RECENSIONI - Giovanni Fioriti Editore S.r.l.

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Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34, 3, 232-235
RECENSIONI
Playing Hard at Life: a relational approach to
treating multiply traumatized adolescents di Etty
Cohen, The Analytic Press Inc., Hillsdale 2003
Playing hard at life: a relational approach
to treating multiply traumatized adolescents,
viene pubblicato nel 2003 dalla casa editrice The
Analytic Press Inc, e ristampato poi nel 2014, a oggi
disponibile unicamente in lingua inglese (US). Nel
giugno del 2003 l’autrice è stata insignita del premio
Author’s recognition award per questo suo libro.
Autrice dell’opera è Etty Cohen, membro del
Williamson Alanson White Institute, supervisore
nel Child and Adolescent Psychoanalytic Training
Program al New York's Postgraduate Center for
Mental Health.
Come responsabile del reparto di Salute Mentale
delle Forze di Difesa Israeliane, nel quale opererà
per tredici anni, ha modo di fare un’esperienza con i
soldati traumatizzati durante la Guerra del Libano e
quella del Golfo che le faranno presto comprendere
che le tecniche psicoanalitiche classiche, in quel
contesto e con quel tipo di pazienti, non riescono
a funzionare. Quando la Cohen si trasferisce a
New York, inizia a occuparsi degli adolescenti con
traumi multipli, appartenenti perlopiù ai ghetti della
città, con storie di abusi sessuali infantili e problemi
intrafamiliari di vario genere (come ad esempio
reclusione per reati gravi di uno dei due genitori,
malattia e conseguente morte dei genitori, soprattutto
a causa dell’HIV/AIDS). Ben presto si rende conto
dell’esistenza di un altro tipo di guerra: quella
urbana, che portava con sé storie di violenze nelle
famiglie e nelle strade dei bassifondi; comprende
come le vittime di questa guerra crescano da sole,
impoverite, circondate dai rischi più disparati (come
abuso di sostanze, attività criminale).
Il libro in oggetto esprime il bisogno di elaborare
e presentare l’esperienza di lavoro clinico con gli
adolescenti traumatizzati dei ghetti e dei bassifondi.
Dal punto di vista teorico, Ferenczi è l’autore
che maggiormente la ispira e che principalmente
influenza il suo lavoro, con il suo coinvolgimento
con i pazienti, l’enfasi sulla mutualità.
Nel libro è discusso il percorso terapeutico
svolto con un gruppo di sei ragazze adolescenti,
accomunate dalla perdita di uno dei genitori a
causa dell’AIDS e da storie pregresse di esperienze
traumatiche familiari, e con due soldati giovanissimi
sopravvissuti alla guerra del Medio Oriente. L’autrice
dichiara di aver scelto proprio questi adolescenti per
il forte controtransfert che hanno sollecitato in lei.
Attraverso uno stile espressivo vivace e
persuasivo, ma estremamente preciso e ricco di
dettagli, l’autrice trasporta il lettore nel mondo di
questi giovani traumatizzati, colmo di sofferenze
presenti e passate.
Il libro è suddiviso in tre parti. La prima, On
the road to survival, è incentrata principalmente
sull’esposizione del proprio metodo psicoanalitico
relazionale. L’autrice apre il primo capitolo
illustrando al lettore in che modo l’approccio
relazionale-costruttivista (Hoffman 1998, Mitchell
1993) possa essere applicato al trattamento di
adolescenti con traumi multipli.
Prosegue, poi, con la trattazione di uno dei
dilemmi che si presenta con i pazienti adolescenti,
quella se scegliere o meno di svelare i sentimenti di
controtransfert e se fornire o no informazioni sulla
propria vita privata. Onestà e sincerità sono parti
integranti del processo terapeutico; l’analisi porta a
una rievocazione del trauma e un successivo processo
di scoperta e validazione dell’esperienza soggettiva
del paziente. Inoltre, in un setting di gruppo, la selfdisclosure del terapeuta può costituirsi come modello
di soggettività per i pazienti. È molto incoraggiante
per i pazienti traumatizzati vedere come il terapeuta
valida la loro realtà tramite la self-disclosure e
si assume la responsabilità dello sviluppo della
relazione terapeutica e quindi anche dell’eventualità
del suo fallimento.
L’autrice pone l’attenzione sugli enactment.
Nello specifico, i pazienti traumatizzati tendono
a legarsi ai loro terapeuti non tanto per mezzo
delle parole ma esprimendo inconsciamente,
tramite l’azione, gli aspetti dissociati del sé e la
rappresentazione dell’oggetto.
La Cohen prosegue illustrando ai lettori
l’importanza dei sogni in queste terapie. Sogni che
risultano essere ambigui, perché sono un amalgama
di passato e nuove esperienze, di fantasia e realtà.
La regressione implicata nella fantasia e nei sogni
permette un ingresso meno ansioso nel terrore, che è
alla base del trauma. La panoramica sugli strumenti
fondamentali nella terapia, termina con un capitolo
di approfondimento sulla dissociazione che riprende
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in parte il pensiero di Bromberg e Ferenczi.
L’attenzione, poi, nella seconda parte (The
evolution of the transference – controtranference.
Engagement, safety and erotic phase) si sposta sulle
differenti fasi del processo terapeutico e in particolare
sull’interazione tra terapeuta e paziente e sulle
relazioni di transfert e controtransfert. I terapeuti
che lavorano con gli adolescenti si ritrovano ad
affrontare intense resistenze, specialmente durante le
fasi iniziali. In generale gli adolescenti traumatizzati
tendono a preservare le strutture dissociative e a
combattere contro esperienze nuove. Hanno paura
che la terapia possa distruggere i loro modi di
difendersi e che possa togliere loro la capacità di dire
“no”.
L’alleanza terapeutica è un aspetto critico nel
trattamento con gli adolescenti. La maggior parte
degli adolescenti abbandona la terapia precocemente.
Spesso negano di aver bisogno di aiuto, non hanno
chiaro il ruolo dell’analista e non credono di
avere alcun problema degno di attenzione; inoltre
frequentemente vengono inviati proprio da coloro
con i quali hanno problemi. La Cohen descrive
come gli adolescenti che esprimono la loro alleanza
sia indirettamente, sia tramite l’enactment, spesso
non riescono ad articolare l’ambivalenza presente
nella relazione terapeutica. Il terapeuta deve essere
in grado di tollerare il modo di impegnarsi degli
adolescenti, negoziando in modo diverso a seconda
dei pazienti che ha davanti. Ferenczi (1928) a
tale proposito faceva riferimento all’elasticità del
terapeuta, intesa come un misto di autorevolezza,
disponibilità a mettersi in gioco, immedesimazione,
compassione e rispetto per le emozioni e pensieri
del paziente. Il tutto all'insegna della responsabilità.
Nella seduta si possono incontrare altri momenti
come la fase di “sicurezza” che vede la mutua
tenerezza dei partecipanti messa in atto. Quando
gli adolescenti hanno avuto esperienza di un trauma
severo insieme ai problemi di sviluppo, la reattività/
sensibilità emotiva dell’analista nei loro confronti
diventa cruciale, in particolare l’espressione della
tenerezza dell’analista. L’atmosfera terapeutica di
tenerezza è in prima istanza, ciò che permetterà
a questi pazienti di condividere i propri traumi. I
pazienti traumatizzati necessitano di qualcosa in
più della comprensione intellettuale. Il supporto e
l’amore sono il fulcro di ciò che li aiuterà.
La seconda parte del volume si conclude con un
focus sulla fase erotica della terapia che vede una
confusione tra tenerezza e passione. Riprendendo
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Ferenczi, l’autrice sottolinea il sentimento di
“confusione” che per l’autore rende impossibile al
paziente abusato e traumatizzato di esprimere quanto
sia successo.
Il libro si conclude con la terza parte (Finding a
treatment plan) in cui la Cohen tratta le difficoltà della
pianificazione del trattamento con pazienti di questo
tipo. Si sofferma sull’impatto del genere sessuale
nella relazione terapeutica e sul coinvolgimento dei
genitori o altri membri della famiglia nel trattamento
terapeutico; e si occupa del tema della fine del
rapporto terapeutico.
La conclusione è una fase, uno stato, un obiettivo
di un trattamento che è molto importante per gli
adolescenti che devono separarsi emotivamente dagli
oggetti parentali pre-edipici e post-edipici. Da un
punto di vista relazionale, l’obiettivo del trattamento
è fornire all’adolescente i mezzi per creare delle
relazioni con più sfaccettature.
La forza dell’opera della Cohen è proprio
documentare in modo diretto la sua esperienza
personale con gli adolescenti con traumi multipli.
L’autrice racconta, con onestà, delle difficoltà
che spesso ha incontrato nell’avvicinarsi a questi
pazienti, spaventati e sopraffatti dalla sofferenza
che la vita ha riservato loro. Ci permette di
comprendere che spesso non è possibile seguire un
percorso terapeutico lineare, ma anzi di frequente
è necessario improvvisare e contemporaneamente
tollerare la possibilità di poter incorrere in degli
errori nel corso del trattamento, che richiedono un
aggiustamento della rotta. L’autrice invita dunque
ad avere il coraggio di stare nella relazione con gli
adolescenti traumatizzati sopportandone l’ambiguità
e l’incertezza di non sapere quale esito avrà il
trattamento. Non è raro incontrare, all’interno del
testo, dei momenti di riflessione in cui la terapeuta
confessa di essersi sentita inadeguata e non all’altezza
della situazione. Il libro descrive con chiarezza i suoi
tentativi di costruire uno spazio entro il quale i suoi
giovani pazienti potessero sperimentare una nuova
relazione di attaccamento, fondata sulla speranza e
sulla fiducia, nonostante i loro trascorsi dolorosi. Si
comprende così come, nel trattamento terapeutico
di adolescenti traumatizzati, le stesse emozioni del
terapeuta divengono uno strumento importante
per la psicoterapia, soprattutto nelle prime fasi del
percorso quando i contenuti portati dai pazienti sono
impoveriti, scarni. Il terapeuta può contare sulle
proprie risposte emotive al paziente, considerandole
come una fonte di informazioni sull’interazione in
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corso e sul paziente stesso. Quando gli adolescenti
hanno subìto un trauma grave in concomitanza
di altre problematiche dello sviluppo, la reattività
emotiva dell’analista nei loro confronti diventa
d’importanza fondamentale: un clima di tenerezza e
supporto permetterà loro di condividere le esperienze
traumatiche.
Anche gli stessi adolescenti dimostrano però di
avere il coraggio di scoprire, di viaggiare insieme al
terapeuta in luoghi della mente non ancora conosciuti,
perché resi inaccessibili dal meccanismo dissociativo
di esperienze traumatiche infantili e incomprensibili:
corrono infatti il rischio di dare al terapeuta il
potere di ritraumatizzarli nuovamente. Stabilire
un’alleanza terapeutica con questi adolescenti si
configura pertanto come una sfida. Il libro dunque
si pone come un’ottima guida per i clinici per la sua
puntualità nel descrivere tutte le implicazioni della
presa in carico e della terapia. Risulta essere anche
un arricchimento sul piano teoretico e un’estensione
delle concettualizzazioni esistenti sul trauma e la
dissociazione.
L’intero volume risulta di facile lettura, e risulta
di stimolo anche per chi voglia approfondire la
psicoanalisi relazionale, alternando le storie dei
pazienti a trattazioni teoriche del modello relazionale.
Riportare parti integrali delle sedute, piuttosto che
riassumerle sommariamente, come sovente avviene
nei manuali teorici, apporta un quid in più alla
narrazione. Questo aspetto è reso ancora più “sentito”
perché l’autrice condivide i suoi pensieri in merito
alle sedute ed ai suoi pazienti con i lettori, utilizzando
una narrazione che sembra per certi aspetti uno
stream of consciousness. Lasciando trasparire ogni
suo sentimento, a partire dai dubbi che emergono
fino ad arrivare alla soddisfazione per i risultati
raggiunti, dai timori che l’assalgono alla gioia per
essere riuscita a creare una relazione di fiducia con
i pazienti. È una descrizione emotivamente viva dei
tentativi di una psicoanalista di costruire uno spazio
relazionale di speranza, fiducia e cura tra le schegge
frastagliate di vite adolescenti distrutte dai traumi.
L’autrice ha senza alcun dubbio il grande
merito di essere riuscita a creare un’integrazione
tra la letteratura esistente in merito allo sviluppo
adolescenziale e la prospettiva relazionale riguardo
i traumi ed il processo terapeutico; un prezioso
riferimento al lavoro psicoterapeutico con gli
adolescenti traumatizzati.
Francesca Giannelli
Cecilia Loguercio
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Bibliografia
Ferenczi S (1928). L’elasticità della tecnica
psicoanalitica. Fondamenti di psicoanalisi.
Cortina, Milano.
Hoffman IZ (1998). Rituale e spontaneità in
psicoanalisi. Astrolabio, Roma.
Mitchell, S.A. (1993). Speranza e timore in
psicoanalisi. Bollati Boringhieri, Torino.
Inconsci, coscienza e desiderio. L'incertezza in
psicoanalisi di Giuseppe Craparo. Carocci Editore,
Roma, pp. 104, 2015
Appare interessante questo libro di Giuseppe
Craparo che già dal titolo mostra il tentativo di
affrontare alcuni temi particolarmente pregnanti nella
pratica analitica, quali il significato del desiderio
e del desiderare e il confronto con il bisogno di
certezze secondo i principi del classico modello
scientifico. Si tratta di un piccolo libro che però
un analista aggiornato, o comunque uno studioso di
psicodinamica, non può non tenere a portata di mano
per l’importanza degli argomenti trattati.
Craparo, infatti, presenta con questo testo un
lavoro denso ed estremamente ricco, che spazia dalla
più tradizionale teoria freudiana alle più moderne
impostazioni psicoanalitiche: pur attingendo a punti
di vista di Autori di correnti anche apparentemente
molto distanti tra loro, ne emerge una visione
personale sintetica, che è la risultante di una
propria matura rielaborazione, supportata in modo
assolutamente appropriato dalla presentazione di più
situazioni cliniche.
Nel corso della lettura del libro, appare
evidente una sorta di progressione a partire da
una dimensione più teoretica che puntualizza i
differenti concetti di inconscio, per poi giungere alle
più evidenti implicazioni nelle patologie relative
al disfunzionamento dell’inconscio rimosso e
dell’inconscio non rimosso, fino ad entrare nella
pratica clinica.
Il testo è scritto in maniera chiara e concisa,
procedendo talora in modo piuttosto serrato; in più
circostanze, Craparo si espone direttamente con un
proprio punto di vista a volte in forte contrasto con
i vari Autori, mentre in altre circostanze precisa e
chiarifica l’opinione di altri studiosi in modo sempre
lucido; la padronanza dei temi indica lo spessore
culturale e clinico dell’Autore, soprattutto quando
si sofferma sul ruolo delle emozioni traumatiche in
Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34,3
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alcune forme di patologie gravi, quali le dipendenze
patologiche.
La stessa lucidità la si ritrova quando vengono
descritte le differenze tra acting out ed enactment,
partendo dalle definizioni in letteratura, ma
rivisitandole sulla scorta dell’excursus teorico
mostrato nel testo. Ne scaturiscono, in particolare,
importanti e preziose ricadute dell’enactment sulla
relazione analitica, come espressione - in termini
di nondetto - di ciò che il paziente non riesce
ad articolare, di quel desiderio (da de-siderare,
raggiungere, avvicinarsi alle stelle), che in modo
diverso a seconda della gravità del disturbo, si ritrova
per così dire fissato nel sintomo.
All’analista allora, scrive Craparo, il compito di
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ascoltare il sintomo, perché possa successivamente
essere interrogato. Ancora all’analista, il compito di
dover duramente fare i conti con la consapevolezza
di “sapere di non sapere” e di fare della pratica
dell’in-certezza l’unica dimensione possibile per
il lavoro analitico. È all'interno di questa cornice
relazionale ed emotiva che il sintomo, dalla sua
radice greca sun-temno (tagliare, interrompere), può
trasformarsi in sum-ballo (mettere insieme), cioè
simbolo, riattivando, e in alcuni casi, avviando per
la prima volta, quello straordinario percorso, che è il
viaggio della vita.
Francesca Picone
Psichiatra ASP Palermo
e psicologo analista CIPA Meridionale
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