva anche due cappelle dedicate una alla Concezione e l’altra alla
Madonna di Loreto.
1. La vecchia chiesa di Ognissanti nel particolare della mappa di Faedo e Soprana del 1778.
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Per gli interni, ed in particolare per gli
altari, che sono l’argomento di questo
scritto, abbiamo la sommaria descrizione
lasciataci da don Francesco Cazzavillan,
eletto rettore di Ognissanti nel 1741 all’età
di 35 anni. La trascrivo come riportata da
mons. Mantese ( 4): “La chiesa ha altari
nove ... Il primo è sotto il titolo di Ognissanti e a questo è annessa la confraternita
del Santissimo Sacramento ... Il numero
degli iscritti è di 50 circa e quanto ai legati si chiede una riduzione del numero
delle messe a causa, dell’inflazione della
moneta. Il secondo altare è sotto il titolo
della Vergine del Carmine, ha Scuola numerosa di confratelli e consorelle al n. di
600 circa. Possiede diversi livelli ... fondati da Bernardino Cazzavillan, Francesco Arduin, Bortolo Canova, Zuane Melleghin. Ma ogni anno la confraternita
doveva versare lire 7 4,8 al rettore ... , lire
74,8 al sacerdote che officiava, lire 86 per
la cera ... Il terzo altare è sotto il titolo
dell’Immacolata Concezione ... Massaro
Leonardo Serpe ... la nostra scuola è numerosa di confratelli n. 100 ... L’entrata
è di lire 1130, l’uscita di lire 988,2 cioè
al rettore 187, a don Albanio Cazzavillan
(precettore pubblico) lire 289,14 e stara
n. 7 di frumento al rev.do Antonio Serpe lire 44,8, alli chierici lire 18,12 ... Il
quarto altare è sotto il titolo di S. Tomaso
... Massaro Pietro Marzotto ... la nostra
Scuola e associata e unita a quella dei Ss.
Sebastiano e Rocco ... cioè il quinto altare ... Il sesto altare è sotto il titolo di S.
Antonio abate ... Massaro Gaetan Brusarosco ... .la nostra scuola non ha d’entrata
che lire 60 ma l’officiante don Gio. Tomio
Pagani ha, annesso a questo, altro altare
è sotto il Titolo di S. Carlo, ... Massaro
Gio. Battista Doria semplice unione di 60
di voti ... L’ottavo altare è sotto il titolo di
S. Gio. Battista altare dei Savio”. Manca
una precisazione sul nono altare.
Come si vede sono nominate le Confraternite che gestivano gli altari, le loro
entrate e i vari nomi dei massari e preti
officianti, ma nulla sull’aspetto, sul materiale e in particolare sulle immagini
sacre che li connotavano. C’è il nome dei
santi e questo è un particolare importante perché, come vedremo, verrà ripreso
nella nuova chiesa.
Si sarà peraltro trattato di altari lignei,
quali si possono ancora vedere nell’antica chiesa di san Martino di Brogliano, tuttavia molto belli e decorati con
una pala centinata, colonnine, inserti
di marmo o legno colorati, candelabri
e cornici dorate eccetera; di certo ci
sarà stato un bel pulpito sopraelevato
ma centrale perché allora i predicatori
anche esterni erano presenti numerosi
nella varie occasioni di festa e di missione. Forse ci saranno state anche figurazioni di Santi affrescati alle pareti,
numerose pietre tombali ... insomma
tante belle memorie di devozione e di
fede del tutto perdute.
Posto che i 4 Evangelisti, visibili oggi
nelle nicchie dei pilastri, provengano da
altre chiese soppresse come ipotizza il
Barbieri ( 6), considerandoli di difficile
inquadramento stilistico locale, fino ad
oggi si pensava che l’unica cosa importante e certa rimasta fosse la scultura
della Madonna delle Grazie inserita nella nicchia dell’attuale abside dx. Ma ben
rileggendo il testo del Maccà mi sono
convinto che c’ è un altro elemento mol-
- 33 -
3.
Il tabernacolo è certamente più antico dell’attuale altare ottocentesco. Leggendo la pur succinta descrizione fatta dallo
storico Maccà nel 1802, era quello della vecchia chiesa demolita.
Egli infatti parla di ‘ un grande e maestoso tabernacolo di
marmo di Carrara’. Si tratta di elementi ben evidenti osservando i particolari fotografici. E’ infatti composto da tre
corpi sovrapposti: una larga base dove si trova la porticella
dorata, un elegante e finemente e decorato corpo centrale
scolpito sulle tre facciate e una lanciata cupola con nervature curvilinee. L’elemento centrale ha profonde nicchie decorate da doppie conchiglie e coppie di cherubini e sormontate
da frontoni spezzati, a loro volta sorretti da coppie di svelte
colonne ornate di bronzei capitelli. Tutte le pareti, i pilastri
dei basamenti e le parti piane sono abbellite da riquadrature
geometriche e cordoli, mentre di particolare elaborazione
sono le decorazioni di tutta la grande cornice che chiude il
corpo centrale e fa da base alla cupola. Il materiale marmoreo, seppur un po’ sporco e iscurito dal tempo è un tipico e
prezioso marmo di Carrara con venature e punteggiature
grigio scure. Si tratta insomma di un manufatto di notevole
valore artistico che qui è stato sottoposto a segnalazione per
la prima volta per cui dovrà essere ulteriormente vagliato
sotto l’aspetto storico, stilistico e attributivo.
2. Ricostruzione ideale dell’abside maggiore di Ognissanti con la probabile prima decorazione. Al centro si trovava la Pala
originale del Maganza, poi sostituita da questa copia (forse di Rocco Pittaco) oggi conservata nella chiesa di San Rocco.
to importante da valutare, laddove egli
scrive che l’altare maggiore (cioè quello
del Santissimo Sacramento “ha un grande e maestoso tabernacolo di marmo di
Carrara con incrostamenti di Affricano.
La sua tavola è di Alessandro Maganza (1556-1630), come pure sono le tavole
degli altari di s. Carlo, e del Carmine”. E
infatti, analizzando il Tabernacolo tutt’ora presente non si può che riconoscere in
esso delle caratteristiche identificative di
quella affermazione, sia nella grandezza
e maestosità del manufatto, che nella tipologia del marmo, ma soprattutto nella
esecuzione scultorea (molto bella e raffinata) che si discosta in modo evidente
dal resto dell’altare ottocentesco in cui è
inserito. D’altro canto è comprensibile,
anche dal punto di vista della devozione
e del culto, che un tabernacolo non solo,
tanto importante e prezioso, ma anche
presidio insostituibile della presenza e
conservazione del Corpo di Cristo potesse essere rottamato.
Ora per questa scoperta, che finora non
era mai stata neppure messa in ipotesi
da nessun studioso, si pone il problema
della datazione che lascio a studiosi della storia dell’arte professionisti, limitandomi a proporre l’epoca della stessa pala
del Maganza e quindi, forse, ai primi
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anni del XVII secolo. D’altronde risulta
un periodo in cui ad Arzignano vissero
diversi uomini importanti sia per censo
che per cultura appartenenti alle famiglie: Mazzola, Balzanello, Giorio, Belli,
Nallin, Bertoncello, Serpe, Camarella
ecc (7).
Lasciato il tabernacolo e tornati ai tre
altari più o meno coevi si possono aggiungere solo poche sintetiche osservazioni, la prima delle quali è che non
si conoscono né date precise di costruzione, né gli scultori e i laboratori che
li hanno eseguiti, anche se si possono
attribuire a maestranze locali e forse
della vicina Chiampo. Si deve infatti tener conto che la pietra e il marmo
di.Chiampo sono stati largamente utilizzati anche come materiale da costruzione sia dell’edificio che, più tardi, anche del Campanile. L’unico autore noto
riguarda l’altare dell’abside sinistro per
quanto riguarda la grande statua della
Vergine Immacolata che è stata eseguita nel 1860 dallo scultore Giuseppe
Groggia, grazie ad una “egregia somma di danaro” lasciata fin dal 1836 dalla signora Lucia Ferin. Per una fortunata evenienza sono recentemente venuto
a conoscenza di un opuscolo scritto dal
noto storico e cronista Jacopo Cabianca
che narra tutta la vicenda dell’inaugurazione avvenuta il giorno di S. Marco” con festa solenne, e mons. Villa (
arciprete abate mitrato di Bassano) con
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discorso tutto cuore e tra le pompe e
le musiche religiose, la gente di Arzignano non avea che una voce di lode
per quel suo amato Arciprete Don Girolamo Canova, sacerdote e cittadino
eccellente ... “. Segue un elogio grandissimo dell’arte dell’autore Groggia e
della lavorazione del marmo anche per
l’altare, che quindi si può ritenere costruito nel contempo(8). Purtroppo di
lì a poco mons. Canova veniva a morte
avendo peraltro avuto la soddisfazione
di aver concluso l’erezione dei tre altari.
Infatti quello dell’abside dx, ove in alto
entro una nicchia si trova la venerata
statua lignea della Madonna delle Grazie, era stato costruito in precedenza,
ma non abbiamo date precise. Possiamo
peraltro osservare come entrambi siano
delineati con particolare eleganza sia per
quanto attiene alle decorazioni scultoree
che alla scelta dei marmi per cui furono
senz’altro eseguiti da maestranze molto
esperte e, in particolare, proprio questo
della Madonna delle Grazie.
Per quanto attiene invece alle sculture
delle coppie di Angeli eretti ai lati dei
due altari, essi non hanno finora suscitato alcun rilievo artistico ed esecutivo,
come peraltro anche le raffigurazioni dei
Santi Pietro e Paolo dell’altar maggiore
che potrebbero però anch’esse provenire
dalla vecchia chiesa.
Un’osservazione inedita ci sembra invece di poter fare ed è la curiosa somiglianza tra le fisionomie dei due Apostoli con due delle figure dipinte nelle
tempere oggi nascoste sotto i due qua4. Anche questa bella statua della Madonna Immacolata è stata realizzata in marmo di Carrara, di puro colore bianco come in
uso per le sculture. Rimandiamo la sua descrizione ad altre note pubblicazioni che ne parlano dettagliatamente.
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5. L’altare della Madonna delle Grazie è stato con ogni probabilità il secondo eretto. Si presenta di particolare eleganza per
l’impiego del marmo colorato e la raffinatezza delle decorazioni geometriche e floreali. Molto bella ci sembra la balaustra
ornata di slanciate colonnine e chiusa dall’originale cancello.
droni laterali del Trittico (Pietro nel dipinto di “Cristo nell’orto degli ulivi” e S.
Anselmo in un tondo). Posto che quella
primitiva decorazione fu eseguita quasi
certamente da Rocco Pittaco, rientrando
i personaggi negli stilemi di questo pittore, si potrebbe quasi ipotizzare che egli
abbia fornito anche i disegni allo scultore delle statue. Devo, tuttavia anche riferire la stretta somiglianza fisionomica
tra questi due Santi con l’analoga coppia
presente nella chiesa di San Martino di
Chiampo, dove il Barbieri (9) ipotizza
un puntuale riscontro “iconografico” con
personaggi del Maganza ed in particolare, ritengo, con un dipinto che si trova
nella Chiesa di San Pietro di Vicenza. Se
pensiamo che anche la Pala del nostro al-
tar maggiore era opera di questo pittore,
nasce una bella motivazione per ulteriori
specifiche ricerche . Ad ogni buon conto, per stimolare la discussione in merito,
pubblico le quattro figure.
Tornando all’elenco dei 9 altari della vecchia chiesa e di 6 in particolare, risulterebbe il proposito da parte dei fedeli arzignanesi di rinnovarli nelle sei rientranze
ricavate lungo le due parti esterne della
navate laterali, ma apparve chiaro che
non avrebbero potuto qui essere inseriti
per mancanza di profondità. Per questo
motivo l’idea fu scartata ma non la volontà di ricordarli. Per questo nei tondi del
soffitti corrispondenti fu incaricato il pittore Sebastiano Santi di dipingere le caratteristiche iconografiche specifiche per
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ogni Santo cui erano dedicati. Cosa che
avvenne, ma oggi, con il deperimento di
quegli affreschi e il cattivo restauro cui
furono sottoposti con incongrue ridipinture, è persino difficile riconoscere tutte
le figure salvo nel 2° tondo di dx i Santi
Sebastiano e Rocco, nel 3 ° Sant’ Antonio Abate, nel 2° sinistro forse San Carlo,
nel 1 ° di sinistra ( verso quindi Via Cavour) San Giovanni Battista. Concludo
dicendo che grazie ad un’accurata ricerca
effettuata nel 1983 presso la Biblioteca di
Murano (località natale del pittore Santi)
avevo appurato che colà esistevano ben
150 disegni e bozzetti di questo artista,
che però non poterono essere visionati
perché ‘non ancora catalogati’. Tornato
ora ad interpellare la Segreteria della Biblioteca, mi è stato detto che non risultano
più in alcun modo rintracciabili. Essendo
del pari decaduta la qualità dello stesso
affresco centrale non possiamo neppure
giudicare la qualità di queste opere del
Santi, che erano tuttavia di buon valore
come si può argomentare analizzandone
altre, oltre alla sua notevole laboriosità
e l’apprezzamento generale testimoniati
dall’ever lavorato in ben 97 chiese in tutto il Veneto(lO) tra le quali di Montorso
e di Gambellara.
Antonio Lora
NOTE
1. Vedi cit. in MOTTERLE E., Il Mattarello, numero
unico, 26.09.1959.
2. Ibidem, questo autore segnala “come si rileva dai
registri della fabbriceria” che noi non siamo riusciti a
rintracciare quindi forse dispersi.
3. Si veda: IL ricupero dell’idioma classico nel Duomo di Cologna Veneta, a cura di Felice Nalin e degli
alunni del Liceo Scientifico ‘Roveggio’, 1990. Selva
e Diedo furono tanto convincenti che divennero loro
stessi i nuovi esecutori del Duomo locale; Diedo costruì anche il campanile.
4. MACCA’ G., Storia del Territorio Vicentino, Tom.
III, pp. 89 e segg., Caldogno, 1813.
5. Vedi MANTESE G., Storia di Arzignano, vol. 1, p.
478 e nota n. 134.
6. BARBIERI F., Sculture della Valle del Chiampo,
Ente Fiera di Vicenza, 1975, pp 42 e segg. L’ipotesi
del recupero da altra chiesa più essere rinforzata dalla
seguente comunicazione orale fattami nel 1998 dai
Fratelli Fabris di Comuda, che in quell’anno ridipinsero e restaurarono su incarico dell’Arciprete don Lucio
Mozzo tutto il Duomo: “Le statue degli Evangelisti
sono state riportate all’originale in quanto erano state
tutte rinforzate con parti in gesso perché rotte oppure
forse, come per alcune braccia, ridotte per farle entrare nella nicchia” .
7. MANTESE G, ibidem, pp. 345 e segg.
8. CABIANCA J., Relazione sopra un altare e statua
rappresentante l’Immacolata Concezione di MV eretta
in Arzignano, Vicenza, Tipografia Paroni, 1861, ristampa anastatica.
9. BARBIERI F, Op. cit., pp.11/113
10. ZANETTI V., Degli studi delle opere e della vita
del pittore Sebastiano Santi, Venezia, Tip Longo, 1871
Ringrazio: per alcune foto Gaetano Zulian; per
alcuni pareri orali sul Tabernacolo: per la tipologia del marmo Antonino Criscuolo di Carrara e
Giovanni Ruffoni, per la parte artistica Nicoletta
Nicolin.
Autoritratto di Sebastiano Santi
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6. Come esposto nel testo, mettiamo a confronto fisionomico queste quattro figure facendo presente che ancor più similari
7. Questi tondi del soffitto, come già spiegato, furono eseguiti per conservare memoria
sono le due statue dei Santi Pietro e Paolo con le analoghe raffigurazioni presenti nella chiesa di san Martino di Chiampo.
degli altari minori presenti nella vecchia chiesa.
Una analisi comparativa approfondita potrebbe portare a soluzione la loro precisa datazione ancora insoluta.
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La parola tabernacolo (in latino Tabernaculum - diminutivo di taberna che vuol dire dimora) nella tradizione ebraica e cristiana significa
il luogo dove Dio dimora tra gli uomini, quasi un preludio a quella meravigliosa convivenza nella nuova Gerusalemme, di cui parla
l’Apocalisse nel cap. 21.
E’ una struttura elegantemente decorata con
immagini appropriate, a forma di scatola,
presente in tutte le chiese nella quale sono
conservate le ostie consacrate e non consumate,
dentro la pisside, dopo la celebrazione eucaristica. Il suo interno è quasi sempre laccato in
oro, proprio per ricordare uno dei tratti (oro –
incenso – mirra) di chi vi viene riposto: l’essere
più prezioso! Il tabernacolo deve essere fisso,
non amovibile, chiuso a chiave e la chiave deve
essere custodita in luogo sicuro. Solo i presbiteri, i diaconi, gli accoliti e talvolta anche i ministri straordinari dell’eucaristia possono accedervi.
Sapendo che l’Eucarestia è Gesù che viene a
noi nelle specie del pane, ne possiamo percepire la presenza dal lumino rosso che splende a
pochi metri dal tabernacolo.
IL SIGNIFICATO
TEOLOGICO DEL
TABERNACOLO
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Generalmente era coperto da un velo detto conopeo, del colore liturgico del giorno, che richiamava la tenda del tabernacolo ebraico. Nel
nostro duomo è stato tolto da tempo e un faretto
ne illumina costantemente la porticina dorata
che splende nella bellezza delle sue artistiche
decorazioni.
Nelle chiese costruite prima del Concilio Ecumenico Vaticano 2°, si trova sempre al centro
di un altare, riccamente decorato o, come il nostro in Ognissanti, incastonato in magnifiche
costruzioni che riproducono basiliche lussuose,
con tanto di arcate, timpani e colonne, su più
ripiani, che prevedono nicchie per l’esposizio-
ne durante l’adorazione … fino a una splendida
cupola, al vertice.
Per almeno mille anni, non era previsto. Iniziò
a farsi vedere, anche se talora solo in cappelle
laterali rispetto al presbiterio, soltanto nel XII
secolo, quando prosperava lo stile gotico, con
quelle chiese proiettate verso il cielo, con tanto di selva di guglie marmoree. La troppa luce
che illuminava le navate impediva di concentrarsi sul “padrone di casa”, probabilmente. Fu
soprattutto al tempo della controriforma, dopo
le contagiose perplessità di Lutero sulla reale
presenza di Gesù nell’eucarestia (16° secolo),
che il tabernacolo divenne il posto più importante della chiesa, un modo per sottolineare che
Cristo era lì e vi rimaneva anche dopo la celebrazione eucaristica.
Si giunse – nei secoli successivi – a tanta attenzione adoratrice, che si dimenticò il significato
del ritrovarsi in chiesa per sentirsi comunità,
dando priorità e talora esclusività, a un rapporto
intimistico tra il fedele e Gesù nel tabernacolo.
Nelle chiese costruite da cinquanta anni a questa parte, come quella del Michelucci a Villaggio Giardino, si sono seguite le indicazioni
della costituzione conciliare che raccomanda la
disposizione e la sicurezza del tabernacolo eucaristico. Viene, pertanto, collocato in un ambiente a parte che favorisca l’adorazione grazie
all’intimità del luogo, al silenzio e alla minor
intensità di luce rispetto all’aula che riunisce la
comunità nelle liturgie celebrative.
Nel nostro duomo rimane un’opera sublime, inserito nei variegati marmi carraresi oltre i quali
si apre la Gloria del Ricci, suggerendo pensieri
e preghiere a chi entra e s’inginocchia a pregare.
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Giuseppe Corato
È buona cosa sentirsi partecipi della comunità
parrocchiale cui si appartiene. A volte però, per
necessità, accade di partecipare alla Messa in
altra chiesa. Ma soprattutto è importante santificare il giorno del Signore, la Domenica, per
cui se si è andati alla Messa il sabato sera, nella
speranza che non sia una sacrosanta abitudine,
si trovi il modo di vivere un momento di preghiera e/o di comunione ecclesiale.
ORARI ESTIVI DELLE MESSE IN ARZIGNANO
OGNISSANTI IN ARZIGNANO
Sabato ore 18.30
Domenica ore 8.00 -9.15 (S. Rocco)
10.30 - 19.30
CASTELLO D’ARZIGNANO
Sabato ore 19.30
Domenica ore 8.30 - 11.00
VILLAGGIO GIARDINO
Sabato ore 17.00 (preceduta da adorazione)
Domenica ore 9.30 - 11.00
S. BORTOLO DI ARZIGNANO
Sabato ore 19.30
Domenica ore 8.30 - 10.30
(luglio e agosto solo ore 9.00)
S. ZENO DI ARZIGNANO
Sabato ore 19.00 (ora legale 19.30)
Domenica ore 8.00 - 10.00