news 494 - 18 maggio 2014

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newsUCIPEM n. 494 – 18 maggio 2014
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intelligenti pauca
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ADDEBITO
ADOZIONE INTERNAZIONALE
ASSEGNO DI MANTENIMENTO
CHIESA CATTOLICA
Il coniuge si scopre “omosessuale”?
Efficienza degli Enti autorizzati? La ricetta de L’Aja
Il passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi
La famiglia: un luogo di umanizzazione
Morte del matrimonio ecclesiastico
C. A. I.
Ricerca nazionale. L’esperienza dei figli adottati.
DALLA NAVATA
5° domenica di Pasqua - anno A – 18 maggio 2014.
FECONDAZIONE ARTIFICIALE L'embrione scartato può "difendersi": ecco come.
GENITORI
Questionario sui genitori separati, sii protagonista.
GIORNATA DELLA FAMIGLIA Mons. Paglia all'Onu: mettere la famiglia al centro della politica.
Togliamo le catene alle famiglie!
Non basta una giornata per la famiglia!
MINORI
Rileggendo la Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro.
NON PROFIT
Terzo settore: le linee guida in vista della riforma.
PARLAMENTO
Camera Deputati 2° Comm. Giustizia
Divorzio breve.
SINODO DEI VESCOVI
Il card. Scherer: Sinodo sulla famiglia per ridare speranza.
Belgio. Questionario sulla famiglia: risposte.
Tra Kasper e Müller non mettere il dito.
UNIONI CIVILI
Il danno parentale nella famiglia di fatto.
VIOLENZA
Gli uomini vittime della violenza femminile: una realtà nascosta.
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ADDEBITO
Il coniuge si scopre “omosessuale”?
Tribunale di Milano, nona Sezione civile, sentenza 19 marzo 2014
La “scoperta” o, meglio ancora, la slatentizzazione di un’omosessualità prima mai colta né
sperimentata (quanto meno a livello cosciente) – cui sia conseguita l’interruzione della famiglia eterosessuale
formata nelle more – non può costituire motivo di addebito (e pregiudizio).
In questo caso, il logoramento affettivo\empatico dell’unione, in uno con la ‘ scoperta’ della propria
omosessualità da parte del coniuge, sono circostanze non ascrivibili alla violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio quanto piuttosto una – non addebitabile - ‘evoluzione’ del rapporto matrimoniale.
Affidati i figli alla madre omosessuale.
(ex art. 118 disp. att. c.p.c come modificato dal DL 69\2013.)
Il Caso.it, n. 10398 - 12 maggio 2014
www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/10398.pdf
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Come combattere il mercato ed aumentare l’efficienza degli Enti autorizzati? La ricetta de L’Aja
I pagamenti in contanti agli Enti autorizzati alle adozioni internazionali non sono consentiti,
tantomeno se effettuati direttamente nei confronti del referente estero.
Su questo punto l’Ufficio Permanente della Conferenza di diritto internazionale privato de L’Aja ha
le idee molto chiare. Ha, infatti, pubblicato nel 2013 una “nuova guida alle buone pratiche” riguardanti
l’accreditamento e gli enti autorizzati.
La Guida chiarisce quali debbano essere gli standard per gli enti autorizzati, richiamando il Capitolo
III della Convenzione de L’Aja del 1993, in particolare gli articoli 10, 11 e 12.
Ecco i punti più importanti:
1. Costi stabiliti dalle Autorità centrali – Nella guida si legano in via diretta le tariffe dei servizi e
l’efficienza degli enti. E’ richiesto, in particolare, che gli enti seguano delle regole e prassi
manageriali basate sull’effettività e l’efficienza in modo da essere in condizione di contenere le
tariffe entro i livelli massimi che le autorità centrali dovrebbero fissare (e non tutte lo fanno).
2. Personale estero pagato a mese – La buona prassi richiederebbe anche che i costi dei collaboratori
dell’ente, specialmente all’estero, fossero ricondotti ad un compenso mensile fisso, e non con
compensi stabiliti in base al numero dei casi di adozione trattati (capitolo 8, paragrafo 375 e
seguenti).
3. Strutture dell’ente nel paese estero- Altro aspetto importante è relativo all’organizzazione che l’ente
deve avere all’estero: nel capitolo 4 della guida è sottolineata l’esigenza di considerare che il numero
di enti nei paesi di origine deve essere coerente con il bisogno manifestato dagli stessi paesi di
origine, e in questo quadro la previa ed effettiva presenza dell’ente autorizzato nel paese straniero è
fondamentale perché l’operatività e autorizzazione ad operare richiedono una profonda conoscenza
del paese stesso e dei suoi bisogni in materia di accoglienza dell’infanzia.
In passato anche la Commissione Adozioni Internazionali (CAI) ha adottato una condotta drastica nel
combattere i traffici di denaro non registrato. Vero è che le linee guida emanate nel 2008 sono inserite in una
linea di continuità con quelle dell’Aja, prevedendo che “i collaboratori dell’ente all’estero devono essere
retribuiti per le loro prestazioni soltanto dall’ente. Le coppie in carico all’ente non possono fare da tramite
per i pagamenti.” (art. 12 Linee guida CAI). L’art. 18 dei Criteri in vigore stabilisce inoltre che “i rapporti
economici tra ente e coppie che conferiscono il mandato devono essere regolati a mezzo di bonifico su
apposito conto corrente bancario o postale”.
Nonostante ciò sono sempre più numerose le coppie che riferiscono, dopo aver provveduto ad effettuare i
regolari bonifici agli enti cui hanno conferito mandato, di aver ricevuto la richiesta di portare con sé nel
Paese di adozione anche una certa somma di denaro in contanti.
E’ auspicabile che la CAI ribadisca il suo impegno su un aspetto tanto sensibile in tema di adozioni
internazionali, esigendo da ciascun ente autorizzato la trasmissione degli estremi di ogni pagamento
trasferito. Ne va dell’autorevolezza della Commissione e della credibilità del sistema italiano delle adozioni
internazionali.
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
Ai. Bi.
16 maggio 2014
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Il passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi.
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Il passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi gli ex coniugi è uno dei fattori che incidono
maggiormente sul diritto all'assegno di mantenimento o divorzile, comportandone, a seconda dei casi, la
modifica o l'estinzione, in ragione del venir meno di quella funzione solidaristica o assistenziale sottesa ad
entrambi i provvedimenti.
Occorre distinguere, in merito, se a contrarre nuovo matrimonio è il coniuge beneficiario ovvero
quello obbligato.
Le nuove nozze del coniuge beneficiario. Il passaggio a nuove nozze comporta per l'ex coniuge
beneficiario la perdita automatica di tutta una serie di diritti (perdita del cognome, della qualità di successore
legittimo, ecc.), tra cui, in primis, secondo l'espressa previsione legislativa di cui all'art. 5, co. 10, l. n.
898/1970, la decadenza dell'assegno di mantenimento.
Si tratta di una decadenza automatica che non richiede alcun intervento giudiziale e che ha effetto dal
giorno stesso della celebrazione del nuovo matrimonio, la cui ratio è facilmente intuibile: con il nuovo
matrimonio viene meno, infatti, la funzione assistenziale dell'assegno divorzile, poiché in tale ipotesi i doveri
di solidarietà morale ed economica si trasferiscono in capo al nuovo coniuge.
Giova evidenziare come, secondo il più recente indirizzo della giurisprudenza, anche la convivenza more
uxorio del coniuge beneficiario, può far cessare il diritto all'assegno di mantenimento. In merito, la
Cassazione ha statuito che la creazione di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescinde ogni connessione
con la pregressa vita matrimoniale, allorquando si tratti di una relazione avente i caratteri della stabilità, della
continuità e della regolarità. Siffatta relazione è in grado di incidere, pertanto, sul contributo al
mantenimento, poiché, in ordine al parametro rappresentato dal tenore di vita goduto nel corso della vita
matrimoniale, costituisce elemento di valutazione la relativa prestazione di assistenza ricevuta da parte del
convivente (Cass. n. 25845/2013).
Resta fermo, infine, che le nuove nozze dell'ex coniuge creditore, pur determinando ex lege
l'estinzione del diritto alla percezione dell'assegno, non possano incidere sugli obblighi di mantenimento nei
confronti della prole (art. 6 della l. n. 898/1970), non giustificando né l'interruzione, né l'arbitraria
autoriduzione dell'erogazione dell'assegno, potendo semmai costituire un fatto sopravvenuto idoneo a
richiedere la revisione dello stesso, secondo il disposto dell'art. 9 l. div.
Le nuove nozze del coniuge obbligato. Le nuove nozze del coniuge tenuto alla corresponsione
dell'assegno di mantenimento o divorzile non legittimano, invece, l'esonero dall'obbligo nei confronti dei
figli né dell'ex coniuge, in quanto i diritti nascenti dall'ulteriore comunione di vita non possono ledere quelli
già acquisiti e giudizialmente accertati della precedente. Tuttavia, la formazione di una nuova famiglia da
parte del coniuge obbligato ovvero la nascita di altri figli generati da una successiva unione anche di fatto
costituiscono "sopravvenuti giustificati motivi" rispetto alla sentenza di separazione o divorzio, in grado di
determinare una revisione dell'assegno di mantenimento o divorzile (art. 9, 1 comma, l. div.).
In merito, la giurisprudenza, abbandonando l'orientamento risalente secondo il quale la formazione
di una nuova famiglia "costituisce espressione di una libera scelta e non di una necessità", lasciando inalterati
gli obblighi determinati in sede di separazione e divorzio nei confronti dell'ex coniuge e dei figli nati in
precedenza (Cass. n. 15065/2000; n. 12212/2001), ha abbracciato un indirizzo interpretativo differente,
affermando che "allorquando il coniuge divorziato si sia formato una nuova famiglia, nei cui confronti è pur
sempre legato da impegni riconosciuti dalla legge, occorre temperare la misura dell'assegno di divorzio a
favore dei membri della prima famiglia nei limiti in cui, questo temperamento, non si risolva in una
situazione deteriore rispetto a quella goduta dai componenti della seconda famiglia" (Cass. n. 21919/2006).
Ciò posto, occorre rilevare che l'incidenza dei nuovi oneri familiari, gravanti sul coniuge obbligato,
sulla modifica del valore dell'assegno di mantenimento, andrà valutata dal giudice, il quale dovrà accertare se
a seguito di tali motivi sopravvenuti, si sia determinato un reale ed effettivo depauperamento delle sostanze o
della capacità patrimoniale dello stesso, tenendo conto anche della situazione economica del nuovo partner e
della nuova famiglia nel suo complesso (Cass. n. 24056/2006; n. 25019/2007).
www StudioCataldi.it
15 maggio 2014
www.studiocataldi.it/guide_legali/assegno-di-mantenimento/nuove-nozze-e-assegno-dimantenimento.asp
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CHIESA CATTOLICA
La famiglia: un luogo di umanizzazione.
Il filosofo Roberto Mancini interviene all'Auxilium al convegno in vista del prossimo Sinodo.
Quanto sono vicini il Vangelo e la famiglia? Sarebbe scontato dire che il primo alimenta e rafforza la
seconda, eppure si tratta di un rapporto che va scoperto con attenzione e discernimento, evitando ogni forma
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di banalizzazione. Il tema è stato trattato ieri pomeriggio, nel corso del convegno Famiglia: luogo primario di
umanizzazione, organizzato e ospitato dalla Facoltà “Auxilium”, in vista del Sinodo straordinario dei
Vescovi su Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione.
Al centro dell’incontro, la prolusione del professor Roberto Mancini, docente di filosofia teoretica
all’Università di Macerata. Quello di Mancini, tuttavia, non è stato tanto un intervento di stampo
accademico, quanto una riflessione a partire da spunti di attualità e di vita vissuta.
Innanzitutto, va sgomberato il campo da alcuni equivoci plurisecolari, a partire dalla definizione di
“umanesimo” che, in varie fasi della storia umana, ha conosciuto momenti apicali, alternati a secoli di oblio.
Fu intrisa di umanesimo la filosofia greca, a partire da Socrate e Platone, come lo furono
successivamente il Rinascimento e l’Illuminismo. Nessuna di queste correnti di pensiero, tuttavia, si è
rivelata integralmente “fedele alla dignità umana”. In altre parole, ha spiegato il professor Mancini, questi
ripetuti revival sono quasi sempre stati viziati da varie forme di riduzionismo, sempre di carattere elitario:
talora l’umanesimo è stato “etnocentrico”, in altri momenti “classista”, in altri ancora “maschilista”.
Solo nel cristianesimo, l’umanesimo si realizza pienamente, proprio perché Dio si fa umano nel
senso più vero e reale del termine. Purtroppo persiste una tendenza diffusa, più o meno consapevole, a
ritenere Gesù quasi come un “Dio travestito da uomo”, come sosteneva l’eresia monofisita. Si tende a “porre
Gesù sugli altari, ha osservato il filosofo, ma non a farne uno stile di vita. “Tornare al Vangelo – ha aggiunto
– non significa tornare al passato ma aprirsi al futuro, fare di Gesù un nostro contemporaneo”.
Questa premessa è indispensabile per non cadere nella trappola di una visione riduzionista ed errata
della Chiesa, di volta in volta concepita solamente come struttura “gerarchica” (il Papa, la Curia Vaticana, i
Vescovi, ecc.), oppure come “il mio gruppo parrocchiale” o ancora “secondo i miei schemi personali”.
La vera dimensione della Chiesa, quella che sfugge a molti è, invece, quella “comunitaria” che
“accoglie e non giudica”, in cui c’è posto per tutti. E la famiglia rispecchia pienamente questo tipo di
comunità, che riflette l’amore di Dio, e la sacralità che Dio imprime all’uomo.
Per questo l’amore di Dio non è mai “oppressivo” ma sempre “liberante”, non chiede mai una
“prestazione”, né è “meritocratico”.
Anche la “misericordia” va intesa nel senso proprio del termine: non è “la pietà che interviene
quando tutto è perduto” ma indica “l’amore che mai ti abbandona”, che “scende più in basso di dove tu sei
sceso”. La misericordia significa saper “vedere la sofferenza anche nel comportamento malvagio”; mentre la
giustizia umana “punisce il colpevole, la giustizia divina “lo guarisce”.
Ed il perdono è qualcosa che, più che “dimenticare il male subito”, “ricorda il tuo valore di persona”.
Tutto ciò è la premessa dell’amore sponsale, in cui ciascun coniuge ama l’altro “per il solo fatto che
esiste” ed è “per sempre” proprio perché è “un dono”.
La “sponsalità coniugale”, dunque, risponde agli stessi principi della “sponsalità comunitaria”: in
entrambe il criterio dell’amore vince sui criteri mondani della competizione, dell’individualismo, della
gerarchia, ecc. È impossibile, quindi, pensare l’amore secondo criteri diversi dall’amore stesso.
In quest’ottica si può intendere la Chiesa come luogo e fonte dell’amore che non esclude nessuno,
nemmeno chi non vuol farne parte; anche la definizione di “non credenti” è molto limitativa e non tiene
conto del primato della persona. “Forse la vera distinzione è tra chi ama e chi non ama - ha argomentato
Mancini -. Inoltre, più che parlare di rispetto dell’altro dovremmo parlare di fraternità”.
Anche quando si parla di omosessualità, ha aggiunto il filosofo, bisogna stare attenti a “non alzare
steccati”: ferma restando l’identità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, questa tendenza
affettiva e sessuale va vista, più che come una perversione, come una forma di “sofferenza, spesso difficile
da accettare”.
In conclusione, il professor Mancini, ha ricordato come – in alternativa alla “cultura dell’angoscia e
dei desideri distorti che generano dipendenza” - il Vangelo e l’amore di cui è intriso, li vive soprattutto “chi
vuole cambiare vita, chi ambisce a una vita vera”.
Luca Marcolivio
Zenit.org
10 maggio 2014
www.zenit.org/it/articles/la-famiglia-un-luogo-di-umanizzazione
Morte del matrimonio ecclesiastico
C’è qualcosa che può morire, in un matrimonio cristiano, e la chiesa deve prenderne atto se vuol
restare fedele alla tradizione. Un paradosso necessario se si vuol stare nella storia da credenti. Cosa può
morire, a volte? Il vincolo, ciò che lega i due coniugi dal momento in cui celebrano la loro unione. Cosa non
muore, mai? La grazia di Dio che resta indisponibile. Indisponibile, appunto, non indissolubile.
4
Il teologo Andrea Grillo entra nel dibattito suscitato dalla relazione di Kasper al concistoro di
febbraio, che ha fatto discutere molto anche su questo giornale, con uno scritto tanto breve quanto denso
(“Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati”, Cittadella Editrice) in cui raccoglie la
proposta del cardinale tedesco – il quale, non va dimenticato, è a sua volta un teologo di prima grandezza – e
va oltre, suggerendo un pieno riconoscimento ecclesiale alle seconde nozze laddove Kasper si ferma a una
“via penitenziale”.
Oltre a essere competente, Grillo conosce le astuzie della comunicazione. Nel titolo c’è già tutto,
dicono gli esperti. Ed ecco allora un “Indissolubile?” che evoca immediatamente il celebre “Infallibile?” di
Küng. Anche se, precisa il nostro, l’intenzione di fondo è diversa: “Mentre in quel testo Küng contestava
con forza il dogma dell’infallibilità, in questo caso l’interrogativo non riguarda la sostanza della dottrina
dell’indissolubilità, ma la sua formulazione teorica e la sua traduzione disciplinare”.
Perché fin dalle prime battute Grillo mette le cose in chiaro: è tutto merito del concilio e di chi lo ha
voluto se oggi stiamo qui a parlare di seconde nozze riconosciute dalla chiesa – che non è fare del divorzio
un sacramento ma dare compimento a un cammino che inizia con “Dignitatis humanae” e arriva alla
“Evangelii gaudium” di Francesco passando per la “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II. La
differenza tra “sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei” e la “formulazione del suo rivestimento” è
decisiva, ricorda Grillo, soprattutto in un ambito come quello familiare in cui la chiesa sembra ancora avere
voce in capitolo. La “svolta pastorale” del Vaticano II ha dato alla chiesa l’opportunità di affinare la propria
dottrina, di riscoprire insomma la vivacità del dogma; resiste però una “radice antimoderna che una parte
della cultura ecclesiale continua ad alimentare ciecamente”. Ma “una dottrina matrimoniale angelicata, che
conosca solo essere o non-essere” (validità o nullità), che non concepisca il divenire e la storia, non genera
santi ma ingiustizie (e sofferenze) maggiori”.
Secondo Grillo, la teoria classica dell’indissolubilità non è più proponibile perché ha solo due
risposte: “O negando la prima unione (mediante accertamento della sua nullità del matrimonio) o influendo
sulla seconda unione (o mediante la richiesta di ritorno alla prima unione oppure, in caso di irreversibilità,
mediante la richiesta di vivere la seconda unione ‘come fratello e sorella’)”.
Soluzioni deludenti, irrealistiche: la nullità è diventata ormai una finzione giuridica, un
accomodamento a tavolino per una realtà ingovernabile (“Ho parlato con il Papa su questo, e mi ha detto di
credere che il cinquanta per cento dei matrimoni non siano validi”, ha detto Kasper pochi giorni fa alla
rivista americana Commonweal); le seconde nozze in astinenza perpetua è una soluzione spudorata. Grillo
suggerisce invece “una prospettiva più pudica, circa l’esistenza del vincolo, accettando che anch’esso, come i
coniugi, possa morire” perché in più di un caso “non dipende direttamente da una decisione dei coniugi”.
Certo, per riconoscerlo bisogna alzare le antenne, percepire – prima ancora che teorizzare – quello
che sta succedendo oggi nel cuore delle persone, la “trasformazione dell’intimità, un fenomeno che ha
profondamente modificato e sviluppato l’esperienza dei soggetti tardo-moderni e che non può essere
liquidata, semplicemente, come un tema cui applicare le confutazioni pur necessarie, ma spesso
autoreferenziali, di una teologia apologetica”. Giocare in difesa, insomma, non basta più. Anzi, fa perdere di
sicuro.
Pertanto il teologo del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, uno degli allievi più brillanti del benedettino
Elmar Salmann, fa la sua proposta (ispirata, come lui stesso sottolinea, al lavoro di un altro teologo, Basilio
Petrà, che recupera la prassi ortodossa): “La chiesa potrebbe ammettere – in circostanze determinate e non
come una legge generale – che il riconoscimento della nuova unione non avrebbe bisogno di fondarsi sulla
‘inesistenza originaria’ della precedente unione, ma potrebbe constatare la ‘morte del vincolo’ e così
dischiudere l’orizzonte di un ‘nuovo inizio’ possibile, vivibile e riconoscibile, anche sul piano dell’ufficialità
ecclesiale. Si tratterebbe, in sostanza, di unire ‘radicale’ e ‘pudico’. Di lasciare intatto il radicale slancio
profetico all’unità, richiesto dal Vangelo, coniugandolo però con un sano e pudico realismo, dovuto alla
storia e richiesto anche dal buon senso”.
Grillo è un polemista di razza, ha seguito il dibattito del Foglio sulla relazione Kasper e ha risposto
prima sul suo blog e poi in questo saggio in cui mischia – e rischia – generi diversi, teologia e giornalismo,
polemica spicciola e controversia alta. Contro Kasper che invoca “un cambiamento di paradigma” si sono
scatenati in molti e in diversi modi. Grillo dà ampio spazio (pure troppo) alle obiezioni di Roberto de
Mattei e di Juan José Pérez-Soba. Il primo – “che pure sarebbe uno storico” nota Grillo – si rifugia
nell’iperuranio di una dottrina monolitica sconfessata dal Vaticano II, il concilio mai digerito dagli oltranzisti
cattolici vicini a Lefebvre. De Mattei accusa Kasper di voler “aggirare” il magistero perenne in materia di
famiglia e matrimonio? Grillo ribatte che “questo è, in effetti, il ‘luogo comune’ preferito dai tradizionalisti:
come hanno bisogno di una ‘messa di sempre’, di un ‘prete di sempre’, di una ‘suora di sempre’, di una
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‘chiesa di sempre’ e di un ‘Papa di sempre’, così anche invocano i diritti di una ‘famiglia di sempre’, per
chiudere tutte queste statue in un museo diocesano e poterle ‘visitare’ e ‘contemplare’ a loro piacere, ma solo
come cose morte!”.
Ma di fronte a una pretesa simile, “le statue da museo inevitabilmente si ribellano, per quanto si
cerchi di colpevolizzarle per la vita che conducono: le presunte statue non restano rigide e immobili negli
schemini che proiettiamo su di loro”. E’ una pretesa senza storia ovvero anacronistica: “Come per i papi del
primo Ottocento, la fede può essere salvata solo condannando la pretesa libertà dell’uomo, così per De
Mattei il matrimonio si può salvare solo condannando il divorzio”. Tuttavia, prosegue Grillo, “questo stile
ottocentesco era già in difficoltà rispetto alla società di due secoli fa. Pensare di applicarlo alla nostra cultura
è veramente un’impresa disperata”.
Disperato è, a ben guardare, anche il sofisma di Pérez-Soba: “Talvolta negare la misericordia è
l’unico modo per difenderla dalle sue adulterazioni”, tipo quella di Kasper. L’errore fondamentale del
teologo del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, secondo il suo collega del Sant’Anselmo, è quello di voler
“identificare indissolubilità e misericordia, monogamia e monoteismo” finendo per “perdere la parte
invisibile della misericordia, ossia la profondità e la ricchezza trinitaria”; invece “il temperamento trinitario
del monoteismo è l’orizzonte nel quale il male minore è la soluzione più conveniente, quando il bene
massimo genera un male maggiore”.
Grillo difende efficacemente Kasper dai suoi numerosi detrattori (“Però sono molti di più i pastori
che lo sostengono in silenzio, senza esporsi”, ci confida durante una chiacchierata in cui sfogliamo insieme il
suo lavoro), ma non si accontenta della soluzione avanzata dal cardinale tedesco perché “la riconciliazione e
la comunione, che il divorziato risposato potrebbe vedersi donare da questa forma di apertura della disciplina
ecclesiale, avrebbe come soggetti interessati Dio, la chiesa, la comunità dei fratelli, ma non il nuovo partner.
Al soggetto, che si dispone ad abbracciare questo itinerario penitenziale, sarebbe riconosciuta una nuova
possibilità di comunione con Dio Padre, con Cristo suo figlio, con la chiesa, ma non con il secondo
marito/seconda moglie!”. Manca insomma una presa di posizione pubblica della comunità nei confronti della
nuova coppia, ciò che appunto chiede Grillo. D’altronde se anche il roccioso Wojtyla in “Familiaris
consortio” ha dichiarato che i divorziati risposati non sono scomunicati, non hanno quindi perso la
comunione ecclesiale, si deve trovare il modo più umano – e dunque cristiano – di rendere visibile questa
inclusione. Eppure, faccio notare a Grillo, quello dei divorziati risposati che chiedono la comunione è affare
di pochi.
Anche se magari è il fatidico granello che farà inceppare l’intera macchina ecclesiale… “Certo –
risponde il teologo – si tratta e si tratterà di un fenomeno comunque marginale rispetto al grande fiume della
vita familiare cristiana. Ma il modo di comprendere le famiglie felici dipende anche dallo stile con cui la
chiesa si dispone ad accogliere le famiglie infelici. Il fatto stesso di non riconoscerle come famiglie o di
parlare di esse con la categoria fondamentale di adulterio è oggi una forma di cattiva educazione ecclesiale.
E scopriamo, forse anche con sorpresa, che ci sono alcuni teologi e alcuni cardinali piuttosto maleducati.
Forse questo dipende, come ricorda giustamente Kasper, dal fatto che parlare da celibi di questioni che
riguardano gli sposati somiglia, talvolta, a un intervento certo interessato ma del tutto privo di vera
esperienza. Le parole che si usano per descrivere le cose non sono adeguate e fanno danni ulteriori. Talvolta
rispettare il sacro silenzio sarebbe una prestazione ministeriale molto più saggia”.
Qualcuno potrebbe tirare fuori la teoria del piano inclinato: qui si parla di seconde nozze ma perché
allora non le terze, le quarte…? “E’ il tipico atteggiamento di chi considera la legge solo come una
pedagogia. Per costoro il piano inclinato inizia con la libertà di coscienza. Ma chi la nega sotto sotto non è
cristiano, non si fida di Dio”.
Già, però sta scritto: l’uomo non separi ciò che Dio ha unito. “Con questa frase Gesù non vuole che
l’uomo disponga della relazione. Ma nulla dice a proposito di un vincolo che finisce. Accettare la fine può
essere molto più saggio che ostinarsi in un rapporto che è finito”, mi risponde Grillo. Insomma, si tratta di
cogliere ciò che muore e ciò che non muore, superando una concezione metafisica di Dio stesso. “La frase è
di Dante e dice il mistero del Dio trinitario: ‘Ciò che non muore e ciò che può morire, non è se non splendor
di quella idea, che partorisce, amando, il nostro Sire’. Qui Dante sa che la contingenza delle cose, anche la
morte del vincolo, è splendore di grazia.
Più che la fine dello schema ontologico, di un Dio troppo uno e troppo poco trino, qui accade che
siamo noi a comprenderlo meglio. Non è Dio che cambia, è la nostra comprensione che avanza, grazie alla
storia che muta e ci fa comprendere che l’unità è comunione ed è più complessa e ricca di quanto credevamo.
E non basta certo un’ontologia fissista a garantire la comunione”.
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Ma la morte del vincolo non è un po’ la morte della grazia stessa, nel senso di un Dio compromesso
e dunque mortale? “La morte del vincolo è una delle esperienze di morte – dice Grillo – Di fronte alla morte,
a qualunque morte, Dio è sempre messo in questione. Perché dovremmo stupirci del fatto che Dio si
compromette anche con questa morte? Preferiremmo un Dio burocrate, che convalida o revoca dalla realtà
semplicemente per un pronunciamento giudiziario?”.
A questo proposito, stante la crisi del diritto canonico, che, di fatto, non ha più forza cogente nella
vita della chiesa, e la pesantezza dell’apparato ecclesiastico, crede sia davvero realizzabile la sua proposta?
“Mi sembra un passaggio obbligato per la nostra tradizione latina – risponde Grillo – La soluzione
esclusivamente penitenziale può avere senso in oriente. Da noi potrebbe essere facilmente fraintesa. Mentre
un passaggio ufficiale avrebbe il valore di attestare una condizione mutata e di escludere la contemporanea
validità di due diversi vincoli per la medesima persona”.
Sempre in tema di tradizioni religiose diverse, qualche giorno fa il vaticanista Sandro Magister,
commentando un’indagine internazionale del Pew Research Center di Washington su temi di morale come
aborto, omosessualità, divorzio, contraccettivi, ecc., nota lo stacco netto “tra l’opinione maggioritaria di
alcune aree europee e nordamericane, dove regnano l’indifferenza riguardo all’aborto, la dissoluzione del
matrimonio e l’ideologia del gender, e l’opposta sensibilità di altre immense aree del mondo, specie in Africa
e in Asia, dove pur sono presenti seri problemi d’altro tipo, dai matrimoni combinati alla poligamia”. Per
concludere che “se, come predica instancabilmente Papa Francesco, la missione della chiesa è di non
rinchiudersi nei suoi vecchi perimetri geografici e culturali ma di aprirsi alle periferie del mondo, è evidente
che non può essere la cattolicità di Germania – come un po’ sta accadendo – il parametro universale del
cambiamento della dottrina e della prassi della chiesa in materia di famiglia, di comunione ai divorziati
risposati e di nozze tra persone dello stesso sesso”. Insomma, secondo Magister, papa Bergoglio farebbe
bene a non dare retta a Kasper perché è l’espressione un cristianesimo minoritario e annacquato.
Grillo non è d’accordo: “Mi sembra una conclusione ingenua che sorprende in un giornalista spesso
così attento. I problemi che Papa Francesco affronta sono diversi da quelli che Magister immagina.
Bergoglio non vuole dichiarazioni sui valori non negoziabili, che è la logica dell’inchiesta citata, ma andare
incontro alle sofferenze dei soggetti, ovunque si trovino. Se a un tedesco o a un brasiliano, che soffre nella
situazione di divorziato risposato che non viene accolto, noi parlassimo dei valori degli africani, non
faremmo un servizio alla periferia, ma alla nostra ipocrisia. Le risposte a un’inchiesta non sono le priorità
della misericordia ecclesiale”.
A conclusione del suo lavoro, Grillo cita la profezia del cardinale Martini nella sua ultima
intervista, poco prima di morire, che suona molto simile agli interventi del suo compagno gesuita diventato
Papa: “Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle
coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La chiesa sostiene
l’indissolubilità del matrimonio. E’ una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono […].
L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla chiesa della
generazione dei figli […]. L’amore è grazia, l’amore è dono. La domanda se i divorziati possano fare la
comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti?”
intervista ad Andrea Grillo a cura di Marco Burini in “Il Foglio” del 13 maggio 2014
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RSt201405/140511gennari.pdf
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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Ricerca nazionale. Una riflessione sull’adolescenza: l’esperienza dei figli adottati.
Da ormai cinque anni la Commissione per le Adozioni Internazionali promuove un’attività di
monitoraggio e di ascolto delle famiglie che hanno adottato un bambino nell’anno precedente, volta a
conoscere il punto di vista delle famiglie sulle positività e criticità del percorso adottivo appena concluso.
Da questo lavoro è emersa l’opportunità di allargare la riflessione al periodo post adottivo,
approfondendo i diversi aspetti relativi all’inserimento nei vari contesti di vita durante l’adolescenza.
Il progetto è realizzato con la collaborazione dell’Istituto degli Innocenti di Firenze e prevede la
conduzione di un’indagine a cui sono invitate a partecipare le famiglie che hanno adottato tra il 2005 e il
2009 un bambino con un’età compresa tra i 6 e i 12 anni.
Le informazioni raccolte saranno elaborate in maniera aggregata, in modo tale da garantire la tutela
della riservatezza, e utilizzate nel pieno rispetto dell’anonimato.
In particolare, l’indagine prevede la compilazione di differenti questionari (su carta oppure on-line)
da parte dei genitori e dei figli, che si trovano ai link indicati di seguito e cui si ha accesso utilizzando i
token, o codici alfanumerici, inviati per posta.
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Per i ragazzi e le ragazze
http://questionari.istitutodeglinnocenti.it/adolescentifig
Per i genitori - Sezione A informativa generale sul nucleo familiare
http://questionari.istitutodeglinnocenti.it/adolescentigena
Per i genitori - Sezione B per ciascun figlio/a
http://questionari.istitutodeglinnocenti.it/adolescentigenb
Per qualsiasi chiarimento o approfondimento sui contenuti del questionario, è possibile contattare gli
esperti della Linea Cai.
Notizie CAI 22 maggio 2014
www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2014/ricerca-nazionale-una-riflessione-sull’adolescenzal’esperienza-dei-figli-adottati.aspx
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DALLA NAVATA
Atti
Salmo
1 Pietro
Giovanni
5° domenica di Pasqua - anno A – 18 maggio 2014.
06, 03 «Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di
Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico».
33, 05 «Egli ama la giustizia e il diritto; dell’amore del Signore è piena la terra».
02, 09 «Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si
è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle
tenebre alla sua luce meravigliosa».
14, 01 «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me».
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FAMIGLIA
La famiglia allargata: una realtà fatta di fragili equilibri.
La famiglia allargata è un fenomeno in continua espansione nella società d'oggi. Le unioni si
sciolgono, si creano nuovi legami, e se ci sono figli da precedenti relazioni, ecco che prendono vita nuovi
nuclei familiari. La nascita di una nuova realtà familiare in cui uno o entrambi i partner portano uno o più
figli avuti da una precedente relazione è un evento molto complesso, che chiama in causa diversi individui
con i loro bisogni e le loro paure.
Nelle situazioni positive, i genitori acquisiti (cioè i nuovi conviventi del genitore naturale) possono
costituire delle utili risorse per supportare i figli e aiutarli a ristabilire quel senso di stabilità e sicurezza
messo a rischio dalla separazione del padre e della madre.
In questo sistema fatto di fragili equilibri si possono tuttavia incontrare degli ostacoli, che vanno
affrontati mantenendo sempre aperto il dialogo tra tutti i componenti della famiglia, per agevolare
l'espressione e la comprensione dei bisogni e delle difficoltà reciproche. Il canale comunicativo andrebbe
mantenuto aperto anche con il genitore naturale non convivente, che necessita di essere sempre informato
sulle questioni fondamentali e le decisioni importanti che riguardano la vita dei propri figli, tutto ciò nel
rispetto degli spazi di ciascuno ed evitando ingerenze. Può, infatti, succedere che il genitore non convivente
si senta escluso rispetto al nuovo nucleo in formazione, così da vivere il genitore acquisito come una sorta di
minaccia al proprio rapporto privilegiato con i figli, che invece è destinato a rimanere tale. In altre situazioni,
sono i figli stessi a mostrare atteggiamenti di chiusura difensiva e di rifiuto verso il genitore acquisito, per
gelosia, rivalità, paura, o anche nel tentativo di proteggere il genitore naturale non convivente, che può essere
sperimentato come "vittima".
Ogni mutamento nella nostra vita richiede una fase di adattamento in cui si cercano nuovi equilibri,
attraversando situazioni di crisi. Nei casi in cui si dovesse manifestare un vissuto di disagio troppo marcato o
prolungato, potrebbe rivelarsi utile richiedere un consulto da parte di un professionista esterno. In questi casi,
il mediatore familiare o lo psicologo, in quanto figura che si pone con uno sguardo imparziale e non
giudicante, può intervenire per evidenziare e sanare quei conflitti che altrimenti rischiano di degenerare,
aiutando i membri a uscire da schemi comportamentali disfunzionali e controproducenti, che alimentano il
malessere e lo mantengono nel tempo. Anche l'avvocato, nella sua pratica quotidiana si trova sempre più
spesso di fronte a queste delicate realtà familiari e coinvolto nell'aiutare i membri a trovare un accordo su
varie questioni, mettendo sempre in primo piano l'interesse dei minori. Il suo ruolo lo chiama a conoscere e a
comprendere a fondo le complesse dinamiche presenti tra i vari membri coinvolti per poter intervenire in
caso di conflitto e proporre delle possibili soluzioni.
Laura Tirloni psicoterapeuta
6 maggio 2014
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15746.asp
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GENITORI
Questionario sui genitori separati, sii protagonista.
Viene chiesta la collaborazione dei papà separati nel compilare un questionario. Può essere
leggermente impegnativo ma occorre rammentare che quando si promuovono misure correttive nelle
politiche sociali, spesso ci si trova davanti ad un vuoto per ciò che riguarda un riscontro concreto con la
realtà, ad esempio quando ufficialmente si è in assenza di dati. Ecco a cosa serve questo questionario a
colmare quel vuoto. Essere protagonisti del lento cambiamento e velocizzarlo, può senz'altro essere anche
merito di chi si adopera in prima persona con azioni semplici come questa.
Parliamo di genitori separati, e proprio questo tema che tocca il 49% delle coppie sposate in Italia, è
al centro della ricerca che dovrebbe fornire un quadro ancora più descrittivo della situazione.
L'Università Cattolica, attraverso l'Istituto di Antropologia, ha elaborato apposta per i papà separati
un questionario per portare all'attenzione degli studiosi, dei politici, dei magistrati e dei responsabili del bene
comune in generale il problema dei papà che, oltre a non vedere con libertà o affatto i figli, vengono
letteralmente presi a "calci nel sedere" da tutti.
Questo questionario avrebbe dovuto farlo l'ISTAT come ente statistico pubblico, oppure altri enti
statistici (come il CENSIS, ecc), ma probabilmente non vi è interesse a fare luce sulla negazione dei "diritti
umani" che i papà separati sono costretti a subire. Attraverso questo questionario, articolato e completo,
abbiamo la possibilità di far sentire la nostra voce, le nostre esigenze, i nostri diritti umani negati.
Il questionario è stato diffuso a tutte le associazioni di genitori separati presenti in Italia, ma fino ad
oggi hanno risposto poche centinaia di papà. Per questo motivo la scadenza per la compilazione del
questionario è stata prorogata di un mese. Certo non tutti sono dotati di computer o di connessione internet
(in questo caso è possibile spedire via cartacea il questionario), ma se non ci raccontiamo in prima persona, è
abbastanza illusorio pensare che lo possano fare altri al nostro posto.
Il questionario, proprio perché vuole essere esaustivo, richiede circa un'oretta per essere completato,
ma prevede che si possano fare pause nella compilazione e può essere ripreso anche in giorni successivi.
Redazione dell’Ass.ne per la bigenitorialità e la tutela dei minori nella separazione. 13 maggio 2014
http://www.genitorisottratti.it/2014/05/questionario-sui-genitori-separati.html
UCSC. Centro di Ateneo-Studi e ricerche sulla famiglia.
Questo questionario è lo strumento principale di una ricerca nazionale sulla separazione. La ricerca è
complessa e altamente innovativa, di conseguenza il questionario non è breve: è l'occasione però di far
sentire finalmente la vostra voce in merito alla separazione!
Vi assicuriamo che terremo in gran conto ogni risposta che darete.
Per non rendere troppo faticosa la compilazione del questionario, abbiamo già indicato dove - se
vorrete - potrete prendervi una pausa.
Dopo una pausa potrete riprendere la compilazione o nel giorno stesso (se non siete stanchi o
fortemente motivati a proseguire!) o anche nei giorni successivi.
L'aspetto essenziale è che il questionario sia compilato entro una settimana a partire da quando
viene aperto la prima volta (entro questo periodo, basterà chiudere il browser e cliccare nuovamente sul link,
per ritrovare il questionario al punto dove era stato interrotto).
[email protected]
Per eventuali chiarimenti, scrivere a
https://unicatt.eu.qualtrics.com/SE/?SID=SV_cGdKg4M21Q4EXiJ
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GIORNATA DELLA FAMIGLIA
Mons. Paglia all'Onu: mettere la famiglia al centro della politica.
In occasione della XX Giornata della famiglia promossa dall’Onu, che si celebra ogni anno il 15
maggio, la rappresentanza diplomatica della Santa Sede alle Nazioni Unite propone un incontro nella sede
dell’organizzazione a New York.
Ad intervenire, mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
R. – Io sono particolarmente lieto che le Nazioni Unite, attraverso questa Giornata, desiderino,
vogliano spingere i governi a porre al centro delle loro politiche la famiglia, perché comprendono che senza
di essa l’intergenerazione salta, la creazione della storia stessa, in fondo, si indebolisce! Ecco perché la Santa
Sede, consapevole dell’urgenza di tutto questo, vuole dare il suo contributo, sottolineando che la famiglia –
per la sua particolare costruzione, e quando parlo di famiglia, parlo della maggioranza delle nostre famiglie,
ossia padri, madri, figli, nonni e nipoti – questa famiglia è la risorsa più importante per le nostre società, e
ancor più è la fonte di uno sviluppo a misura umana delle nostre società.
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D. – Quale contributo può dare la famiglia cristiana alla famiglia laica?
R. – Io credo che la famiglia cristiana abbia la responsabilità non tanto di creare una famiglia
diversa, ma il compito di approfondire i valori della famiglia umana, di quella che è di tutti. C’è un
patrimonio comune da valorizzare e da proporre. La particolarità della prospettiva cristiana è la seguente:
l’amore, o la benedizione di Dio, che ricevono gli sposi cristiani sottolinea che l’amore della famiglia non è
egocentrico, non chiude nelle pareti domestiche, ma è un amore che spinge a superare tutti i confini. Quindi,
la famiglia cristiana supera i suoi confini e si lega alle altre famiglie; supera le sue tensioni centripete per
andare verso i più poveri; supera, ancora, se stessa per andare verso la città, fino a giungere alla famiglia dei
poveri. Insomma, quell’amore che si riceve nel giorno del matrimonio è un amore che porta fino alle
periferie del nostro pianeta. In questo senso c’è una peculiarità e una ricchezza di gratuità che è la vocazione
che le famiglie cristiane devono vivere al loro interno e in prospettiva missionaria.
D. – Dunque, tutto questo sposa il tema della 20.ma Giornata della famiglia: proprio, promuovere
l’integrazione sociale e la solidarietà inter-generazionale. Sotto questo ultimo punto di vista, che cosa fare
ancora?
R. – Io credo che sia indispensabile recuperare il legame tra le generazioni, che passa attraverso quel
processo di educazione che, in verità, fa parte della missione stessa della Chiesa. Oggi si parla di
evaporazione del padre: che cosa vuol dire? Che molti padri hanno abbandonato l’impegno, la responsabilità,
la fatica dell’educazione. Dire: “Sono tuo fratello”, vuol dire non capire la responsabilità che un padre ha.
Credo che sia urgente che la Chiesa riscopra al suo interno la prospettiva intergenerazionale per poi aiutare,
come lievito, questa prospettiva all’interno della stessa società umana. Una tendenza, come c’è in Europa, a
creare una società defamiliarizzata, cioè a creare delle famiglie monopersonali, questo vuol dire che noi
abbiamo abbandonato – perché troppo faticoso – il legame con gli altri: infatti, legarsi per tutta la vita con un
altro lo sentiamo insopportabile. Ma questo vuol dire che alla fine, quel che conta è solo l’io, solo se stessi,
ed è chiaramente un modo per distruggere dall’interno la socialità e la stessa vita comune tra la gente.
Tiziana Campisi
Bollettino radiogiornale radio vaticana 15 maggio 2014
http://it.radiovaticana.va/index.asp
Togliamo le catene alle famiglie!
Aperto oggi, a Roma, il Convegno per la XX Giornata internazionale della famiglia. Gli interventi di
Mario Adinolfi, Francesco Belletti e Franca Biondelli
"Le famiglie italiane chiedono alle istituzioni anzitutto equità del prelievo fiscale che deve
riconoscere i carichi familiari". Ha esordito così Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni
Familiari, nella sua relazione durante il Convegno per la XX Giornata internazionale della famiglia,
inaugurato oggi a Roma.
"Una possibile soluzione di equità, semplice e facilmente graduabile anche in funzione delle
esigenze di copertura finanziaria, si può trovare nella proposta del FattoreFamiglia - ha affermato il
presidente. E ha aggiunto: "L’equità fiscale è presupposto per affrontare un’emergenza troppo sottovalutata,
la questione demografica. La difficoltà delle famiglie di fronte alla sfida della nascita di un figlio sono ben
presenti".
Secondo il Censis, infatti, la nascita del primo figlio fa aumentare di poco, il rischio di finire in
povertà. La nascita del secondo fa quasi raddoppiare il rischio (20,6%) e la nascita del terzo triplica questo
rischio (32,3%).
Nonostante le difficoltà la famiglia è "costretta a diventare il 'principale ammortizzatore sociale' di
fronte alla crisi". Pertanto "per valorizzare il protagonismo delle famiglie - ha sottolineato Belletti - occorre
favorire la loro libertà", occorre cioè “togliere le catene”, "sgombrare la strada dagli inciampi” e "liberare le
opportunità per la libera responsabilità delle famiglie".
Il criterio orientativo generale delle politiche familiari dovrà quindi essere quella della costruzione di
“infrastrutture sociali”, come politiche "di conciliazione" tra famiglia e lavoro; servizi per le persone fragili
"che aiutino le famiglie ad aiutarsi"; politiche di reddito "che non schiaccino le famiglie nell’emarginazione
sociale o nella povertà".
"Le politiche familiari - ha concluso dunque il presidente del Forum - devono riconoscere con
chiarezza la famiglia come istituzione, nel suo essere 'cellula fondamentale della società'. La famiglia va
riconosciuta come bene pubblico, nel suo possedere e generare un valore aggiunto, per il benessere della
persona e per la coesione della società, nel suo essere crocevia insopprimibile tra pubblico e privato".
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L'invito è quindi a riaffermare il valore della famiglia "come istituzione, contro una diffusa tendenza
alla privatizzazione alla destrutturazione, presente in molte norme oggi in discussione nel dibattito politico e
culturale".
La difesa del valore della famiglia nella società è stato il centro anche dell'intervento di Mario
Adinolfi, ex parlamentare e tra i fondatori del Pd. "Leggi come la Scalfarotto sull’omofobia e la proposta
Cirinnà sulle coppie di fatto rischiano di creare una condizione culturale di non poter neppure pronunciare la
parola famiglia”, ha affermato Adinolfi.
"Essere di sinistra - ha proseguito - vuol dire essere dalla parte del più debole. Lasciare che un
bambino non possa mai pronunciare la parola mamma perché ha due padri e che dovrà accontentarsi di
'genitore 1' non è certo stare dalla parte del più debole". In quest'ottica, i cattolici, secondo l'ex parlamentare,
"devono trovare il modo di coinvolgere nella difesa della famiglia anche i laici ed in particolare gli uomini e
le donne di sinistra. Si possono trovare argomenti razionali per lavorare insieme a ricostruire un lessico che
qualcuno vorrebbe modificare e rieducare secondo l’ideologia lgbt".
Intervenuta durante il Convegno anche Franca Biondelli, sottosegretario con delega alla Famiglia,
la quale ha aperto il suo discorso ricordando che "da quando è stato varato il Piano nazionale l’Italia vive in
stand by sulle politiche della famiglia". "Ora bisogna rimettersi in cammino", ha esortato Biondelli,
condividendo questo percorso con le associazioni familiari.
"Il Piano - ha poi spiegato - ha obbiettivi molto ambiziosi e difficilmente raggiungibili tutti e tutti
insieme. Individuiamo 2 o 3 punti dai quali poter partire da subito". Ad esempio, si potrebbe lavorare "sulla
conciliazione famiglia-lavoro, sul sostegno alla genitorialità oppure provare a rovesciare la logica delle
molteplici politiche settoriali per farle diventare politiche sul ciclo di vita che puntino al benessere
complessivo delle famiglie". Soprattutto, ha rimarcato il sottosegretario, "dobbiamo riuscire a far capire a
tutti che la famiglia è una risorsa strategica per l’intero Paese visto che da sola produce beni per 570 miliardi
all’anno, un quarto del Pil nazionale".
Redazione Zenit. org 15 maggio 2014
www.zenit.org/it/articles/togliamo-le-catene-alle-famiglie
“Non basta una giornata per la famiglia!”Urgenze e priorità per le famiglie italiane.
Intervento di Franca Biondelli sottosegretario con delega alla Famiglia
Relazione di Francesco Belletti presidente Forum delle associazioni familiari
La vertenza famiglia: una Giornata oggi, una politica per domani
Intervento Mario Adinolfi
Voglio la mamma. Oltre la provocazione
Progetti di legge istitutivi della Giornata nazionale della famiglia
on. Mario Sberna deputato, sen. Antonio De Poli senatore
Tavola Rotonda -Politiche per la famiglia: partiti e progetti politici a confronto
Maurizio Gasparri FI, Carlo Giovanardi NCD, Vanna Iori PD, Mario Sberna Popolari per
l’Italia, Manuela Serra M5S
Campagna Vote For Family 2014 - Corro per la famiglia anche in Europa
FAFCE - Giuseppe Barbaro vicepresidente, Maria Hildingsson segretaria generale)
Consegna premio “Elisa Santolini”
Testi in
www.forumfamiglie.org/eventi.php?&evento=11480
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MINORI
Rileggendo la Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro.
“Educa i ragazzi col gioco, così riuscirai a scoprire l’inclinazione naturale” (Platone): è stata questa
l’intuizione della Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro, sottoscritta a Roma nel 1967 per
iniziativa del Comitato italiano per il gioco infantile. Questa Carta, caduta nell’oblio, ha anticipato lo spirito
di alcune leggi nazionali dagli anni ’70 in poi, tra cui la legge 6 dicembre 1971 n. 1044 sull’istituzione degli
asili-nido, e i principi e le statuizioni della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989. Si
può provare a attualizzare e concretizzare il contenuto della Carta attraverso il pensiero di diversi esperti.
“Ai figli cui è stato dato tutto, è stato fatto il peggior dono possibile” (lo psichiatra Paolo Crepet).
Non dare tutto, ma dare il necessario, il rispetto dell’unicità di ogni bambino, persona minore d’età. “La
personalità del fanciullo è sacra, per garantirne il libero, totale ed armonico sviluppo la società è tenuta ad
offrire ad ogni fanciullo un ambiente familiare, scolastico e comunitario dotato dei necessari mezzi e di
personale appositamente preparato” (art. 1 Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro). Tuttora la Carta
è l’unico atto ad esordire in tal modo e a definire la personalità del fanciullo sacra.
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«[…] la festa non va organizzata per la nostra immagine, ma per far felice il bambino. […] I piccoli
hanno bisogno di divertirsi, di giocare, di fare festa “insieme”» (il pedagogista Pino Pellegrino). Il bambino
non ha bisogno di feste, ma di un’atmosfera di festa. “Perché possa svolgere le sue attività di gioco e di
lavoro, il fanciullo ha bisogno di convenienti rapporti umani; nonché di spazi, di tempi, di mezzi, di materiali
e strumenti idonei alla sua età ed adatti alle sue condizioni fisiche e psichiche” (art. 2 Carta dei diritti del
fanciullo al gioco e al lavoro).
“Se si riempie il bambino di regali, prima o poi, si annoierà; c’è tutto, manca lui!” (lo psichiatra
Paolo Crepet). “Nella casa, per realizzare i migliori rapporti umani, occorre: preparare i genitori ad una
responsabile azione educativa; offrire appositi ed attrezzati locali, balconi, terrazzi, giardini, cortili al fine di
dare al fanciullo la possibilità di esplicare le sue fondamentali esigenze di movimento, di gioco, di lavoro, di
studio, in forma individuale e di gruppo; in sostanza occorre che la famiglia si renda conto dell’autonomia
del fanciullo e carattere decisivo che ha per il suo sviluppo e fin dai primi mesi di vita, il fatto di non essere
subordinato alle esigenze di vita dei genitori” (art. 3 Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro). La
parte più significativa dell’art. 3 è proprio quella finale in cui si sottolinea “il fatto di non essere subordinato
alle esigenze di vita dei genitori”, che richiama quei genitori che si affannano a fare di tutto per i figli ma in
realtà rischiano di farlo solo per appagare se stessi.
“È una peculiarità tutta italiana il comprare qualsiasi cosa in funzione del figlio” (la sociologa
Marina D’Amato). Nell’art. 3 della Carta si ribadisce: “Nella casa, per realizzare i migliori rapporti umani,
occorre: preparare i genitori ad una responsabile azione educativa”. Ai bambini non è necessario comprare
qualsiasi cosa, quanto preparare un ambiente accogliente e soprattutto predisporsi ad accoglierli come
persone altre e non proprie, per non invischiarli in rapporti di dipendenza patologica da qualcuno o qualcosa.
“I piccoli non hanno bisogno di animatori, di maghi, di cantanti, di torte a tre piani! I piccoli hanno
bisogno di divertirsi, di giocare, di fare festa “insieme”! Una bella merenda, in compagnia, a base di semplici
panini e pizzette, con sottofondo sussurrato, e le immancabili patatine fritte innaffiate dalle solite bibite con
bollicine (concesse a volontà, per l’occasione!) è la più simpatica festa di compleanno, sognata dal bambino”
(il pedagogista Pino Pellegrino). “Nell’ambiente comunitario devono essere approntati appositi parchigioco, liberi e gratuiti, con convenienti attrezzature e a ragionevole distanza dalle abitazioni, difesi dai
pericoli del traffico e della vita intensa, ove i fanciulli possano svolgere libere attività ludiche, culturali,
ricreative e sportive, con l’assistenza di personale appositamente preparato e con l’eventuale partecipazione
dei genitori e degli adulti” (art. 5 Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro).
“Il diritto a un gioco più “libero” non è cosa da poco, ma un altro piccolo scalino va superato. Il
gioco, non dimentichiamolo, non è terapia finalizzata al miglioramento delle qualità fisiche o mentali, e non
è neppure un ausilio mirato a facilitare l’apprendimento o la riduzione del deficit. Il gioco è fatto per essere
giocato cioè per divertire. Il che significa libertà, comunicazione e sfogo creativo, oltre che un’importante
occasione per fare gruppo e crescere insieme. In quest’ottica aumentare la coscienza di sé e del proprio corpo
diventa non l’obiettivo, ma una naturale conseguenza. Una differenza non trascurabile”: così si è espresso
Claudio Imprudente, giornalista e scrittore “con disabilità”, sul gioco dei bambini “con disabilità”. Il gioco,
proprio perché tale, deve essere “libero da e di” non solo per i bambini “disabili”, ma per tutti i bambini per
consentire loro di essere se stessi, di liberarsi di ogni inibizione o impedimento.
Nella Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro si parla nell’art. 1 di libero sviluppo della
personalità (libertà di essere), nell’art. 5 di liberi spazi (libertà di esserci) e di libere attività (libertà di fare) e,
inoltre, nell’art. 3 si precisa che il fanciullo non deve essere subordinato alle esigenze di vita dei genitori.
Bando, pertanto, a videogiochi, ludoteche o animatori (o, perlomeno, bando all’eccesso). Il gioco è libertà e
educazione alla libertà. “Per attuare i cambiamenti che ridiano effettivo spazio al gioco libero è necessario
che gli adulti cambino prospettiva; cioè devono mettere in primo piano i bambini, i ragazzi come sono e non
come pensano che siano” (la psicologa Rossella Semplici).
“Basta con i vizi ai figli! Se la cavino da soli!” (il sociologo Francesco Alberoni). “È dovere
perseguire una politica di servizi socio educativi volta a promuovere e a potenziare la vita di relazione del
fanciullo” (art. 7 Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro). È dovere di tutta la comunità dare
sostegno alla genitorialità affinché i figli imparino a “saper stare al mondo”. E questo avviene nella vita di
relazione. Così i figli imparano a cavarsela da soli nel presente andando incontro al futuro col bagaglio delle
giuste competenze socio-affettivo-relazionali. È l’unica volta in cui si parli in un atto normativo di “vita di
relazione del fanciullo”, aspetto spesso trascurato - a cominciare dall’ambiente familiare - a causa del quale
si può andare incontro poi a fenomeni quali il bullismo, la depressione infantile e disturbi del comportamento
alimentare.
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Nell’art. 7 della Carta si dice di promuovere e potenziare la vita di relazione del fanciullo:
l’educazione relazionale, pertanto, è volta a far andare oltre la connaturale socialità (“socio”
etimologicamente è colui che segue, che accompagna), a coltivare la potenziale relazionalità e a far cogliere
l’essere come l’altro, l’essere legato alle sorti dell’altro, proprio come nel gioco. Vita di relazione fatta di
regole, riconoscimento, rispetto, reciprocità, responsabilità, ruoli. Per questo ci si può servire di momenti
ludici e ludiformi per veicolare concetti come cooperazione, solidarietà, condivisione, consapevolezza. Per
esempio per educare alla condivisione si può approfittare di un pranzo con tutta la famiglia. I genitori
diranno ai figli che hanno bisogno di loro per servire a tavola. È importante che ci siano cibi «numerabili»,
come polpette, crespelle, fette di carne e porzioni di torta. Poco prima di cominciare a mangiare, mamma o
papà si accorgono di aver fatto male i conti e di aver cucinato meno porzioni rispetto agli invitati e
chiederanno ai bambini di trovare una soluzione equa per tutti su come dividere il cibo tra i presenti (come
proposto nel libro “Fiabe e denaro”).
“Rimettiamo i bambini a sparecchiare, ad essere d’aiuto in casa!” (Angela Crivelli, già presidente
dell’Associazione Italiana Genitori). Educare in maniera ludica al lavoro, perché è educare alla vita. “Questi
principi ed orientamenti costituiscono l’essenza della funzione educativa che la Costituzione repubblicana
affida agli appositi organi dello Stato o alla società italiana” (art. 8 Carta dei diritti del fanciullo al gioco e
al lavoro). Significativa la locuzione “funzione educativa” che a livello normativo ha riconosciuto la grande
valenza del gioco quasi anticipando quanto previsto nella legge 8 novembre 2012 n. 189: “Il Ministero
dell’istruzione, dell’università e della ricerca segnala agli istituti di istruzione primaria e secondaria la
valenza educativa del tema del gioco responsabile affinché gli istituti, nell’ambito della propria autonomia,
possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco e i
potenziali rischi connessi all’abuso o all’errata percezione del medesimo”. Valorizzando la funzione
educativa del gioco si preverrebbero anche la ludopatia e i suoi costi economici e sociali.
Facendo un connubio della personalità sacra del fanciullo (art. 1), della vita di relazione del fanciullo
(art. 7) e della funzione educativa di ogni azione e relazione si eviterebbero l’incuria (cure insufficienti), la
discuria (cure distorte) e l’ipercura (cure eccessive) ed ogni luogo diverrebbe “città dei bambini” e si avrebbe
un mondo più a misura di bambino.
“Un fatto che si riscontra costantemente quando i bambini cominciano a interessarsi al lavoro e
svolgere se stessi, è la vivace gioia a cui sembrano in preda” (Maria Montessori, L’autoeducazione nelle
scuole elementari).
Margherita Marzario
altalex
15 maggio 2014
www.altalex.com/index.php?idnot=67492
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NON PROFIT
Terzo settore: le linee guida in vista della riforma.
Aperta la consultazione dal 13 maggio al 13 giugno 2014.
Esiste un’Italia generosa e laboriosa che tutti i giorni opera silenziosamente per migliorare la qualità
della vita delle persone. E’ l’Italia del volontariato, della cooperazione sociale, dell’associazionismo noprofit, delle fondazioni e delle imprese sociali. Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo.
Un settore che si colloca tra lo Stato e il mercato, tra la finanza e l’etica, tra l’impresa e la
cooperazione, tra l’economia e l’ecologia, che dà forma e sostanza ai principi costituzionali della solidarietà
e della sussidiarietà. E che alimenta quei beni relazionali che, soprattutto nei momenti di crisi, sostengono la
coesione sociale e contrastano le tendenze verso la frammentazione e disgregazione del senso di
appartenenza alla comunità nazionale.
E’ a questo variegato universo, capace di tessere e riannodare i fili lacerati del tessuto sociale,
alimentando il capitale più prezioso di cui dispone il Paese, ossia il capitale umano e civico, che il Governo
intende rivolgersi formulando, dopo un dibattito che si trascina ormai da troppi anni, le linee guida per una
revisione organica della legislazione riguardante il Terzo settore.
Anche in questo caso, vogliamo fare sul serio. Per realizzare il cambiamento economico, sociale,
culturale, istituzionale di cui il Paese ha bisogno è necessario che tutte le diverse componenti della società
italiana convergano in un grande sforzo comune. Il mondo del terzo settore può fornire un contributo
determinante a questa impresa, per la sua capacità di essere motore di partecipazione e di autorganizzazione
dei cittadini, coinvolgere le persone, costruire legami sociali, mettere in rete risorse e competenze,
sperimentare soluzioni innovative.
Noi crediamo che profit e non profit possano oggi declinarsi in modo nuovo e complementare per
rafforzare i diritti di cittadinanza attraverso la costruzione di reti solidali nelle quali lo Stato, le Regioni e i
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Comuni e le diverse associazioni e organizzazioni del terzo settore collaborino in modo sistematico per
elevare i livelli di protezione sociale, combattere le vecchie e nuove forme di esclusione e consentire a tutti i
cittadini di sviluppare le proprie potenzialità.
1. Tra gli obiettivi principali vi è quello di costruire un nuovo Welfare partecipativo, fondato su una
governance sociale allargata alla partecipazione dei singoli, dei corpi intermedi e del terzo settore al
processo decisionale e attuativo delle politiche sociali, al fine di ammodernare le modalità di
organizzazione ed erogazione dei servizi del welfare, rimuovere le sperequazioni e ricomporre il
rapporto tra Stato e cittadini, tra pubblico e privato, secondo principi di equità, efficienza e
solidarietà sociale.
2. Un secondo obiettivo è valorizzare lo straordinario potenziale di crescita e occupazione insito
nell’economia sociale e nelle attività svolte dal terso settore, che a ben vedere è l'unico comparto che
negli anni della crisi ha continuato a crescere, pur mantenendosi ancora largamente al di sotto, dal
punto di vista dimensionale, rispetto alle altre esperienze internazionali. Esiste dunque un tesoro
inestimabile, ancora non del tutto esplorato, di risorse umane, finanziarie e relazionali presenti nei
tessuti comunitari delle realtà territoriali che un serio riordino del quadro regolatorio e di sostegno
può liberare in tempi brevi a beneficio di tutta la collettività, per rispondere ai nuovi bisogni del
secondo welfare e generare nuove opportunità di lavoro e di crescita professionale.
3. Il terzo obiettivo della riforma è di premiare in modo sistematico con adeguati incentivi e strumenti
di sostegno tutti i comportamenti donativi o comunque prosociali dei cittadini e delle imprese,
finalizzati a generare coesione e responsabilità sociale.
Su tutte queste proposte, il Governo vuole conoscere le opinioni di chi con altruismo opera tutti
giorni nel Terzo settore, così come di tutti gli stakeholder e i cittadini sostenitori o utenti finali degli
enti del no-profit.
Per inviare le proposte e i suggerimenti, è possibile scrivere all'indirizzo
[email protected]
La consultazione sarà aperta dal 13 maggio al 13 giugno 2014. Nelle due settimane successive il
Governo predisporrà il disegno di legge delega che sarà approvato dal Consiglio dei Ministri il giorno 27
giugno 2014.
Ministero del lavoro e delle politiche sociali
13 maggio 2014
www.lavoro.gov.it/ProgettiAzioni/TerzoSettore/Pages/default.aspx
Per realizzare questi obiettivi, le nostre linee guida sono le seguenti:
• Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio. Per superare le
vecchie dicotomie tra pubblico/ privato e Stato/mercato e passare da un ordine civile bipolare a un
assetto “tripolare”, dobbiamo definire in modo compiuto e riconoscere i soggetti privati sotto il
profilo della veste giuridica, ma pubblici per le finalità di utilità e promozione sociale che
perseguono. Abbiamo inoltre bisogno di delimitare in modo più chiaro l’identità, non solo giuridica,
del terzo settore, specificando meglio i confini tra volontariato e cooperazione sociale, tra
associazionismo di promozione sociale e impresa sociale, meglio inquadrando la miriade di soggetti
assai diversi fra loro che nel loro insieme rappresentano il prodotto della libera iniziativa dei cittadini
associati per perseguire il bene comune. Occorre però anche sgomberare il campo da una visione
idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che anche in questo ambito agiscono soggetti
non sempre trasparenti che talvolta usufruiscono di benefici o attuano forme di concorrenza
utilizzando spregiudicatamente la forma associativa per aggirare obblighi di legge.
• Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale. L’azione diretta dei pubblici poteri e
la proliferazione di enti e organismi pubblici operanti nel sociale si e` rivelata spesso costosa e
inefficiente. Nel sistema di governo multilivello che caratterizza il nostro paese l’autonoma iniziativa
dei cittadini per realizzare concretamente la tutela dei diritti civili e sociali garantita dalla
Costituzione deve essere quanto più possibile valorizzata. In un quadro di vincoli di bilancio, dinanzi
alle crescenti domande di protezione sociale abbiamo bisogno di adottare nuovi modelli di assistenza
in cui l’azione pubblica possa essere affiancata in modo più incisivo dai soggetti operanti nel privato
solidale. Pubblica amministrazione e Terzo settore devono essere le due gambe su cui fondare una
nuova welfare society.
• Far decollare davvero l’impresa sociale, per arricchire il panorama delle istituzioni economiche e
sociali del nostro paese dimostrando che capitalismo e solidarietà possono abbracciarsi in modo
nuovo attraverso l’affermazione di uno spazio imprenditoriale non residuale per le organizzazioni
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private che, senza scopo di lucro, producono e scambiano in via continuativa beni e servizi per
realizzare obiettivi di interesse generale.
• Assicurare una leva di giovani per la “difesa della Patria” accanto al servizio militare: un Servizio
Civile Nazionale universale, come opportunità di servizio alla comunità e primo approccio
all'inserimento professionale, aperto ai giovani dai 18 ai 29 anni che desiderino confrontarsi con
l’impegno civile, per la formazione di una coscienza pubblica e civica.
• Dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo
settore, assicurando la trasparenza, eliminando contraddizioni e ambiguità e fugando i rischi di
elusione.
Ciascuna di queste linee guida richiede interventi concreti. Ne indichiamo alcuni, su cui il Governo
intende ascoltare la voce dei protagonisti prima di intervenire con l’adozione di un disegno di legge delega
da attuare in tempi brevi per un complessivo riordino del terzo settore.
I punti su cui vogliamo lavorare.
estratto
passim
Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio:
1) riformare il Libro I Titolo II del Codice Civile, anche alla luce dell'articolo 118 della Costituzione,
introducendo o rivisitando le norme in materia di:
costituzione degli enti e valorizzazione della loro autonomia statutaria con specifico riguardo a quelli
privi di personalità giuridica;
requisiti sostanziali degli enti non profit ed eventuali limitazioni di attività;
struttura di governance, affermando pienamente il principio democratico e partecipativo negli organi
sociali;
responsabilità degli organi di governo e obblighi di trasparenza e di comunicazione economica e
sociale rivolti all’esterno;
semplificazione e snellimento delle procedure per il riconoscimento della personalità giuridica,
anche attraverso la digitalizzazione telematica delle pratiche;
diversificazione dei modelli organizzativi in ragione della dimensione economica dell’attività svolta,
dell’utilizzazione prevalente o comunque rilevante di risorse pubbliche e del coinvolgimento della
fede pubblica;
criteri per la gestione economica degli enti non profit;
forme di controllo e accertamento dell’autenticità sostanziale dell’attività realizzata;
regime di contabilità separata tra attività istituzionale e imprenditoriale;
codificazione dell’impresa sociale.
2) aggiornamento della legge 266/91 sul Volontariato, sulla base dei seguenti criteri:
formazione alla cittadinanza del volontariato nella scuola;
riconoscimento delle reti di volontariato di secondo livello;
revisione del sistema degli albi regionali e istituzione del registro nazionale;
ridefinizione dei compiti e delle modalità di funzionamento dell’Osservatorio nazionale;
riduzione degli adempimenti burocratici e introduzione di modalità adeguate e unitarie di
rendicontazione economica e sociale;
introduzione di criteri più trasparenti nel sistema di affidamento in convenzione dei servizi al
volontariato;
promozione e riorganizzazione del sistema dei centri di servizio quali strumenti di sostegno e
supporto alle associazioni di volontariato;
3) revisione della legge 383/2000 sulle Associazioni di promozione sociale al fine di: (…)
4) istituzione di un’Authority del Terzo settore;
5) coordinamento tra la disciplina civilistica, le singole leggi speciali e la disciplina fiscale, con la redazione
di un Testo unico del terzo settore;
6) aggiornamento della legge 328/2000 con riferimento alla programmazione e gestione dei servizi sociali ai
fini della definizione di nuovi criteri e moduli operativi per assicurare la collaborazione degli enti no profit
alla programmazione e non solo dell’esecuzione delle politiche pubbliche a livello territoriale;
7) revisione dei requisiti per l’autorizzazione/accreditamento delle strutture e dei servizi sociali e delle
procedure di affidamento per l’erogazione dei servizi sociali da parte degli enti locali ad organizzazioni del
terzo settore;
8) introduzione di incentivi per la libera scelta dell’utente a favore delle imprese sociali mediante deduzioni
o detrazioni fiscali oppure mediante voucher;
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9) superamento della qualifica opzionale di impresa sociale, rendendo non facoltativa, ma obbligatoria
l’assunzione dello status di impresa sociale per tutte le organizzazioni che ne abbiano le caratteristiche;
10) ampliamento delle “materie di particolare rilievo sociale” che definiscono l’attività di impresa sociale;
11) ampliamento delle categorie di lavoratori svantaggiati;
12) previsione di forme limitate di remunerazione del capitale sociale;
13) riconoscimento delle cooperative sociali come imprese sociali di diritto senza necessità di modifiche
statutarie e semplificazione delle modalità di formazione e presentazione del bilancio sociale, pur
mantenendone l’obbligatorietà;
14) armonizzazione delle agevolazioni e dei benefici di legge riconosciuti alle diverse forme del non profit;
15) promuovere il Fondo per le imprese sociali e sostenere la rete di finanza etica;
16) Assicurare una leva di giovani per la “difesa della Patria” accanto al servizio militare: il Servizio civile
nazionale universale, da disciplinare sulla base dei seguenti criteri: (…)
22) Dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore,
attraverso il riordino e l’armonizzazione delle diverse forme di fiscalità di vantaggio per gli enti del terzo
settore, con riferimento ai regimi sia delle imposte dirette che indirette, anche al fine di meglio chiarire la
controversa accezione di “modalità non commerciale”;
23) il potenziamento del 5 per mille, prevedendo: (…)
13 maggio 2014
www.lavoro.gov.it/Notizie/Documents/Linee_Guida_Riforma_Terzo_Settore.pdf
http://www.nonprofitonline.it/detail.asp?c=1&p=0&id=3593
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PARLAMENTO
Camera Deputati 2° Comm. Giustizia
Divorzio breve
sede referente
Esame delle proposte di legge C. 831 Amici, C. 892 Centemero, C. 1053 Moretti, C. 1288
Bonafede, C. 1938 Di Lello e C. 2200 Di Salvo, recanti modifiche all’articolo 3 della legge 1o dicembre
1970, n. 898, in materia di presupposti per la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili
del matrimonio.
14 maggio 2014. La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti, rinviato nella seduta
del 29 aprile 2014.
Donatella Ferranti, presidente, ricorda che il provvedimento è iscritto nel calendario dei lavori
dell'Assemblea a partire dal 26 maggio prossimo e avverte che sullo stesso sono stati presentati emendamenti
ed articoli aggiuntivi. (…). Inoltre avverte che il testo del provvedimento, come modificato dagli
emendamenti approvati, sarà trasmesso alla Commissione Affari costituzionali per l'espressione del parere di
competenza.
www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2014&mese=05&giorno=14&view=&commissione=02&pagin
a=data.20140514.com02.bollettino.sede00010.tit00020#data.20140514.com02.bollettino.sede00010.tit00
020
15 maggio 2014. La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti, rinviato nella seduta
del 14 maggio 2014.
Donatella Ferranti, presidente, avverte che la I Commissione ha espresso sul provvedimento un parere
favorevole con due osservazioni.
Con la prima osservazione si chiede che la Commissione di merito, all'articolo 1, comma 1, lettera
a), valuti l'opportunità di precisare meglio la portata dell'inciso «purché nel caso di separazione giudiziale
l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata la notificazione
al convenuto» nel senso di eliminarlo o di adottare una formula che superi possibili incertezze interpretative.
Con la seconda osservazione si chiede che la Commissione di merito valuti l'opportunità di precisare,
all'articolo 1, comma 1, lettera b), il termine iniziale di decorrenza dei sei mesi nel caso di separazione
consensuale dei coniugi.
Ritiene che entrambe le osservazioni siano condivisibili e offrano un positivo contributo al miglioramento
del testo. (…) La Commissione, con distinte votazioni, approva i relativi emendamenti.
(…) Donatella Ferranti, presidente, si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla
base delle indicazioni dei gruppi.
www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2014&mese=05&giorno=15&view=&commissione=02&pagin
a=data.20140515.com02.bollettino.sede00030.tit00030#data.20140515.com02.bollettino.sede00030.tit00
030
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testo unificato a pag. 6 di
http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0021340.pdf
Per dirsi addio potranno essere sufficienti anche soli sei mesi: dalla Camera è arrivato il primo sì al
divorzio breve, dopo che la Commissione Giustizia della Camera, presieduta da Donatella Ferranti, ha
terminato l'esame degli emendamenti al testo base in materia di presupposti per la domanda di scioglimento
o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che riduce il tempo della separazione da tre anni a 12 mesi,
in caso di contenzioso. In caso di separazione consensuale i tempi si riducono ulteriormente a 6 mesi.
A differenza da quanto previsto dal testo originario, il decorrere del tempo non parte dal deposito
degli atti, ma dalla notifica. Ai fini della riduzione del termine non si tiene inoltre conto della presenza o
meno di figli minori.
A votare a favore sono stati Pd, M5s, Sel e il co-relatore di Forza Italia, Luca D'Alessandro. Gli
altri esponenti Fi erano assenti. Ncd ha votato contro. Alla seduta non erano presenti i deputati di Scelta
Civica, Popolari per l'Italia e Lega. Per il governo era presente il sottosegretario alla Giustizia, Enrico Costa,
che si è rimesso alla commissione nel dare i pareri.
Le novità. Oltre alla riduzione dei tempi, il testo licenziato per l'Aula contiene altri due articoli: il
secondo prevede che la comunione dei beni si scioglierà nel momento in cui il magistrato autorizza i coniugi
a vivere separati; il terzo (approvato su proposta Pd come articolo aggiuntivo) introduce una disciplina
transitoria che garantisce l'immediata operatività della legge anche nel caso il procedimento di separazione
risulti pendente all'entrata in vigore della nuove norme.
Il testo sarà in Aula il 26 maggio. L'ultima formalità che rimane da adempiere in commissione è il
mandato ai relatori (D'Alessandro di Fi e Alessandra Moretti del Pd) che probabilmente avverrà domani.
Le reazioni. "Il via libera della commissione Giustizia al cosiddetto divorzio breve è una buona
notizia nell'ottica di rendere più snelle le procedure legali e di ridurre i contenziosi", è stato il commento di
Walter Verini, capogruppo Pd nella commissione Giustizia di Montecitorio. "Sono soddisfatto per il via
libera a grande maggioranza in commissione Giustizia alla Camera del ddl sul divorzio breve perché sono
stati accolti numerosi emendamenti del Movimento 5 stelle, con me primo firmatario", ha rivendicato il
deputato 5 stelle Alfonso Bonafede .
repubblica.it
14 maggio 2014
www.repubblica.it/politica/2014/05/14/news/divorzio_breve_primo_s_alla_camera_per_dirsi_addio_ba
stano_anche_6_mesi-86138901
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SINODO DEI VESCOVI
Il card. Scherer: Sinodo sulla famiglia per ridare speranza.
Si è svolto nei giorni scorsi il Consiglio ordinario del Sinodo dei Vescovi in vista dell’assemblea
sinodale che si svolgerà in ottobre sul tema della famiglia. Al centro dei lavori, l’esame della bozza
dell’Instrumentum laboris e del questionario inviato dalle Conferenze episcopali. Era presente anche il
cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo metropolita di San Paolo.
R. – Noi abbiamo esaminato il materiale che è stato raccolto a seguito delle risposte date dalle
Conferenze episcopali e da altri organismi della Chiesa alle domande rivolte sulle diverse questioni
riguardanti la famiglia e il matrimonio. Questioni difficili, problematiche. Devo dire che c’è stata grande
risposta da ogni parte del mondo: più dell’80 per cento delle Conferenze episcopali hanno risposto. E questo
è molto significativo e molto importante. Adesso si inizia l’ultima parte della stesura dell’Instrumentum
laboris, che presto dovrà essere stampato e quindi inviato alle Conferenze episcopali, così che i presidenti e
le altre persone che saranno invitati dal Papa a partecipare all’Assemblea del Sinodo si possano preparare al
meglio per partecipare all’Assemblea in ottobre. Siamo a buon punto, il materiale è abbondante, è
interessante e affronta ampiamente la problematica riguardante la famiglia, il matrimonio, sotto vari aspetti.
Io credo che il Sinodo straordinario sarà molto interessante, molto ricco e dovrà cercare di rispondere
– come ha chiesto il Papa – al tema dell’evangelizzazione di fronte a queste situazioni problematiche della
famiglia e del matrimonio. Quindi, cosa facciamo? Come dobbiamo evangelizzare? Come annunciare la
Buona Novella alle famiglie che vivono situazioni varie, difficili, diciamo fuori dalle norme della Chiesa?
D. – C’è una grande aspettativa anche sul tema delle seconde unioni.
R. – Certo, questa è una delle questioni: cosa fare? Dire che queste persone non hanno più niente a
che fare con la Chiesa, che la Chiesa non ha più niente per loro? No! Sicuramente non può essere questo
l’atteggiamento della Chiesa! La Chiesa deve, in qualche modo, sì affermare e confermare la Parola di Gesù
sempre e di nuovo, non può rinnegare la Parola di Gesù, ma deve anche andare incontro alle situazioni
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storiche, concrete, per dare speranza e mostrare la via della misericordia, la via della vita cristiana, anche se
con certi limiti che possono esserci.
Intervista di Silvonei Protz
Bollettino radiogiornale radio vaticana 17 maggio 2014
http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
Belgio. Questionario sulla famiglia: risposte.
estratti
passim
«La crescente distanza fra la famiglia in tutte le sue forme come la conosciamo oggi e
l’insegnamento della Chiesa su matrimonio e famiglia rappresenta, secondo l’inchiesta, la principale
preoccupazione»: questa la sintesi delle risposte pervenute in Belgio al questionario allegato al Documento
preparatorio della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà dal 15 al 19
ottobre su «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione».
D’altro lato, afferma il Rapporto di sintesi della Conferenza episcopale del Belgio sul questionario in
vista del Sinodo 2014, pubblicato il 19 febbraio, si chiede «alla Chiesa di ridurre una serie di tensioni fra fede
e famiglia, come pure di sostenere quest’ultima affinché possa dar fronte alle evoluzioni sociali inconciliabili
con una visione cristiana della famiglia».
A. Quadro generale. In preparazione al Sinodo, e invece dei consueti Lineamenta (prime linee
tematiche) da sottoporre ai vescovi, le istanze romane hanno fatto pervenire a tutte le conferenze episcopali
un dettagliato questionario in vista di una consultazione di tutto il popolo di Dio. Tale questionario,
composto di nove domande tematiche con relative sotto-domande per un totale di 39 domande aperte, è stato
diffuso il più largamente possibile nella Chiesa del Belgio.
www.ucipem.it/sito/attach/00359.pdf
pag. 18 news 467-10 novembre 2013
Sono state ricevute in totale 1.589 risposte provenienti sia da singoli individui, sia da gruppi o da
esperti. Lo stile delle risposte varia da brevi riflessioni su alcune delle domande solamente, a dettagliate
considerazioni di dozzine di pagine. Le risposte sono state elaborate dagli uffici della Conferenza episcopale
in un rapporto di sintesi che sarà inviato a Roma. Il procedimento è stato riordinato da cinque teologi legati
alla Katholieke Universiteit Leuven e all’Université Catholique de Louvain. Le risposte rappresentano più di
3.000 persone che hanno partecipato al sondaggio. Colpisce constatare che le risposte francofone sono la
maggioranza (70%).
(…) È emersa una difficoltà relativa a diverse domande, che facevano riferimento a conoscenze e
competenze più che chiedere un parere. Tanti partecipanti hanno reagito molto positivamente
all’organizzazione del sondaggio, ma hanno espresso critiche quanto allo stile e alla formulazione delle
domande. In relazione al risultato a cui mirava questa consultazione del popolo di Dio, si può affermare che
questa nuova iniziativa ci farà senza dubbio crescere.
B. Alcune linee generali che emergono dal rapporto. Papa Francesco ha preso l’iniziativa di
organizzare rapidamente due Sinodi su «La famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione». Egli si
preoccupa che la fede porti l’amore e l’amicizia liberante di Dio nella vita reale e quotidiana di ognuno.
Dunque l’evangelizzazione non può che iniziare dalla famiglia reale, primo luogo di vita e punto di partenza
della partecipazione alla società.
La crescente distanza fra la famiglia in tutte le sue forme come la conosciamo oggi e l’insegnamento
della Chiesa su matrimonio e famiglia rappresenta, secondo l’inchiesta, la principale preoccupazione dei
partecipanti. Relazioni troppo tese fra fede e famiglia complicano pericolosamente la confessione di fede
nella vita quotidiana. I partecipanti chiedono dunque che la Chiesa faccia meglio coincidere il proprio
insegnamento, e più spesso l’interpretazione pastorale che ne deriva, con la realtà vissuta. Allo stesso tempo
essi segnalano di non essere d’accordo, in quanto cristiani, con diverse evoluzioni nella società belga, esse
pure all’origine di tali relazioni tese. Viene dunque chiesto alla Chiesa di ridurre una serie di tensioni fra fede
e famiglia, come pure di sostenere quest’ultima affinché possa fare fronte alle evoluzioni sociali
inconciliabili con una visione cristiana della famiglia.
Questa duplice prospettiva è senz’altro l’argomento principale che emerge da questo rapporto.
Accanto a ciò si possono discernere alcune altre tendenze generali.
• I partecipanti dichiarano di non conoscere bene la dottrina ecclesiale sul matrimonio e la famiglia,
ma di essere interessati a una formazione in questa materia.
• Sui diversi temi si manifesta fra i partecipanti una varietà di posizioni con una chiara dominante: il
desiderio di ripensare tutta una serie di argomenti. Generalmente le differenze non dimostrano
contraddizioni radicali: la maggioranza adotta una posizione moderata. Accanto ad autentiche
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divergenze d’opinioni, si riscontrano anche posizioni di reale adesione alla visione fondamentale del
matrimonio e della famiglia com’è proposta dall’autorità ecclesiale.
• È percepibile una tensione fra la difesa della dottrina e il dialogo con la cultura. Tale dialogo va
stabilito con un duplice obiettivo: da un lato comunicare l’insegnamento in modo chiaro e
pedagogico, dall’altro possedere l’apertura necessaria per adattare l’insegnamento attraverso il
dialogo con la cultura.
• La medesima tensione si manifesta fra quanto propone la Chiesa, come via per una vita più profonda
e per la felicità, e un atteggiamento di compassione nei confronti di coloro che se ne allontanano.
Talvolta viene qui sollevato l’interrogativo su quali cammini sono davvero fonte di vita. I
partecipanti affermano di vivere una crescente tensione fra quanto offre la Chiesa, cui sono attratti
anche per la propria personale convinzione cristiana, e il processo decisionale politico e le evoluzioni
sociali che si verificano in Belgio.
C. Principali risultati di fondo per domanda e per argomento
1. Sulla diffusione della sacra Scrittura e del magistero della Chiesa riguardante la famiglia. La
conoscenza dell’insegnamento della Chiesa è in prevalenza debole, soltanto alcune persone interessate ne
sono più al corrente. Alcuni affermano tuttavia che l’insegnamento può venire trasmesso indirettamente
tramite il vissuto in seno alla famiglia e alla società. Ma qui si incontra un punto d’inciampo.
La maggioranza non si trova d’accordo con il magistero su alcuni elementi della dottrina ecclesiale
riguardanti il matrimonio e la famiglia, ed è divenuto difficile se non impossibile vivere tale insegnamento in
seno alla famiglia e difenderlo nella società. Questi elementi sono noti: la contraccezione cosiddetta
artificiale, la posizione dei divorziati risposati, la condanna degli atti omosessuali, la sessualità al di fuori del
matrimonio nelle varie circostanze.
Le risposte affrontano diffusamente questo argomento e motivano principalmente in tre modi la
difficoltà in relazione all’insegnamento della Chiesa.
1. In primo luogo: alcune posizioni ecclesiali sono condannate da diversi partecipanti in quanto
contrarie allo spirito del Vangelo.
2. In secondo luogo si considera l’insegnamento sorpassato, staccato dalla realtà, testimonianza di
un’incomprensione della famiglia contemporanea, e ci s’interroga sulla competenza della Chiesa su
questioni mediche complesse.
3. In terzo luogo si indica che ciò che è forse un ideale si mostra inaccessibile in ragione delle tendenze
sociali, il che complica terribilmente il «vivere da cristiani» nella nostra società.
Tuttavia i partecipanti ritengono che occorra proteggere la famiglia e il matrimonio e che questa
protezione sia un compito profetico per la Chiesa. Una minoranza si dice favorevole all’insegnamento
della Chiesa nella sua integralità, e insiste particolarmente sulla necessità di crescere nella fede e nella
grazia per imparare a vivere questo insegnamento.
2. Sul matrimonio «secondo la legge naturale». Questa espressione significa per la Chiesa il matrimonio
come realtà all’inizio della creazione e dell’instaurazione della natura umana e dunque non nel senso del
matrimonio religioso. L’espressione «legge naturale» suscita numerose reazioni presso i partecipanti: essa è
quasi ridicolizzata nella società e anche per i cristiani è problematico il quadro statico, restrittivo per la
libertà umana, che essi comprendono sotto questa locuzione. Distaccato da ciò che si deve intendere per
legge naturale, il significato del matrimonio non appare chiaro per la ragione, come anche le forme di
relazione alternative che hanno diritto di esistere. L’esperienza concreta del matrimonio e della famiglia che
la gente vede attorno a sé, spesso fra i propri cari, fa esitare davanti a concetti teorici o a ideali difficilmente
raggiungibili.
E i dubbi sul matrimonio «secondo la legge naturale » si traducono in una posizione incerta nella
predicazione, nell’approfondimento e nella formazione…anche presso i cristiani. Alcuni chiedono quindi alla
Chiesa di stabilire una distinzione più chiara fra il matrimonio come lo comprende la Chiesa e le diverse
forme di vita comune che la società raggruppa ora sotto il termine di «matrimonio e forme assimiliate». Nel
quadro della preparazione al matrimonio religioso, ai non praticanti che domandano il matrimonio alla
Chiesa si richiede un percorso più lungo in vista del sacramento. Al contempo si riscontra nel nostro paese
che i non praticanti che desiderano il matrimonio si rivolgono sempre meno alla Chiesa.
3. La pastorale della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Il cammino di preparazione al
matrimonio sembra essere divenuto più importante nella misura in cui il matrimonio religioso si è fatto meno
consueto e si è allargata la distanza fra le persone sposate e la comunità dei credenti. La pastorale del
matrimonio è oggi di qualità diseguale secondo i partecipanti, ed è anche messa in pericolo dalla
diminuzione di quanti s’impegnano nella comunità ecclesiale. (…)
19
4. Sulla pastorale per far fronte ad alcune situazioni matrimoniali difficili.
(…) I partecipanti rilevano innanzitutto che nella nostra società tali situazioni non sono considerate
difficili: queste categorie di persone appartengono alla composizione «normale» della comunità.
Nel caso dei conviventi, si raccomanda un’accettazione e un rispetto per ciò che può apparire come
un «matrimonio in divenire». Al tempo stesso si sottolinea il valore del matrimonio come completamento di
una tale relazione.
Vengono qui citati tre gruppi di conviventi la cui relazione non è formalizzata:
a. i giovani con una prospettiva di futuro incerto in tanti campi,
b. le persone ferite dalla vita e che esitano a impegnarsi,
c. persone anziane che per diverse ragioni non desiderano un impegno totale.
Per queste categorie i partecipanti suggeriscono la tolleranza, l’ospitalità e la proposta di un cammino
con Dio.
Per quanto riguarda i divorziati, risposati o meno, i partecipanti fanno innanzitutto rilevare l’imponenza
numerica di questo gruppo, di cui occorre tenere conto nella nostra società. Il divorzio non è una situazione
eccezionale e deve essere integrato nella maniera in cui la Chiesa si rivolge al matrimonio e alla famiglia: va
considerata una condizione che ne fa totalmente parte.
Vengono avanzate diverse proposte riguardo all’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, ma viene
anche domandato che la Chiesa non si focalizzi unilateralmente su questo problema. La maggioranza chiede
che la Chiesa cessi di fare differenze con le coppie «normali». Lungo il cammino si possono avere fallimenti
e incidenti. La seconda relazione deve beneficiare di occasioni ottimali anche per accostarsi ai sacramenti. Si
cita l’approccio a queste situazioni adottato dalle Chiese ortodosse (che conoscono la possibilità di un
secondo matrimonio non sacramentale dopo un divorzio). Si può affermare che per la dottrina ecclesiale la
riforma più richiesta dai partecipanti è quella che riguarda la comunione ai divorziati risposati (e anche
quella sulla contraccezione – vedi sotto la domanda 7). Segnalano che il termine «situazione matrimoniale
irregolare» appare offensivo e testimonia una certa arroganza.
Molti dei divorziati, risposati o meno, non danno alla propria situazione di vita lo stesso significato che
le dà la Chiesa, in quanto non ne hanno consapevolezza oppure lo rifiutano. Spesso, quando ancora
conservano una relazione con la fede e la Chiesa, si trovano nel dilemma fra l’abbandono della felicità
nuovamente conquistata oppure quello del legame con la Chiesa.
Nelle risposte risalta l’incomprensione al riguardo, ma anche la collera e l’amarezza. Si ritiene che la
normativa della Chiesa su questo punto sia contraria al Vangelo.
Il processo di dichiarazione di nullità di un matrimonio, anche eventualmente semplificato, può
difficilmente rimediarvi. Un certo numero di partecipanti domanda che la Chiesa riconosca una forma di
«morte psicologica» del matrimonio accanto alla nullità del matrimonio e consideri una seconda benedizione
religiosa del matrimonio. Tuttavia l’accompagnamento e l’accoglienza già offerti localmente dalla Chiesa ai
divorziati sono tenuti in alta considerazione. Anche qui viene operata una distinzione fra le «comunità
locali» e la «gerarchia».
5. Sulle unioni di persone dello stesso sesso. I partecipanti fanno riferimento alla legge belga che riconosce
il matrimonio omosessuale ma la valutano in modo critico. Una maggioranza chiede che la Chiesa riconosca
le relazioni omosessuali, anche con una forma giuridica più stabile e senza rifiuto morale. Ma è chiaro che
fra i partecipanti sussiste un dubbio su cosa s’intende con il termine matrimonio e sull’equiparazione di tali
relazioni con esso. Numerosi partecipanti chiedono alla Chiesa di non rinunciare a opporvisi.
L’atteggiamento pastorale della Chiesa nei confronti di queste persone deve ancora una volta essere
quello dell’ospitalità e del rispetto, dell’apertura, della benevolenza, talvolta della compassione, del dialogo.
Dobbiamo ricordare loro che sono amati da Dio, valorizzarne la fede e l’amore, non giudicarli e se
necessario educare il cuore della comunità ecclesiale a questa ottica. Alcuni partecipanti fanno riferimento in
questo senso a papa Francesco. Altri rifiutano gli atti omosessuali come tali ma chiedono anche rispetto per
un processo di crescita.
Quando delle coppie omosessuali hanno figli, viene chiesto unanimemente che non si faccia alcuna
differenza fra questi bambini e gli altri. I partecipanti ritengono che questo non sia un grosso problema nel
nostro paese. Sottolineano tuttavia una difficoltà per l’insegnamento religioso in seguito al conflitto fra la
situazione familiare e la visione della Chiesa su matrimonio e famiglia.
6. Sull’educazione dei figli in seno alle situazioni di matrimoni irregolari. Secondo le statistiche della
Commissione interdiocesana per la pastorale familiare, circa la metà dei bambini in Belgio è nata fuori del
matrimonio, mentre solo il 13% nasce al di fuori di un legame di convivenza stabile. Questo dato di nuovo fa
sì che molti dei partecipanti si oppongano al termine «irregolare».
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I genitori di tali famiglie che si rivolgono alla Chiesa lo fanno con gli stessi sentimenti degli altri
genitori. Molti chiedono i sacramenti come un rito di passaggio e sono meno consapevoli del loro significato
cristiano. La richiesta di un sacramento può offrire alla comunità ecclesiale un’eccellente occasione di
accompagnamento. (…)
7. Sull’apertura degli sposi alla vita. I partecipanti sottolineano che le posizioni dell’Humanae vitae
(1968) sulla paternità responsabile hanno fatto allontanare molte persone ora anziane dalla Chiesa, mentre
tanti giovani non hanno più alcuna conoscenza di quelle posizioni. Una vasta maggioranza prende atto del
fatto che la Chiesa si oppone alla contraccezione, che considera comunque oggi cosa normalissima, e ritiene
che i cristiani operino qui una scelta morale. Tanti si augurano che la Chiesa modifichi la propria visione al
riguardo e avanzano numerosi argomenti in proposito. Questi stessi partecipanti sono al contempo critici nei
confronti della banalizzazione della sessualità nella nostra società e della rilevante dissociazione fra vita
sessuale, costruzione di una relazione e procreazione.
La Chiesa secondo molti partecipanti non comprende a sufficienza ciò che avviene all’interno
della vita di una coppia e di una famiglia, anche cristiane, e le questioni che si pongono in relazione alla
paternità responsabile, all’amore e alla tenerezza. La fecondità non è soltanto un figlio. Viene messa in
questione la differenza fra metodi «naturali» e contraccezione artificiale, come pure le differenti valutazioni
morali a tale proposito. Oltre a rifiutare la visione della Chiesa, i partecipanti sentono anche una certa
indifferenza al riguardo: entrano qui in gioco la coscienza personale, la libertà e la responsabilità dei partner.
Inoltre la Chiesa nelle nostre zone ha tematizzato ancora poco questi argomenti.
Si fa anche riferimento alla generalizzazione della convivenza: in sede di preparazione al
matrimonio, si constata che la maggioranza delle coppie ha già fatto scelte in questo campo.
Altri partecipanti riconoscono tuttavia il diritto della Chiesa a illuminare le coscienze. Alcuni
chiedono che l’Humanae vitae sia piuttosto mantenuta come orizzonte o ideale. Il rifiuto dell’Humanae vitae
è principalmente motivato con le condizioni di vita della nostra cultura e della nostra epoca. Viene pure
evocata la prospettiva ecologica: qual è la capacità di accoglienza del nostro pianeta?
Anche la domanda «come favorire la crescita delle nascite» suscita reazioni negative presso
numerosi partecipanti: non è né competenza, né funzione della Chiesa fare aumentare il numero delle nascite,
passando sotto silenzio gli aspetti sociali, economici, politici e culturali della questione. Numerosi
partecipanti indicano al contempo che sarebbe necessario un cambiamento di mentalità nella società, così che
il figlio fosse il benvenuto e non venisse visto solamente come un carico, e per dare di nuovo valore alla vita
di famiglia e all’essere genitori. La società dovrebbe creare le condizioni per proteggere il funzionamento
della famiglia, piuttosto che complicarlo.
Viene inoltre notato che grandi parti dell’Humanae vitae sono recepite: la scelta di mettere al mondo
dei figli deve andare di pari passo con la possibilità di educarli; la fondamentale dignità di ogni vita. Ma
anzitutto si percepisce un fossato molto profondo fra la Chiesa e la società su questo tema e vengono criticate
entrambe le parti: la Chiesa per il rigore, la cultura per la quasi totale de-regolamentazione della vita
sessuale. Da parte di entrambe si richiede un riavvicinamento sui temi riguardanti il senso e il significato
della sessualità. Si osserva pure che sono troppo poche le voci equilibrate che osano esprimersi in seno alla
comunità ecclesiale, poiché all’interno della Chiesa questi sono temi delicati. (…)
8. Sul rapporto tra la famiglia e la persona. In questa sezione il questionario vuole valutare come la
famiglia aiuti una persona a conoscere se stessa e a trovare la propria vocazione, come pure gli ostacoli che
possono sopraggiungere. I partecipanti confermano a grande maggioranza che la famiglia è un luogo
privilegiato della rivelazione di Cristo, del mistero e della vocazione personale. Nella famiglia non solo tutto
questo si ascolta, ma s’impara anche a viverlo. La famiglia come comunità d’amore resta per i partecipanti la
cellula di base della società e della Chiesa. La famiglia come Chiesa domestica richiede un maggiore
sostegno da parte della Chiesa, della scuola, dei movimenti giovanili. (…)
9. Altre sfide e proposte in relazione ai temi del questionario. (…) Fra le proposte ritorna a più riprese
quella di riservare maggiore attenzione all’aspetto fisico nella crescita di una relazione; una migliore
collocazione della posizione ecclesiale all’interno delle diverse culture; la rinuncia a ogni volontà di potere in
seno alla Chiesa.
Secondo i partecipanti questa deve concentrarsi soprattutto sulla buona notizia, sulla persona di Gesù
e sull’incontro con lui più che sui temi morali. Su questa base essa potrà proporre dei valori fondamentali
senza tuttavia tradurli troppo in fretta in comandamenti e proibizioni. Viene richiesta alla Chiesa una grande
apertura nei confronti delle diverse famiglie di fatto.
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Altri grandi temi che ritornano sono il celibato obbligatorio per i preti e le loro condizioni di vita, il
posto della donna e dei laici nella Chiesa, l’importanza dell’impegno dei cristiani nella Chiesa e nella società
e il sostegno che va loro offerto.
Bruxelles, 5 febbraio 2014. Il Regno documenti n. 9
maggio 2014
www.ilregno.it/php/view_pdf.php?md5=087e6c6833b41b932c2e561c0423d92a
Tra Kasper e Müller non mettere il dito.
Un problema che ne abbraccia tanti altri: chi siamo noi per giudicare?
Pagine e pagine sui giornali a proposito di giustizia da una parte, e misericordia dall’altra. Così
almeno in apparenza. Pare che chi chiede rispetto della verità sia contro la misericordia, e chi chiede
misericordia sia contro la giustizia e la verità. Cardinali di qua, e cardinali di là. I giornali fanno a gara a
metterli in conflitto: in particolare ecco agitati pronti all’uso Kasper contro Müller su vari “fogli”, e magari
più o meno malintesi in un senso o nell’altro.
Il tutto in attesa dei due Sinodi, ancora lontani. Una “panca” sulla quale ci sarà da “campare” molto
per tanti che vedono il ring anche dove c’è semplicemente scambio di idee diverse, addirittura incoraggiato
da Francesco, che ha voluto una apertura piena, in passato inaudita e persino vietata, alle domande di tutti,
per preparare una risposta che valga per tutti, e rispetti sia giustizia che misericordia, ambedue essenza della
rivelazione di Dio in Gesù Cristo.
La Comunione ai divorziati risposati. Prendo come esempio il tema, che pare scottante, del
trattamento dei divorziati e risposati. Va detto con chiarezza che l’indissolubilità del vero matrimonio è
dottrina della Chiesa perché è parola inequivocabile di Gesù. Su questo punto di dottrina nessuna mediazione
è o sarà possibile. Il “mistero grande” dell’amore uomo-donna, che rivela nella sua dualità l’immagine
somigliantissima del Creatore (Gen. 1, 26) confermato ed esaltato dalla parola del Signore è lì: punto di
partenza di ogni dialogo all’interno della comunità ecclesiale. E’ un fatto.
Ma segue una domanda: questo comporta anche, inesorabilmente, che quando un matrimonio si
rompe, per infedeltà di uno o di ambedue gli sposi, sia definitivamente risolto in negativo anche il problema
dell’appartenenza viva dei due alla Chiesa, perché essi restano segnati inesorabilmente da quel “sì”
pronunciato una volta e poi negato, al punto che pur facendo parte della Chiesa non possono assolutamente
fare la Comunione, salvo confessione dei peccati, e in particolare di quel “peccato” capitale, e pentimento
vero che non può che essere manifestato con l’interruzione di ogni successivo rapporto simil-matrimoniale?
E’ pensabile una disciplina ecclesiale che abbia anche qualche sfumatura in senso positivo?
Certamente nella vita della Chiesa in 2000 anni qualcosa del genere c’è sempre stato: una via di uscita, p. es.,
con la richiesta di annullamento, o dichiarazione di nullità da parte di un tribunale ecclesiastico è uso
ordinario, che restituisce anche la possibilità della Comunione eucaristica senza contraddire esplicitamente la
parola di verità assoluta. Dal punto di vista storico una disciplina diversa, ufficialmente, c’è stata e c’è nelle
Chiese-sorelle orientali non cattoliche, con condizioni e realizzazioni molteplici. Non è un particolare su cui
non ragionare, per senso di responsabilità verso Dio e verso gli uomini fratelli, anche in tema di ecumenismo
vivo.
Dal punto di vista strettamente pastorale, poi, è anche noto che spesso anche autori cattolici – penso
ad un parere di Benedetto XVI nelle sue conversazioni pubblicate e note – hanno pensato ad una possibilità
di diverso esito nel contesto di una conoscenza specifica di casi particolari con conoscenza della realtà da
parte del “pastore”, che non fanno una norma, ma possono far intuire che il problema non è automaticamente
risolto per tutti e per sempre.
Credo che una prospettiva di questo tipo sia quella presente anche nella relazione Kasper, svolta per
incarico di Papa Francesco e a sorpresa da lui elogiata pubblicamente, anche se poi sappiamo che da altre
illustri parti è stata ed è non solo discussa, ma aspramente contestata.
Qualche riflessione problematica. Difficile arrivare qui ad altre conclusioni, ma credo che qualche
riflessione problematica possa essere possibile.
La lezione di Emmaus e quella dell’Ultima Cena. Domenica scorsa la liturgia ha proposto ai
cattolici di rito latino la bellissima avventura dei “discepoli di Emmaus”, che sulla strada della rinuncia alla
speranza in Cristo lo incontrano nelle sembianze di un viandante misterioso che mette in subbuglio il loro
cuore, riscaldandolo di nuova speranza, e viene riconosciuto nel suo “spezzare il pane”. E’ – hanno scritto gli
esegeti da secoli –una specie di seconda “Ultima Cena”, la seconda Eucarestia terrestre celebrata da Gesù
stesso, ora risorto. Ma se lo hanno riconosciuto dallo spezzare quel pane, allora è segno che alla “prima”
Eucarestia, quella del giovedì Santo, c’erano anche loro. Anche loro, e chissà quanti erano con Gesù e i
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Dodici, quella sera. Pensabile che ci fossero Maria e le sorelle di Lazzaro? Pensabile, certamente. E allora
Gesù aveva dato il “suo” Pane a tutti? Anche a loro? Pensabile, davvero!
Ma non basta: certamente Gesù ha dato il suo Pane anche a Giuda! Lo dice esplicitamente Giovanni
nel suo Vangelo. E Gesù sapeva chi era Giuda, e cosa stava per fare. Gesù del resto ha dato quel Pane anche
a Pietro, pur sapendo e dicendogli che cosa avrebbe fatto, per tre volte, in quella stessa notte.
Non solo: pensabile che tutti gli altri presenti a quella Cena fossero tutti senza alcun peccato?
Pensabile, ma pensabile anche il contrario. Gesù non ha rifiutato il suo Pane, e il suo sangue, a nessuno,
quella notte! Certo quella era la notte di quel Pane, e per Giuda – sempre Giovanni pare scriverlo con
misteriosa allusione (Gv. 13, 27) –fu come aver ceduto tutto se stesso al demonio.
Del resto è proprio così: l’Eucarestia è un atto fatale. Lo dice anche il celebrante principale nella
liturgia latina, subito prima di comunicarsi, invocando la misericordia: “La Comunione con il tuo Corpo e il
tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia sia
rimedio e difesa dell’anima e del corpo”. Lo dice anche San Paolo: “chi mangia indegnamente... diventa
colpevole verso il Corpo e il Sangue di Cristo (…) e mangia e beve la propria condanna” (I Cor. 11, 27-29).
E’ un caso serio, quello della Comunione dei peccatori non pentiti. Ma chi può giudicare davvero
questa o quella richiesta di accesso alla Comunione? Se un cristiano, peccatore e conscio di esserlo, in una
situazione nella quale non ha una concreta possibilità di riparare ad una situazione negativa che lo ha colpito,
soprattutto se all’origine è la parte innocente, desidera accostarsi e chiedere la Comunione, chi – uomo come
lui, peccatore come lui – ha l’assoluto potere di decidere per il sì e per il no? Gesù ha dato quel Pane a tutti,
anche ai due traditori, Giuda e Pietro, con esito che poi è stato diverso, ma che prima erano ambedue
traditori, e forse Pietro ancora di più, non solo per le tre volte, ma per il diverso rapporto avuto con Gesù e
la Sua scelta ad essere quella “pietra” (Mt. 16, 18)!
E allora? Allora vale la pena di dialogare, di interrogarsi senza asprezze reciproche, di attendere i due
Sinodi in arrivo, e non solo sulla comunione ai divorziati risposati, ma su tutta la realtà in fermento della
problematica della sessualità, del matrimonio, delle implicanze tra scienza, psicologia ed esistenza di fede
nella Comunità ecclesiale.
Un pensiero particolare in tema di sessualità e matrimonio. Non posso concludere questa
riflessione senza far cenno ad una problematica particolare, che riguarda l’attuale disciplina vigente nella
Chiesa Cattolica proprio riguardo al tema della comunione di divorziati e risposati. Non credo di dire una
cosa infondata se ricordo che spesso, tra i consigli dati alle coppie di divorziati e risposati, uomini di Chiesa
dicono che sì, possono anche tornare a fare la Comunione, confessandosi con pieno pentimento e
impegnandosi a vivere “come fratello e sorella”. La formula dice che in pratica è loro lecito volersi bene,
convivere, scambiarsi affetto e delicatezza, doni e gioia di andare avanti nella vita anche all’interno della
Comunità Ecclesiale, ma a quella condizione unica: niente unione coniugale!
Forse non ci si pensa, ma questo equivale a identificare tutta l’essenza del rapporto d’amore
all’esercizio della sessualità propriamente coniugale. E francamente appare un eccesso! Credo che anche dal
punto di vista di una visione equilibrata dei rapporti d’amicizia uomo-donna ridurre la sostanza di tutto ai
rapporti sessuali è segno di un non perfetto equilibrio tra i beni in questione. Una concezione della sessualità
ridotta al rapporto sessuale rivela forse gravi limiti della visione che a poco a poco si è imposta anche in
ambienti di Chiesa, con conseguenze che oscillano tra sessuofobia e sessuomania, diversamente distribuite
anche in ambienti ecclesiastici e di vita cristiana nella comunità…
Dire a due divorziati risposati che possono continuare a volersi bene, a convivere, a partecipare alla
stessa vita quotidiana, agli stessi interessi religiosi, e culturali, e affettivi, e di lavoro, e a tutto il resto della
vita quotidiana, ma che là, in quell’ambito preciso e segnato da una linea di confine secco non possono
inoltrarsi, appare per lo meno problematico. Del resto è il problema complesso del modo di vedere la realtà
del matrimonio, dei suoi “fini” non più gerarchizzati rigidamente come da sant’Agostino in poi, sul quale il
Concilio Vaticano II ha fatto un passo decisivo in avanti. Da allora cinquant’anni, pieni di domande, cui il
doppio Sinodo dovrà almeno cercare di rispondere: in fraterno dialogo tra i credenti, uomini di Chiesa come
ministri sacri, sposi cristiani anch’essi “ministri” del loro matrimonio, e senza attacchi o ring sui quali
salgono via via cardinali, vescovi, teologi e giornalisti in cerca di scoop.
Gianni Gennari, teologo, vaticanista
Vatican Insider
11 maggio 2014
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/kasper-mueller-34017
I testi relativi al Sinodo dei vescovi concernente la famiglia sono presenti dal n. 467
www.ucipem.it/sito/sito/main.php?id=12
del 10 novembre 2013 in
www.ucipem.it/sito/sito/main.php?id=12
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Cliccare sul trimestre, poi sulla data, poi in calce su documenti con il numero della news,
infine in alto su
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UNIONI CIVILI
Il danno parentale nella famiglia di fatto. La morte del convivente 'more uxorio'
Come si articola la fattispecie del danno parentale (o meglio la perdita del rapporto parentale)
causata da fatto illecito (reato) e nello specifico caso della convivenza more uxorio, in cui il rapporto
parentale è dato dal mero vincolo di fatto?
Negli ultimi decenni il modello di famiglia naturale non vincolata dal contratto matrimoniale ha
avuto larga diffusione e ha dimostrato come possa sostanziarsi negli stessi requisiti della stabilità,
coabitazione e reciproca solidarietà etica e morale. Si tratta pertanto di analizzare l'art. 2059 c.c. (Danni non
patrimoniali) in una lettura costituzionalmente orientata così come combinata con le norme di cui agli artt. 2,
29 e 30 Costituzione.
Tale ancoraggio normativo permette da subito di affermare come il danno subito in conseguenza
dell'uccisione di un prossimo congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale, concretandosi
nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito del nucleo
familiare per quanto naturale e non legittimo, nonché all’inviolabilità della libera e piena esplicazione della
persona umana, si colloca nell'ambito del danno non patrimoniale, postulando al contempo la verifica della
sussistenza degli elementi in cui si articola l'illecito civile extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c. (nesso di
causalità tra azione ed evento, tra fatto e conseguenze dannose ed elemento soggettivo per il quale la
prevedibilità dell'evento dannoso è insita nel fatto che la vittima è inserita in un contesto familiare). La
prevedibilità di tale evento aggrava pertanto la situazione del soggetto/i che causa/causano la morte perché
con tale azione crea una lesione all'interesse del congiunto (nel caso de quo il convivente more uxorio
superstite) all'intangibilità delle relazione familiari, lesione da valutarsi peraltro in un astratto essendo
appunto la vittima parte di un nucleo familiare.
Si parla di danno non patrimoniale in quanto la morte di un convivente more uxorio presuppone oltre al rapporto di parentela - anche la perdita in concreto di un effettivo e valido sostegno morale, non
riscontrandosi in assenza di convivenza.
Il danno non coincide con la lesione di un interesse protetto, bensì consiste in una perdita, ovvero
nella privazione di un bene non economico, ma personale, perdita peraltro irreversibile del godimento di un
congiunto, che preclude al convivente superstite la reciproca relazione. Tale perdita o privazione costituisce
sicché una conseguenza della lesione dell'interesse protetto.
Peraltro rispetto ai vari legami di parentela quello della convivenza more uxorio è un vincolo
assimilabile a quello coniugale la cui intensità (per livello di coabitazione, frequentazione, natura dell'affetto)
rafforza l'entità del danno e del pregiudizio subìto per il solido e duraturo legame affettivo tra vittima e
danneggiato. Invero, con gli ultimi orientamenti della Cassazione che hanno ritenuto il danno non
patrimoniale onnicomprensivo, complessivo ed unitario rispetto alle singole sotto articolazioni (che qui
potrebbero rilevare quanto a danno morale, esistenziale, ecc.), la riparazione di tale danno si sostanzia sia nel
danno da perdita del rapporto parentale che nel danno soggettivo (non in re ipsa) quale ristoro della
sofferenza psichica riconosciuta.
La perdita di un'unità familiare, della solidarietà e degli affetti, peraltro a seguito di fatto illecito, in
conclusione configura un danno diretto ed ingiusto costituito dalla lesione di valori costituzionalmente
protetti, nonché di diritti umani inviolabili.
Si tratta ora di analizzare nello specifico la natura di questo danno, gli effetti sul congiunto superstite
rispetto ad altri tipi di congiunti e i parametri della sua liquidazione, aspetto che nell'area del danno non
patrimoniale presenta spesso profili di criticità e difficoltà nella valutazione da parte del giudice.
Ma si procede con ordine. Quanto alla natura del danno, la sofferenza morale non è un danno
autonomo, ma un aspetto del danno non patrimoniale di cui tiene conto unitamente ad altre conseguenze
nella liquidazione unitaria del danno, comprendendo non solo la parte di dolore psichico, bensì qualsiasi
pregiudizio derivante dal fatto illecito. Per questo la valutazione deve essere necessariamente in via
equitativa, trattandosi di valori privi di contenuto economico, rimessi perciò alla precedente discrezionalità
del giudice.
Ovviamente tali danni, quali danno-conseguenza, vanno allegati e provati da chi chiede il
risarcimento (convivente more uxorio superstite) e al danneggiante spetta dimostrare l'inesistenza degli
assenti pregiudizi (es. alterazione vita di relazione, trauma affettivo, mancato supporto morale, ecc.).
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Si è detto come la perdita irreparabile della comunione di vita e di affetti, la fine dell'integrità
familiare (naturale in questo caso ma ciò vale quanto per quella legittima) rappresentino un danno e in
quanto tale risarcibile.
Il risarcimento di tale danno da fatto illecito, concretandosi in un evento mortale, con riguardo sia al
danno non patrimoniale che patrimoniale presuppone la prova di un contributo economico stabilmente
apportato in vita dal defunto al convivente more uxorio (danneggiato) a causa dell'improvvisa mancanza di
assistenza anche materiale. Smarcato quindi l'inquadramento del danno, la natura e i parametri da corti e
tribunali) resta da approfondire un ultimo aspetto legato al caso di uccisione del convivente more uxorio.
Anche aderendo all'orientamento del danno non patrimoniale quale categoria unitaria sembrerebbe ben
adattarsi alla suddetta fattispecie la considerazione di un danno morale distinto da quello biologico entrambi
configurabili a titolo iure hereditario e iure proprio.
Il primo - danno morale - subìto dalla vittima in seguito ad una lesione (uccisione) penalmente
rilevante e, infatti, trasmissibile agli eredi come risarcimento doveroso, stante la valenza costituzionale
dell'integrità morale e fisica di una persona. Ciò non rileva in generale e a maggior ragione laddove tra
evento delle lesioni e morte causata da esse sia trascorso un lasso di tempo in cui il convivente è
sopravvissuto. Perciò avendo presumibilmente la vittima percepito (se in stato di coscienza) quanto grave e
catastrofica fosse la situazione in cui versava, il diritto al risarcimento risulta per quel lasso di tempo già
entrato a far parte del suo patrimonio sotto il profilo di danno morale. Di conseguenza esso può essere fatto
valere iure hereditario.
Quanto al possibile danno biologico vero e proprio del convivente superstite esso potrebbe essere
rappresentato dall'effettiva compromissione dello stato di salute psichica e fisica del suddetto. Tale danno rientrante nell'area del danno non patrimoniale in ogni caso - sarà risarcibile iure proprio, laddove venga
adeguatamente provato il nesso causale tra il fatto illecito e il danno subìto alla propria salute e iure
hereditario, per i soli danni verificatisi tra il momento dell'illecito e quello del decesso (sempre nel caso in
cui tra i due momenti intercorra un apprezzabile lasso di tempo, vedasi il c.d. danno tanatologico). E' quindi
importante sottolineare come il riconoscimento dei diritti della famiglia (naturale o legittima) di cui all'art. 29
Cost. vada inteso non solo come - e non già - tutela delle estrinsecazioni della persona nell'ambito esclusivo
di quel nucleo, ma nel più ampio concetto di modalità in cui si decide di realizzare la propria vita come
individui alla stregua di valori e sentimenti che generano però bisogni e doveri. Pertanto un fatto lesivo,
alterando profondamente l'assetto di tale scelta, riduce (se non addirittura annulla) il rapporto parentale stesso
dando luogo a un danno non patrimoniale consistente proprio in tale alterazione. Tale danno trova ristoro
nell'ambito della tutela di cui all'art. 2059 c.c. in quanto si verifica la lesione di un interesse
costituzionalmente protetto che però deve restare distinto sia dal bene della salute (art. 32 Cost. risarcibile a
titolo di danno biologico) che dall'interesse all'integrità morale (protetto dall'art. 2 Cost e risarcibile come
danno morale soggettivo).
avv. Federica Federici
www.StudioCataldi.it 12 maggio 2014
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15780.asp
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VIOLENZA
Gli uomini vittime della violenza femminile: una realtà nascosta.
Il pensiero comune ci porta quasi sempre a considerare la donna nel ruolo di vittima di violenze e
maltrattamenti. Anche attraverso i mass media tende quasi esclusivamente a passare l'immagine di un uomo
vissuto come "carnefice", e di una donna vissuta come bersaglio della rabbia e dell'aggressività maschile. Il
che in molti casi rappresenta la verità. Ma c'è un'altra realtà che invece tende a non venire menzionata, tanto
da apparire quasi inesistente: quella degli uomini che subiscono violenze, all'interno e fuori delle mura
domestiche.
Tendenzialmente, la violenza che le donne esercitano sugli uomini è in prevalenza di tipo
psicologico, e si esprime attraverso varie forme di rifiuto, accuse infondate, insulti, svalutazioni. La violenza
fisica, molto più rara, si manifesta per lo più con colpi inferti al volto, all'addome, con morsi, lesioni da uso
di forbici o altre lame.
La donna punta a denigrare l'uomo nel suo ruolo di amante e di padre, diffamandolo nel privato ma
anche nel pubblico o sul posto di lavoro, allo scopo di attaccarne la mascolinità e di favorirne l'isolamento
sociale.
La violenza femminile tende ad essere spesso giustificata in quanto riconducibile a sottostanti
condizioni di malessere (depressione post-partum, menopausa, auto-difesa). Quindi, anche quando la donna
mette in atto comportamenti aggressivi o violenti, questi tendono più facilmente a venire inquadrati come
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risposte di difesa rispetto a provocazioni subite, il che alcune volte rappresenta la realtà, ma non sempre,
ovviamente.
Poter individuare quelle donne che attuano comportamenti improntati alla violenza può rappresentare
un importante passo per offrire loro un aiuto concreto e costruttivo.
Inoltre, mentre una donna vittima di maltrattamenti può trovare supporto presso numerosi gruppi di
auto-aiuto, associazioni o anche attraverso il sostegno di amiche e delle altre donne in generale, gli uomini
tendono maggiormente a vivere i maltrattamenti subiti con senso di vergogna o come un attacco alla propria
mascolinità e quindi sono più propensi ad occultarli.
Non sono infrequenti anche i casi di violenza maschile nei confronti delle donne generati da reiterati
atteggiamenti di svalutazione da parte di quest'ultime. In tali situazioni, le donne tenderebbero a istigare la
rabbia maschile, che al contrario si esprime maggiormente a livello fisico, (risultando più facilmente
evidenziabile e perseguibile), rientrando poi nel ruolo di vittime.
Una realtà meno frequente quella della violenza subita dagli uomini, meno conosciuta sicuramente,
ma che non può passare del tutto inosservata.
Laura Tirloni, psicoterapeuta
studio cataldi.it
7 maggio 2014
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15735.asp#commenti
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Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone. via Favero 3-10015-Ivrea
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