IV Domenica del tempo Ordinario

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Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro - Squillace
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per l’Omelia domenicale a cura dell’Arcivescovo Mons. Vincenzo Bertolone
IV Domenica del tempo Ordinario
29 gennaio 2017
Il volto gioioso di Dio
Introduzione
Gli spunti di riflessione di questa IV Domenica del Tempo Ordinario sono molti e
tutti di straordinaria attualità. Ma, soprattutto, sono rassicuranti, nel senso che fra
tanti dubbi, tempeste e lacerazioni sollevano dallo smarrimento ad una speranza alta e
certa che ci parla di luce e di gioia e ci ricorda che la felicità è possibile per l’uomo,
anche qui e ora, giacché essa è Presenza viva e reale, è volontà di Dio. Si potrebbe
partire dalla prima lettura, che è quasi una fotocopia delle pagine di un qualsiasi
quotidiano di oggi. Nelle parole del profeta Sofonia, infatti, risuona da un lato l’ira di
Dio contro tutti i corrotti; dall’altro lato, invece, si accende la fiaccola di speranza per
tutte le vittime. E su questa lettura del reale prevale la nuova lettura di Dio: “i leoni
ruggenti”, ovvero i politici corrotti e i prepotenti, “i lupi affamati”, ovvero i giudici
iniqui e i sacerdoti perversi, saranno destinati a scomparire, mentre fiorirà la nuova
città dei giusti. Il volto di questi giusti reca i tratti dei poveri e degli umili che
seguono la parola di Dio e ripongono in Essa ogni speranza. Si potrebbe, però, partire
anche dalla seconda lettura in cui l’apostolo Paolo ricorda alla comunità di Corinto,
che si sta sfaldando in sette e fazioni e si lascia catturare dal fascino del potere e della
ricchezza, l’idea centrale della Bibbia: le scelte di Dio sono “originali”,
incomprensibili, perché mosse da ragioni totalmente opposte a quelle che muovono le
scelte degli uomini. Per cominciare, Egli per compiere le sue grandi imprese non
punta sugli uomini di successo, i ricchi e i potenti di turno, ma sceglie i piccoli, i
deboli. Così, se guardiamo alla storia d’Israele, vediamo che Dio ha sempre puntato
sui suoi figli minori: scelse un uomo impacciato, Mosè, come suo portavoce dinnanzi
al Faraone e come guida del Suo popolo; scelse un ragazzino minuto, Davide, per
uccidere un gigante, Golia; scelse come suoi profeti dei contadini e dei pescatori
come apostoli. E nella lotta finale contro il male e la morte si affidò al “sì” di
un’umile fanciulla e al volto disprezzato e oltraggiato di un giovane Uomo, morto tra
i malfattori. Tuttavia, sebbene le prime due letture di questa domenica facciano
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entrambe al caso nostro, è preferibile fissare la nostra attenzione sulla pagina del
Vangelo di Matteo. Una delle pagine più note e belle dei Vangeli, di cui tutti
conoscono il fascino suggestivo, si parla naturalmente delle Beatitudini del discorso
della montagna. La forza travolgente per contenuto e potenza di immagini fa delle
Beatitudini la via maestra dell’annuncio evangelico. Esse ci rivelano il vero volto di
Dio e ci parlano di felicità, ci informano, inoltre, della nuova identità umana. E di
umanità nuova, rinnovata nella gioia, riscattata nella dignità e coerente nella verità si
ha davvero tanto bisogno.
Il volto di Dio, il volto del credente
Le Beatitudini sono state definite e interpretate in tanti modi diversi: da “regole della
felicità” a “via maestra” da seguire per ereditare il Regno dei Cieli, dunque, “portale
d’ingresso” dello stesso Regno. Tante altre definizioni se ne possono aggiungere dato
il valore che esse hanno. Tuttavia, è seducente pensare alle Beatitudini come ad un
modello, tracciato da Gesù per svelare progressivamente i tratti più significativi del
suo volto nascosto e, poiché la sua vita è la più limpida trasparenza del mistero del
Padre, viene a rivelare il volto stesso di Dio. Dunque, nelle Beatitudini dobbiamo
scorgere in primis la rivelazione del volto di Dio, che è il volto di Cristo: “Chi vede
me, vede il Padre mio…”. Potrebbe sembrare difficile da capire accostare le
Beatitudini alla rivelazione di un volto. Tuttavia se andiamo al significato vero che i
due termini hanno nella tradizione veterotestamentaria, tutto si chiarisce e si
semplifica. Partiamo, dunque, dal significato di volto. Il volto per gli ebrei era molto
di più che il semplice aspetto esteriore di una persona, perché ne era l’essenza
autentica. Se si volevano cercare indizi sulla la condizione mentale bastava guardare
il volto. Nelle Beatitudini Gesù, oltre a rivelare i tratti del volto del Padre, ne rivela
anche il modo di pensare e di agire nella storia, che coincide e si manifesta nella vita
stessa di Cristo. Allora Cristo svela la sua persona, che è la stessa persona del Padre,
e il suo programma di vita è perfettamente aderente alla logica di Dio. Ora,
l’immagine che Gesù dà Dio nelle beatitudini è completamente diversa da quella
umanamente intesa. C’è infatti, il volto di un Dio povero, misericordioso, mite,
amante della pace, disposto per amore a soffrire e a morire. Di questa immagine
Cristo è, con la sua persona e la sua vita, l’incarnazione e il volto visibile. Egli ha
vissuto povero, da ricco che era; mite e pacifico, affamato di giustizia, con occhi
tanto puri e limpidi da vedere anche nei peccatori le tracce della presenza viva e reale
del Padre, e, infine, ha vissuto da perseguitato ed è morto crocifisso da
misericordioso. Per tutto questo le Beatitudini non vanno solo meditate e
commentate, ma vanno prima di tutto contemplate. Cioè davanti ad esse dobbiamo
farci innamorare, prendere, catturare, perché ci rivelano una Presenza, un volto: il
volto del Padre che in quello del Figlio rivela e manifesta tutta la Sua straordinaria
bellezza, tutto il Suo immenso amore. E veniamo al secondo termine “beatitudine”.
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Una “beatitudine” è una benedizione pronunciata secondo una formula che inizia con
l’espressione “beato colui” o “beati coloro”. Molto diffuso nella tradizione veterotestamentaria, questo termine ha connotazioni di letizia, di felicità, di soddisfazione e
di benessere. Ora pronunciare una benedizione secondo la formula di una beatitudine
significava, per la tradizione ebraica, dichiarare la realtà di qualcosa percepita nella
persona. Ne consegue che se le Beatitudini rivelano il volto, dunque la persona, di
Dio, mediante il volto e la persona del Figlio, ci dicono che la gioia, la felicità, la
soddisfazione, il benessere sono inscritti nella divinità stessa ed essendo Gesù vero
Dio, sono inscritti anche in Lui. Ma Gesù è anche vero uomo, per cui le stesse
beatitudini sono inscritte anche nella sua umanità. E se Cristo è l’uomo nuovo, quale
generato dalla mente e dal cuore di Dio, il primogenito di una generazione redenta,
allora Gesù nelle beatitudini rivela anche il vero volto dell’uomo, un uomo beato
perché partecipe delle stesse beatitudini del Padre. In conclusione, non possiamo
come credenti essere tristi, perché strutturalmente e per volontà di Dio siamo destinati
alla felicità.
Il portale della felicità
Una lunga riflessione per approdare a due verità: Gesù nelle beatitudini rivela il volto
del Padre, che attraverso la Sua umanità, assume i tratti del volto dell’uomo; e,
inoltre, sempre nelle beatitudini ci fa un annuncio spiazzante, Dio ci vuole felici,
partecipi della sua stessa felicità. Le Beatitudini allora si presentano come un portale
attraverso il quale passare per scoprire che dall’altra parte è possibile una umanità
diversa, nuova, una umanità che riscopre il suo aspetto originario, il suo essere figlio,
fatto ad immagine della bellezza del Padre, ed erede di un Regno eterno che non
consce odio, dolore, pianto, morte. A ragione, allora, le beatitudini sono la base della
Buona Novella. Ovvero, l’annuncio gioioso che l’uomo è molto di più di quello che
si pensa e si vede, è infatti riflesso del volto del Padre e del Figlio, è persona abitata
dalla presenza divina, quindi felice. Ma l’annuncio al tempo stesso sconvolge e
confonde per l’attrito fra parole e contenuto, in altri termini questo modo diverso di
sentirsi uomini e di essere felici contrasta con il nostro comune sentire. Infatti, se
pensiamo all’uomo che crediamo pienamente realizzato e felice, pensiamo a qualcuno
da invidiare, cioè pensiamo al ricco, non certo al povero; pensiamo al forte, non al
mite; al calcolatore che concede con misura o non concede affatto, non al
misericordioso. Basta insomma capovolgere le parole del Vangelo, ma il problema è
di sapere se rovesciando il Vangelo si possa ancora parlare di gioia. Se ignorando il
volto del Padre si possa compiutamente rispondere al desiderio di felicità inscritto in
noi. La storia ci insegna che senza Dio non può esserci felicità, perché senza di Lui
perdiamo il senso stesso della nostra identità. Per cui se Dio gioisce nel donarsi, è
fonte di immensa e vera gioia il farsi poveri per amore come Lui; se Dio è mite, è
bello essere dolci e teneri come Lui; se Dio ha un cuore grande nel perdonare, perché
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non seguirlo con la passione di costruire con Lui il miracolo stupendo della pace? Ci
si accorge allora che, se la vita si spoglia di tante sicurezze umane, viene a colmarsi
di un senso nuovo e pieno di luce, e si vive nell’amore, si respira nell’amore, si spera
portati dall’amore. Si è veramente beati. Certo, il manifesto programmatico delle
beatitudine è il più utopico, “irrazionale” e desueto che l’uomo possa pensare, ma
l’alternativa che ci siamo creati a questo programma è cagione di tristezza, vuoto,
nonsenso. Allora, perché non scegliere il meglio? perché non seguire il programma di
Dio? perché non aderire all’annuncio che rovescia gli uomini dallo smarrimento alla
gioia?
Conclusioni
Le Beatitudini sono un invito a fissare lo sguardo su un Volto, ad innamorarsi di una
Persona che sussurra al cuore di ogni uomo: “Se entrerai nel mio grembo, sarai
partorito ogni giorno nella beatitudine” (Cfr. A. Merini).
Serena domenica
 Vincenzo Bertolone
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