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La tregua di Primo Levi
• Luigi Gaudio
Introduzione
• Questo non è il racconto del lager, è la continuazione di
“Se questo è un uomo” e prende l’avvio proprio
dall’arrivo dei Russi al campo. Eppure la presenza del
lager pervade tutto il testo, implicita, inquietante,
soprattutto incancellabile, perché quello che ha lasciato nel
cuore non può essere dimenticato. Sotto questo punto di
vista è una denuncia ancora più netta e chiara della
disumanità del lager.
La metafora del viaggio
• La metafora ricorrente nel libro è quella del viaggio, un
viaggio circolare, dal moto apparente, in cui si procede
non da un punto A a un punto B, ma da A si ritorna
ad A:
La metafora del viaggio
• in senso fisico, concreto, poiché dopo mesi di viaggio quasi
Primo ritorna nella Polonia dalla quale era partito.
Inoltre c’è un tratto di strada, da Žmerinka a Staryje
Doroghi, che Primo percorre prima in direzione sud-nord
(a luglio) e poi da nord a sud (a settembre)
• in senso spirituale, perché dal lager parte, e al lager Levi
ritorna sempre con il pensiero, fino alla fine
Avventura picaresca
• Il viaggio di Primo si configura anche come un
vagabondaggio alla ricerca del pane. Il lager aveva
imposto la sua legge: primum vivere. In base a questa
legge l’imperativo categorico era quello di procurarsi da
mangiare, in un modo o nell’altro.
Avventura picaresca
• Il lager, il bisogno, la fame, stravolgono le gerarchie dei
valori, per cui non solo per Cesare, ma anche per Primo,
che osserva con un sorriso il suo amico, rubare è lecito, e
donare un pesce ad una famiglia che ne ha bisogno è una
cosa di cui vergognarsi.
Memoriale
• Come “Se questo è un uomo”, anche “La tregua” è
anzitutto ricordo di un’esperienza vissuta, Per Levi la
memoria ha un valore, come rievocazione e testimonianza
per i posteri. Del resto proprio grazie a testimonianze
come quella di Levi venne istituita la Giornata della
memoria: “La prima pattuglia russa giunse in
vista del campo verso il mezzogiorno del 27
gennaio 1945” (pag. 2)
Il tempo dilatato
• Se gli spazi sono circolari, i tempi nel romanzo sono
soggetti a distorsione, dilatati all’inverosimile, come scrive
lo stesso autore a pag. 189, parlando di come fosse
“opinabile” il concetto del domani quando per esempio i
russi promettevano di far partire gli italiani finalmente
da Staryje Doroghi:
Il tempo dilatato
• “il termine russo corrispondente, per uno di quegli
slittamenti semantici che non sono mai senza perché,
viene a dire qualcosa di assai meno definito e perentorio
del nostro «domani», e, in armonia con le abitudini russe,
vale piuttosto «un giorno fra i prossimi», «una volta o
l’altra», «in un tempo non lontano»: insomma, il rigore
della determinazione temporale vi è dolcemente sfumato”
Arco di tempo
• L’arco di tempo all’interno del quale si svolgono gli
avvenimenti è di circa 9 mesi, dal 17 gennaio del 1945
(giorno in cui i tedeschi abbandonano Auschwitz) al 19
ottobre dello stesso anno, quando Primo ricompare
inaspettatamente a casa sua.
Lo stile
• È quello già conosciuto di Primo Levi: l’alternarsi di
racconti e riflessioni, anzi il continuo emergere del
giudizio, che non è mai pedante, perché segno di una
tensione etica sempre viva. Per questo Levi si sofferma ad
osservare il comportamento degli uomini.
Lo stile
• Da notare anche la concretezza, l’immediatezza, che è
dovuta anche al “primo” mestiere, di chimico, dello
scrittore, come dice lui stesso nella prefazione al libro:
• “il mio mestiere quotidiano mi ha insegnato (e continua
ad insegnarmi) molte cose di cui ogni scrittore ha bisogno.
Mi ha educato alla concretezza e alla precisione,
all'abitudine di "pesare" ogni parola con lo scrupolo di
chi esegue un'analisi quantitativa;
Lo stile
• soprattutto, mi ha abituato a quello stato d'animo che
suole chiamarsi obiettività: vale a dire, al riconoscimento
della dignità intrinseca non solo delle persone, ma anche
delle cose, alla loro verità, che occorre riconoscere e non
distorcere, se non si vuole cadere nel generico, nel vuoto e
nel falso.” (dalla Prefazione a “La tregua” di Primo
Levi)
Lo stile
• Per questo Levi predilige le frasi brevi, ed usa
frequentemente la punteggiatura, il che, come è noto,
rende più chiaro il discorso e logici i passaggi del testo.
• Anche Calvino si porrà in questa strada (vedi la
Lezione americana sull’esattezza) e non a caso anche
Calvino ricercherà il segreto di questo stile nella scienza.
La lingua
• Sono presenti tutte le lingue d’Europa, nonché l’yiddish,
e il latino in reminiscenze scolastiche come “His fretus”,
vale a dire su questi bei fondamenti” (pag. 136). In
questo modo Levi rappresenta la babele dei deportati, ma
nello tempo rivela il sogno dell’uomo di comunicare con
l’altro simile (altra condizione essenziale per essere
veramente uomo, anche se certe volte alla “precisione”
della parola supplisce l’espressività popolare,
come nel caso del gergo romanesco di Cesare).
Il film
• Da questo libro è stato tratto un film del 1997, diretto
da Francesco Rosi.
• Molte delle immagini che compaiono in queste slide sono
tratte da esso.
Poesia introduttiva
Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
Tornare; mangiare; raccontare.
Il comando dell'alba:
"Wstawać";
(“alzarsi” in polacco)
Poesia introduttiva
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
Il nostro ventre è sazio,
Abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
"Wstawać".
1 Il disgelo
• “l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli
animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di
pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze
e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva:
1 Il disgelo
• e di pena, perché sentivamo che questo non poteva
avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di
così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i
segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei
ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e
nei racconti che ne avremmo fatti.
1 Il disgelo
• Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra
generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto
meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa, che
dilaga come un contagio. È stolto pensare che la giustizia
umana la estingua.
1 Il disgelo
• Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e
l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale
come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei
superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà
di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale,
come negazione, come stanchezza, come rinuncia” pagg.
5-6
2 Il campo grande
• “A Buna non si sapeva molto del «Campo Grande», di
Auschwitz propriamente detto: gli Häftlinge (internati,
detenuti) trasferiti da campo a campo erano pochi, non
loquaci (nessuno Häftling lo era), né facilmente creduti.
2 Il campo grande
• Quando il carro di Yankel varcò la soglia famosa,
rimanemmo sbalorditi. Buna-Monowitz, coi suoi
dodicimila abitanti, era un villaggio al confronto: quella
in cui entravamo era una sterminata metropoli.” (pag. 910)
2 Il campo grande
• Yankel era “uno Häftling: era un giovane ebreo russo,
forse l’unico russo fra i superstiti, ed in quanto tale si era
trovato naturalmente a rivestire la funzione di interprete
e di ufficiale di collegamento coi comandi sovietici” (pag.
7-8)
Hurbinek: il bambino di tre anni
senza nome
• Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in
Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek,
che aveva combattuto come un uomo, fino all’ultimo
respiro per conquistarsi l’entrata nel mondo degli uomini,
da cui una potenza bestiale lo aveva bandito;” (pag. 15)
Hurbinek: il bambino di tre anni
senza nome
• “Era paralizzato dalle reni in giù, ed aveva le gambe
atrofiche, sottili come stecchi;” (pag. 13-14)
• “Hurbinek, il senza-nome, il cui nome era stato
assegnato “forse da una delle donne, che aveva
interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate
che il piccolo ogni tanto emetteva.” (pag. 13)
Hurbinek: il bambino di tre anni
senza nome
• il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col
tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi giorni
del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di
lui: egli testimonia attraverso queste mie parole. (pag. 15)
2 Il campo grande
• Ad Auschwitz Levi incontra anche ex-Kapò,
condizionati anche se liberi dall’esperienza che avevano
vissuta, tanto da volerla perpetuare come il Kleine
Kiepura che “vociferava in tedesco imperiosi comandi ad
uno stuolo di schiavi inesistenti. […] l’infezione del
Lager aveva fatto in lui troppa strada.” (pag. 19)
3 Il greco Mordo Nahum
• Mordo Nahum […] La biografia del mio greco era
lineare: quella di un uomo forte e freddo, solitario e laico,
che si era mosso fin dall’infanzia per entro le maglie
rigide di una società mercantile.
3 Il greco Mordo Nahum
• Era (o era stato) accessibile anche ad altre istanze: non
era indifferente al cielo e al mare del suo paese, ai piaceri
della casa e della famiglia, agli incontri dialettici; ma era
stato condizionato a ricacciare tutto questo ai margini
della sua giornata e della sua vita, affinché non turbasse
quello che lui chiamava il «travail d’homme».
3 Il greco Mordo Nahum
• La sua vita era stata di guerra, e considerava vile e cieco
chi rifiutasse questo suo universo di ferro. Era venuto il
Lager per entrambi: io lo avevo percepito come un
mostruoso stravolgimento, una anomalia laida della mia
storia e della storia del mondo; lui, come una triste
conferma di cose notorie. «Guerra è sempre»
3 Il greco Mordo Nahum
• Il greco cioè trova conferma nell’esperienza del lager di
una sua convinzione, condensata nella frase “l’uomo è
lupo all’uomo”, mentre Primo Levi era convinto della
bontà dell’uomo, e quindi l’esperienza di quell’anno nel
lager gli stravolse completamente l’esistenza.
4 Katowice
• Una volta spostatosi su comando dei russi da Auschwitz
a Katowice, Primo Levi nota sconsolato
• “a che serviva essere stati liberati, se poi passavamo
ancora i nostri giorni in una cornice di filo spinato?”
(pag. 64-65)
Leonardo
• “Nel campo di Bogucice [distretto periferico di Katowice]
trovai Leonardo, già accreditato come medico, e assediato
da una clientela poco redditizia ma molto numerosa:
veniva come me da Buna, ed era arrivato a Katowice già
da qualche settimana, seguendo vie meno intricate delle
mie”. (pag.55)
Leonardo
• “Possedeva oltre alla fortuna [era sopravvissuto
miracolosamente al lager, malgrado soffrisse freddo e
fatica] un’altra virtù essenziale in quei luoghi: una
illimitata capacità di sopportazione, un coraggio
silenzioso, non nativo, non religioso, non trascendente, ma
deliberato e voluto ora per ora, una pazienza virile, che lo
sosteneva miracolosamente al limite del collasso.” (pag.
56)
Leonardo
• Da adesso in poi Leonardo sarà un altro compagno
inseparabile di Primo, e Primo condividerà con lui il
supporto “medico” degli altri compagni.
5 Cesare
• Credo di non avere mai letto nulla di così sconvolgente
come l’inizio di questo capitolo. Con un flashback il
narratore ritorna al tempo di inizio di questo romanzo,
cioè i dieci giorni intercorsi fra la partenza dei tedeschi
(con il grosso dei prigionieri) e l’arrivo dei russi.
5 Cesare
• In quei dieci giorni, nell’infermeria, le brande degli
infettivi gravi (come Levi, ammalato di scarlattina)
confinavano con la sezione degli ammalati di TBC e di
dissenteria. Sentendo provenire da quest’ultima parte dei
lamenti in lingua italiana, Levi entra in quella sezione, e
vi trova un suo amico di Venezia, che sta morendo di
freddo, e Cesare, che poi diverrà suo
grande compagno nel viaggio di ritorno
in Italia.
5 Cesare
• La scena è ripugnante, perché gli ammalati di dissenteria,
non solo non ricevono cure, ma lasciano i loro escrementi
anche sul pavimento.
• Sta di fatto che Cesare riesce a superare questa tremenda
esperienza, poi viene reclutato dai Russi per costruire una
trincea per paura di una reazione militare tedesca.
5 Cesare
• Qui iniziano ad emergere alcune caratteristiche dei russi,
che sono, lo vedremo, meno organizzati e precisi dei
tedeschi, ma proprio per questo è preferibile il loro
bonario disordine alla disumana disciplina del lager, anzi
la loro “selezione per lavorare” è una sorta di parodia
della selezione interna al campo di Auschwitz.
5 Cesare
• Infine si trova una donna in Polonia (come molti
italiani), che poi però lo lascia per un soldato russo. Da
allora in avanti Cesare diventerà un grande compagno di
viaggio di Primo, e spesso lo distoglierà dalle sue
malinconie, con la sua voglia di vivere, e di procurarsi
cibo e altro, non sempre in modo legale e irreprensibile.
6 Victory Day
• La notizia della vittoria della guerra giunge a levi mentre
si trova a , intuita dai titoli dei giornali, ma soprattutto
percepita nella gioia della gente della città e soprattutto
dei russi, che inscenarono uno spettacolo per festeggiare.
Un’altra dimostrazione della differenza fra i tedeschi e i
russi sta nel fatto che anche gli ufficiali russi partecipano
allo spettacolo, cosa che un ufficiale tedesco non avrebbe
mai fatto.
6 Victory Day
• Adesso non ci sono più fronti di guerra, quindi nulla
dovrebbe impedire a Primo e ai suoi compagni di
raggiungere il proprio paese, ma purtroppo non è così
semplice.
7 I sognatori
• I sognatori sono gli illusi che credono a questo punto che
sia imminente il proprio rientro in patria (non sarà
affatto così e passeranno molti mesi).
L’inganno di Cravero
• Nel campo di Katowice ci sono anche degli ex-detenuti
provenienti da San Vittore. Fra questi, Cravero, “un
furfante compiuto, incontaminato, senza sfumature”
(pag. 99)
L’inganno di Cravero
• Egli decide di tornare in Italia clandestinamente, fidando
sui suoi mezzi, “avvezzo com’era a vivere al di fuori di
ogni legge”. (pag.100). Dal momento che si dirige a
Torino, Primo gli chiede di recapitare una lettera ai suoi,
che sarà effettivamente l’unica comunicazione dello
scrittore alla sua famiglia.
L’inganno di Cravero
• Però Cravero cerca di estorcere dei soldi che avrebbe
portato a Primo, che ne aveva bisogno, e, non essendoci
riuscito, ruba impunemente la bicicletta della sorella di
Primo Levi, ma poi ritornerà nuovamente a girare le
carceri italiane.
La pleurite e il dottor Gottlieb
• Nel periodo di maggio-giugno Levi si ammala di pleurite,
ed è guarito solo dal dottor Gottlieb, che parlava
perfettamente l’italiano (e non solo questa lingua) e
correva spesso “in specie in aiuto nostro, di noi sfuggiti
come lui alla trappola mortale del Lager” (pagg. 94-95).
La pleurite e il dottor Gottlieb
• Gottlieb sarà anche il responsabile del convoglio degli
italiani fino a Žmerinka, poi però nessuno più lo vide, e
gli italiani persero un importante punto di riferimento.
8 Verso sud
• È il capitolo appunto del viaggio in treno verso Odessa,
che si interrompe però anzitempo, a Žmerinka, dove si
notano già i segni dell’inizio della guerra fredda. I russi
hanno combattuto a fianco degli occidentali contro il
nemico comune, ma ora iniziano a concepire sogni di
espansione ad ovest:
8 Verso sud
• “un imbianchino: eresse una impalcatura lungo la
facciata della stazione, e fece sparire sotto uno strato di
intonaco la scritta «Proletari di tutto il mondo, unitevi!»;
in luogo della quale, con un sottile senso di gelo, lettera
dopo lettera ne vedemmo nascere un’altra ben diversa:
«Vperëd na Zapàd», «Avanti verso l’Occidente». (pag.
121-122)
9 Verso nord
• Non a caso questi due capitoli vengono l’uno dopo l’altro,
a significare l’illogicità del percorso.
• Nella cartina si può vedere come il viaggio di ritorno
abbia seguito un percorso anomalo. E così gli italiani si
trovano ad attraversare la Russia prima da nord a sud, e
poi da sud a nord, spesso ripercorrendo gli stessi luoghi.
10 Una curizetta
• Gli italiani sono trasferiti nel campo di raccolta di
Sluzk, in cui Primo ritrova fortunosamente il greco
Mordo Nahum.
• “Curizetta” è il termine locale per dire “gallina”. Cesare
e Primo riescono, non senza difficoltà, ad ottenerla dalla
gente del posto, barattandola con alcuni piatti nel corso di
uno dei viaggi di trasferimento.
10 Una curizetta
• È qui che gli italiani vengono a sapere che dovranno
recarsi a piedi a Staryje Doroghi, a settanta chilometri di
distanza. La modalità del trasferimento è l’ennesima
dimostrazione della disorganizzazione russa:
10 Una curizetta
• “Un mattino, con velocità misteriosa e fulminea, si
propagò fra noi la notizia che avremmo dovuto lasciare
Sluzk, a piedi, per essere sistemati a Staryje Doroghi, a
settanta chilometri di distanza, in un campo di soli
italiani.
10 Una curizetta
• I tedeschi, in analoghe circostanze, avrebbero cosparso i
muri di manifesti bilingui, nitidamente stampati, con
specificata l’ora della partenza, l’equipaggiamento
prescritto, la tabella di marcia, e la pena di morte per i
renitenti.
10 Una curizetta
• I russi invece lasciarono che l’ordinanza si propagasse da
sé, e che la marcia di trasferimento si organizzasse da
sé.”(pag. 130
11 Vecchie strade
• Il viaggio che conduce gli italiani da Sluzk a Staryje
Doroghi è un incubo, proprio perché quelle vecchie strade
parevano interminabili, quasi dei labirinti che
sembravano ricondurre al punto di partenza (il viaggio
non conduce alla meta in questo libro, l’abbiamo già
visto).
11 Vecchie strade
• “In nessuna altra parte d’Europa, credo, può accadere
di camminare per dieci ore, e di trovarsi sempre allo
stesso posto, come in un incubo” (pag. 131)
11 Vecchie strade
• Nel corso del viaggio Cesare si ingegna a vendere pesci ai
russi, frodandoli, ma un giorno si intenerisce vedendo una
donna poverissima, e regala il pesce, che doveva vendere, a
lei e ai suoi figli. Poi si vergogna di quello che ha fatto,
perché rischia di perdere la sua reputazione commerciale
(ribaltamento dei valori morali)
12 Il bosco e la via
• “Rimanemmo a Staryje Doroghi, in quella Casa Rossa
piena di misteri e di trabocchetti come un castello di fate,
per due lunghi mesi: dal 15 luglio al 15 settembre del
1945.
• Furono mesi d’ozio e di relativo benessere, e perciò pieni
di nostalgia penetrante.” (pag. 150)
12 Il bosco e la via
• In questi mesi gli italiani frequentano due tedesche exausiliarie della Wehrmacht, che si nascondono nel bosco e
vivono di prostituzione e di espedienti. Alcuni degli
italiani sono talmente attratti dal bosco (e da chi vi
abita) che preferiscono vivere lì piuttosto che nella casa
rossa, come il Velletrano “originario delle vie sovraffollate
di Trastevere, si era ritrasformato in uomo selvaggio con
mirabile facilità. […]
12 Il bosco e la via
• Non pernottava quasi mai alla Casa Rossa: viveva nella
foresta, scalzo e seminudo. Viveva come i nostri lontani
progenitori: tendeva trappole alle lepri e alle volpi, si
arrampicava sugli alberi per nidi, abbatteva le tortore a
sassate, e non disdegnava i pollai dei casolari più lontani;
12 Il bosco e la via
• raccoglieva funghi, e bacche tenute generalmente per
incommestibili, e a sera non era raro incontrarlo nelle
vicinanze del campo, accovacciato sui talloni davanti a un
gran fuoco, su cui, cantando rozzamente, arrostiva la
preda della giornata. Dormiva poi sulla nuda terra,
coricato accanto alle braci.” (pag. 153-154)
12 Il bosco e la via
• “I giorni di Staryje Doroghi passavano così, in una
interminabile indolenza, sonnolenta e benefica come una
lunga vacanza, rotta solo a intervalli dal pensiero
doloroso della casa lontana, e dall’incanto della natura
ritrovata.” (pag. 159)
12 Il bosco e la via
• Insomma, la casa rossa e il bosco rappresentano un
momento di pace e di libertà, in questo sono l’antilager,
cioè luoghi in cui non vige la ferrea disciplina tedesca, ma
le forze vitali e istintive possono esprimersi senza i limiti
imposti dalla società, anzi in una sorta di Antisocietà, di
Antilager, anarchico, preistorico, come nel caso del
Velletrano.
13 Teatro
• A Staryje Doroghi c’è un gruppo di italiani provenienti
dalla Romania, che si erano aggregati solo in un secondo
tempo, e che inizialmente erano più facoltosi e ricchi degli
ex-prigionieri come Primo Levi.
13 Teatro
• Così, oltre al cinematografo, portato dai russi, gli italiani
“rumeni” nell’agosto del 1945 organizzano uno
spettacolo, la “rivista” “Il naufragio degli abulici” per
prendere in giro i russi che bloccano lì gli italiani
“abulici” (evidente anche l’autoironia, perché gli italiani
riconoscono di non fare niente pigramente in quella
situazione).
13 Teatro
• Perfino nel divertimento, però, Levi intravede una nota di
amarezza, retaggio della condizione di prigioniero:
• “Il numero del «Cappello a tre punte» toglieva il respiro,
e veniva accolto ogni sera con un silenzio più eloquente
degli applausi. Perché?
13 Teatro
• Forse perché vi si percepiva, sotto l’apparato grottesco, il
fiato pesante di un sogno collettivo, del sogno che vapora
dall’esilio e dall’ozio, quando cessano il lavoro e la pena,
e nulla pone riparo fra l’uomo e se stesso; forse perché vi
si ravvisava l’impotenza e la nullità della nostra vita e
della vita, e il profilo gobbo e sghembo dei mostri generati
dal sonno della ragione.” Pag. 182
14 Da Staryje Doroghi a Iasi
• Iasi è una stazione di frontiera fra Russia e Romania. Il
viaggio, iniziato non il 15 come previsto, ma il giorno
dopo, prosegue sempre con molti intoppi. Prima di
arrivare lì, comunque, il treno ci mise delle settimane,
perché la partenza fu rimandata, e poi perché era
malridotto.
15 Da Iasi alla linea
• La linea è quella che demarca la zona di influenza russa
da quella di influenza americana, e passa in Austria, nei
pressi di St. Valentin, a pochi chilometri da Linz. Il
viaggio è molto tormentato.
15 Da Iasi alla linea
• La gente ha sete e per procurare un po’ d’acqua Levi
rischia letteralmente di perdere il treno (e quindi di
prolungare almeno di un mese la sua lontananza da
casa) e gli italiani anzitutto sono bloccati per una
settimana a Curtici (frontiera tra Romania e Ungheria)
dove saccheggiano il villaggio soprattutto gli ultimi giorni,
quando non hanno più nulla da mangiare.
15 Da Iasi alla linea
• È il momento in cui Cesare decide di lasciare la
compagnia, torna indietro a Bucarest, per raggiungere
l’Italia in aereo. Lo farà, anche se arriverà qualche mese
dopo (caso di prolessi presente nel testo). L’assenza di
Cesare si farà sentire: soprattutto la percepirà Primo
Levi.
15 Da Iasi alla linea
• Anche in Austria le cose non andarono benissimo, e i
nostri rischiano di tornare al punto di partenza:
• “Speravamo di passare dall’Ungheria all’Austria senza
complicazioni di confine, ma non fu così: il mattino del 7
ottobre, ventiduesimo giorno di tradotta, eravamo a
Bratislava, in Slovacchia, in vista dei Beschidi, degli
stessi monti che sbarravano il lugubre orizzonte di
Auschwitz.
15 Da Iasi alla linea
• Altra lingua, altra moneta, altra via: avremmo chiuso
l’anello? Katowice era a duecento chilometri: avremmo
ricominciato un altro vano, estenuante circuito per
l’Europa?” (pag. 210-211)
15 Da Iasi alla linea
• L’Austria è terra di tedeschi, anche se non è
propriamente Germania, ma i nostri non provano
soddisfazione a vedere prostrati i nemici:
• “Non avevamo provato alcuna gioia nel vedere Vienna
sfatta e i tedeschi piegati:
15 Da Iasi alla linea
• anzi, pena; non compassione, ma una pena più ampia,
che si confondeva con la nostra stessa miseria, con la
sensazione greve, incombente, di un male irreparabile e
definitivo, presente ovunque, annidato come una cancrena
nei visceri dell’Europa e del mondo, seme di danno
futuro” (pag. 212-213)
16 Il risveglio
• Quando passano la linea di demarcazione fra russi e
americani, gli italiani sono tenuti a fare un “bagno”,
parodia delle docce di Auschwitz, perché mentre il bagno
dei tedeschi era segno di inciviltà, perché spesso così
ammazzano i prigionieri, il bagno degli americani era
segno di civiltà, perché disinfettano con il DDT, e
conoscono e diffondono l’uso della penicillina.
16 Il risveglio
• Il treno passa poi direttamente dalla Germania, in
particolare da Monaco. Questo passaggio non lascia
indifferente gli italiani:
• “Ci sembrava di avere qualcosa da dire, enormi cose da
dire, ad ogni singolo tedesco, e che ogni tedesco avesse da
dirne a noi: sentivamo l’urgenza di tirare le somme, di
domandare, spiegare e commentare, come i giocatori di
scacchi al termine della partita.
16 Il risveglio
• Sapevano, «loro», di Auschwitz, della strage silenziosa e
quotidiana, a un passo dalle loro porte? Se sì, come
potevano andare per via, tornare a casa e guardare i loro
figli, varcare le soglie di una chiesa? Se no, dovevano,
dovevano sacramente, udire, imparare da noi, da me,
tutto e subito:” (pag. 215)
16 Il risveglio
• L’angoscia di Levi può riguardare non solo i tedeschi di
allora, ma tutti noi: il rischio, nostro, come loro, è quello
di dimenticare.
Verso l’Italia
• “I mesi or ora trascorsi, pur duri, di vagabondaggio ai
margini della civiltà, ci apparivano adesso come una
tregua, una parentesi di illimitata disponibilità, un dono
provvidenziale ma irripetibile del destino”.
• In queste parole è condensato il significato del titolo.
Verso l’Italia
• Ricompare anche in altri passaggi del testo questo
termine fondamentale, perché in fondo l’esperienza del
lager ha reso non più eludibile l’ angoscia della morte, di
fronte alla quale è possibile solo godere di effimeri
momenti di tregua.
Il rientro a casa
• Il rientro a casa non porta quella soddisfazione che ci
aspetteremmo. Se in alcuni momenti il ritorno a casa
sembra il traguardo da raggiungere, una volta arrivato a
Torino, non a caso, Primo Levi non dice niente della sua
famiglia, se non che hanno fatto fatica a riconoscerlo,
conciato com’era dopo 20 mesi di lontananza.
Il rientro a casa
• Certo non tutto è negativo: infatti “Ritrovai gli amici
pieni di vita, il calore della mensa sicura, la concretezza
del lavoro quotidiano, la gioia liberatrice del raccontare.”
Pag. 218
Il sogno
• Ma questo libro non ha un lieto fine, perché certe cose
non si possono dimenticare.
• Infatti Primo fa spesso un “sogno, vario nei particolari,
unico nella sostanza.
Il sogno
• Sono a tavola con la famiglia, o con amici, o al lavoro, o
in una campagna verde: in un ambiente insomma placido
e disteso, apparentemente privo di tensione e di pena;
eppure provo un’angoscia sottile e profonda, la sensazione
definita di una minaccia che incombe.
Il sogno
• E infatti, al procedere del sogno, a poco a poco o
brutalmente, ogni volta in modo diverso, tutto cade e si
disfa intorno a me, lo scenario, le pareti, le persone, e
l’angoscia si fa più intensa e più precisa.
Il sogno
• Tutto è ora volto in caos: sono solo al centro di un nulla
grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa, ed
anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in Lager,
e nulla era vero all’infuori del Lager.
Il sogno
• Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno: la
famiglia, la natura in fiore, la casa. Ora questo sogno
interno, il sogno di pace, è finito, e nel sogno esterno, che
prosegue gelido, odo risuonare una voce, ben nota; una
sola parola, non imperiosa, anzi breve e sommessa.
Il sogno
• È il comando dell’alba in Auschwitz, una parola
straniera [polacca], temuta e attesa: alzarsi, «Wstawaç».
• Leggendo questa amara conclusione si può capire ancora
meglio il motivo per il quale Primo Levi si sia tolto la
vita nel 1987.
Struttura ciclica
• Il libro inizia citando nella poesia introduttiva la parola
«Wstawaç» e si chiude con la stessa parola. In questo
ritroviamo la concezione ciclica della vita (e del tempo,
abbiamo visto):
Struttura ciclica
• dal lager inizia la consapevolezza di Levi, nel lager
finisce (con il suicidio che ne è diretta conseguenza).
Anche la storia, la trama di questo romanzo inizia e
termina con l’incubo della sveglia nel lager.