Il leone della Metro in Ben Hur è muto Cinema storici
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino¶30 giugno 2014¶N. 27
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Società e Territorio
Una città tra due fiumi
Secondo lo studio infrarealities
la pianificazione urbana di Lugano
dovrebbe creare una rete caratterizzata
da un’ampia serie di collegamenti
Professione burattinaia
Incontro con Joana Butu, che racconta della sua passione
per le marionette: una storia che inizia nell’infanzia
ed è diventata il suo lavoro
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Il cinema Teatro
& Mignon di
Mendrisio.
(Simone Mengani)
Il leone della Metro in Ben Hur è muto
Cinema storici L’architettura dello spettacolo attraverso le sale da proiezione del nostro cantone – Prima puntata
Oliver Scharpf
La facciata liberty del cinema-teatro
in via Vincenzo Vela ventuno a Mendriso mi ha sempre attratto molto, le
poche volte che sono passato di lì, provocando tutta una serie di fantasticherie sui cinema di un tempo. E non sono
mica di certo l’unico: non può sfuggire
quell’entrata principale illusionisticamente rotonda, quasi un antro magico tipo bocca della verità astratta, e
quel nome d’antan: Teatro & Mignon
Cinematografi. Eppure, quando il signor Morandini tira in ballo i fratelli
Lumière a proposito del primo cinema
in Svizzera, fondato da suo nonno Arturo a Lucerna agli inizi del Novecento,
la realtà oltrepassa l’immaginazione.
E mi sa che siamo nel posto giusto per
incominciare una serie di articoli sui
cinema storici ticinesi: un’idea del fotografo Simone Mengani.
Del resto questo cinema, all’inizio
solo teatro-varietà, costruito nel 1908
da Ferdinando Bernasconi (1867-1919)
di Carona, nella Guida d’arte della
Svizzera italiana è considerato «unico
superstite delle sale cinematografi-
che ticinesi della prima generazione».
«Venga, andiamo in ufficio, le faccio
vedere», mi dice Giulio Morandini:
classe 1937, completo marrone e dolcevita blu, presidente della Fabbrica dei
Sogni Sagl che qui a Mendrisio gestisce anche il Plaza, una sua creatura del
quale va molto fiero. E infatti ecco la
foto incorniciata del nonno con un bel
paio di baffi importanti, nella cabina
di proiezione del primo cinema svizzero: il Pathé di Lucerna, Pilatustrasse
trentaquattro, 1909. Nome tratto dalla
Pathé, prima società cinematografica
fondata da Charles Pathé con i fratelli
Émile e Théophile; i primi a sfruttare
la rivoluzionaria invenzione dei fratelli
Lumière: il cinematografo (1895). Arturo Morandini e i suoi fratelli – uno
dei quali avrà un cinema ambulante
e uno diventerà trapezista del circo –
conoscono in Francia nientemeno che
i fratelli Lumière. E sono proprio i fratelli Lumière a incoraggiarli ad aprire
un cinema, fornendo loro anche del
materiale. In faccia c’è invece il ritratto
dipinto da Albert Müller di Attilio Morandini (1907-1973), il papà di Giulio:
grande appassionato di pittura e colle-
zionista, passione ereditata dal signor
Morandini che mi mostra adesso un
paio di altri quadri, tra i quali uno, sorprende: un ritratto senza bocca. Da un
cassetto di un comò fatto dall’eclettico
papà, con tanto di teste scolpite, spuntano delle vecchie foto. Una è la birreria
Haas di Bellinzona dove ero stato tempo fa per la rubrica A due passi a trovare
il pappagallo Loreto e che è stata, per
un periodo, proprietà dei Morandini.
Un’altra ritrae il piccolo Giulio Morandini all’entrata dell’attuale bar del cinema, gestito con passione per anni dalla
moglie, alla prima di una Biancaneve
teatrale.
Torniamo nel bar del cinema-teatro e seduti ai tavolini di legno lucido,
l’uomo-cinema, mi racconta quello
che è stato forse il più grande evento
svoltosi tra queste mura. Il concerto
di Alberto Semprini nel 1945. «Mi ricordo dei taffetà rosa che scendevano
dai lampadari e le peripezie per trasportare il pianoforte a coda». All’epoca aveva otto anni, ventitré quando
debutta la sua carriera dietro le quinte
di questo cinema che ha, dal 1982, due
sale: quella sopra è il Mignon. «Mio
papà, che non ha mai fatto vacanza,
era andato a Chiavari con la mamma».
Arriva il direttore svizzero per la Warner, il signor Berger, considerato uno
squalo nel settore: vuole fargli firmare
un contratto-sanguisuga. Il giovane
Morandini non cede alla prepotenza
del colosso americano del cinema e non
firma un bel niente. «Suo padre avrebbe firmato» dice Berger infuriato che
straccia il contratto e lo getta in un posacenere. «Quelli alti, di una volta, ora
non ci sono più, eravamo seduti a quel
tavolino laggiù» indicandomi quale.
Poi ricompone il contratto fatto a pezzi e passa tutta la notte a studiarlo: alla
fine trova una piccola clausola vincente. Davide contro Golia.
Un’altra storia è quella del temutissimo signor Jack, della MetroGoldwyn-Meyer. «È arrivato con una
Cadillac gialla». La ragione del conflitto è stato My Fair Lady (1964), con Audrey Hepburn, un «film locomotiva»
come viene chiamato in gergo, un film
di successo che traina tutti gli altri. Il
signor Jack però «voleva darmelo solo
per tre settimane e con un aumento di
due franchi sul prezzo del biglietto, una
tragedia». Non cede neanche lì, con il
signor Jack che riparte ruggendo: «Lei
non riceverà più un metro di pellicola».
«Per tre anni non ho più ricevuto film
americani» ma quando apre il Plaza
nel 1966, un pomeriggio, a sorpresa, il
Jack della Metro ritorna a Mendrisio da
Zurigo con la sua Cadillac gialla. Per
vedere un film al Plaza, del quale aveva
sentito parlare, rimanendoci di stucco:
«Una delle più belle sale in Svizzera»,
gli dice.
A proposito della Metro, mi dice
ancora il signor Morandini dietro al
bancone del bar mentre mi prepara
gentilmente un caffè: «pochi lo sanno, ma in Ben Hur, il leone della Metro
è muto». Il famoso leone della Metro
ruggisce per la prima volta nel 1928 e
diventa, si sa, dopo sette leoni diversi
nel ruolo-preludio dei più dei quattromila film prodotti, quasi logo del cinema stesso. Nel periodo in questione –
Ben Hur è del 1958 – si tratta del famoso
Leo, ancora oggi l’attuale leone in uso.
Perciò il leone Leo, per via di un capriccio del regista William Wyler che s’impunta, per la prima e unica volta, nel
kolossal Ben Hur, ruggisce muto.