qui - Il poeta/lo scrittore del mese

Download Report

Transcript qui - Il poeta/lo scrittore del mese

Emilio Polcaro
IN PAESE,
IL RICORDAR
M’E’
DOLCE....
1
2
Alle mie figlie
Assunta e Alessia,
mie ispiratrici.
Grazie alla vostra
disponibilità,alla
vostra inesauribile
azione di
convincimento ed
al vostro continuo
incoraggiamento
che,oggi, esiste
questo scritto.
3
4
Sono le azioni che contano.
I nostri pensieri, per quanto buoni
possano essere, sono perle false
fintanto che non vengono trasformati
in azioni.
Siate il cambiamento che volete
vedere avvenire nel mondo!
Mahatma Gandhi
5
6
…....ANGICCO....
E’ un giorno carico di pioggia e di neve,scendono
continui i fiocchi, batuffoli pesanti, tutto sembra super
ovattato....
Sono a San Potito Ultra, paesino della provincia di
Avellino, sono a casa con mio nonno Giuseppe, davanti al
camino.
Mio nonno Giuseppe, pensoso, comincia a raccontare:
Emì, al fronte, durante la guerra del 1915/1918, ero soldato
dell’esercito italiano, ero in trincea sul Carso e faceva un
freddo cane, gelavano i piedi e le mani, nonostante guanti
di lana e un falò di carbone in fondo ad un corridoio buio,
scavato nella roccia, assolutamente non visibile dal nemico,
che ci stava di fronte.
Con i miei commilitoni bevevamo grappa per
scaldarci, per tirare su il morale, per non considerare la
guerra a un passo da noi e specialmente per non pensare al
momento di uscire dalla trincea e correre all’attacco, che
finiva sempre alla baionetta.
Il capitano Ciro Esposito, uomo di legge e di lettere,
umanamente interessato al destino dei suoi uomini, dava
ordini secchi, senza mai commenti personali.
Gli ufficiali ed i soldati della sua compagnia lo
consideravano uomo onesto, responsabile, coscensioso,
riflessivo, obiettivo, autorevole, molto deciso.
Quando nascevano problemi, tutti gli uomini
andavano da lui e gliene parlavano.
Per ogni uomo egli aveva frasi buone, espressioni
tranquillizzanti; alla fine, si comportava come un padre.
In trincea, al fronte, l’inverno era sempre più freddo,
umido, Emì, per bacco, entrava nelle ossa, spaccava i
bronchi.
Ogni uomo fumava tabacco, trinciato forte,
7
arrotolandolo nelle cartine, come sigarette o utilizzandolo
in pipe di terracotta con il bocchino di canna.
Ad essere sincero, si fumava di tutto in trincea, pur di
stare insieme e per calmare l’ansia...............
Una mattina, cielo plumbeo, pioggia continua, gelida,
in quella buca arrivarono alcuni giovani soldati provenienti
da un plotone, distrutto dal nemico giorni addietro. Il tenente
che lo comandava era morto durante la battaglia con altri
soldati. Quei giovani per questa ragione erano stati, poi,
assegnati alla compagnia del capitano Esposito.
Nuovi giovani, nuova linfa di vita, nuove peculiarità,
nuove corde di cuore......
E faceva freddo, intensamente, e noi soldati e ufficiali
gelavamo in quella fossa, sotto terra.
Era quasi l’alba quando il capitano Esposito arrivò,
trafelato, sudato, con gli occhi rossi di rabbia : Uomini,
arrivo testè dal Comando Generale e gli ufficiali superiori
ci hanno detto che i nostri nemici si apprestano a sferrare
un attacco in massa, proprio all’alba.
Uomini preparatevi! Tenetevi pronti ad uscire, siate pronti
ad affrontare l’attacco del nemico.
Mio nonno Giuseppe, sempre più accigliato, continua
il suo racconto: Emì, in quel momento, ero calmo ma
pensoso, presi il mio fucile, appoggiato al muro, già
minuziosamente pulito ed oliato e automaticamente innestai
la baionetta. Il mio fucile era il mio fedele compagno, in
ultima analisi, la mia sopravvivenza e quindi la mia vita.
Non mi aveva mai abbandonato in quei mesi, il mio fucile.
Emì, dopo quest’operazione di routine, dalla tasca del
pantalone tirai fuori un’immaginetta della Madonna del
Soccorso, (protettrice di San Potito Ultra) e cominciai a
pregare......... ed intanto mi passava davanti agli occhi il
volto di mia madre Filomena che piangeva................
Tutti i soldati innestarono le baionette..................
8
Madonna del Soccorso, Protettrice di S. Potito Ultra
9
Improvvisa la voce ferma e stentorea del capitano Esposito:
Soldati e ufficiali è il momento! Tutti veloci ad uscire al
mio comando....
Seguitemi, sarò davanti a voi! Ed il comando arrivò
immediato, repentino, secco : “ Fuori, all’attacco “!
Il capitano con un balzo felino fu fuori dalla trincea,
tutti noi lo seguimmo rapidi e solleciti lanciandoci al di
fuori di quel buco.
Una luce assai timida stava facendo capolino e, per
un momento, accecò gli occhi di tutti noi, nascosti da tempo
al buio.....
Pochi minuti e ci furono grida, colpi, lampi, pallottole,
sangue.. la battaglia continuava furente, minuti roventi.
Ufficiali e soldati, dall’una e dall’altra parte, in un’ultima
scena che mi riappare nella mente, l’attacco alla
baionetta.............
Una rabbia leonina ci animava, ci infervorava e ci
spingeva ad andare sempre più avanti, l’odio si manifestava
negli occhi infiammati di tutti noi soldati, e continue grida
di aiuto, colpi, fendenti, lampi.............
Quanto tempo sia durato quel combattimento non lo
so, ma mi ritrovai in un piccolo ospedale da campo su una
brandina di tela, al coperto.
Ero stato ferito, mi avevano colpito dietro l’orecchio
sinistro.
Solo qualche giorno dopo, quando cominciai a
comprendere qualcosa, gli ufficiali medici di quella tenda
mi informarono che mi avevano operato, un intervento
parecchio delicato, assai difficile, dal momento che avevano
estratto una scheggia di bomba a mano, per fortuna piccola,
parte dall’osso mastoide e parte dall’osso temporale, dietro
l’orecchio sinistro. Un intervento assai rischioso e che era
riuscito grazie alla perizia chirurgica di una equipe affiatata.
La Madonna del Soccorso mi aveva aiutato, aveva
10
illuminato la mente ed aveva diretto le mani di quei chirurghi
dell’ospedale da campo.
Accanto al mio lettino, nella mia stessa tenda, Emì,
era stato ricoverato uno di quei giovani soldati che erano
arrivati nella compagnia del capitano Esposito, un certo
Antonio …......., non ricordo il cognome, anche lui ferito
durante quell’attacco.
Alcune pallottole di mitragliatrice nemica gli avevano
attraversato un braccio, gli avevano procurato una frattura
scomposta dell’omero.
Anche Antonio …... era stato operato.
Dopo le visite degli ufficiali medici, dopo le
medicazioni, rimanevamo soli e un pomeriggio Antonio mi
rivelò che avrebbe fatto di tutto per ritornare a casa, per
non continuare più il suo servizio di leva nell’esercito
italiano e per non essere …. “Carne da macello”.
Antonio ........, da quel pomeriggio, volutamente,
lucidamente, consapevolmente, cominciò a dare di testa,
stabilì che da subito non era più Antonio ….... ma
….”.Angicco “..........
Faceva le prove davanti a tutti noi, feriti come egli
stesso, confusamente diceva …. sono …..Angicco …......,
mi chiamo…... Angicco ….... , e così via e non smetteva di
essere incoerente.
La mattina successiva, i medici durante il giro
mattutino, lo apostrofavano :Soldato Antonio …... vediamo
il tuo braccio....,ma Antonio non rispondeva.
Soldato Antonio …. facci controllare la tua frattura..... e
Antonio non si muoveva dalla sua brandina.....,
Soldato Antonio in piedi ed a rapporto........... ed Antonio
nulla........
Dopo varie chiamate, uno degli ufficiali medici si
avvicinò alla brandina per vedere in viso Antonio ….. e gli
chiese, fissandolo negli occhi : Soldato, come ti chiami ?
11
La risposta fu pronta, istantanea, veloce come una pallottola
di fucile :…... Angicco.......
Soldato di dove sei? ….medesima risposta
….......Angicco........... Chi è tuo padre? …........copia
conforme …..... Angicco ….......
Come si chiama tua madre?...idem …............. Angicco
…..............
Le sole parole che pronunciava Antonio ........ erano
….......Angicco …........Angicco .............. Angicco …...........
Angicco …...
Alcuni giorni e i medici di fronte a questa nuova
situazione inviarono Antonio ….. in osservazione, in
neurologia, all’ospedale di zona.
Emì, dopo più di due mesi di ospedale e
convalescenza, i medici mi dimisero inviandomi a casa in
licenza, il congedo permanente mi arrivò in seguito, a causa
della mia ferita.
Erano passati alcuni mesi, avevo dimenticato quel
giovane Antonio ….. , ero a casa in congedo, quando
ricevetti una cartolina, da un paese di cui non riesco a
ricordarne il nome, con su scritto:
“”Caro Peppino, da tempo non sono più ...”carne da
macello”. Il braccio va bene. Sono a casa, sto con la mia
famiglia. La guerra per me è finita prima.
Saluti affettuosi
Angicco............””
Si sente a breve distanza la voce possente di nonna
Mariannina che ci chiama per il pranzo.
12
“FATETE BENE, CHE BENE TE VENE”
(“CACALEMMETE”)
La prima persona che mi avevano additato, sia i miei
nonni sia i miei amici,quando ero piccolo e vivevo in paese,
era un tizio che non c’era con la testa, che non aveva nulla
di regolare, di normale.
Mio nonno Giuseppe mi diceva spesso indicandomi
l’anormale : “ Lo vedi quello che cammina scalzo, quello è
scemo …........”. e continuava.....
Mia nonna Mariannina : “Emì, stai attento a quella
persona che non avendo a posto la testa, fa cose assai strane
…...........” e così di seguito.....
Il mio amico Gerardo : “Non ti avvicinare allo scemo
perchè dicono che picchia con il bastone che porta con sè
….......”
Mio zio Alfonso : “ Stai con gli occhi aperti perchè lo
straccione pazzo ti può colpire con le pietre ...........”
E ancora : “Quello fa la cacca sul limite del
marciapiede o della strada, senza vergogna. Si abbassa i
pantaloni e caca davanti a tutti, si pulisce con le foglie che
stacca dai rami degli alberi vicino a se...............
Per questa ragione lo chiamano ……………
CACALEMMETE..............”
Ebbi modo di vederlo, CACALEMMETE, vestiva di
stracci, metteva camicie rotte su camicie rotte, maglioni
rattoppati su maglioni, tutta roba che trovava, girando per i
paesi.
Camminava scalzo, non so perchè. Quando qualcuno
gli portava un paio di scarpe, non le metteva mai.
Camminava scalzo e non ho mai saputo la ragione di
questo suo modo di agire ...............
Mangiava quello che trovava nei campi, tra i rifiuti o
13
quello che gli offrivano i paesani.
Non chiedeva, nella sua grandissima dignità, niente a
nessuno.
Parlava sempre, parlava sempre, parlava facendo
ragionamenti con una testa e forse con una coda;faceva
tantissimi ragionamenti.....ragionamenti..................
Un giorno lontano, tanti anni fa, lo conobbi da vicino,
molto vicino, CACALEMMETE
Non ho mai conosciuto il suo vero nome e cognome,
lo chiamavano tutti CACALEMMETE ed io lo chiamai
CACALEMMETE, come gli altri.
Era entrato, quel giorno di tantissimi anni fa,
nell’esercizio commerciale di mia nonna Mariannina; era
entrato, cencioso, come sempre, per curiosare, dal momento
che non aveva nemmeno una lira per comperare anche un
po’ di pane....e fu allora che il mio cane, Fulmine, con un
rapido scatto gli si avvicinò, lo annusò a lungo …... ma
non abbaiò.
CACALEMMETE lo accarezzò con dolcezza e con
assoluta tranquillità gli disse parole sconnesse.............
Da vicino, non puzzava, come si poteva pensare, si
lavava sempre, tutti i giorni e più volte al giorno, nel fiume,
anche d’inverno.
Ciò mi era stato detto dai miei amici che lo vedevano
al fiume.
Fulmine venne verso di me scodinzolando felice
…........ dai suoi occhi sprigionava una luce nuova che non
avevo mai notato prima …........ mi fece capire che l’uomo
davanti a noi non era cattivo …........ e che gli dovevo offrire
qualcosa da mangiare.
Chiamai mia nonna e le dissi : “ Nonna Mariannina,
per piacere, prepara un bel panino con prosciutto e fiordilatte
che lo devo dare a questo povero ...........................
CACALEMMETE...........”.
14
Grande meraviglia, immenso stupore da parte di mia
nonna che vedendosi davanti Fulmine scodinzolante, me e
CACALEMMETE non capiva la scena e non sapeva come
comportarsi.
Grande confusione sì, ma grandissimo piacere quando
continuai …. :” Dai nonna non fare scenate e prepara
questa benedetta colazione per la persona che è qui
presente”.
Mia nonna, felice forse di farmi contento, si portò
dietro il grande banco, tagliò un bel pezzo di pane cafone e
in mezzo ci mise qualche fettina di prosciutto ed un fior di
latte intero, poi con un sorriso mi apostrofò : “Emì, ho
preparato uno spuntino per questo signore, ed ora,
daglielo....”
Presi il panino e con prontezza lo portai a
CACALEMMETE : “Amico,prendi questa colazione e
mangia piano, fermati qui, mangia con calma, nessuno ti
porta fretta, nessuno ti caccia.......
CACALEMMETE, con un gran contegno, oserei dire,
esemplare, posò per terra il suo inseparabile bastone,
allungò le mani, entrambe le mani, prese il pane che gli
offrivo volentieri e lo portò alla bocca, addentandolo con
forza.
CACALEMMETE mangiava con voracità, ogni tanto
si guardava intorno con i suoi occhi irrequieti, mobili, come
se qualcuno, non presente fisicamente, potesse sottrargli il
suo pranzo. Quasi alla fine del panino, guardandomi con
intensità e fissità, mi rivolse la parola ancora con la bocca
piena : “Guagliò, un po’ d’acqua!”
Corsi nel retrobottega, presi una gassosa dalla cassetta
di legno e gliela portai : “ Bevi, bevi, dopo che hai deglutito
il boccone; bevi con la bocca libera”, gli ripetevo tutte queste
cose come i miei nonni le ripetevano in continuazione a
me.
15
CACALEMMETE, allontanò con una mano, con
l’altra aveva ancora un po’ di pane, la bottiglia di gassosa
e, quasi seccato, mi ridisse : “Guagliò, un po’ d’acqua.”
Solo allora capii che CACALEMMETE non aveva
mai bevuto un bibita ma solo acqua.
Rapidamente gli portai una bottiglia d’acqua semplice,
da un litro, e lui bevve, attaccandosi alla bottiglia di vetro,
con avidità; prendeva fiato e continuava a bere ….......
Mangiò il poco pane e companatico che teneva nelle
mani, finì la bottiglia d’acqua, riprese da terra il suo bastone
di legno intarsiato e prima di andarsene, lapidario, mi
apostrofò : “ Guagliò, fatete bene, che bene te vene!”
Questa frase fu il suo ringraziamento per la colazione
che gli avevo fatto preparare da mia nonna Mariannina.
Anni dopo ho saputo, con grande mio rammarico, che
CACALEMMETE era stato trovato senza vita ai bordi della
Via Appia.
Comunque, ogni volta che ricordo quel momento mi
congratulo con me stesso, ero riuscito a farlo parlare, anche
se aveva detto solo poche frasi .Ma l’ultima sua frase la
rammento sempre e, quando sono incazzato, me la ripeto
in continuazione : “Guagliò, fatete bene, che bene te vene!”,
frase che trasferisco a tutti voi con la filosofia di
CACALEMMETE.
16
GIOVANNI PASCOLI
E’ una bellissima giornata di ottobre, un caldo
pomeriggio, non afoso, ma con una grande umidità, siamo
a San Potito Ultra, sotto la pergola di “Masto Fiore”, con
l’uva matura.
Giovanni seduto come noi ad un tavolino del bar, con
il suo quotidiano preferito, aperto alla pagina letteraria,
prima di leggere un magnifico articolo sul poeta Giovanni
Pascoli, chiede l’attenzione dei presenti.
Legge con trasporto il “pezzo” ed alla fine invita gli
amici ad esprimersi sul contenuto dell’articolo giornalistico.
Emilio, dopo pochi secondi di stallo, gira lo sguardo
a destra ed a sinistra, si rende conto che nessuno ha voglia
di parlare, allora prende la parola e, con tono pacato,
deciso,inizia : Compito arduo per noi, oggi, parlare di
Giovanni Pascoli, decantarlo, tessere le sue lodi, facendo
logicamente sfoggio di aggettivi qualificativi atti a
presentare la figura del poeta del “dolore”, del “perdono”,
del “tenace sostenitore della riconoscenza”, della
“fratellanza”, della “solidarietà umana”.
Invero arduo compito : giacchè noi appartenenti ad
una generazione non più giovane, ci sentiamo tanto piccini,
e tali quasi da non stimarci all’altezza del compito che ci
viene affidato.
Giovanni Pascoli è per noi qualcosa che sta a
simboleggiare l’umiltà e la miseria nello stesso tempo, se
si pensi che Giosuè Carducci, dimostrando di essere ancora
una volta quel grande uomo, quel padre comprensivo che
in effetti era, fu spinto dal dovere di aiutare il povero scolaro
smunto e sfiduciato, onde fargli ottenere uno tra i sei posti
all’Università di Bologna, quando Giovanni Pascoli si
presentò con i pochi soldi che gli aveva dato il fratello
17
Giacomo, il fratello allora sedicenne morto subito dopo, il
quale fungendo da “pater familias”, carezzò Giovanni e lo
incoraggiò in quella che lo stesso Pascoli definiva “grande
impresa”.
Non vi fu presunzione da parte del Pascoli, neanche
quando seppe dalla viva voce del Carducci di essere risultato
il primo assoluto tra i concorrenti; ma vi fu, invece, uno
spiccato senso di riconoscenza che gli impose di scrivere
alcune pagine dedicate al suo maestro Carducci, pagine che
egli scrisse in Castelvecchio, frazione di Barga, sita nella
Valle del Rio dell’Orso.
Non vi fu astio, non spirito di vendetta neanche verso
coloro i quali, il 10 agosto 1867, assassinarono il padre
Ruggiero mentre ritornava in calesse da una fiera che aveva
avuto luogo in Cesena.
Vi fu invece assoluto perdono, quel perdono, che
sfociò in un irrefrenabile desiderio di vedere gli uomini di
tutto il mondo più solidali, più amici nel simbolico abbraccio
dei due fanciulli, che privi della madre, sentono il bisogno
di abbracciarsi per la prima volta, dopo il litigio.
E ciò nonostante egli fosse esacerbato, avvilito, dai
lutti che si susseguirono in seno alla sua famiglia nel
paesetto di San Mauro di Romagna, in quello stesso paese
che egli avrebbe desiderato abolire del tutto, anche se con
l’ausilio provvidenziale della nebbia di Catelvecchio.
Egli ha troppo sofferto per non giudicare opportuno
la morte che piomba all’improvviso su di un bimbo, dopo
una gioconda corsa di gara per salire un colle; egli è troppo
disilluso, amareggiato, per non stimare il mondo un “ritorno
opaco del male”.
Tra i suoi ricordi migliori, quelli della prima infanzia
vissuti nel collegio Raffaello di Urbino, retto dai padri
Scolopi, e poi, studio, lutti, sofferenze, che solo un uomo
della sua fede poteva sopportare.
18
Poeta del dolore e della fede, dunque, nel quale
vediamo e salutiamo colui che ci additò con il suo esempio
la strada migliore da seguire, colui che ci spronò verso
migliori destini in un’atmosfera di pace e di comprensione.
In effetti possiamo dire che qualcosa del genere si sia
avverata ma è forse ancora lontano il giorno in cui tutti,
senza distinzioni di colori e di razze, si guarderanno
amichevolmente in viso; è ancora lontano il giorno in cui il
potente tenderà, in segno di stima e di amicizia, la mano al
debole; e quel giorno, oh, allora
“cantici di gloria, di gloria, di gloria
correran per l’infinito azzurro”.
19
GUARDANDO CASE DISTRUTTE DALLA
GUERRA...............
Sto con le mie figlie Assunta e Alessia nel giardino
antistante il bar di “Masto Fiore” ad ascoltare i discorsi di
mia madre, di mia moglie, di mia zia Rosetta con altre loro
conoscenti, parenti ed amiche.
Tra le loro tantissime dissertazioni, ricordo che una è
caduta specificatamente sul presidente degli Stati Uniti
d’America, John Kennedy. Esse si sono soffermate a lungo
sul famoso personaggio per definirlo, alla fine delle loro
chiacchiere, uomo intelligente, acuto, sveglio ma sopratutto
bello!
Quando le signore hanno finito le loro considerazioni,
mi è venuto spontaneo raccontare ad Assunta e ad Alessia
un momento bellissimo della mia vita e cioè quando il 2
luglio 1963, allora quindicenne, sono andato in Piazza del
Plebiscito a vedere il presidente John Fitgerald Kennedy,
da vicino.
Ho cominciato :
“Molto interesse suscitò qualche anno fa l’arrivo a
Napoli del Presidente John Fitzgerald Kennedy,
trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti e la città di
Napoli si vestì a festa per dare al primo cittadino degli Stati
Uniti d’America un’accoglienza assai degna.
Ma non si immaginava che i napoletani, sebbene
ospitali ed affettuosi per natura, esplodessero addirittura in
una manifestazione di simpatia, tanto spontanea, che lo
stesso Presidente ebbe a dire, prima di salire sul suo aereo
personale, che essa manifestazione gli rendeva triste la
partenza, quanto più vivo era in lui il desiderio di ritornare.
Come era logico volli anche io vedere in viso questo
famoso personaggio che si differenziava dagli altri, vuoi
20
San Potito Ultra - Bar “Masto Fiore”
Caffè al Grappolo d’oro
21
per la sua gioventù, vuoi per la sua cura alla ricerca
affannosa della risoluzione dei problemi impellenti che
gravavano non solo negli Stati Uniti, ma anche e sopratutto
su altre nazioni facenti parte del Patto Atlantico.
Mi trovai perciò tra la calca paziente ed ansiosa nella
piazza Plebiscito di Napoli, piazza storica, di fronte al
palazzo reale e proprio accanto ad alcune autorità che erano
desiderose di accogliere e tributare i dovuti onori a John F.
Kennedy, presentargli il vessillo di Napoli, vessillo che mi
fece pensare ad un passato in netto contrasto con il presente.
Vi era appuntata una medaglia d’oro, medaglia che
Napoli seppe meritare, durante la passata ultima guerra, per
essere stata la città martoriata per eccellenza, la città più
bombardata d’Italia, per aver avuto più martiri, per aver
saputo dimostrare i napoletani spirito di abnegazione e
chiara sopportazione di privazioni che solo chi ha vissuto
quell’epoca è in grado di descrivere.
Tutto ciò è per me vivo, non solo per i racconti dei
miei nonni, sia paterni che materni, testimoni di quella
situazione, e per le letture, ma anche perchè è facile
constatare la furia devastatrice dell’epoca in alcune zone di
Napoli, certamente periferiche e non ancora ricostruite.
Napoli fu uno squallore ed i poveri napoletani furono
assillati dalla necessità di salvare ciascuno la vita e di
sbarcare quotidianamente il lunario che, per molti,
rappresentò un autentico problema.
E la città di Napoli applaudiva, dimostrava simpatia
ad un uomo che, riconoscendo forse i torti dei predecessori,
tendeva la mano in segno di amicizia, cercando di rinsaldare,
di consolidare quei legami di comprensione e di solidarietà
che dovrebbero unire la maggior parte dei popoli del
mondo!
John F. Kennedy, mi dicevo, ritornerà; e ben venga!
Troverà, pensavo, forse quelle case periferiche
22
ricostruite, troverà forse un’accoglienza più calorosa, ma
troverà sempre i napoletani amanti delle loro canzoni, dei
loro spaghetti, della loro tranquillità, tranquillità che essi
desiderano non solo per la loro città e per l’Italia, ma, per
tutti i paesi civili del mondo affinchè possano svilupparsi
meglio i commerci, possano continuare gli scambi e vi possa
essere infine un’uguaglianza dei diritti e dei doveri
dell’uomo,creato da una stessa mano per vivere la sua vita,
per moltiplicarsi e non per odiare o distruggere.”
Ma John F. Kennedy non ritornò più a Napoli.
Il 22 novembre dello stesso anno venne assassinato a
Dallas.
23
“MENS SANA IN CORPORE SANO........”
Michele: Amici, oggi ho letto un trafiletto su un
giornale irpino a tiratura limitata ….......”Mens sana in
corpore sano”....
Emilio : Un tema difficile, come difficile è fare una
proporzione, fare un rapporto tra i giovanissimi sani di
mente e di corpo e quelli tarati dall’ozio e dal vizio, che
mettono i giovani stessi in una falsa luce, tanto falsa da
farli addirittura definire, dai più vecchi, appartenenti ad una
gioventù bruciata.
Raimondo : quello che stai dicendo è giusto, tanto è
vero che ben pochi sono questi ultimi, e si vuole essi
appartengano alla gran massa di giovani in blue jeans amanti
delle discoteche, dei clubs notturni, fans di cantanti in voga,
amanti della folle velocità in auto e in moto e delle stranezze
più impensate.
Pasquale : Cari amici, molto pochi sono, e per fortuna,
coloro i quali pongono nel più assoluto oblio, la necessità
di essere sani di mente e di corpo e di lottare contro le
tentazioni perchè nel corpo sano possa essere una sana
mente.
Fausto : La gioventù, oggi, generalmente è sana di
corpo, perchè i giovani amano lo sport, amano praticarlo.
Emilio : Affermazione verissima, infatti,vi sono in
tutta l’Italia palestre a centinaia, centinaia di associazioni
sportive che aprono i propri battenti, d’inverno e d’estate,
perchè qualsiasi tipo di sport venga praticato; si organizzano
tornei, gare entusiasmanti, si fa nascere nei giovani il senso
vero e proprio dell’antagonismo, ognuno cerca di prevalere
sull’altro, si stabiliscono records mai raggiunti fino ad ora.
Gianfranco : Giusto, non mancano riunioni di atletica
leggera, sia per maschi che per donne, riunioni che vengono
24
trasmesse per televisione, quasi come per invitare la
gioventù tutta a rendersi partecipe di queste nobili gare,
che irrobustiscono il corpo e ci fanno addirittura detestare
il fumo ed ogni forma di stravizi, perchè il fisico venga
mantenuto nelle condizioni ideali per gareggiare ed
eventualmente vincere.
Paolo : Dopo tutto quello che avete fino ad ora
argomentato, possiamo dire altrettanto della nostra mente?
Emilio : Non ne ho la più pallida idea! E ciò tanto più
se si pensi che io sia fermamente convinto essere oltremodo
difficile.
Infatti, se ciò fosse possibile per tutti, non avremmo al
mondo menti balzane, non avremmo uomini dalle idee
bislacche, ma avremmo un popolo fatto di pensatori, di
uomini che hanno abituato la loro mente allo studio ed al
pensiero.
Padre Antonio : “Mens sana” significa anche fede,
preghiera, detestare le brutture, allontanarsi quanto più è
possibile dal peccato. “Mens sana” significa pensare,
studiare ed annullarsi nel fervore della preghiera che ci libera
dai cattivi pensieri, che facilmente ci trasporta in quel mondo
di innocenza e di candore.
E qui mi piace gridare con tutto il fiato che ho in gola ….
Provateci!
Provate giovani di tutto il mondo ! Provate ad abituare allo
sport il vostro corpo, provate a frequentare palestra e chiesa,
provate ad inginocchiarvi pregando Cristo Re, pregando
Dio, creatore del mondo e della terra, con fervore, con
devozione e quando vi rialzerete sentirete la vostra mente
sgombra da pensieri immondi che tarano la mente ed il
corpo.
Emilio : Grido bellissimo! A questo punto, padre
Antonio ed amici tutti del bar, mi viene spontaneo esordire
che solo allora si potrà dire che nel corpo sano vi sia una
25
mente altrettanto sana, una mente che deve abituarsi più al
lecito che all’illecito, più alle bellezze astrali che alle brutture
terrene e, se ciò fosse per tutti, l’essere umano cambierebbe
stile, le cronache nere non avrebbero tanta materia di
discussione, le scuole sarebbero più frequentate e non vi
sarebbe alcuna ragione per definire bruciata la nostra bella
gioventù.
26
PADRI E FIGLI
Il vero progresso può scaturire solo da un’intesa
intelligente
“L’Azione forte, due sonori ceffoni assestati sul viso,
di un genitore nei confronti del proprio figlio,
quattordicenne, capellone, contestatore, brontolone, ribelle,
sovversivo e rivoluzionario”.......... ciancia un medico, di
cui non ricordo il nome, presente in un programma alla
radio, che sto ascoltando con attenzione mentre mi rado
diligentemente per non tagliarmi il viso, “...è un fatto
positivo e tutti i genitori dovrebbero usare le maniere forti,
ogni volta che i figli mancano di rispetto”.
Non mi faccio facilmente influenzare dal grande
sapientone che si propone, ai modesti ascoltatori come me,
con le sue roboanti argomentazioni.
Questo sputasentenze mi porta ad esaminare prima e
ad approfondire dopo, più specificamente, i suoi consigli.
Meticolosamente finisco di radermi, un turbinio di
pensieri mi frulla nella mente, spengo la radio, mi siedo al
tavolo della cucina e comincio a scrivere :
“Due generazioni una di fronte all’altra. Giovani e
vecchi.
Padri e figli.
Lo stacco è netto, il giudizio sulla generazione più
adulta è severo, assai ruvido.
Si rimproverano ai nostri padri sopratutto
l’abdicazione morale davanti al denaro, al successo, alla
carriera e si chiedono rapporti nuovi, un dialogo diverso,
più sostanziato di valori che di proibizioni, di ideali più
che di denaro e di furbizia per navigare nella vita.
Ma insieme a questa critica non c’è la rottura drastica
col mondo dei genitori.
27
C’è invece un riconoscimento sincero, un desiderio
di collaborazione fattiva, per costruire insieme e con fiducia,
nella continuità di un più vasto processo storico che
coinvolge intere generazioni.
E mi viene spontaneo chiedermi : può aver giocato in
tutto questo il desiderio di non urtare la suscettibilità di
coloro che ci ascoltano, anzi di accaparrarsela?
Può darsi.
Continuando il discorso, devo dire che i genitori, spinti
dall’eterno desiderio di dare ai figli ciò che essi non hanno
avuto, di rendere loro la vita meno difficile, hanno sempre
dato particolare peso ai problemi materiali trascurando gli
altri o ridendone addirittura.
I genitori credono di far felici i figli dando loro tutto
ciò che vogliono e non sanno che più che di danaro essi
hanno bisogno di affetto; più che di rimproveri hanno
bisogno di esempi; più che di proibizioni hanno bisogno di
consigli sensati; più che di comandi hanno bisogno di
comprensione.
E il giovane in questo modo si sente solo, incompreso:
esce allora dall’ambiente familiare.
Guardando il rovescio della medaglia possiamo dire
che il giovane oggi è più protetto, ricco di possibilità, al
centro dell’attenzione di tutti, ma gli manca una guida valida
e sicura perchè anche i genitori, cioè gli educatori, sono
spesso disorientati, incerti ed impreparati.
Certamente saremmo ingiusti se negassimo ai nostri
padri il merito di averci messo nelle condizioni che ci
consentono di dedicare molte nostre energie alle riflessioni
sui destini dell’umanità, cosa che a loro dà un enorme
fastidio.
Penso che sia un grave errore quello di lottare, noi
più giovani, contro di loro, vecchi : si dovrebbe ricercare
una comune aspirazione a migliorare ed a progredire,
28
condivisa dai giovani e dagli adulti, sfruttando gli uni le
esperienze degli altri.
Questo però non accade ancora e sono convinto a
causa di errori da ambo le parti : noi più giovani dei nostri
padri siamo troppo irriflessivi, troppo incoscienti, troppo
utopisti e loro, i nostri padri, più vecchi di noi, sono troppo
stanchi, troppo delusi, troppo carichi di pregiudizi.
Mi sia consentita alla fine questa breve parentesi :
noi, i più giovani, rispecchiamo il desiderio di un’umanità
che non vuole ripetere errori e la mascheriamo
nell’insoddisfazione, nell’esuberanza, nel sovvertimento di
tutti i valori.
I nostri genitori, poi, apparentemente avversi ed ostili,
non sono del tutto estranei a questo processo : forse essi
stessi ci hanno trasmesso il germe della rivolta che
nascostamente avevano nell’animo, contro un mondo che
li aveva illusi prima e disillusi dopo.
29
PAPA GIOVANNI XXIII
Seduti al bar di “Masto Fiore”,, sotto la pergola
dell’uva ancora acerba, in una domenica di giugno, il 9 per
essere più precisi, intenti a giocare una partita accesa, con
discussioni infinite sullo scarto e sull’attenzione ai vari semi,
gli amici Felice, Emilio, Stefano, Biagio. Intorno al tavolo
fanno da corollario uno stuolo di altre persone, conoscenti
ed amici degli amici, pronti a criticare sempre su ogni
giocata.
Felice : “ Avete visto il funerale di Papa Giovanni
XXIII ? Raccontare le scene di lutto, narrare il cordoglio
per la morte di Giovanni XXIII non è cosa facile, se si tiene
presente che il dolore per la sua scomparsa è stato unanime,
e si badi, sentito non solo in Italia, ma anche nei paesi più
remoti del mondo”.
Emilio : “Certamente, ciò che ha fatto il santo Padre
supera i limiti umani, non solo se si consideri Giuseppe
Roncalli, promotore del Concilio Ecumenico Vaticano II,
ma se si consideri, invece, con animo sereno, la grande opera
svolta dallo stesso con umiltà e semplicità, tendente ad
avvicinare i popoli di tutto il mondo, tendente ad ottenere
finalmente la pace, la tranquillità, il benessere,in
un’atmosfera di reciproca comprensione, in quest’era di
progresso e di scoperte che si susseguono con ritmo tale da
sbalordire i più increduli.”
Donato : “Perdonare chi ha errato, usare la scienza
dell’uomo per il benessere dell’uomo stesso, credere,
operare, sono state le dottrine del Pontefice, nato umile e
povero, morto umile e povero”.
Stefano : “Tali sono stati gli insegnamenti durante i
quattro anni di lavoro assiduo, durante i quali 152 volte
egli ha lasciato la città del Vaticano per recarsi, inatteso,
30
nei sobborghi e nelle periferie, per far sentire agli umili ed
ai poveri, tra i quali era nato, la sua parola buona e suadente,
la sua parola che serviva, per i più da conforto ed
incoraggiamento a meglio operare, con fede, tenacia,
rassegnazione”.
Emilio : “Lo abbiamo visto tra gli ammalati di
un’ospedale, tra i carcerati in una casa di detenzione, al
capezzale di un qualsiasi umile infermo, con la stessa
semplicità con la quale egli chiese il CONCILIO, con la
stessa semplicità con la quale, egli, preciso, ogni domenica,
si rivolgeva …..ai figli suoi dilettissimi...., dal balcone sul
quale erano puntati gli sguardi di migliaia di fedeli che
pregavano quando egli era in agonia.
=Inizia il mio calvario= egli disse, ed il calvario fu prima
che la morte, velata di fredde tenebre, non lo rapisse dai
figli suoi e da quanti piansero, perchè gli volevano bene.
Biagio : “Il suo viso, dopo la morte, era tranquillo e
sembrava che anche allora, stringendo al petto il Crocefisso,
egli volesse pregare e benedire i suoi figli.
Raimondo : “ Il suo nome passerà alla storia e noi
siamo convinti che la sua opera sarà continuata, con o senza
intervento di successori, poiché la sua parola e la sua opera
hanno reso tutti più buoni, più comprensivi e quasi legati
da un’indissolubile vincolo di amicizia perenne.”
Mario : “ E noi?”
Emilio : “ Noi che conserviamo di lui l’immagine ed
il gradito ricordo, cercheremo di fare tesoro dei suoi consigli
e di usare le sue dottrine per noi e per le generazioni future.
Quod est in votis!”.
31
...PERDONA LORO, PERCHÈ NON SANNO
QUELLO CHE FANNO
Nella piazza Barone Amatucci, ho finito da poco di
parlare di religione, di guerre, di bombe, di armi atomiche
con gli amici di sempre e tanti altri presenti al bar.
Mi sono ritirato a casa.
Mi ritrovo a scrivere, inconsapevolmente, sulla mia
scrivania a San Potito Ultra.
Le voci ritornano alla mia mente e mi assalgono.
Ettore : “Vi è mai capitato di trovarvi, per una pura
coincidenza, per una banale combinazione di fronte ad uno
spettacolo macabro?”
Teodoro : “ Cosa si prova?
Emilio : “Questa domanda, cari amici, me la imposi, proprio
io, quando mi trovai di fronte ad un simile spettacolo in
occasione di una gita che ho fatto. Non che io sia emotivo,
ma, quella gita ebbe per me un esito assolutamente negativo
e controproducente.”
Umberto : “Come mai una gita è stata per te così negativa,
così brutta? Dai raccontaci...........”
Emilio : “Purtroppo sì, non è stata bella. Nessun
divertimento, nessuna compagnia valse a distogliermi dai
miei pensieri, quando a Cassino, mi trovai di fronte ad un
cimitero militare!”
Ettore : “Abbiamo parlato proprio adesso della guerra, delle
armi... non ti fermare, continua, Emilio.”
Emilio : “Quante croci, quante vite umane, quanti lutti,
quante lacrime.”
Umberto : “Cosa hai pensato davanti a questo spettacolo?”
Emilio : “Quello che maggiormente mi diede occasione di
pensare fu la varietà di nomi di militari scomparsi : tedeschi,
americani, inglesi, italiani, nomi tutti diversi, di diversa
32
San Potito Ultra - Via Roma e parte della piazza
33
nazionalità, ma che si trovavano tutti incisi su identiche
croci, candide come la neve.”
Ettore : “ E come ti sei posto di fronte a tale sperpetuo?”
Emilio : “ Volli, allora, tentare di spiegarmi il perchè di
tanto spargimento di sangue, la ragione di tanto odio che
scaglia con inaudita ferocia, fratelli contro fratelli.”
Teodoro : “Il discorso si fa appassionante, come interessante
è la parte sociale e la parte politica che stiamo affrontando.”
Emilio : “Amore di patria? Ambizioni di conquiste?
Chimere effimere per le quali si immolano giovanissime
vite umane, lontano dalla propria patria,magari piante con
notevole ritardo dalla loro scomparsa.”
Umberto : “E come li definiresti questi figli di mamma,
combattenti, giovani e meno giovani che sono?”
Emilio : “ Definiamoli martiri; ed è forse questa definizione
esatta, come esatto è il colore bianco di quelle croci che sta
a simboleggiare il candore del martirio.”
Francesco : “ E’ confortante ascoltare la tua opinione, la
tua voce tranquilla, mentre ricordi questi momenti della tua
gita:”
Emilio : “Mesi di lotta, caro Francesco, mesi di sacrifici, di
patimenti del freddo o dell’arsura si risolvono così nel nulla,
tra tutto questo silenzio sepolcrale, ma, nella comunità. Ora,
perché, mi domando, non devono gli uomini essere
accomunati per il bene specifico della società anziché per
il male, sinonimo di distruzione e di abbrutimento?”
Ettore : “Per Bacco, Emilio, questa non è una favola, questa
è vita: lupi ed agnelli.”
Emilio : “ E qui, non so perchè, mi sovvengono parole del
Vangelo,pronunciate da Chi immolò la sua vita, tra lo
scherno e gli spini, per la salvezza di tutta l’Umanità =
…..Perdona loro, perchè non sanno ciò che fanno!............=”
Umberto : “ Caro Ettorino, senti come Emilio ti ha descritto
bene questo mondo – cacciatori da una parte e prede
34
dall’altra. E tu, Emilio, ora cosa ci continui a raccontare?”
Emilio : “ Ed infatti, a distanza di anni la società non
ammette e condanna la MEGALOMANIA di questi uomini
che per sete di conquista, per velleità di primati di potenza
condussero allo sbaraglio i popoli per una guerra, forse
ingiusta.”
Teodoro : “ Le parole sono belle e fanno bene; ma il
mondo,egregio Emilio,lo sai meglio di noi va
all’incontrario.”
Emilio : “ Giusto! Ed è proprio di fronte a quel cimitero, di
fronte a quelle croci che esigono rispetto e venerazione,
che noi ci inchiniamo al sacrificio supremo di chi pensò al
proprio dovere, ed è proprio in quella pace che ha
dell’eterno, che noi sentiamo più che mai destarsi in noi
stessi un bisogno irrefrenabile di stringerci la mano, di
comprenderci meglio, di volerci bene, nell’interesse della
nostra civiltà e delle generazioni future, delle quali noi siamo
i diretti responsabili.”
35
PROGRESSO
Grande evento a San Potito Ultra – oggi, c’è il
“CINEMA in PIAZZA”, si proietta un film della serie
“ANGELICA”, -Angelica alla corte del re-.
Fornito di sedie, con tutti i componenti la mia famiglia,
mia moglie Silvia, le mie figlie Assunta e Alessia, mia madre
Assunta e mio padre Filippo, tutti in piazza Barone
Amatucci a vedere il film.
Al centro della piazza staziona un camioncino, dentro
ha una macchina da proiezione enorme; di fronte, sul
palazzo Marchesale, un grande schermo bianco, fatto da
un lenzuolo immacolato, sul quale si proiettano le immagini.
Grande fermento, grande eccitazione per questo
avvenimento, la piazza è stracolma di gente, venuta anche
dai paesi limitrofi.
Un vociare continuo, un movimento di persone sedute
ed in piedi finchè una piccola sirena – situata nel camioncino
– con il suo lacerante avviso annuncia l’inizio del film.
Tutti zitti, tutti seduti, attenti, in attesa che parta la
macchina con le sue due bobine enormi che girano, una per
svolgere il film e l’altra per riavvolgere la pellicola.
Inizia il film, si sente solo il pianto di qualche neonato
in carrozzino o la tosse stizzosa di qualche anziano asmatico.
Finisce la proiezione del I° tempo, l’operatore impiega
oltre 15 minuti per sistemare il proiettore e riavvolgere le
due bobine.
Enorme è l’entusiasmo di grandi e bambini, ognuno
commenta, fantastica sugli intrighi, sui duelli, parla con i
vicini di sedia.
Assunta sgranocchia patatine, Alessia pop-corn ed
entrambe bevono gassosa.
Tutti i presenti in piazza rumoreggiano, qualcuno
36
fischia, qualche altro inveisce contro l’uomo che sta
armeggiando con la macchina, tutti aspettano di vedere la
fine del film.
Ancora la sirena ed inizio del II° tempo.
Finisce il film tra gli applausi scroscianti di tutti i
presenti in piazza, che super contenti di aver trascorso una
serata diversa dal normale, riprendono le sedie e come un
piccolo esercito intruppato ritornano a casa.
Insieme con le mie figlie mi fermo a parlare con l’operatore
che ci rende edotti su quella grande macchina che proietta
films con il sonoro,ci dice pure che la stessa macchina
aveva proiettato films muti.
L’operatore continua a fare sfoggio delle sue
conoscenze e ci trasferisce tante notizie interessanti
facendoci capire l’enorme progresso avuto in campo
cinematografico.
Tutti, ormai, hanno abbandonato la piazza Barone
Amatucci, l’operatore dopo aver messo a posto il proiettore
ed il camioncino toglie anche il lenzuolo fissato sulla parete
del palazzo Marchesale.
Anche noi,come gli altri, con le sedie sottobraccio,
ritorniamo a casa e durante il tragitto riprendo il discorso
dell’amico operatore e rivolgendomi ad Assunta e ad Alessia
comincio le mie considerazioni:
“Anticamente, molti, moltissimi anni or sono, i nostri
avi ridevano alle proiezioni di films di fantascienza,
d’amore, di intrighi, non esisteva il sonoro ma si rideva lo
stesso.
Si rideva come noi, appartenenti ad una generazione
nuova, ridiamo oggi dei trams trainati dai cavalli, delle
bombette e delle “ghette” dei nostri nonni.
Ma se vogliamo essere coerenti e coscienti pensiamo
che a tal ricordo si possa appena sorridere, tale è il timore e
l’orgasmo che si sono impossessati di noi per il crescente
37
ritmo del progresso, tanto da farci pensare che, se potesse,
per un’ora sola, rivivere un nostro antenato resterebbe
annichilito di fronte a tante macchine, a tanta attività, a tante
scoperte, al computer, ad internet e preferirebbe ritornare
al più presto nel regno dell’ al di là.
Ieri il lume a petrolio, dalla luce fioca e lugubre, oggi
neon che illuminano a giorno tutta una città; ieri la legna
ed il carbon fossile, oggi caldaie a gas, pannelli solari ed
energie alternative per il riscaldamento nelle nostre
abitazioni, negli uffici, negli stabilimenti; ieri il “fiacre”,
oggi elettrotreni, transatlantici, aerei a reazione, mezzi
modernissimi a propulsione atomica che permettono di
raggiungere un remoto paese del mondo nello spazio di
poche ore!
Ieri la corriera, oggi il telegrafo, la radio, la
televisione,il telefono, il computer, internet.
Ieri i programmi spaziali con vettori e razzi supersonici
per inviare l’uomo sulla luna, programmi peraltro
felicemente riusciti, oggi nuovi tentativi per aprire nuove
frontiere, anche spaziali, per dare vita a nuove comunità da
trasferire nello spazio intergalattico.
Ma veniamo a noi ed al dunque!
Possiamo sperare bene, care ragazzine mie, da questa
forma di progresso che aumenta con ritmo vertiginoso,
possiamo sperare bene dalla scienza dell’uomo che si sforza
per raggiungere quotidianamente un nuovo traguardo?
Lo speriamo!
Ma l’ingordigia e la vanità degli uomini, veramente
solo di alcuni uomini ci lascia perplessi e ci fa ben poco
sperare!
E Dio non voglia che tali scoperte che devono e
possono essere usate a fin di bene, possano essere usate per
il male e quindi per la distruzione di tutto ciò che l’uomo
ha costruito con intelligenza, con pazienza e sopratutto con
38
l’aiuto del Signore.
Pertanto, noi che siamo uomini dotati di buona
volontà, vogliamo così esternare i nostri pensieri ed i nostri
sentimenti, noi amanti del sacrificio e della pace, vogliamo
rendere palese il nostro voto augurale, affinchè gli uomini
di tutto il mondo, senza distinzioni di razze, religioni,
costumi, continuino e perseverino nell’opera bonificatrice
di progresso, di sviluppo in un’atmosfera di tranquillità, di
amicizia e di fratellanza.”
39
LA RESISTENZA COME MOTO SPONTANEO DI
POPOLO
Improvvisamente, questa sera è arrivato un temporale,
cade una fitta pioggia, piove veramente a dirotto. Sto
parlando con alcuni conoscenti in piazza, la vissuta piazza
Barone Amatucci di San Potito Ultra.
Sono stato colto di sorpresa, non mi aspettavo questa
pioggia, saluto i miei interlocutori e mi affretto a ritornare
a casa per non bagnarmi molto. In poco tempo sono davvero
inzuppato d’acqua.
E’ proprio una brutta serata, porco mondo, comincia
pure a grandinare e anche tanto....
Non ho voglia di camminare e prendere acqua, sono
davvero arrabbiato, ma nonostante questa mia resistenza
affretto il passo.
Lungo la strada incontro l’amico Stanislao il quale
mi invita a ripararmi sotto il suo ombrello.
Stanislao, dopo un breve cammino,vedendomi
completamente bagnato mi invita ad entrare nel bar di
“Masto Fiore” per bere qualcosa di forte per rifocillarci.
Il locale è super affollato di avventori, sono gli amici
di sempre, anch’essi colti di sorpresa e che per ripararsi
sono entrati nel bar.
Ci fanno sedere davanti ad un tavolino e ci invitano a
consumare un caffè bollente ed un buon corroborante
bicchierino di grappa.
Gli amici riprendono a discutere accesamente sulla
Resistenza, ognuno mantenendo la propria posizione.
Mi chiedono, essendo entrato poco dopo che avevano
cominciato a discutere, la mia opinione.
Non mi faccio pregare , prendo la parola e cosi mi
esprimo :
40
“Il significato ed il valore della Resistenza sono da
vedere soprattutto come spontaneo moto di popolo per la
riconquista della libertà e della democrazia.
La prima guerra mondiale si concluse vittoriosamente
per gli Italiani ma lo sforzo bellico, che aveva impegnato
le energie migliori del paese per tre anni e mezzo (guerra
1915-1918), fece sentire le sue conseguenze a guerra finita.
I disagi, la miseria, i dolori provocati dal lungo
conflitto e soprattutto l’insoddisfazione per le clausole del
trattato di Versailles, resero l’Italia triste teatro di violente
contestazioni, di tumulti e di scioperi da parte degli operai
che danneggiarono notevolmente la vita del paese e ne
aggravarono la crisi economica e sociale.
La mobilitazione militare dei cittadini aveva tolto
molte braccia ai lavori agricoli e la necessità di produrre
materiale bellico aveva fatto languire le industrie di pace.
C’era, naturalmente, chi approfittando delle
circostanze favorevoli, si era arricchito illecitamente
rendendo più profondo il solco che divideva, già prima della
guerra, i ricchi dai poveri.
Questo stato di cose creò molte complicazioni nella
politica interna, dominata in questo momento dai socialisti
rivoluzionari che miravano ad instaurare il comunismo,
sfruttando, con tumultuose manifestazioni e sommosse,
l’esasperazione alla quale il crescente bisogno aveva spinto
le classi operaie.
Nelle città i negozi venivano presi d’assalto e
saccheggiati, gli operai occupavano le fabbriche, ovunque
si commettevano violenze di ogni sorta; gli scioperi si
susseguivano, venivano fermati arbitrariamente i treni, i
prezzi salivano vertiginosamente, regnavano il disordine e
l’arbitrio, senza che il governo riuscisse a porvi freno.
Questo torbido periodo di violenze aprirà la strada e
favorirà l’ascesa del Fascismo, movimento nazionalista
41
formato da ex combattenti, che si proposero di risollevare
le sorti economiche e politiche della nazione. Animatore e
guida di tale movimento fu il giornalista Benito Mussolini,
ex socialista, la cui forte personalità e l’eloquenza facile e
convincente diedero l’impronta a tutto il movimento
fascista, che facilmente riuscì a dimostrare la debolezza
intrinseca del partito socialista – divenuto pletorico e
disordinato in seguito all’enorme numero di malcontenti
che da tempo ne avevano ingrossato le fila. (Nascita del
Fascismo 23.05.1919 a Milano).
Il 28 ottobre 1922 Benito Mussolini, coadiuvato da
un quadrunvirato formato da De Vecchio, Balbo, Branalsi
e De Bono, mobilitò tutti i fascisti ed organizzò la marcia
su Roma per impadronirsi del potere.
Il primo ministro del tempo, Facta, propose al re
Vittorio Emanuele III la firma dello stato d’assedio,
mediante il quale, con l’intervento dell’esercito si sarebbe
potuto ristabilire l’ordine.
Il re, per evitare la guerra civile, e dal momento che
molti simpatizzavano per il fascismo, si rifiutò di firmare il
decreto.
Il governo Facta fu costretto a dimettersi e Vittorio
Emanuele III affidò a Benito Mussolini l’incarico di formare
il governo.
Si ebbe così un primo ministero Mussolini a cui
parteciparono anche alcuni esponenti di altri partiti.
Le elezioni del 1924 si svolsero in un clima di
violenza; dopo un suo coraggioso e risoluto discorso contro
il governo, il deputato socialista Giacomo Matteotti fu
assassinato barbaramente ed il suo cadavere fu occultato
per un lungo periodo di tempo.
I giornali democratici e liberali iniziarono una violenta
campagna contro il governo e i deputati dell’opposizione
abbandonarono il parlamento.
42
Con l’abbandono del parlamento da parte di tutte le
forze antifasciste, Mussolini si impadronì del potere ed
instaurò in Italia la dittatura.
Sotto la dittatura si ebbero :
• la legge contro la libertà di associazione e di stampa
(26.11.1925);
• la legge per l’epurazione dell’Amministrazione dello
Stato e l’allontanamento degli impiegati sospetti di
antifascismo (24.12.1925)
• la legge che concesse all’esecutivo la facoltà di
emanare norme giuridiche (31.01.1926);
• la nuova legge di pubblica sicurezza che restrinse
gravemente l’esercizio di tutte le libertà statutarie
(06.11.1926);
• la legge che istituì l’ O.V.R.A. (Opera Volontaria
Repressione Antifascista), che creò una preoccupante
discriminazione fra cittadini per ragioni politiche e
sottopose tutti ad un regime di sospetto e di delazione
(06.11.1926);
• la legge che ripristinò in Italia la pena di morte
(26.11.1926);
• la legge che istituì il Tribunale Speciale per la difesa
dello Stato e che con la sua stessa intitolazione si
pose in contrasto con l’art. 71 dello Statuto contenente il divieto di istituire “tribunali
straordinari” - e che con le sue innumerevoli udienze
segrete ne violò non solo l’art. 72 ma anche altre
leggi contro lo Statuto (25.11.1926).
Il Fascismo, in una sola parola, controllò – grazie a
tutto ciò - l’intera nazione.
Intanto nel 1933 in Germania salì al potere il partito
Nazista con a capo Adolf Hitler.
Nel 1936 si ebbe il patto di alleanza fra Italia e
Germania (asse Roma-Berlino).
43
Nel 1940, il 10 giugno, l’Italia, dopo un anno di non
belligeranza entrò in guerra al fianco della Germania.
Nel 1943 si ebbe la caduta del Fascismo e di Benito
Mussolini (era il 25 luglio) e lo stesso duce per ordine del
re e di Pietro Badoglio fu arrestato.
Durante tutta la guerra, insufficientemente preparata
e scarsamente intesa dagli italiani, dichiarata nonostante
che i capi responsabili dell’esercito avessero avvertito il
governo della mancanza di armi, di munizioni e di mezzi
logistici, c’erano state rappresaglie per defezioni.
La lunga preparazione della Resistenza si vide nel
marzo del 1943 quando si ebbe un primo sciopero generale
che portò alla denuncia di un gran numero di operai al
Tribunale Speciale.
Questa protesta collettiva servì da esempio a tanti
milioni di italiani che operavano in tutti i settori della vita
della nazione.
Il clima di generale insofferenza che si era venuto a
determinare con la guerra contro il regime fascista portò,
dopo quattro mesi che era avvenuto lo sciopero generale
degli operai, alla ribellione del Gran Consiglio Fascista,
portò anche al tentativo della monarchia di restaurare i propri
poteri sia con l’arresto di Benito Mussolini sia con la
promessa al paese di ripristinare i diritti e le libertà statutarie.
L’immagine della sconfitta e la visione del baratro in
cui la nazione veniva irrimediabilmente a precipitare davano
inizio a movimenti importanti.
Oggi, a 35 anni di distanza da quelle epiche imprese di
partigiani montani, noi commemoriamo quel grande moto
di popolo che dopo la caduta del regime fascista e soprattutto
dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 insorse contro i
tedeschi, i quali, avvalendosi dell’inerzia del governo
Badoglio, si erano costituiti padroni della nazione e arbitri
delle sorti del popolo italiano.
44
San Potito Ultra - Scuola elementare
45
Ho parlato di “moto di popolo” e l’ho detto con piena
consapevolezza perché la Resistenza innegabilmente fu
una rivoluzione di popolo.
Subito, fin dalle prime fucilate sparate a Napoli contro
i Tedeschi, mi viene in mente che nel secolo
diciannovesimo, i napoletani, o meglio, i nolani, diedero
l’avvio ai moti rivoluzionari e nel XX secolo i napoletani
diedero annuncio, vigore ed animo agli Italiani delle altre
regioni.
Nell’alta Italia si costituirono subito reparti atti al sabotaggio
di depositi di munizioni, di ferrovie, di ponti, di convogli
militari e di tante altre cose.
Il più delle volte, quando si scontravano truppe naziste con
formazioni partigiane non c’erano esclusioni di colpi, non
c’era risparmio di munizioni, ma solo il pensiero di colpire
l’obiettivo.
Quando le truppe fasciste e naziste facevano prigionieri i
partigiani, senza processarli legalmente, li fucilavano sul
posto e poi li additavano agli Italiani con lo sprezzante nome
“PARTIGIANO”.
Oggi, a 35 anni di distanza dalla fine della guerra di
Liberazione, la Resistenza ci appare come l’aspirazione
popolare a formare una società giusta, liberata dalla paura
della fame, della violenza e della prepotenza, che era propria
del periodo del partito fascista.
In effetti durante la Resistenza si è visto come si sono
accorciate le distanze tra le varie classi sociali, si è visto
come si siano diffuse la libertà e la dignità umana.
Dopo l’8 settembre 1943, per fronteggiare la sconfitta ed il
baratro in cui la nazione stava precipitando, prendevano
corpo movimenti di masse popolari.
Infatti, ingenti masse popolari si seppero sottoporre ad una
disciplina spontanea e si raccolsero attorno ai partiti
costituiti in Comitato di Liberazione Nazionale ( C.N.L. ),
46
riconoscendo in questo organismo non soltanto il centro
della rivolta nazionale contro la Germania hitleriana ma
anche la fondazione iniziale dello stato democratico che
domani sarebbe sorto.
Comunque, condizione di questo secondo Risorgimento era
che si dimostrasse la netta rottura tra nazione e fascismo e
che la sconfitta di quest’ultimo non fosse solo opera delle
armi anglo-americane ma anche e soprattutto dell’azione
armata degli italiani.
La dimostrazione la diede la Resistenza.
La rapidità con cui si verificò la catastrofe (8 settembre
1943) impedì che all’inizio l’attività militare antifascista
avesse un carattere organico e si formarono le prime
“bande” di ribelli ( o meglio di partigiani ) attorno ad uomini
armati e rispettati per il loro passato di antifascisti, o per la
sicurezza con cui sentirono il dovere del momento.
Si trattò, dunque, di una spontaneità che non fu
improvvisazione poiché ebbe la sua radice nella coscienza
popolare, impersonata da uomini quali i contadini, gli
operai, gli intellettuali, gli impiegati ed i professionisti.
Queste “bande” collegatesi con il C.N.L. si svilupparono
poi in organiche formazioni partigiane.
La disciplina partigiana in queste formazioni non si basò
sulla obbedienza dovuta per regolamento al superiore in
grado ma sulla fiducia che spontaneamente si riconosceva
al più degno, che per questa ragione diventava comandante,
senza però che si rompesse la fraterna democratica
eguaglianza.
Inoltre, l’esercito partigiano (se così si può chiamare) non
era chiuso in se stesso come un casta ma fu fermamente
legato al popolo da cui proveniva e per il quale combatteva.
L’esercito partigiano fu la truppa di una guerra sociale, cioè
che non si proponeva soltanto di scacciare i tedeschi dal
suolo patrio, ma che fu fatta anche contro il fascismo, contro
47
la dittatura, contro lo stato totalitario e contro quella parte
privilegiata della società che ne traeva vantaggi a danno
del paese intero.
Una guerra, dunque, che si proponeva di rinnovare le
strutture della società nazionale secondo libertà e giustizia.
L’esercito partigiano adottò l’estrema mobilità, il colpo di
mano improvviso, l’offensiva rapida ed immediata che
psicologicamente turbava il nemico che non sapeva mai da
che parte stesse per giungergli la stoccata.
Infatti, i tedeschi erano ossessionati dalla paura dei
partigiani.
Per questi motivi l’ira dei nazisti e dei fascisti si sfogò spesso
distruggendo interi villaggi e borgate per aver dato ospitalità
e aiuto ai partigiani, fucilando e impiccando ostaggi (famosa
la fucilazione dei 7 fratelli “CERVI” di Reggio Emilia) e
con altre forme di barbarie.
Concludo affermando che la Resistenza ed il movimento
partigiano,al quale hanno partecipato tanti tra giovani, meno
giovani e anziani, al quale avrei aderito anch’io se fossi
vissuto in quel preciso periodo, hanno contribuito in modo
decisivo alla distruzione e all’annullamento di un mito,
quello fascista, e più di tutto hanno contribuito a rendere
libera ed autonoma la nostra bella Italia”.
Non tutti mi ringraziano per aver espresso, sia pure
attraverso la vastità e la complessità del tema affrontato, il
mio pensiero sulla Resistenza (alcuni di loro la pensano in
maniera differente:la Resistenza è stata una disgrazia per
l’Italia).
Finiamo di discutere animatamente perché fuori dal
locale non piove più e ognuno di noi preferisce ritornare a
casa.
48
RICORDI.......
Quanti ricordi tristi e lieti mi ritornano alla mente
sedendo alla mia vecchia scrivania, che un giorno
appartenne al nonno!
Quante ore trascorse nell’ansia spasmodica delle
interrogazioni, di esami per i quali, nonostante la loro
facilità, mi sentivo continuamente preoccupato.
E questa stanza che a volte sembrava opprimermi ed
a volte mi sembrava tanto accogliente!
Tutto ciò secondo gli stati d’animo di un uomo, che
seppure in età giovanile, è sempre un misto di sentimenti
che affiorano, nei momenti più impensati, provocando,
sovente, crisi spirituali che da un lato abbattono e prostrano,
dall’altro lato, danno luogo a riflessioni e ricordi.............
Alla scrivania succitata è annessa una biblioteca sulla
quale mi piaceva tenere allineati quei libri che fino ad ieri
mi hanno dato gioie e preoccupazioni.
Quì grammatiche e classici, lì libri di storia e geografia,
lì trattati e compendi.
Compagni della mia solitudine sono questi libri e nello
stesso tempo, tanti personaggi, dei quali nei compiti e nelle
lezioni orali, abbiamo decantato le gesta,siamo stati a lungo
a tessere le lodi: personaggi storici, letterari, personaggi
leggendari e mitologici.
Ma, mi si scusi per la mia franchezza, e, se si vuole,
per la mia ingenuità : se mi venisse, infatti, domandato,
oggi, a quale libro dare le preferenze, senza tentennare,
risponderei che le mie preferenze vanno ad un libro, che ha
sfidato il tempo, lucido e lindo com’è e fa bella mostra di
sè tra i tanti colossi di storia e di letteratura, di geografia e
di medicina, quasi per indicarmi un passato scolastico, più
o meno illustre, quasi ad additarmi la strada della
49
perseveranza, che porta alle mete che ciascuno si prefigge.
E’ un sussidiario, o meglio, un “abecedario” che è lì
da oltre trenta anni e che sta a ricordarmi l’età che non
ritornerà più, ma l’età che si ricorda per tutta la vita, l’età
della quale si racconta volentieri e con nostalgia ai propri
figli.
Il mio pensiero, ora, vola lontano, indietro nel tempo
e mi rivedo spaurito, timido, quasi tremante, alunno della
prima classe elementare, al primo giorno di scuola, di fronte
ad una cattedra imponente, dietro la quale c’è la figura
austera, burbera e benefica,di quella maestra il cui ricordo
ci accompagnerà per tutta la vita.
E sempre grato le fui, signora maestra, per quello che
lei mi insegnò, per le principali cognizioni educative, per
la conoscenza morale e materiale della vita, per i
fondamentali insegnamenti su cui poggiai le basi di tutti i
miei studi.
Sempre grato le fui, cara signora maestra, anche
quando sentii dalla sua bocca un rimprovero del quale feci
tesoro per non incorrere più nel medesimo errore.
E testimone di questa gratitudine imperitura, di questo
affetto che è più forte di qualsiasi amicizia, testimone di un
ricordo incancellabile, è questo libro che sfoglio, mentre
una lacrima mi solca il viso.
50
GLI IDEALI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE
E LA LORO PORTATA STORICA.
Grande partita a tressette e briscola, seduti al tavolino
al bar di “Masto Fiore” a San Potito Ultra con i miei amici
delle vacanze, presenti al paese natio.
Amici, parenti, avventori occasionali a prendere il
fresco, sotto il lungo filare di vite, a giocare a carte seduti
ad altri tavoli, a sorseggiare una bibita o a mangiare un
gelato.
Emilio, con le carte davanti, parla con i presenti e
dopo aver aggiustato le sue carte in mano, essendo egli
stesso ad iniziare la partita dichiara :
Cari amici, accuso una napoletana a bastani e tre tre,
quindi i primi sei punti a nostro favore.
Inizia a giocare la napoletana lunga ed a controllare
lo scarto del compagno di tavolo, Franco.
Sei giocate continue, pulite, rapide, tra i commenti
inopportuni dei presenti che intervengono, qualche volta
anche a sproposito.
Franco : Emilio, non ti fermare, continua a farti le tue
e poi ritorna a me.
Amedeo : Non è il momento di chiamarsi le carte. Per
piacere, giochiamo pulito e non imbrogliamo.
Michele : Amedeo, tieni gli occhi bene aperti perchè
questi due si fanno i segni, così si chiamano le carte e va a
finire che noi perdiamo.
Emilio : mi faccio questo tre e dammi un segno..........
Franco : sono costretto allo scarto e giù un cinque di
spada...........
Emilio : mi faccio ancora questo tre e poi torno a te.
Emilio : Tiro questo re di denaro e andiamo avanti......
Franco : Mi faccio il tre di denaro e ritorno con l’ultima
51
carta: due di denaro. Posate tutto a terra e questo per noi è
CAPPOTTO!
Proprio in questo momento scende dal bus, partenza
da Avellino, fermata San Potito Ultra, arrivo Paternopoli,
mio padre Filippo, mia madre Assunta, alcuni mie cugine e
Vittorio, Pasquale, Antonio e Alfonso, studenti del Liceo “
Pietro Colletta” i quali, fermatisi, incominciano a chiedermi
una lezione magistrale in Storia, precisamente sulla
Rivoluzione francese, argomento sviluppato, in maniera
poco seria e poco critica, in classe.
A dire il vero, mi sono schernito per un po’, mi sono fatto
pregare prima di prendere la parola ed ho esordito, subito,
dicendo che nella seconda metà del Settecento la borghesia
francese, aspirando a quel potere politico che finirà con lo
strappare alla nobiltà ed al clero con la rivoluzione del 1789,
assumerà verso le classi feudali un atteggiamento di lotta
ad oltranza e si foggerà perciò un’ideologia avanzata e
combattiva, l’ideologia illuminista.
L’illuminismo dà ai francesi un nuovo modo di sentire
e di pensare, li libera da un cumulo di pregiudizi tradizionali.
Le idee ed i sentimenti dell’illuminismo sono idee di
libertà,eguaglianza, fratellanza, umanità e carità, e proprio
spinti da questi ideali, i rappresentanti del Terzo Stato si
presentarono al Re che aveva convocato gli Stati Generali
ai principi del mese di maggio 1789.
A tutta la borghesia delle professioni liberali e degli
affari questa sembrò l’occasione buona per un rinnovamento
generale delle strutture del Paese. Con la convocazione
degli Stati Generali il 5 maggio 1789 si ebbero i primi
dissensi fra nobili, clero e Terzo Stato, per la questione del
voto.
Il Terzo Stato dopo essersi alleato con il clero, assunse
il nome di Assemblea Nazionale, poi cambiando di nuovo
in Assemblea Nazionale Costituente.
52
Il popolo era ormai pronto ad accogliere le nuove idee
rivoluzionarie ed il 14 luglio 1789 con un furioso assalto
conquistò la Bastiglia e la libertà dei prigionieri politici.
Spinta da questi eventi l’Assemblea Nazionale
Costituente nel corso della notte del 4 agosto 1789 votò
l’abolizione dei privilegi feudali della nobiltà ed il 26
(agosto) successivo votò una Dichiarazione dei Diritti
dell’uomo e del cittadino.
Bisogna dire che questo è un grande passo avanti che
la Rivoluzione fa, è una splendida conquista; infatti nessuno
può sopprimere diritti “naturali ed imperscrittibili” quali
possono essere la libertà personale, l’eguaglianza giuridica,
la proprietà privata, il voto ed altri ancora.
Il Re, anche se impotente davanti a questa esplosione
rivoluzionaria , si rifiutò di sanzionare il decreto di
abolizione dei privilegi feudali e la dichiarazione dei diritti,
ma il popolo parigino, esasperato dalla carestia, marciò nella
reggia di Versailles trattenuta dalla guardia nazionale del
Lafayette.
Dal 1790 al 1792 ci furono continue lotte interne,
arresti e stragi. Il 21 settembre 1792 si abolì la monarchia e
si instaurò la Repubblica.
L’anno 1793 vide il Re luigi XVI ghigliottinato e dopo
di lui tutti i maggiori esponenti della nobiltà francese.
Ormai la Francia era una Repubblica ed i suoi cittadini
erano i figli di quella Rivoluzione che avevano fatto.
Figlio della Rivoluzione fu definito Napoleone
Bonaparte, un nuovo generale della Repubblica che fece
suoi gli ideali adottati dalla Rivoluzione e proprio con quelle
idee infiammava i suoi eserciti tanto da portarli alle più
strepitose vittorie. Dietro al Bonaparte ed al suo esercito
quindi avanzavano le idee della Rivoluzione e quasi tutti i
cittadini dei paesi conquistati dal generale Corso
reclamavano per il loro paese un regime di eguaglianza e
53
di libertà.
Ed anche gli italiani guardavano a questo grande
Corso come vendicatore della libertà e della giustizia.
Indubbiamente la Rivoluzione francese ha portato
moltissime innovazioni in Francia.
Dalle macerie di una lotta fratricida è sorto un nuovo
tipo di Stato, uno Stato basato sulla libera volontà dei
cittadini, anziché sull’arbitrio di un despota.
I sudditi del nuovo Stato hanno “diritti inalienabili ed
imprescrittibili”, sono tutti eguali di fronte alla legge,
nessuno ha più privilegi feudali ( perchè aboliti ).
La classe dirigente non è più formata dai nobili e tutti
possono ascendere alle più alte cariche dello Stato.
Da tutte le conquiste della Rivoluzione scaturiscono
le più moderne legislazioni ed i metodi più fruttuosi per far
prosperare una nazione e rendere uno Stato veramente
democratico e libero.
Emilio : Finalmente, vi ho fatto ascoltare la mia lezione
di storia, ma ci tengo a precisare che io non sono un
professore di storia e filosofia. Sono un dilettante che
scende a fondo su argomenti importanti e mi complimento
con voi che mi avete voluto stimolare su una pagina di
storia eccezionale e sono contento di essere stato preciso,
puntuale, preparato sull’argomento che mi avete chiesto di
esporre e cioè sulla Rivoluzione francese.
Giovani è ora, è finita la ricreazione, andatevene a casa e
lasciateci continuare la partita che è cominciata alla grande
per me ed il mio compagno di tavolino.
Grazie a voi quattro.
Sciò........ Sciò …..............
Ora dò le carte per continuare................
54
“A SERPE SUCALATTE”
Carmela, giovane contadina sposata con Giovanni e
madre di Giuseppe, otto mesi, si prepara ad andare nei campi
per la sua giornata di lavoro.
Nella cucina spaziosa tutto a posto dalla sera
precedente, Carmela prepara una colazione a base di pane
biscottato, latte e caffè.
* Buongiorno Lina, il piccolo Giuseppe lo porti
con te ?
° Sì Giovanni, lo metto sotto l’albero di fichi,
all’ombra.
* Stai attenta potrebbe avere problemi per il caldo,
per il sole torrido, per qualche bestia.
° Non ti preoccupare perché starò attenta, come
sempre.
Il sole non era ancora alto e già il calore si faceva
sentire, opprimente, in quella casa troppo grande, adesso,
per due adulti ed un bambino.
Finiscono in fretta la colazione frugale.
Carmela prepara Giuseppe e se lo mette a tracolla,
saluta Giovanni ed esce.
A passo spedito si incammina per raggiungere la
campagna.
Un rivolo di sudore le imperla la fronte e scende
lentamente sulla faccia ossuta e scura per i raggi solari che
si sono posati su di essa nei giorni precedenti.
Ancora pochi metri ed è sul luogo dove lavorerà fino
a tardi.
La terra, quella terra come pure la casa, enorme, dove
abitavano tutti insieme, le venivano dalla donazione dei
suoi genitori prima di morire entrambi nello stesso anno.
Finalmente è a destinazione.
55
Lina prende il dolce fardello appeso alle sue spalle e
lo aggiusta in una cesta ai piedi di un grosso ed alto albero
di fichi al confine con il grande pozzo che serve per irrigare.
Carmela pone sul capo un fazzolettone di cotone
grezzo e dai colori sgargianti e lo lega dietro la nuca.
Un’occhiata benevola al piccolo Pino e poi con la
zappa a sollevare zolle per preparare il terreno duro e farlo
diventare soffice per la semina.
Zappa, sterra, zappa ed a Carmela scorre copioso il
sudore tra le mammelle piene di latte e sulla schiena.
Parte di quel sudore viene trattenuto dal fazzolettone
sulla testa e dalla camicetta, parte continua tra le natiche e
le cosce e finisce nella mutanda bianca e profumata di
bucato.
Zappa…….., sterra………., zappa.....
Il pianto continuo e sempre più crescente del bambino
distoglie Lina dal suo lavoro e premurosa va alla sporta del
piccolo Giuseppe.
Grazie a ciò si rende conto che sono volate più di tre
ore ed il bambino piange perché ha fame.
Si avvicina al pozzo, lava le mani impolverate, bagna
il seno formoso, prende in braccio il suo angioletto e gli
porge una mammella turgida sulle labbra carnose.
Pino succhia con avidità ed ingurgita il latte che scorre
caldo e denso e che gli cola dolcemente sul mento e sul
collo color alabastro.
Beve, succhia, poppa da entrambe le mammelle della
madre fino a sazietà.
Lina lo pulisce con un bavaglino di lino immacolato
ed aspetta che il bambino faccia il solito ruttino; cosa che
Giuseppe fa quasi di riflesso.
Coccole e coccole al suo frugoletto ed infine lo ripone
nella cesta sotto il fico lasciandolo al suo giusto riposo e di
corsa a lavorare.
56
San Potito Ultra - Chiesa Madre
57
Il sole picchia forte, asfissiante, l’attimo di pausa e di
dolcezza ha dato a Carmela nuova lena, nuova forza.
Sterra, zappa ed il pensiero corre a Giovanni che in
fabbrica, alla catena di montaggio, fa sempre gli stessi
movimenti, come alienato.
E’ bello pensare a suo marito e questo la fa stare bene,
felice sotto quel sole accecante.
Si volge a guardare il suo Giuseppe ed un brivido le
corre per la schiena bagnata: un serpente nero, viscido,
lungo più di un metro, è nella sporta del bambino.
Vorrebbe urlare, ma nessuna sillaba esce dalla sua
bocca.
Rimane sbalordita, pietrificata.
Ha paura che quella bestia possa far del male alla sua
creatura, come pensava Giovanni.
Assiste ad una scena ripugnante, inconcepibile per
un essere umano, paradossale: il rettile, delicatamente,
inserisce la coda nella bocca del bambino facendogli in
questo modo rigurgitare il latte bevuto.
Il bambino steso su un lato rimette lentamente il latte
coagulato e la bestia lo mangia fino a sfamarsi ed oltre.
La situazione è bizzarra.
Carmela impietrita non riesce a muoversi, da lontano
vede quanto sta accadendo ed in quel momento le ritorna
in mente quello che le riferiva sua madre: qualche volta
nella stalla trovava una biscia che succhiava attaccata alle
poppe della vacca…… quella era “ a serpe sucalatte”, che
non faceva male a nessuno, né uccideva …………..
Lina con calma raccoglie da terra un nodoso bastone,
si avvicina alla sporta e con una rabbia nascosta sta per
scacciare il serpente ma si rende conto che quest’ultimo
placidamente gioca con Giuseppe che, beato nella sua
incoscienza, ride al solletico di questo suo nuovo amico.
In un momento sbolle la collera, Lina con una mano
58
allontana “ a serpe” dal suo bambino, poi lo prende in
braccio, lo pulisce, lo coccola……..
Pochi minuti dopo se lo ripone a tracolla e torna a
casa felice.
Carmela non ha lavorato l’intera giornata ma è
contenta di stare con Pino ad aspettare il ritorno di Giovanni
in quella casa troppo grande per tre sole persone...
59
NEL SILENZIO DELLA NOTTE...........
Tutti, chi più chi meno, abbiamo bisogno, in certi
momenti particolari, di silenzio per meditare.
Io, spesso, molto spesso, trovo nel silenzio della notte
un sollievo, un amico : posso in questi momenti
rinchiudermi nel mio io per riflettere e, a volte, per
fantasticare …......
L’altra notte, con gli occhi socchiusi, seduto nella
poltrona, che un tempo fu di mio nonno Albino, ho ascoltato
uno stupefacente dialogo fra i miei libri di scuola, che non
ho mai buttato o regalato!
La mia antologia di italiano così si rivolgeva ai suoi
amici di latino, di inglese, di disegno : = Miei cari amici, la
nostra importanza nella vita di Emilio, studente, che ci
consulta è ovvia, dal punto di vista sia educativo sia della
cultura.
Senza tema di smentita, affermo che riesco da sola a
far evadere dalle preoccupazioni e dalla solita “routine”
di tutti i giorni Emilio, che mi legge con i miei meravigliosi
racconti, con le magnifiche descrizioni di luoghi incantevoli
sono solita scacciare la malinconia e la noia che in certe
giornate, specialmente nei giorni di festa, perseguitano il
mio amico.
Senza alcuno sforzo ho il potere di isolare Emilio da
tutto quello che lo circonda e di farlo diventare tutt’uno
con me stessa, con i miei personaggi, con le mie tesi. =
E a lei i miei libri di inglese : = Cara amica, non ci
dispiace affatto che tu la pensi in quel modo.
E’ vero che abbiamo una notevole importanza per la
cultura di Emilio, però è anche vero che siamo considerati
da lui come i suoi peggior nemici.
Ed è ben vero ciò che abbiamo testè affermato perchè
60
vediamo, con grande disappunto, come suda sulle regole
di inglese il nostro amico Emilio, come coniuga a fatica i
verbi irregolari, come si sente impotente davanti alle
difficoltà di versioni tratte da autori famosi.
Non trova difficoltà per l’italiano perchè l’italiano gli
dà la possibilità di fantasticare a suo piacere su un brano
letto. =
Ed a queste parole si aggiungono poi quelle dei libri
di latino : = Un momento, non correte tanto avanti, Emilio
deve avere un po’ di tempo per poter assimilare bene ciò
che ha studiato; non è bene affermare che Emilio suda sulle
regole di inglese, oppure si sente impotente di fronte a grandi
difficoltà.
Noi nella nostra ultra-secolare vita, sappiamo per
esperienza che Emilio come altri giovani sul principio sono
avversi ad una lingua nuova, poi ci si appassionano e la
studiano con grande diligenza.
E’ vero che ci sono difficoltà, ma con un po’ di
pazienza tutte le difficoltà che si incontrano si superano.
Sappiamo dirvi, con soddisfazione, che la nostra
grammatica, che Emilio come tutti gli altri studenti sulle
prime hanno guardato di traverso, è diventata, in un secondo
momento, una loro amica, perchè Emilio, come gli altri
studenti suoi amici, hanno capito che essa li aiuterà a
tradurre stupendi brani di autori noti, la cui conoscenza
diretta contribuirà alla loro formazione mentale.
E poi non chiamateci sentimentali e romantici se vi
diciamo che domani, quando Emilio avrà lasciato gli studi
classici, ci guarderà tutti sotto una luce completamente
diversa da quella di oggi.
Emilio, il professionista di domani, riaprendo le nostre
pagine, smozzicate, dai bordi consunti ed arrotolati e piene
di scritte in calce, riandrà col pensiero alla ragazzina che
gli fece, per qualche volta, trascurare lo studio, che gli fece
61
postillare le pagine di figure femminili evanescenti, di occhi
languidi e di chiome al vento, e dopo un po’ si troverà
immerso nei ricordi, tristi e lieti, che acquistano un sapore,
quasi sempre amaro....................=
Proprio alla fine di queste parole mi sono
addormentato sulla poltrona, senza mai spiegarmi se quel
fantastico dialogo fosse stato sogno o realtà.
62
SOLITUDINE
Carissima nonna Mariannina, sono qui alla mia
scrivania, che un giorno fu del nonno; è una notte
incantevole, c’è la luna, c’è una civetta che con i suoi versi
striduli mi tiene compagnia, e l’argomento di questa notte
è particolarissimo.
Nonna, devi sapere che c’è un momento nella nostra
vita in cui lo stato di coscienza tende a sovrapporsi a quello
fantastico ed irriflessivo; sono i primi sintomi di un’età
adulta che si fanno sentire in forme ancora confuse ed
episodiche.
Comincia, allora, il travaglio maggiore della nostra
età : da una parte sentiamo venir meno i miti di una felicità
serena ed esuberantemente spensierata, dall’altra non siamo
padroni del nuovo capitale di esperienze e di ripensamenti
sull’esistenza stessa.
E’ evidente, nonnina cara, che si viene ad operare in
noi una situazione psicologica di crisi, indefinibile ma
ugualmente sofferta, addirittura straziante per le nature più
sensibili.
La nota più saliente e appariscente di questo stadio
intermedio dello sviluppo della persona è segnata da un
atteggiamento di atonia e di distacco nei confronti della
realtà, la quale risulta la stessa dell’adolescenza, ma non
appare con quelle caratteristiche di vivacità e di
spensieratezza colorandosi di tante tinte più serie.
In alcuni, tale fenomeno sconvolge e disperde; si
assiste al crollo di un’ideale di vita prima vagheggiato con
amore, incapace a resistere alle nuove crude prospettive
della realtà.
In altri, dopo un attimo di sbandamento, si va operando
una rinnovata dimensione umana, saldissima.
63
Sempre, però, negli uni e negli altri si accampa un
senso di smarrimento: è la solitudine più penosa perchè
essa può coesistere con una somma di distrazioni esterne e
di successi universitari.
Nonna Mariannina, è la prima volta che ci sentiamo
seriamente soli : soli con noi stessi per rilanciarci, poi, da
soli nella ruolette della vita riflessa.
Tuttavia non ci sentiamo di superare l’ostacolo senza
il conforto di un altro e non soltanto all’amicizia chiediamo
man forte, ma sopratutto, in consonanza con determinate
esigenze affettive di noi giovani, all’amore.
Per noi giovani sarà la ragazza : e l’andiamo cercando
per correre insieme verso un ideale comune.
Ma quante ne possiamo trovare capaci effettivamente
di vibrare nell’intimo, non contaminate dalle mille
sovrastrutture in voga al giorno d’oggi?
Non la troviamo, forse, ed allora l’andiamo cercando
inconsciamente anche quando passiamo da un’esperienza
amorosa ad un’altra.
Nonna bella, spesso, ciò, è un modo di ribellarsi, di
difendersi contro il mondo fatato delle illusioni, le quali,
invece, scompaiono ugualmente, inesorabilmente e lasciano
un vuoto ancora più sordo e più cupo.
64
64
TUTTO SU OMERO?
Sono in vacanza in un ridente paesino dell’avellinese,
dove sono nato, San Potito Ultra, ad oltre cinquecento metri
sul livello del mare, e seduto ad un tavolo del super vissuto
bar, detto di “Masto Fiore”, sto, ancora una volta, con le
mie figlie, Assunta e Alessia , mia moglie, Silvia, ed altri
miei parenti, amici e conoscenti, tutti come me in ferie o in
vacanza a fare commenti e chiacchiere.
Papà, ascoltami, mi apostrofa mia figlia Assunta, ho
letto sul giornale che Omero non è lui l’autore dell’Iliade e
dell’Odissea? E’ vera una cosa del genere? Per piacere
spiegaci che cosa vuol dire questa novità!
Cara Assunta, ho letto anch’io l’articolo al quale tu ti
riferisci e mi viene spontaneo parlarne, dal momento che
io stesso, quando ero al liceo Genovesi ho affrontato
l’argomento, cimentandomi in un elaborato proprio su
Omero.
Quindi, Omero, cari amici miei, chi era costui?
Sotto il nome di Omero, cara Assunta e Alessia,
l’antichità ci ha tramandato l’Iliade e l’Odissea. Già alla
fine del settecento, l’età dell’Illuminismo e dello scetticismo
mise in dubbio l’esistenza di Omero. Notò le contraddizioni
esistenti nei due grandi poemi e ne scoprì le discordanze e
le incoerenze : L’Iliade e l’Odissea non furono più i grandi
poemi, ma compilazioni di canti di diversa età e origine.
Omero non fu che un nome, un mito, una leggenda.
Alessia interviene e chiosa : ma allora, facci capire, i
due poemi li ha scritti Omero? Oppure sono di un autore
che non conosciamo?
Si è discusso e si discute essenzialmente : I due poemi
sono stati scritti da uno stesso autore, cioè Omero?
Possiamo rispondere, mie care ragazze, quasi con
65 65
certezza NO; infatti queste due opere presentano sostanziali
differenze che ci dimostrano come la tesi sopra detta sia
valida.
1) IDEALI : Prendiamo, infatti, l’Achille dell’Iliade è
ardimentoso, preferisce vivere poco ma gloriosamente
anziché vivere a lungo e senza gloria. Ora mettiamo a
confronto l’Ulisse dell’Odissea e vediamo quanta diversità
di ideali tra i due personaggi. L’eroe dell’Odissea preferisce
godere la pace della sua terra anziché esultare della vittoria
sul campo di battaglia. Lo stesso Achille appare di ideali
diversi nei due poemi ; durante il viaggio negli Inferi, infatti,
Ulisse incontra l’ombra di Achille e gli dice :
“Non ci fu né ci sarà uomo più felice di te,
Da vivo ti onorammo come un Dio,
Ora tu regni sui morti”
Ed Achille risponde :
“Non cercare di farmi apparire bella la morte;
preferirei servire per mercede un altro uomo,
fosse pure uno senza beni di fortuna, che non avesse
sufficienti mezzi di vita, piuttosto che regnare sui morti”.
(Durante il viaggio negli Inferi, infatti, Ulisse incontra
l’ombra di Achille e gli dice che gli Achei dopo la sua morte
gli hanno sacrificato numerose vittime e gli stessi gli hanno
dedicato infiniti sacrifici. Alle parole di Ulisse la risposta
dell’eroe è piuttosto amara, egli preferisce essere il servo
di un bifolco del padre, piuttosto che regnare nell’Ade).
2) RISPETTO VERSO I MORTI : mentre nell’Iliade si
ricava gloria deturpando il corpo del nemico ucciso, tipico
è l’esempio di Achille che strazia e deturpa il corpo di Ettore
dopo averlo abbattuto; nell’Odissea vi è rispetto per il corpo
del morto; tipico è l’esempio di Ulisse che non fa strage dei
corpi dei Proci, anche se consigliato a farlo dalla serva
Euriclea. Quando quest’ultima desidererebbe innalzare un
canto di gioia per la morte dei Proci Ulisse le comanda,
6666
con garbo, di stare zitta perchè non si gioisce della morte di
un uomo.
3) POPOLO : Ben diversa funzione ed importanza ha
il popolo nei due poemi. Nell’Iliade esso è senza
importanza, non partecipa alle riunioni, non può deliberare,
anzi è costretto ad ubbidire anche contro la propria volontà.
Ne è tipico esempio il soldato Tersite, uomo brutto, gobbo,
pelato, storto e zoppo. Contro di lui si accanisce il poeta e
riassume proprio in lui il popolo tutto. Ancora nell’Iliade
le grandi masse sono presenti nell’atto in cui si parla di un
Principe che, uscito a dar battaglia, ne fa strage.
Nell’Odissea il popolo ha funzioni del tutto opposte. Basta
ascoltare le parole di Nausicaa prima di recarsi al fiume a
lavare i panni. Ella, infatti, parlando con il padre per dare
una giustificazione al suo comportamento, dice che a lui
ed ai suoi fratelli piace indossare abiti puliti per recarsi
all’assemblea del popolo. Ciò dimostra come il popolo
avesse maggiore importanza e avesse la possibilità di riunirsi
e di decidere. Poco dopo, quando Ulisse giunge nell’isola
dei Feaci, il re Alcinoo raduna i sette capi villaggi scettrati
per decidere se accogliere Ulisse oppure no.
4) DEI : Nell’Iliade gli Dei sono piuttosto capricciosi,
ora partecipano per un contendente, ora per un altro,
azzuffandosi a vicenda e combattendosi apertamente. Giove
accoglie benevolmente Teti, madre di Achille, e Giunone
vedendola insieme al marito e conoscendo che la Dea era
stata una vecchia “fiamma” del marito, si fa prendere da
una grossa crisi di gelosia. Giove, dopo averla ascoltata, le
dice di smetterla subito altrimenti la prenderà per i capelli e
le farà un sonoro rimprovero a suon di schiaffi, come già
altre volte aveva fatto. Nell’Odissea, invece, essi sono più
umani e agiscono non tanto a capriccio quanto per seguire
la volontà del Fato. Minerva aiuta instancabilmente Ulisse
prima perchè gli è simpatico poi perchè sa che i Proci stanno
67
67
dilapidando il patrimonio dello stesso Ulisse.
5) MAGIA : Nell’Iliade, essendo questo poema
compilato precedentemente, non esiste magia. In quei tempi
non si conoscevano ancora questi elementi fantastici che
invece al tempo della stesura dell’Odissea erano già noti.
Nel primo poema sappiamo che esistevano gli stupefacenti,
infatti Elena dà il “nepente” ai vecchi di Troia ed esso
stupefacente fa dimenticare i guai passati. L’Odissea è piena
di avvenimenti magici: la Nereide che dà il velo ad Ulisse
dopo il naufragio; il dio Marino che assume vari aspetti per
non essere preso dall’eroe; Circe che tramuta in porci i
compagni di Ulisse; Minerva che rende Ulisse giovane e
vecchio a suo piacimento.
6) DIFFERENZE DI VALUTAZIONE DI POPOLI :
Mentre nell’Iliade tutti popoli sono allo stesso grado di
civiltà, nell’Odissea le popolazioni non greche sono
chiamate barbare perchè non sono allo stesso livello
culturale, politico, economico dei greci.
7) FERE : Nell’Iliade la città di FERE è indipendente in
un primo momento, nel libro nono (IX), invece, è il dominio
di Agamennone; nell’Odissea, è dominio di Sparta.
8) EFESTO : Nell’Iliade Efesto è ritenuto marito di Caris,
nell’Odissea, invece, è marito di Venere.
Mi rivolgo con piacere a voi, Assunta e Alessia, per
dirvi che queste sopra descritte sono le differenze essenziali
tra i due poemi e che, cosa assai importante, è arrivata l’ora
di andare a pranzo dal momento che ci sta chiamando nonna
Assunta dal balcone.
68
San Potito Ultra - Ingresso al paese
con foto di Giuseppe Porfido
69
70
SCAVA DENTRO DI TE.
E’ LA FONTE DEL BENE,
ED ESSA PUO’ SEMPRE
CONTINUARE A
ZAMPILLARE,
SE TU SCAVI SEMPRE !
MARCO AURELIO - RICORDI
71
72
INDICE
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
10)
11)
12)
13)
14)
15)
16)
ANGICCO...........................................
CACALEMMETE ….........................
GIOVANNI PASCOLI........................
GUARDANDO CASE DISTRUTTE..
MENS SANA IN CORPORE SANO..
PADRI E FIGLI....................................
PAPA GIOVANNI XXIII......................
PERDONA LORO................................
PROGRESSO........................................
RESISTENZA,MOTO SPONTANEO..
RICORDI................................................
RIVOLUZIONE FRANCESE...............
A SERPE SUCALATTE........................
NEL SILENZIO DELLA NOTTE ........
SOLITUDINE........................................
TUTTO SU OMERO.............................
pag.
pag.
pag.
pag
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
7
13
17
20
24
27
30
32
36
40
49
51
55
60
63
65
Particolare gratitudine si esprime all’amico Paolo Rossi
che con generosità ha contribuito all’elaborazione grafica
ed impaginazione di questo libro.
Si ringraziano, inoltre, gli amici della pro-loco, la Signora
Esterina Iantosca, gli eredi della Signora Luisella Nardone,
la Signora Antonietta Moschella ed il Signor Raffaele
Correra che hanno collaborato mettendo a disposizione
quanto avevano di repertorio fotografico per completare il
presente testo.
73
74