L`accoglienza con i nostri occhi!

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Transcript L`accoglienza con i nostri occhi!

in viaggio verso il nostro futuro
#perfarciascoltare
Conferenza Care Leavers Network Campania
L’ACCOGLIENZA CON I NOSTRI OCCHI!
La comunità
Come si vive l’ingresso in comunità?
Quando lasci la tua famiglia per essere accolto in comunità hai paura, perché non sai cosa ti sta
succedendo, cosa sarà della tua vita. La differenza la fa come vieni preparato al percorso fuori famiglia:
quando accade che ti portano via improvvisamente, a sirene spiegate, con le forze dell’ordine e con tante
facce sconosciute, sembra che tutto vada in pezzi e fa davvero male il ricordo di quegli istanti.
Ci sentiamo veramente accolti quando la comunità ci apre le porte come se fossimo dei veri e propri figli,
quando gli adulti si prendono cura di noi, quando ci ascoltano, quando ci danno affetto e sanno rispettare
i nostri tempi. Si prova una sensazione di protezione che ci tranquillizza.
Si trovano punti di riferimento che a casa non avevamo. Il collocamento fuori famiglia ci permette di
avere delle opportunità per una vita migliore: frequentare la scuola, partecipare a corsi e progetti,
prendere la patente, imparare un mestiere. La comunità può offrirci cose che la famiglia non ci dava o
non ci poteva dare.
Quando sei un minore straniero non accompagnato, l’accoglienza in comunità è un viaggio verso la
speranza per uscire dalla guerra e dalla povertà: si ha voglia di imparare e di essere cittadino italiano ed
è la comunità che ti prende per mano in questo viaggio.
Funzione della comunità: sicurezza, amore e crescita
Vivere fuori famiglia in comunità ci fa sentire al sicuro e protetti.
Associazione Agevolando Via Corsica,10 40135 Bologna (Italy) Tel. +39 392 9807078 C.F. 91322070375 Mail: [email protected]
La cosa più importante è garantirci la stabilità e la continuità degli educatori all’interno della struttura
che ci accoglie: gli adulti che si prendono cura di noi sono i nostri punti di riferimento, si creano dei
legami di familiarità, ci affezioniamo agli educatori con cui viviamo. È molto difficile per noi quando gli
educatori vanno via e dobbiamo abituarci a nuovi adulti, per questo è necessaria la stabilità delle
relazioni all’interno della comunità.
È importante che ci venga spiegato cosa ci accade: abbiamo bisogno che ci spieghino chi sono gli attori
della squadra di aiuto, vogliamo conoscere i ruoli e le funzioni degli adulti che si prendono cura di noi e
che prendono decisioni per la nostra vita e il nostro futuro.
Non esiste una formula unica per accogliere un ragazzo in comunità e non si può fare di tutta l’erba un
fascio: dipende dal ragazzo, dalla storia, dalla sua fascia di età e dagli obbiettivi da raggiungere. Noi
siamo persone e siamo tutti diversi e unici. L’adulto non deve avere la pretesa di dire “così si fa, punto e
basta”. Per noi è importante Venirsi incontro e cercare una soluzione insieme: gli educatori devono
mettersi nei panni dei ragazzi ma è vero anche il contrario, noi ragazzi dobbiamo cercare di capire gli
adulti e costruire insieme il nostro percorso.
Molte forme di aiuto e di cura
L’aiuto psicologico emotivo è utile ma non deve essere l’unico aiuto all’interno del percorso di accoglienza.
Abbiamo bisogno dell’aiuto pratico: accompagnarci nel fare le cose, Sostenerci nei nostri obiettivi facendo
le cose insieme. È importante non essere lasciati soli nelle difficoltà, nell’affrontare problemi e a fare
scelte. Abbiamo bisogno di aiuto per capire come mantenere i rapporti con i nostri genitori: abbiamo
bisogno di consigli su come provare ad interagire in modo diverso con i nostri famigliari; gli educatori
dovrebbero cercare di mediare qualora ci fossero dei conflitti con i genitori. È vero anche che a volte
siamo proprio noi ragazzi a cercare il conflitto e in questo caso sarebbe importante essere aiutati a
metterci nei panni dei nostri famigliari ed essere aiutati a fare dei pensieri.
La comunità ci protegge anche perché ci evita di stare in mezzo alla strada: se i genitori sono stati
distratti e non ti hanno seguito, la comunità fa attenzione a come viviamo ed è grazie alle regole e ai
limiti che possiamo capire che siamo importanti e che c’è qualcuno che si preoccupa per noi e ha a cuore
il nostro benessere.
Può accadere che in comunità manchi totalmente l’ascolto e gli adulti non seguano i ragazzi, che la
gestione della casa dipenda da noi e che se non svolgiamo noi i servizi stiamo nello sporco. Che la
paghetta la si guadagni facendo i servizi, cucinando per noi stessi e occupandoci dei lavori domestici.
Crediamo sia una cosa buona avere una certa autonomia e a fine settimana poter avere i soldi per
comprarsi qualcosa.
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Allo stesso tempo in alcune comunità in cui gli educatori ci curano facendoci trovare il mangiare ed il
letto fatto, dove ci fanno tante domande e si parla di più, tutto sembra diverso e finalmente si ha la
sensazione che qualcuno tenga a noi, che si preoccupa di sapere come stiamo e cosa pensiamo. All’inizio
non lo si capisce, ma poi è bello avere qualcuno che si prende cura di te.
Il fattore tempo è molto importante. L’accoglienza fuori famiglia Dev’essere un luogo di passaggio: non
dobbiamo rimanere tutta la vita in comunità, non dobbiamo mettere radici in comunità. Abbiamo bisogno
di crescere, essere accompagnati all’autonomia, essere aiutati a sperare e a costruire il nostro futuro
dopo la comunità.
Rapporto educatori e ragazzi
Parola d’ordine: cooperazione e credere in noi.
A volte è necessario per noi ragazzi portare avanti dei progetti che sono faticosi, soprattutto quando
siamo in prima persona ad affrontare le conseguenze delle nostre storie: è proprio lì che l’educatore ci
può spingere a portare avanti quel percorso anche quando stiamo per mollare, perché a noi non sembra
semplice, ma è giusto andare avanti.
Gli educatori sono per noi come ancore nel momento del bisogno, vogliamo che ci siano vicini nel nostro
percorso, ma non si devono sostituire a noi e fare tutto loro. Abbiamo bisogno che gli adulti ci insegnino
ad essere autonomi, vogliamo avere il loro sostegno ma vogliamo anche essere tenuti in considerazione
per fare insieme.
Sarebbe importante che i ragazzi fossero resi partecipi della costruzione del PEI. Sarebbe utile non usare
un linguaggio da professionisti, ma spiegare in modo chiaro e semplice a seconda della persona che si ha
davanti e degli obiettivi del suo percorso.
Non ci sono solo gli educatori: Ruolo dei diversi attori.
Noi siamo persone e non pacchi postali. Non si può giocare con la nostra vita soprattutto se sei una
persona minorenne, se hai delle ferite nascoste nel cuore, se sei fragile e non c’è chi ti guarda le spalle.
L’assistente sociale
La presenza dell’assistente sociale è importante, perché prima della comunità è il primo adulto che
conosce la nostra storia. È un punto di riferimento importante: quando i genitori non si prendono cura di
noi, è l’assistente sociale che ci ha in carico, che ci deve avere in testa, che deve darsi da fare per trovare
una soluzione in fretta e preoccuparsi per noi. Non possiamo essere lasciati a noi stessi. Venendo da un
passato di sfiducia, l’assistente sociale dovrebbe avere il dovere e la passione di essere presente per noi.
All’assistente sociale chiediamo di:
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- informarci di quello che ci sta capitando;
- ascoltarci e tenere in conto le nostri opinioni, credere in quello che esprimiamo e prendere sul serio il
nostro pensiero;
- accompagnarci nell’ingresso in comunità, non abbandonarci proprio quando siamo soli e seguirci in
tutto il percorso fuori famiglia;
- essere costante nel suo lavoro con noi, magari venendo in comunità almeno una volta al mese;
- essere chiara, coerente e sincera perché noi abbiamo paura che ci prendano in giro e non ci dicano la
verità.
Ci sentiamo abbandonati per l’ennesima volta se l’assistente sociale:
- si fa conoscere solo in occasione dell’Udienza al Tribunale,
- non viene più, non telefona oppure viene solo una volta all’anno,
- giudica i nostri comportamenti senza conoscerci a fondo,
- non ci tiene informati sul nostro progetto e sull’udienza in Tribunale, o sulle decisioni che riguardano il
nostro futuro.
Essendo adulti e professionisti, conoscono i doveri, le responsabilità ed i rischi che comporta il loro
mestiere e quindi se capita loro di essere minacciati, intimoriti o spaventati dalle nostre famiglie
d’origine dovrebbero chiedere aiuto, trovare delle soluzioni, lottare per noi senza abbandonarci.
“Una su mille ce la fa” e non tutte le assistenti sociali ci deludono. Il vostro ruolo è davvero fondamentale
quando conoscete noi ragazzi e capite le nostre reali necessità, trovate delle soluzioni applicando la legge
e facendo rispettare i nostri diritti, tenendo conto dei nostri pensieri e dei nostri problemi.
Tutore
“Chi l’ha visto? Chi è? Cosa fa? In cosa mi aiuta?’
Spesso non sappiamo qual è la sua funzione. Nessuno spiega chi è il tutore.
Un tutore per prendere decisioni importanti deve conoscere noi ragazzi e le situazioni. Se non ci conosce,
se non ci ha mai incontrati e ascoltati, non può prendere delle decisioni sul nostro futuro senza di noi.
Deve fidarsi di chi ci conosce bene e sa il nostro pensiero: è importante che ci conosca bene, che parli e
cooperi con gli altri attori della squadra di aiuto per prendere decisioni in comune che davvero possano
essere d’aiuto per il nostro futuro.
Le forze dell’ordine
In alcuni casi noi ragazzi entriamo in contatto diretto con le forze dell’ordine.
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Può capitare che siamo proprio noi che chiediamo aiuto ai Carabinieri o alla Polizia perché siamo in
pericolo. Invece di essere accolti, dobbiamo aspettare ore e ore senza parlare con nessuno; quando
raccontiamo i nostri problemi, chi ci ascolta è superficiale, non prende sul serio quello che diciamo e cerca
di minimizzare. Se un ragazzo si presenta in Caserma e dice “sono vittima di abuso, maltrattamento,
violenza”, tu non puoi dire: “sei sicuro? Ma che stai dicendo? Torna a casa e poi ne parliamo!” Non
possiamo sentirci intimoriti, spaventati, scoraggiati, demoralizzati, a disagio e non creduti, quando siamo
proprio noi che chiediamo aiuto.
Nel caso in cui le forze dell’ordine vogliano ascoltarci e conoscere la nostra versione sui fatti accaduti,
abbiamo bisogno di molta comprensione e attenzione: ci sentiamo intimoriti, non ce la facciamo a parlare,
abbiamo timore delle conseguenze prima per gli altri e poi per noi, ci sentiamo in colpa, ci blocchiamo, ci
sentiamo insicuri anche quando quello che diciamo è la verità. Gli operatori delle forze dell’ordine
dovrebbero essere formati appropriatamente a trovarsi davanti un ragazzi in pericolo, bisogna essere seri
e imparare ad accogliere chi ti chiede aiuto.
Percorso di autonomia.
L’accoglienza fuori famiglia non dev’essere un viaggio senza una meta.
Il passaggio all’autonomia è un momento delicato, va pensato, costruito e programmato nei dettagli.
Come si fa a uscire dalla comunità quando gli educatori che ti hanno visto crescere sono tutti in ferie?! Ci
si può sentire abbandonati e spaventati, è importante pensare in tempo alla dimissione, a quando e come
realizzarla e a chi sarà presente nel momento del passaggio concreto fuori dalla struttura.
Quando si arriva in comunità è importante costruire già dei punti di riferimento fuori la struttura per
creare delle proprie vie di uscita. Durante il percorso, è importante cercare dei legami nella società tra gli
amici e tra altri adulti significativi.
La comunità deve restare un punto di riferimento, anche quando si viene dimessi. Ma noi come ragazzi
non possiamo cullarci e appoggiarci per sempre alla comunità, dobbiamo essere noi ragazzi a sapere che
tocca a noi prendere le redini del nostro percorso! Quando si lascia la comunità, tutta la responsabilità è
sulle nostre spalle, siamo soli e dobbiamo cavarcela in solitudine. Dobbiamo rimboccarci le maniche ed
essere attori del nostro futuro. Non bisogna scoraggiarsi!
Sia durante il percorso che quando usciamo dai percorsi di accoglienza, Sarebbe importante essere seguiti
COSTANTEMENTE da un avvocato che difende i nostri diritti, ascolti le nostre domande e ci dia tutte le
informazioni necessarie per capire cosa succede e quali sono i nostri diritti.
Non siamo dei pacchi
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È importante avere cura del progetto e della scelta dell’affido e dell’adozione. Bisogna fare delle selezioni
tra le famiglie e avere il tempo per conoscerle.
Se una coppia ha davvero voglia di crescere un bambino in difficoltà ma non ha abbastanza risorse
economiche, sarebbe importante sostenere queste famiglie e non dire subito “no”, perché magari quella
potrebbe essere la soluzione giusta per uno di noi.
L’affido bisogna farlo soprattutto per i ragazzi, per colmare i loro vuoti e non solo per soddisfare i bisogni
dell’adulto. L’affido di un ragazzo grande non vuol dire far da badante all’adulto: non dobbiamo colmare la
solitudine o il vuoto dei figli naturali che sono cresciuti e hanno lasciato il nido vuoto. Anche se siamo
giovani adulti abbiamo dei bisogni, che non sono minori di quelli dei bambini. L’affido e l’adozione sono
cose serie, non ci si può prendere gioco dei sentimenti di noi ragazzi, gli adulti devono essere preparati e
ben informati, sennò è meglio proprio non iniziare. Quando non si realizza l’affido,è importante specificare
perché non si è realizzato, avere uno spazio di chiarimento, ed è giusto che quegli adulti continuino a far
parte nella nostra vita visto che si è avuto il pensiero di costruire una famiglia. Noi non ci dimentichiamo
di chi ha cercato di prendersi cura di noi e anche se il progetto di affido non si è realizzato, non vogliamo
che le persone spariscano nel nulla.
Bisogna che gli adulti che si prendono cura di noi tengano in conto come ci si sente prima di lasciare la
comunità, perché è come se si lasciasse la propria famiglia. È importante perché ci sono ragazzi
abbastanza autonomi, altri che sono ancora fragili e quindi si sentono soli ed è importante avere
qualcuno vicino.
Quando sei ancora minorenne, il passaggio all’autonomia può essere facilitato dal vedere che si stanno
realizzando degli obbiettivi e che si sono raggiunti dei traguardi importanti per il futuro. Vedere passo
passo che si sta costruendo qualcosa di concreto e di tangibile per la nostra autonomia ci aiuta a capire
che ce la possiamo fare e questo ci fa sentire più forti e meno soli.
Anche da maggiorenni la transizione all’uscita è davvero difficile: ci vuole tempo ed anche dopo 2 anni
dall’uscita si lavora ancora alla separazione, non è facile cavarsela da soli e stare lontano da chi
rappresenta per te un riferimento come una persona di famiglia, ed è il periodo più difficile.
Rapporti con la famiglia d’origine. Non bisogna sradicarci totalmente da tutta la nostra famiglia!
Quando arrivi in comunità per problemi all’interno della famiglia, a seconda dei casi e del pericolo che
corri, ha senso non vedere i propri famigliari. Se noi veniamo allontanati un motivo ci sarà! È importante
che chiaramente ci venga spiegato il motivo e che possiamo parlarne insieme per capire.
Però, se alcuni dei nostri parenti, a cui noi siamo legati, non sono direttamente responsabili del nostro
malessere, che senso ha interrompere i rapporti anche con loro per un periodo? Ci fa stare male
soprattutto all’inizio, quando magari sei in una città diversa da quella dove sei cresciuto e passi per la
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prima volta le feste lontano dalla tua famiglia. Anche in questi casi, vogliamo essere ascoltati ed è
importante ragionare insieme per prendere le decisioni.
All’inizio, quando il pericolo è alto, ha senso interrompere i rapporti, ma dopo un certo periodo se la
situazione famigliare si è un po’ chiarita e il percorso è andato avanti, bisogna esplorare le risorse che
ancora esistono tra i nostri parenti. Quando è possibile, vogliamo vedere con i nostri occhi cosa sta
accadendo a casa ed è importante che possiamo tornare là dove tutto è iniziato per capire se qualcosa è
cambiato. Dateci la possibilità di vedere magari accompagnati da un operatore della squadra di aiuto che
ci tutela.
È importante provare a salvare la relazione in diversi modi: d’accordo! Ci hanno fatto del male ma è
importante provare a costruire un rapporto, bisogna provarci perché quando si esce dalla comunità noi ci
proveremo sempre a trovare un rapporto con i nostri famigliari.
Abbiamo saputo che al Nord Italia ci sono delle opportunità che qui non abbiamo, per esempio esistono
delle vere e proprie case neutre, dove i ragazzi possono vivere il quotidiano con i propri famigliari sempre
con l’aiuto degli operatori così da verificare se è possibile costruire un ritorno a casa. Perché non portarle
anche al sud?
I nostri genitori hanno bisogno di aiuto: se dobbiamo migliorare noi, anche loro devono impegnarsi per
primi e cercare di risolvere quello che è andato storto. Non ha senso che noi facciamo un percorso e un
sostegno psicologico e loro non hanno un aiuto, che poi se si torna a casa è tutto come prima. Invece noi
speriamo anche in un loro cambiamento per trovare un buon equilibrio dopo la comunità.
Il rapporto con i genitori e la possibilità di vederli non può essere usato dalla comunità come strumento
per ottenere il buon comportamento in struttura. Quando ci viene detto: “Se ti comporti male, non ti
facciamo uscire e vedere i tuoi genitori”, proviamo rabbia, ci sentiamo ricattati proprio negli affetti e
nelle cose belle di cui abbiamo bisogno. Se siamo in comunità per risolvere i problemi con la famiglia,
proprio sul nostro punto debole ci volete colpire?!? Per ottenere dei cambiamenti non servono i ricatti ma
il dialogo.
Partecipare fa rima con sognare e desiderare
Siamo noi gli attori principali della nostra vita e quindi sono importanti le nostre scelte. Bisogna attivarsi
prima del compimento dei 18 anni per costruire progetti di autonomia ed è importante che i ragazzi siano
in prima linea. Non ci possiamo permettere di fare i “belli addormentati’’.
Abbiamo bisogno di essere sostenuti nelle nostre qualità, aspirazioni e capacità. Anche noi abbiamo dei
sogni e vorremmo essere aiutati ad esprimerli e realizzarli. Il nostro percorso fuori famiglia dovrebbe
darci l’accesso alle giuste risorse e dovrebbe darci la possibilità di esprimere noi stessi.
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È importante venire informati sui nostri diritti e che gli adulti ci sostengano perché vengano rispettati.
Un messaggio per la società
Da coloro che non conoscono questa realtà, ci sentiamo etichettati come prostitute e baby squillo, tossici
e criminali, sfaticati, un problema per tutti! Bisogna abbattere i pregiudizi e creare una cultura più aperta.
Siamo nel 2017 e bisogna informare su cosa significa stare in comunità e far capire che i ragazzi fuori
famiglia sono persone con storie spinose che hanno voglia e diritto di avere un loro futuro.
Un messaggio ai ragazzi fuori famiglia
Ragazzi è necessario che ci facciamo sentire, dobbiamo essere noi a informare i nostri amici, i nostri vicini
e i nostri professori. Bisogna creare degli spazi e dei momenti di incontro, sia all’interno della comunità
ma soprattutto fuori: possiamo essere noi ad andare verso gli altri e a testa alta far capire e far
rispettare i nostri diritti.
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