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PRIMO PIANO
Giovedì 2 Febbraio 2017
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Ed è per questo che non funziona: la stessa politica monetaria non può essere strabica
L’euro è servo di due padroni
E la via intermedia finisce per danneggiare tutti e quanti
I
DI
PAOLO SAVONA
n Germania l’inflazione ha
raggiunto la soglia del 2%
fissata come obiettivo della
politica monetaria europea
e il nervosismo dei tedeschi nei
confronti della Bce va crescendo. Essi scoprono, invero con
troppo ritardo, che una moneta
unica tra paesi che presentano
profonde diversità economiche
non può funzionare, perché la
stessa politica monetaria non
può servire due padroni: se è
accondiscendente per fronteggiare le difficoltà dei paesi a minor crescita e minore inflazione,
danneggia i paesi che crescono
di più e con essa i prezzi.
Se la politica monetaria
sceglie una via intermedia,
come accadrà per salvare capre
e cavoli, scontenterà entrambi.
Nell’Euroarea il problema andava affrontato fin dall’inizio
con politiche volte a rimuovere
i divari di produttività, come ha
fatto la Germania all’atto della riunificazione tra Ovest ed
Est; essa ha però negato che la
stessa politica fosse necessaria
per tutti i paesi aderenti all’euro, per propiziare la coesione
dell’area.
Per colmare il vuoto ha
sostenuto e ottenuto una politica centrata sulle limitazioni
all’uso della politica fiscale, restata di competenza dei singoli
paesi, e sulle «riforme», che, nel
breve periodo, hanno effetti deflazionistici aggiuntivi rispetto
a quelli dovuti alle diverse condizioni socio-politiche esistenti tra paesi. Se la logica di un
accordo internazionale è che il
più debole soccombe al più forte, essa comporta l’accettazione
di politiche di foggia coloniale
o, prima o dopo, la sua disintegrazione.
Gli Stati Uniti nel dopoguerra lo avevano capito e
avevano agito di conseguenza.
Poiché i Trattati dell’Unione
Europea non prevedono come
regolare la fattispecie della
colonia o della dissoluzione
(ossia non hanno un Piano B,
né intendono approntarlo) le
conseguenze saranno disastrose, come testimoniano, nel loro
piccolo, le difficoltà che incontra
l’attuazione della Brexit. Immaginate che cosa succederebbe
per la dissoluzione dell’euro, i
cui meccanismi di debito e credito sono studiati per essere irreversibili, pur non potendolo
essere.
Come i gruppi dirigenti
intendano affrontare le drammatiche lacune dei trattati europei resta un mistero. Un pericoloso mistero. Si moltiplicano
i suggerimenti di stare o uscire
dall’euro, non solo da parte dei
leader dei partiti che campano
su questa ipotesi senza alcuna
idea di ciò che possa accadere
se si verificasse; come pure vengono avanzati calcoli parziali di
quanto si guadagna o si perde
considerando un aspetto del più
vasto problema di quale economia e quale società si intende
rispristinare in alternativa a
quella che abbiamo: il debito
pubblico e il saldo del Target 2
(il sistema dei debiti e crediti
tra Stati) da pagare, la svalutazione del cambio che risulterebbe, gli effetti sull’inflazione
e sulla crescita. Tutto viene presentato con argomenti non per
indicare una soluzione, ma per
seminare terrore tra i cittadini
elettori, trovandoli indifferenti, se non proprio rafforzando
la loro sfiducia nei confronti
dell’euro e dell’Europa.
Nonostante ciò, cresce
l’avversione a chiamare il
popolo ad assumersi le responsabilità delle scelte invece
di affidarle a menti elette, che
non hanno mostrato d’essere
tali. Come fatto da Tsipras in
Grecia, mentre in Italia si continua a ritenere inutile e pericoloso indire le elezioni. Non
c’è dubbio che il popolo abbia
le sue ignoranze e i suoi difetti, ma che essi siano rafforzati
dai comportamenti dei gruppi
dirigenti ovunque siano situati
lo è altrettanto. Pigliamo come
esempio, in quanto facile da
comprendere, quello del nostro
bilancio pubblico 2017. Esso è
stato confezionato in vista del
referendum con piccole concessioni a destra e a manca, più
per raccogliere consensi che
per stimolare l’economia, che
avrebbe bisogno di ben altri
trattamenti.
Visto che chiedevamo
flessibilità e poiché comprendevano le motivazioni politiche, la Commissione non si
è opposta, ma aveva avvertito
che avrebbe fatto una verifica
a marzo. Il referendum non è
andato come avevano sperato
a Roma e a Bruxelles e quello
era il momento per correggere
gli squilibri di bilancio. Invece
il Presidente della Repubblica
ha pregato il Presidente del
Consiglio di stare in carica
fino all’approvazione del bilancio che la Commissione aveva
avvertito non andasse bene,
giusto o sbagliato che fosse, e il
Parlamento l’ha affrettatamente approvato.
Subito dopo la Commissione ha chiesto all’Italia
SCOVATI NELLA RETE
Ai tempi dell’iperinflazione tedesca servivano carriolate
di soldi per acquistare un litro di latte e un chilo di pane
un aggiustamento del deficit
pubblico di 3,4 mld di euro, lo
0,2% del Pil, ed è in corso una
negoziazione per correggere
gli errori precedenti, ormai divenuti legge. Il risultato è che
verranno aumentate le tasse
dopo avere aumentato le spese, rafforzando la disistima dei
cittadini verso le istituzioni
europee e italiane, nonché le
spinte deflazionistiche; queste
sono dovute più alla sfiducia di
come si governa che alla realtà
delle cose, pur sempre in movimento negativo.
Le complicazioni internazionali infatti aumentano, l’economia e la sicurezza ne
patiscono. Occorre maggiore
cautela. Una riposta chiara su
che cosa si intenda fare diviene
indispensabile. Chiunque voglia darla. Purché sia diversa
da quella che quotidianamente
ci viene propinata. Se si parla
chiaramente ai cittadini elettori di fronte a quali problemi ci
troviamo e che cosa si intende
fare per risolverli, essi capiranno. Affinché però questa
comunicazione abbia un senso,
i primi a capire devono essere i
gruppi dirigenti interni, europei
ed esteri, che ci sembra l’anello
mancante per il recupero delle
speranze che stanno alla base
del consenso. Altrimenti l’arancia meccanica non invertirà il
moto.
IL SUO BOSS, O’LEARY, SEGNALA LA SUA DISPONIBILITÀ SOLO PER OTTENERE PUBBLICITÀ GRATUITA
In sostanza Ryanair allergica per Alitalia
La richiesta di uscita di Aliltalia dall’intesa Air France-Klm costerebbe troppo
DI
L
ANDREA GIURICIN
e ultime dichiarazioni dell’amministratore delegato di Ryanair, Micheal O’Leary, hanno
ancora una volta aperto un dibattito sulla possibilità di collaborazione tra Alitalia e la compagnia low cost
irlandese. Ryanair è un vettore concentrato sul corto-medio raggio che ha un
sistema di network point to point che
ha trasportato negli ultimi mesi oltre
115 milioni di passeggeri. La compagnia continua a crescere e il load factor
(coefficiente di occupazione, ndr) è ormai vicino al 95% grazie alla capacità
di raggiungere ormai non solo la clientela leisure, ma anche quella business.
Alitalia vede invece un load factor del
75% e il numero di passeggeri supera
di poco i venti milioni. Di questi, solamente circa il 10% sono passeggeri a
lungo raggio. È possibile dunque una
integrazione tra i due vettori? È credibile la proposta di O’Leary?
Teoricamente un’alleanza è possibile, ma altamente improbabile. Ci
sono infatti elementi tecnici che impediscono un rapido avvicinamento e ci sono
anche delle motivazioni commerciali per
le quali non è proprio facile che Alitalia
e Ryanair si possano alleare. In primo
luogo, le due compagnie utilizzano due
sistemi di vendita differenti: il vettore
irlandese usa Navitaire, mentre Alitalia
ha appena investito decine di milioni di
euro per passare dall’homemade di Arco
all’internazionale Sabre. È difficile che
Ryanair cambi un sistema che costa
meno per un altro più costoso e complesso (va contro la logica del vettore),
così come è difficile che Alitalia torni
indietro su degli investimenti appena
effettuati.
Da un punto di vista commerciale, non è detto che ad Alitalia convenga
affidarsi a un operatore quale Ryanair,
che avrebbe il coltello dalla parte del manico nel momento della trattativa. Oltretutto O’Leary è molto bravo nel portare
l’acqua al proprio mulino e dunque non
sarebbe facile trovare un accordo soddisfacente per entrambe le compagnie. Il
traffico hub and spoke del lungo raggio
utilizza poi un sistema cosiddetto a onde.
Infatti, i voli di feederaggio tendono ad
arrivare concentrati in alcuni orari della
giornata, mentre i voli a lungo raggio
partono poi a distanza di due/tre ore. In
questo modo è possibile massimizzare il
traffico e favorire l’utilizzo da parte dei
passeggeri. Ryanair non potrebbe adattarsi a questo sistema perché va contro
la sua natura.
O’Leary ha anche affermato che
Alitalia dovrebbe uscire dall’alleanza con Air France-Klm. Probabilmente
a questo punto potrebbe anche essere la
scelta giusta per espandersi nel mercato
europeo, ma la joint venture esistente
scadrà nel marzo del 2022 e rescinderla
avrebbe un costo pari a 240 milioni di
euro. In questo momento Alitalia non
ha in cassa una cifra simile, dato che
sta galleggiando molto vicino alla linea
del fallimento. La proposta di O’Leary
è dunque un bel modo per fare un touchè ad Alitalia, ma nel medio periodo è
molto più probabile che la compagnia irlandese si possa alleare con Norwegian,
che sta sviluppando la propria flotta con
aerei 787 Dreamliner in modo da creare
la compagnia low cost a lungo raggio.
Alitalia ha inoltre una flotta di aerei
troppo limitata per potere concentrare
la propria sopravvivenza solo nel lungo
raggio. Con meno di due milioni e mezzo
di passeggeri nel lungo raggio, che Alitalia sarebbe?
Anche puntando sul mercato intercontinentale è bene ricordare che è
impossibile sviluppare una rotta in poco
tempo. Ci vogliono soldi e tempo per
cercare di portare a profitto una nuova
destinazione a lungo raggio e Alitalia,
in questo momento, non ha né tempo,
né soldi. In conclusione, ancora una volta O’Leary si rivela un ottimo maestro
per fare pubblicità gratuita alla propria
compagnia.
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