Mariagiovanna Rosati Hansen

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Persinsala Teatro
Daniele Rizzo
febbraio 3, 2017
Attrice e doppiatrice, ma anche counselor e arte teatro-terapeuta: a
margine del Festival X-Actor, Mariagiovanna Rosati Hansen ci parla del
sacro fuoco dell’arte che entro le rugge.
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Non grandi nomi internazionali, magari da botteghino, ma
riconosciuti professionisti locali di altre realtà europee: cosa
significa questo per Roma, metropoli con il vizietto del
provincialismo?
Mariagiovanna Rosati Hansen: « Il fatto di non avere grandi nomi è, di
fatto, la grande sfida di questo progetto. È un’occasione per dare la
possibilità a compagnie meno conosciute (anche se gli artisti provenienti
dagli altri Paesi europei sono, di fatto, molto conosciuti in patria) di farsi
scoprire ed eventualmente girare all’interno della rete con i loro spettacoli,
oltre che di allargare le loro competenze artistiche e abbattere i pregiudizi.
La città di Roma, a mio avviso, dovrebbe accogliere con più generosità e
partecipazione questo genere di iniziative proprio per fugare il vizietto del
provincialismo e conquistare finalmente il diritto di essere ritenuta
Capitale della Cultura e dell’Arte così come avviene nei Paesi europei che
partecipano a questo festival».
Qual è la storia del Festival Teatrale Europeo, ormai giunto alla
sua dodicesima edizione? Le istituzioni sono presenti? Come
riuscite a finanziare il progetto?
MRH: «Nel tempo e durante questi dodici anni i Paesi coinvolti sono
diventati dodici da quattro che erano all’inizio. Tengo a dire che non
abbiamo mai avuto alcun aiuto economico o altro da nessuna istituzione,
mai. La cosa sconcertante è che quest’anno abbiamo partecipato a un
bando del Comune di Roma e uno dei requisiti richiesti – che definirei
surreale – l’avere già avuto sovvenzioni per almeno 4 anni. Come si dice a
Napoli, cornuti e mazziati? Insomma oltre al danno la beffa. Da sempre
tutte le nostre iniziative sono sovvenzionate dalla generosa partecipazione
dei soci stessi».
Quali sono le procedure attraverso le quali selezionate le
compagnie e preparate il programma? C’è spazio anche per la
formazione e masterclass?
MRH: «Il Bando di partecipazione al festival si trova sul sito
www.festivalteatraleeuropeo.com e/o www.istitutoteatraleuropeo.it
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Ogni anno, durante il Festival si tengono workshop con la conduzione dei
Direttori delle compagnie ospiti. Quest’anno sono stati tenuti da Frank
Radug sul Corpo in azione, Nicoletta Vicentini sulla commedia dell’arte,
Patrick Pawlak con La voce in scena».
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Uno spettacolo in tedesco e uno in polacco hanno riempito le sale
dell’Abarico. Un’improvvisa ondata di pubblico poliglotta in grado
di comprendere rappresentazioni senza sovratitoli o cosa?
MRH: «Questo festival di teatro europeo che nasce nel 2005 ha come
obiettivo quello di divulgare il concetto di multilinguismo come ricchezza
tutta europea da approfondire e divulgare. Per questo non vengono
proiettati sottotitoli, in modo da permettere a chiunque di verificare come
nel teatro non esistano barriere linguistiche
Il multilinguismo è uno dei principi fondamentali dell’Unione Europea sin
dall’inizio del processo di integrazione. La coesistenza armoniosa di molte
lingue è un simbolo forte dell’aspirazione dell’Unione a essere unita nella
diversità, uno dei fondamenti del progetto europeo.
Le lingue definiscono le identità personali, ma fanno anche parte di un
patrimonio comune. Possono servire da ponte verso altre persone e dare
accesso ad altri paesi e culture promuovendo la comprensione reciproca.
Una politica di multilinguismo positiva può migliorare le opportunità nella
vita dei cittadini: può aumentarne l’occupabilità, facilitare l’accesso a
servizi e diritti e accrescere la solidarietà, grazie a un maggior dialogo
interculturale e una migliore coesione sociale. Vista con questo spirito, la
diversità linguistica può diventare una risorsa preziosa, soprattutto nel
mondo globalizzato di oggi».
Il bilancio di questa edizione, cosa vi rende particolarmente fieri e
una anticipazione sul prossimo anno.
MRH: «Siamo appena all’inizio della stagione teatrale 2016/17, e abbiamo
appena concluso la XII rassegna teatrale europea, da quest’anno Festival
X-Actor, e il mio pensiero va agli attori e alle attrici che, su questo nostro
palcoscenico che abbiamo voluto chiamare lo spazio oltre la scena, hanno
portato la loro fatica e la loro passione questa volta dall’Italia, dalla
Polonia, dalla Germania e in passato anche dall’Inghilterra, Scozia, dalla
Russia, Francia, Spagna, perfino dall’Algeria. Tutti noi, alla fine di questa
meravigliosa avventura, ci siamo chiesti: gli artisti cosa devono ancora
sopportare per poter lavorare facendo teatro? Intendo in tutta Europa, ma
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particolarmente in Italia, dove siamo veramente l’ultima ruota del carro (di
Tespi).
L’anno teatrale che si para davanti a noi sembra essere la fotocopia di
quello passato, è sempre la solita storia: ricorsi contro decreti insulsi,
bandi in ritardo, finanziamenti che non arrivano mai.
Francamente sono veramente preoccupata da ciò che ci riserverà il futuro,
ma anche ripagata dalla soddisfazione che vedo negli occhi dei giovani
artisti che si sono avvicendati sul nostro palcoscenico dell’ABᾹRICO, per la
coraggiosa creatività che ho visto in scena, per la loro resilienza
alimentata soltanto da una fede, una passione assoluta.
Mi chiedo allora: fino a che punto attrici, attori, tecnici, registi,
drammaturghi (e tutti i teatranti motivati da questa passione)
continueranno ad accettare compromessi pur di andare in scena? Che
cosa ancora vorranno chiederci o pretendere, i politici, gli amministratori,
gli enti pubblici ufficialmente preposti alla salvaguardia della cultura?
Forse per loro non è Cultura ciò che facciamo?
Noi teatranti abbiamo già rinunciato, pur di andare in scena, alle tutele
sindacali, alla gravidanza, a una vita privata, perfino a una pensione
dignitosa. Abbiamo spesso rinunciato a paghe decenti per non parlare dei
periodi di prova retribuiti.
Tutto ciò che facciamo è per soddisfare la nostra passione, perché
francamente la verità è una sola: non sappiamo vivere senza fare teatro.
Ma si può fare un festival, un cartellone, senza pagare o sottopagando gli
attori che gli danno vita? Non sembra un po’ troppo chiedere tutto questo
a degli artisti? Tanto più quando alcuni tra noi (pochi, pochissimi) al
contrario vivono benissimo, aiutati da tutte le istituzioni solo perché hanno
un nome e non è detto che farebbero ciò che fanno se non guadagnassero
ciò che invece riescono a guadagnare.
Mi chiedo come sia possibile tutta questo, questa discrepanza tra attori
ricchi e attori poveri?
Noi viviamo, o meglio sopravviviamo, solo perché il nostro Pubblico ci
segue con amore e fedeltà e in ogni caso stiamo già programmando il
prossimo anno, Il XIII festival Teatrale Europeo si terrà dal 22 al 27
febbraio 2018 con la partecipazione dell’Inghilterra, della Svizzera, della
Germania e della Polonia e di altri Paesi che ci hanno chiesto di poter
partecipare anche con spettacoli in cui, ovviamente, vedremo gli attori
recitare insieme ognuno nella propria lingua (già abbiamo realizzato con
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grande successo questa esperienza con La notte di Helver ovvero Noc
Helvera in italiano e polacco nel 2014)».
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